- CAPITOLO 20 -

573 34 1
                                    

- 20 -

Sophy aveva gli occhi coperti da una benda scura, la bocca serrata da del nastro adesivo e le mani bloccate dietro la schiena. Quegli uomini dal volto coperto l'avevano portata via dalla Chiesa di Santa Barbara su una macchina molto veloce e silenziosa. Anche l'abitacolo era stato avvolto nel silenzio, Sophy non aveva sentito parlare nessuno se non uno di loro che aveva detto, probabilmente parlando al telefono, un freddo: "Ce l'abbiamo!".

Quando l'automobile si era fermata, due mani robuste avevano preso Sophy per le braccia per poi scortarla fino al luogo dove si trovava in quel momento. Era in un'angusta cella buia e soffocante. Non aveva più la benda sugli occhi, né il nastro sulla bocca e anche le mani erano libere, ma tutto attorno a lei non vedeva altro che mura e sbarre.

Sudava.

Faceva troppo caldo lì dentro. Anche il pavimento sul quale era seduta a gambe incrociate sembrava emanare calore. Provò a fare dei lunghi respiri per provare a calmarsi e tentò di non pensare al caldo soffocante. La pelle imperlata di sudore, i capelli umidi e la canotta nera appiccicata addosso non le erano affatto d'aiuto. Era lì, abbandonata in quella specie di sauna, da ore ormai. Aveva più volte provato a ripensare a tutte le scoperte che aveva fatto in quella cripta, per distrarsi, ma la concentrazione veniva facilmente meno e il senso di soffocamento si rifaceva strada in lei, accompagnato dalla sete.

L'unico pensiero al quale riusciva ad aggrapparsi era Nick, quello che era stato per anni il suo fratello maggiore. Scoprirlo era stato un vero trauma. Sapeva bene che non erano fratelli di sangue, ma l'idea di averlo baciato ora la turbava. Aveva avuto alcuni flash riguardo il suo passato leggendo quel registro: immagini sfocate e sconnesse che acquisivano senso se accostate ai resoconti che aveva avuto modo di leggere nero su bianco in quell'archivio. Eppure non riusciva ancora a ricordare la sua infanzia con Nick. E nemmeno lui se la poteva ricordare. Anche alcuni dei ricordi di Nick erano stati cancellati. Lo aveva letto nei documenti relativi ai Foster, quella che pareva essere stata la famiglia di origine del ragazzo, e ne aveva avuto conferma spulciando nel passato dei Moad.

Sophy aveva dubitato delle informazioni riportate in quei registri finché non era comparso nella cripta frate Sergio. Lei aveva appena ricevuto un colpo in testa e le erano state legate le mani. Il frate era entrato di corsa armato di un lungo coltello. Aveva provato ad attaccare gli uomini dal volto coperto ma non era riuscito a fare molto dato il fisico esile e le scarse capacità di combattente. Poco dopo era stato anche lui atterrato, ammanettato e fatto sedere a terra, accanto a lei. Era stato in quel momento che Sergio le aveva parlato: «Sono davvero contento di vederti Marta. Spero tu abbia letto tutto quello che ti serve per continuare l'opera di tua madre Elena».

Sophy aveva avuto un sussulto nel sentirsi chiamare con quel nome. Il nome che aveva da poco scoperto essere quello scelto per lei dalla sua vera madre.

«È tutto vero quello che c'è scritto?»

Il frate aveva annuito, fissandola negli occhi. «Tutto! Perché credi che lo vogliano distruggere?»

«In piedi!» urlò una donna in uniforme nera facendola ritornare al presente. Aveva le labbra laccate e l'espressione brutale.

Sophy si alzò e la donna la ammanettò con un solo fluido gesto prima di farla uscire da quel piccolo forno dalle pareti scure. Tenendola per un braccio la spinse lungo un dedalo di corridoi stretti e illuminati da luci artificiali bianche ed accecanti.

«Dove mi stai portando?»

«Non hai il diritto di fare domande» fu la risposta secca della donna che ne approfittò per darle un forte strattone.

Si fermarono davanti ad una porta blindata grigia. La donna allungò la mano destra e la inserì in un foro sulla parete accanto alla porta. Dopo pochi secondi una voce artificiale esclamò: «Accesso consentito».

MITOCITY - Il SegretoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora