Capitolo 8

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Il lunedì dopo la mia giornata lavorativa trascorse in modo piatto e tranquillo come se la conversazione con la mia migliore amica non avesse mai avuto luogo, ma dentro di me sapevo che qualcosa era cambiato e stavo solo aspettando il momento in cui avrei rivisto James per capire quanto in fondo sarei riuscito ad andare in questa situazione.
Erano le 5 del pomeriggio quando chiusi il computer, mi misi la giacca e uscì dal mio ufficio con l'intento di tornare a casa per riposarmi, rassegnato all'idea che ormai oggi non avrei rivisto James e non so neanche se lui avesse voluto rivedermi, dopo che mi aveva visto andarmene con Daniel. Dio che situazione, mi sta scoppiando la testa!
-Ryan-mi chiama una voce che immediatamente riconosco, mentre il suo proprietario corre trafelato verso di me.
-Dylan-lo saluto-perché corri?-
-oggi a pranzo mi sono dimenticato di dirti che abbiamo organizzato una partitina tra colleghi e tu sei invitato-mi comunica, mentre cerca di riprendersi dalla corsa.
-partitina di cosa? E dove? Ma soprattutto chi ci sarà?-
-di basket, sai giocare vero? In caso non fosse così, comunque è una partita amichevole, ti possiamo insegnare noi a giocare.
E per i partecipanti non so bene chi ci sia, ma solitamente non invitiamo troppe persone, perché sennò sarebbe un casino giocare. Dovrebbero esserci altri colleghi del 25esimo piano, vedrai che molte facce non ti saranno nuove. Allora sei dei nostri?-
Questo vuol dire che non ci sarà quasi sicuramente James, perché figurati se il capo avrebbe tempo per fare un'uscita tra colleghi con tutte le cose che avrà da fare e con tutte le persone che lavorano qua dentro poi. Penso di poter stare tranquillo, dovrò affrontarlo prima o poi, ma non sarà di certo questo il giorno.
-certo che ci sarò e non ti preoccupare per il basket, ti potrei stupire-gli faccio l'occhiolino-allora mi lasci l'indirizzo?-
-te lo mando per messaggio, ci vediamo alle 21-
-a dopo-

Dopo aver preso la metro, seguo le indicazioni datemi da Dylan per messaggio e mi ritrovo davanti a un edificio che dovrebbe corrispondere ad un palazzetto dello sport.
Guardo l'ora sul display che indica le 21 e mi affretto ad entrare quando comincio a rabbrividire per il freddo. Si sta alzando il vento e cielo si sta annuvolando, ho paura che tra poco verrà giù un bell'acquazzone e non vorrei essere ancora qua fuori quando questo succederà.
-Ryan eccoti-mi saluta Dylan, non appena mi vede entrare.
Noto che è seduto in una panchina intento a parlare con altre 6 persone che non conosco e che lui provvede immediatamente a presentarmi.
-ci siamo tutti? Possiamo iniziare? - gli chiedo dopo che ci siamo tutti cambiati nello spogliatoio, rimanendo in pantaloncini e maglietta.
-in realtà mancano altre due persone, oh eccoli che arrivano-esclama un uomo sulla trentina, moro che mi aveva detto di chiamarsi Logan.
Seguo il suo sguardo e la mia bocca si spalanca quando scopro che gli ultimi due arrivati non sono niente meno che James e Mark che camminano con nonchalance verso di noi già muniti di vestiti sportivi.
James è mozzafiato con i pantaloncini e la canottiera che fanno intravedere tutto il suo fisico muscoloso e io non posso fare altro che distogliere lo sguardo per impedirmi di guardarlo ancora con aria imbambolata, per non fare capire agli altri l'effetto che mi stava facendo.
-che ci fa il capo qui?-gli bisbiglio a Dylan nell'orecchio.
Lui fa spallucce-non chiedere a me, ne sapevo quanto te-
-hei ragazzi, scusate il ritardo, ma ci ho messo un po a convincere questo brontolone a venire-ride contagiando i miei colleghi, tranne me che vengo invaso da una stretta allo stomaco a cui non saprei dare un nome.
James si accorge di me e mi accenna un saluto frettoloso senza dire altro e io faccio lo stesso.
Come ho potuto pensare che potesse provare qualcosa di sincero per me, quando è così ovvio che lui e Mark siano inseparabili?
-iniziamo?-chiedo io, impaziente di poter scaricare la tensione e di poter riprendere la palla in mano dopo tutti questi anni.
Ci dividiamo in due squadre: io mi ritrovo con Dylan e Logan, mentre Mark e James giocano nella squadra avversaria. Non potrei chiedere di meglio.
Non appena la partita ha inizio, il mio corpo si muove da solo, spinto dall'adrenalina e dall'emozione di poter giocare di nuovo e in pochi minuti mi approprio della palla e palleggiando riesco a fare un canestro da metà campo.
Allo shock iniziale dei miei colleghi, seguono fischi di approvazione.
-e bravo Ryan! E io che pensavo non sapessi giocare, invece ci hai fregato tutti! - mi da una pacca sulla spalla Dylan.
-e la partita è appena cominciata-
-non ti conviene cantare vittoria così in fretta-tuona la voce di James, lanciandomi uno sguardo di sfida.
Vuoi la guerra? E che guerra sia.
Io e James non lasciamo neanche passare un minuto che già ci stiamo contendendo la palla.
Lui se ne appropria, io cerco di prendergliela dalle mani, ma lui riesce comunque a fare canestro.
E da quel momento inizia una sfida senza esclusione di colpi tra me e lui, dove molte volte passiamo la palla anche agli altri, ma alla fine restiamo noi le vere star della serata.
Cominciamo a rincorrerci, a cercare di prendere la palla l'uno all'altro e in quel momento mi sento felice, mi sento di nuovo il Ryan ragazzino che spesso dopo scuola passava le ore ad allenarsi a palleggiare e a fare canestro con il suo ragazzo. In quei momenti mi sentivo così spensierato e così vicino a James, come se un filo invisibile collegasse le nostre menti e le nostre anime, mi sentivo in sintonia con lui e adesso a distanza di così tanto tempo sto riprovando questa sensazione e penso che la stiamo provando anche lui, perché nonostante la sua iniziale freddezza noto che sta iniziando a sorridere e a divertirsi con me come quando eravamo solo due liceali.
La partita si conclude in parità e io mi sento davvero stanco e affaticato, ma allo stesso tempo anche carico di un'enorme energia positiva addosso.
-bella partita-allunga la mano verso la mia James, sorridendomi.
Io gliela stringo, cercando un contatto visivo con lui che mi provoca immediatamente brividi in tutto il corpo-già, vedo che non hai perso la tua stoffa-
-neanche tu-mi fa l'occhiolino, senza accennare di staccare la sua mano dalla mia.
-wow sembravate sincronizzati-esclama un ragazzo di nome George-avete mai giocato prima insieme? -
-eravamo nella stessa squadra di basket alle superiori-gli risponde James, interrompendo il contatto tra le nostre mani, facendomene sentire immediatamente la mancanza.
Mark a quelle parole si gira verso di me, lanciandomi uno sguardo stupito, quasi irritato.
Quale cavolo è il suo problema?
Fortunatamente la partita è finita e andiamo tutti a cambiarci negli spogliatoi, prima che io cominci a dire qualcosa di cui mi potrei seriamente pentire.
Dylan mi fa il terzo grado sulla confessione che aveva appena fatto il capo in palestra e io gli prometto che gli avrei spiegato tutto l'indomani nella pausa pranzo insieme a Vanessa. Forse era arrivata l'ora di dirgli la verità sul mio orientamento sessuale e sulla mia precedente relazione con James.
Dopo aver evitato di guardarlo nello spogliatoio, mentre era insieme a Mark, saluto tutti i miei colleghi che piano piano se ne stanno andando e mi dirigo verso l'uscita.
Mi alzo il cappuccio del giubbotto e mi preparo a correre verso la metro, a causa della pioggia che ormai aveva cominciato a scendere da un paio d'ore.
-dove vai?-mi chiede la voce di James, mentre fa capolinea dalla porta insieme al vicedirettore.
-a casa-
-con questa pioggia? Non sei venuto in macchina?-
-sono abituato a prendere la metro, adesso faccio una corsetta e ci arrivo, non è così lontano-
-sali in macchina-mi ordina, mentre Mark si accomoda nel sedile davanti, di una macchina parcheggiata nel cortile che senza dubbio appartiene a James.
-no grazie, non c'e ne bisogno-mi impunto, non volendo andare in macchina con quei due. Non avrei retto!
-ho detto sali in macchina, non fare il bambino,devo cominciare a ricattarti mettendo il lavoro di mezzo? -
Sbuffo irritato e mi arrendo senza fare più storie, sistemandomi nei sedili posteriori della sua auto.
Mark e James cominciano a parlare a bassa voce, mentre io mi appolaio di fronte al vetro, intento ad ascoltare il rumore della pioggia, senza emettere una sola parola.
Fortunatamente quello che abita più vicino e deve scendere per primo è proprio Mark che si limita a rivolgermi un ciao frettoloso che io rispondo con un grugnito. Non lo sopporto, è più forte di me.
-a domani Jam, grazie del passaggio-saluta il guidatore con un sorriso e sfiorandogli un braccio in modo lasciavo, facendomi venire voglia di amputarglielo.
-allora ti vuoi decidere a sederti qui davanti? Non sono mica un taxi-mi riscuote James dai miei pensieri omicidi.
Faccio quello che mi ha chiesto e mi chiudo di nuovo nel mio silenzio, interrotto solo dal momento in cui devo comunicargli dove abito.
-e così bello il finestrino visto che non fai altro che guardarlo? -mi chiede lui con una punta di di ironia nella voce, continuando a guidare.
-mi piace la pioggia-faccio spallucce-ha qualcosa di magico- e mi ricorda anche il giorno in cui ti ho conosciuto penso con rammarico, senza esprimermi ad alta voce.
-anche quel giorno pioveva-mi sorprende lui, facendomi distogliere per la prima volta lo sguardo dall'esterno, portandolo verso il suo viso-e proprio come oggi dovevi tornare da solo a casa, senza ombrello. Certe cose non cambiano mai-
-non sono più così sbadato-mi difendo, ma facendomi sfuggire un sorriso.
-quello no, una volta eri proprio un disastro-
-ah grazie-
-ma ti amavo proprio per quello-mi comunica, facendomi perdere un battito al cuore.
-forse non mi amavi abbastanza-gli rispondo, cercando di combattere contro quel ricordo che per anni mi aveva invaso la mente e i sogni, impedendomi di dormire.
Lui accosta davanti al palazzo in cui abito e rimane in silenzio, interrotto solo dal rumore dalla pioggia che si infrange contro il vetro della macchina.
Si gira finalmente a guardarmi e nei suoi occhi leggo un dolore che non avevo mai visto prima.
-Ryan non è così.. Lo sai che non è così.. Io sono stato un coglione, io.. - si interrompe prendendosi la testa tra le mani.
Lo so che non dovrei, non dopo tutto quello che mi ha fatto, ma mi fa male il cuore a vederlo così.
-ormai non si può tornare indietro, quello che è fatto è fatto-gli rispondo a bassa voce.
-già- mi risponde con la voce affranta.
-posso chiederti una cosa?-gli chiedo non sopportando più il dolore che ci stava consumando in quel momento.
-quello che vuoi-
-cosa è successo dopo.. sai quel momento? Come sei riuscito a diventare direttore della Holding Corporation? Non mi sembra che eravate così ricchi-
-be.. É una lunga storia. La mia famiglia non navigava nell'oro è vero, ma mio nonno sì e quando è morto ci ha lasciato in eredità il suo impero.
I miei genitori erano più interessati ai suoi soldi che al lavoro e così appena li hanno ottenuti si sono separati e sono andati a farsi la bella vita.
Adesso si sono entrambi risposati e mio padre ha avuto pure un figlio da un'altra donna che io non ho mai conosciuto.
Da quel giorno i rapporti tra di noi che già non erano buoni si sono fatti burrascosi e quasi inesistenti e io ho cominciato a dedicare la mia intera esistenza al lavoro e al futuro di questa azienda e be sono contento della mia scelta, spero solo che mio nonno da lassù sia fiero di me-
-lo è sicuramente-lo rassicuro-se l'azienda è diventata ciò che è ora, è solo grazie a te. Hai dato vita a una multinazionale e hai offerto lavoro a migliaia di persone, devi essere più che orgoglioso di quello che hai costruito e per quel che vale mi dispiace davvero per i tuoi genitori, però mi dispiace dirtelo, ma me lo aspettavo-
-lo so-mi lancia uno sguardo malinconico-litigavano sempre per qualsiasi cosa, stavano aspettando solo il momento giusto per divorziare e forse è meglio così: il loro rapporto era nocivo per loro stessi e per e tutti quelli che li circondavano-
-forse è così, ma adesso probabilmente sono più felici, forse non erano destinati a rimanere insieme per tutta la vita-gli sussurro, rivedendo noi due nelle mie stesse parole.
Incastra i suoi occhi nei miei-non ci credo molto nel destino, io credo che se una cosa la vuoi veramente, prima o poi la otterrai, non importa in quale modo-
-non è così facile-ribatto, mentre il suo volto si avvicina al mio.
-perché non può esserlo?-mi accarezza la guancia, senza smettere di guardarmi.
Sento il suo fiato a contatto con il mio e la sua bocca che rappresenta una tentazione troppo forte per resistere, ma non posso farlo: ogni volta che lo guardo mi tornano in mente le immagini di quella maledetta notte, ogni volta che lo guardo rivedo il me stesso ragazzino che piange e si chiude in se stesso perché è troppo ferito dall'amore, ogni volta che lo guardo penso che non potrà mai più essere mio, perché è evidente che ha già qualcun altro nel cuore ed è inutile negarlo: tra di noi non potrà mai funzionare.
E con questa consapevolezza mi allontano da lui, uscendo dalla macchina e facendo vincere per l'ennesima volta le mie paure.

Le cicatrici del passato Where stories live. Discover now