Capitolo 13

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Attraverso il corridoio silenzioso diretto verso l'ufficio di James.
È la prima che ci metto piede e mi sento molto in imbarazzo,visto tutto quello che è successo tra di noi, ma voglio convincerlo a qualunque costo a farmi partecipare al progetto con l'azienda giapponese. Penso di avere tutte le carte in regola per questo lavoro e glielo dimostrerò.
Ancora un po' intimorito, ma con una grande determinazione negli occhi arrivo davanti al suo ufficio e in quel momento il mio telefono comincia a vibrare, segno che qualcuno mi ha appena mandato un messaggio.
Sblocco lo schermo e noto che il mittente è Steven.
-darei oro per aver visto la sua faccia dopo che ha ricevuto i fiori😜- mi scrive.
-sei un demonio😂-gli rispondo, non trattenendo un sorriso.
-e non hai ancora visto niente😜-

Metto in tasca il telefono, decidendo di rispondergli dopo e di varcare finalmente la porta.
Busso e quando la voce autoritaria di James mi urla-avanti-mi faccio forza e spalanco la porta.
Ciò che mi trovo davanti mi lascia senza fiato: l'ufficio di James è immenso, grande almeno 3 volte in più del mio, con ogni genere di comodità tra diversi macchinari, stampanti, un tavolino, 3 computer e addirittura un divano posizionato di fronte a una finestra che rivela un panorama mozzafiato della città, ancora migliore di quello che si intravede dal mio ufficio.
James è impegnato a digitare sulla tastiera del computer, quando alza lo sguardo e incrocia il mio.
-che ci fai qui?- sbotta infastidito, probabilmente per la conversazione di ieri.
-devo parlarti-
-okei ti ascolto-sospira.
-riguardo al nuovo progetto, io vorrei parteciparvi. Ovviamente sono consapevole che ci saranno altri candidati per questo, ma ti prego almeno di prendermi in considerazione-
-e perché dovrei farlo? Hai detto tu che vuoi starmi lontano-mi risponde con aria seria.
-questo non c'entra niente-sbotto infuriato-qui non si parla della nostra vita privata, qui si parla di lavoro.
In questi pochi mesi che lavoro qui, penso di averti dimostrato che prendo seriamente il mio lavoro e che mi faccio in quattro per ottenere sempre il meglio. Questo è un progetto importante e io in quanto nuovo dipendente ritengo che potrei imparare da una collaborazione internazionale, senza contare che sono molto informato sulla cultura Giapponese, cosa che potrà molto esserti utile sia per la cena di lavoro, sia per la creazione della pubblicità.
Quindi non ti sto chiedendo di prendermi per forza, ma di valutarmi equamente come farai con tutti gli alti dipendenti, tenendo conto di quello che ti ho appena detto.
Mi affido al fatto che tu sia una persona seria che sa scindere la vita privata da quella lavorativa-
Lui mi guarda per attimi che mi sembrano interminabili, prima di rispondermi-va bene ti darò l'opportunità di partecipare, solo è unicamente perché riconosco il tuo potenziale e so che potrai sfruttarlo al meglio, ma vedi di non deludermi e di non farmi fare brutta figura.
La cena sarà mercoledì alle 20 da Yakko restaurant, non tardare-
-non lo farò, te lo prometto e grazie-gli sorrido riconoscente di avermi dato questa opportunità, nascondendo per un attimo la rabbia e il dolore che provavo nei sui confronti.
-arrivederci-lo saluto, dirigendomi verso l'uscita-quando lui sorprendentemente prende la parola e mi chiede con una smorfia-niente più fiori oggi?
-no, ci vediamo direttamente dal vivo-sogghigno, sparendo lontano dal suo sguardo che mi stava incenerendo.

Oggi mi fermo a lavoro un'ora in più e esco alle 18 stanco e affamato.
Non faccio neanche il tempo a decidere se chiamare un taxi o a prendere la metro che mi suona il telefono.
-pronto-rispondo.
-dimmi che sei ancora a lavoro-urla la voce di Steven affaticata dall'altra parte del telefono.
-In realtà sono appena uscito, perché? -
-resta lì, sono quasi arrivato-mi annuncia tra un ansito e l'altro.
-d'accordo-
10 minuti dopo arriva ansimante e sudato, probabilmente dopo aver corso da chissà dove.
-hei, mi saluta-riprendendo a respirare regolarmente-ce l'ho fatta-
-ma da dove arrivi?-
-dall'azienda di marketing sulla 45esima strada, lavoro lì-
-così lontano?-gli chiedo allibito-non potevi prendere il pullman? -
-purtroppo mi era appena passato davanti e il prossimo passava tra mezz'ora, non sarei arrivato in tempo-
-tu sei pazzo-gli sorrido.
-devo farmi perdonare no? - alza un sopracciglio-approposito è già uscito quello stronzo di Williams? -
-che io sappia no, perché?-
-perché adesso si va in scena-mi sorride con uno sguardo malefico-toh guarda, quello non è lui?-
Seguo il suo sguardo e intravedo la figura mora di James e quella bionda di Mark che sorridono e chiacchierano, mentre escono dall'edificio.
Una fitta di dolore mi invade il cuore e mi chiedo se mi abituerò mai a tutto questo, se mi abituerò mai alla consapevolezza che lui non potrà mai essere mio, ma che appartiene ad un altro. Forse non sono ancora pronto ad accettarlo.
Pochi secondi dopo quei due si accorgono della nostra presenza e riesco immediatamente a leggere la rabbia negli occhi di James e la soddisfazione in quelli di Mark, quando Steven si avvicina a me e mi stringe tra le sue braccia.
Io di riflesso cerco di allontanarmi, ma lui mi da un lieve pizzicotto, facendomi capire di stare al gioco.
Allora mi rilasso e cingo la vita di Steven, assaporando il buon profumo della sua acqua di colonia.
-se ne sono andati-mi sussurra nell'orecchio, allontanandosi da me-comunque hai proprio dei bei muscoli-mi fa l'occhiolino-tastando il mio fisico da sopra la maglietta.
-guardare, ma non toccare-ribatto-comunque che faccia ha fatto James? -
-fidati avrebbe voluto prendermi a botte e l' avrebbe fatto se il suo fidanzatino non l'avesse preso per un braccio e trascinato di peso. Io però sinceramente non capisco cosa ci trovi in lui, non è bello neanche la metà di te-
-forse avrà qualcosa che io non ho allora-sospiro rumorosamente.
-non pensarle neanche ste cose.
So di cosa hai bisogno tu in questo momento, dai andiamo-mi fa segno di seguirlo verso la metro.
-veramente io vorrei andare a casa a lavarmi-sbuffo.
-dai non fare il vecchietto e poi ti ricordi che devo farmi perdonare no? - mi sorride.
-continuerai a usarla tutte le volte come scusa per farmi uscire con te? - ribatto.
-ovviamente si-mi risponde con un ghigno.
Mezz'ora dopo ci troviamo a Central Park a ordinare degli hot dog e della birra da una bancarella.
-perché proprio a Central Park? - gli chiedo, mentre camminiamo e consumiamo il nostro pasto.
-perché lo adoro, soprattutto la sera si crea un atmosfera così magica e rilassante che ci passerei le ore qui e spesso l'ho già fatto-
-io non ci vengo spesso invece, anche se è da qualche anno che sono ritornato a New York, ma principalmente sono tipo da pub e discoteche-
-fidati che nei parchi puoi comunque divertiti, sopratutto in questo parco,dopo ti farò vedere come. Comunque tu hai frequentato fuori città l'università quindi? Non ti ho più visto a New York-mi risponde, sorseggiando un sorso della sua birra.
-si mi sono iscritto alla facoltà di marketing e economia delle imprese di San Francisco-
-lo hai fatto per allontanarti da lui?-mi chiede, scrutandomi in volto.
-probabilmente anche per quello, ma in realtà ho sempre desiderato entrare in quell'università, la nostra rottura ha portato solo al rafforzarsi di questa mia scelta-
Continuamo a parlare e scopro tante cose di lui: che ha frequentato anche lui la facoltà di economia ma qui a New York, che vive da solo in un appartamento a Brooklyn, che ha fatto tanti lavoretti in città prima di essere assunto nell'azienda dove lavora attualmente e che è uscito da una storia che non riesce ancora a dimenticare, la stessa di cui mi aveva accennato la scorsa volta.
Arriviamo in una parte del parco in cui ci sono molti giovani che suonano e bevono birra attorno ad un falò.
Stevan sembra che li conosca, perché gli fa un cenno di saluto e gli chiede se posiamo sederci su uno dei loro asciugamani.
Un ragazzo con i capelli lunghi legati in una coda e gli occhi castani, dilatati e rossissimi gli risponde-certo amico-
Ed è così che ci troviamo sdraiati con altre persone sconosciute che suonano musica rock-metal e che cominciano a fumare marijuana attorno a noi.
-che stai facendo?-chiedo a Steven che si fa passare una canna da uno dei ragazzi.
-ho bisogno di fumare per poter continuare il discorso su Max-mi risponde, riferendosi al ragazzo con cui si era lasciato-ne vuoi un po'? - mi chiede, offrendomela.
Lo guardo titubante, prima di rispondere-perché no? -
Anche se non sono un patito dell'erba qualche tiro, non farà male a nessuno no?
Dopo esserci passati 2 o 3 canne, cominciamo a ridere e a parlare di discorsi senza senso con gli altri ragazzi.
-se lui fosse qui mi ucciderebbe-comincia a ridere Steven sdraiato, appoggiandosi alla mia spalla-lui odiava quando ritornavo a casa fatto o ubriaco, diceva che mi facevo del male e che poi diventavo intrattabile-
-perché vi siete lasciati?-trovo la forza di chiedergli.
-perché ero un fidanzato orribile: trattavo tutti male, i suoi amici, i suoi genitori e persino lui, ritornavo sempre a casa di mattina inoltrata dopo aver bevuto e fumato tutte le notti e lui dopo un po'non ha più retto. Una mattina dopo 3 mesi che convivevamo insieme, ho ritrovato l'appartamento vuoto senza più le sue cose. Sen'era andato e mi aveva lasciato da solo-comincia a ridacchiare amaramente.
Cerco di mettere a fuoco il suo viso e di guardarlo negli occhi-perché ti sei comportato così?-
-perché mi sentivo solo e non amato da nessuno, a causa del comportamento dei miei genitori che mi hanno sempre trattato come se non esistessi e non mi ero reso conto che qualcuno che mi amava invece esisteva ed era al mio fianco, ma io non sono riuscito a prendermene cura e l'ho perso, ho perso l'unica cosa bella che avevo-una lacrima scende dalla sua guancia.
Mi accoccolo più vicino a lui e gli accarezzo una ciocca dei suoi capelli biondi-adesso non sei più solo, ci sono io con te-
-ma dopo tutto quello che ti ho fatto? -
-hai tanto da farti perdonare ancora, ma noi due siamo sulla stessa barca, due emeriti disastri in amore-sospiro, cominciando a sorridere amaramente.
-quanto hai ragione-afferma, mettendomi un braccio lungo la spalla e osservando insieme a me il cielo riempirsi di stelle lontane e luminose.

Le cicatrici del passato Where stories live. Discover now