55. Everything you lose is a step you take

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puntualissima per le denunce 📜

🔴🔴

JAMES


Riconosco immediatamente quella voce, forse perché ha il subdolo potere di farmi riavvolgere il nastro all'indietro, rituffandomi in un passato che cerco ogni giorno di dimenticare.
Sono bastati pochi attimi.
Il dolore è una questione di minuti.

Arriva breve, intenso, ti segna in modo indelebile e smetti di essere lo stesso che eri prima.
Fortifica, dicono. 
È necessario, dicono.
La realtà è che è impossibile sfuggirgli ed è per questo che ci proviamo a dargli un senso. Ma che senso può avere, il dolore, se in un attimo spazza via tutto ciò che incontra, distruggendo qualsiasi emozione positiva e poi, per cancellare quel singolo momento di sofferenza, non è sufficiente una vita intera?

I terremoti erano sempre la mia scusa migliore. Se inizialmente ne avevo paura, col tempo ci avevo fatto l'abitudine. Fingevo però di averne ancora il timore, restavano il mio pretesto preferito, ogni volta che c'era un litigio, una discussione, dei piatti rotti sul pavimento. Mi nascondevo sotto il tavolo, sempre, così come si fa con i terremoti.

Chiudevo gli occhi e mi raccontavo d'aver sentito una scossa. E lo feci anche alle elementari, quando vidi un tizio dell'ultimo anno picchiare uno del primo.
Will scrollò la sua testa di riccioli biondi e poi mi chiese "Perché ti nascondi lì sotto? Mica sta picchiando te."

Ma io mi sentivo più al sicuro sotto al tavolo. Così chiesi a Will di venire lì sotto, con me, e lui lo fece.
Mi dava retta. Sempre. Maledetto Will.

Lo faceva sempre, per ogni cazzata, anche la più insignificante, come quella del nascondersi sotto al tavolo. E io come l'avevo ripagato? Fottendogli la ragazza.

Eppure, so già che se dovessero domandare ai miei amici se ricordano di questi episodi, loro direbbero di no. Non sanno nemmeno della mia paura dei terremoti, o quella di restare solo al buio. Hanno un'idea ben precisa di me, quella di una persona che non ha mai timore di nulla, che affronta tutti a testa alta.

Ho mascherato il tutto in modo impeccabile, ma la verità, è che non sono perfetto.
Jordan mi ha dato il suo patrimonio genetico, mi ha dato le apparenze, nient'altro oltre che spalle larghe e mascella segnata, ma erano stati altri uomini a plasmarmi. E il professor Hood era uno di questi.

Ero nascosto sotto il tavolo quando lo incontrai la prima volta. Dopo aver trascorso tutto il giorno in casa, da solo, mi ritrovai assalito dai morsi della fame, quindi aprii il freezer per cercare qualcosa da mangiare. Con un cucchiaino avevo raschiato il fondo di una vaschetta di gelato scadente, non mi aveva sfamato, ma perlomeno avevo sentito il gusto di qualcosa di dolce.
E quando lei se n'era accorta, era andata su tutte le furie. Non mi picchiava, la sua specialità era ignorarmi, ma quando le girava, ci provava. Non ci riusciva, mai. Ero troppo veloce per farmi prendere da lei che si muoveva come uno zombie sotto l'effetto dei farmaci. Solo che, per sfuggirle, quel giorno battei la schiena contro la gamba d'acciaio del tavolo. Il dolore fu insopportabile. Piangevo disperato. E lei non s'intenerì e non mosse un dito per aiutarmi.

«Vedi, così impari la prossima volta.»

Fu a quel punto che udii quella voce.

«Cosa succede qui?» chiese lui presentandosi in casa nostra.

Era un uomo d'istinto. Il suo aspetto fisico curato combaciava con quello di sua moglie, ma strideva con la figura arruffata e sfatta di mia madre.
Cosa ci faceva con lei?

"Forse non gli importa che lei sia ridotta così, forse vuole aiutarla" mi dicevo, conscio del fatto che i due si conoscevano sin dai tempi del liceo.
Il suo primo amore.
Lui lo sapeva, che quello era solo il fantasma della donna di cui si era innamorato quando era adolescente. La stessa che non aveva mai avuto il coraggio di sposare, di prendere sul serio.

Love Me, Love MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora