7. They don't care 'bout stray dogs and cats (3)

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Arco I: Evolution

Capitolo 7: They don't care 'bout stray dogs and cats (3)

Non era raro in realtà che i suoi clienti si presentassero, anche se difficilmente si lasciavano scappare anche il cognome; conosceva solo quello di Carmen Ramirez, Shaun Morris e un altro paio di donne che aveva visto solo una volta. Degli uomini no, loro erano molto più riservati, ostili e lo guardavano o con lo schifo di chi non accetta di provare desiderio carnale verso lo stesso sesso, oppure con il desiderio di chi lo ha accettato troppo bene.

Per tornare alla faccenda del cognome, quello di Alicia Reed non lo avrebbe dimenticato facilmente, e per un motivo piuttosto stupido a dirla tutta: il protagonista di un libro che aveva letto e amato da bambino portava lo stesso cognome. Alicia Reed, in realtà, aveva ben poco in comune però con il temerario archeologo Robert Reed, che era stato un po' un mito agli occhi di Hound: Alicia era silenziosa, persino quando la situazione non lo richiedeva, era pacata, molto seria, ed aveva degli occhi tendenti all'azzurro davvero bellissimi, ma apatici.

Hound non era certo uno psicologo, ma non gli serviva una laurea per capire che quella donna non era lì per semplice fame di sesso, come erano invece un po' tutti quelli che lo andavano a cercare.

Doveva avere una motivazione più grave, lo aveva capito dal suo imbarazzo esagerato, dalla sua pudicizia, tipica di chi si è mostrato nudo davanti ad altri poche volte. Inoltre, capitava spesso che i suoi clienti chiamassero il nome di qualcuno al raggiungimento dell'orgasmo; per ovvi motivi nessuno aveva mai chiamato il suo: lei era stata la prima.

La cosa doveva essere grave. E un po' patetica.

"Quale idiota direbbe il nome di una puttana! Ma tu guarda che razza di... mah!" Hound scacciò quei pensieri dalla testa e rilassò i muscoli delle braccia.

I soldi giacevano sulla scrivania di fronte al letto, se li era guadagnati bene, ma per la prima volta li avrebbe ridati indietro: in cambio avrebbe voluto sapere tutto di quella strana donna.

Per la prima volta era veramente interessato alle motivazioni di un suo cliente.

Il ticchettare ritmico dell'orologio era l'unico suono udibile, assieme a quello, molto più basso, dei loro respiri.

La donna giaceva su un lato, sotto il lenzuolo stropicciato e bagnato di sudore che le avvolgeva il corpo sinuoso; i lunghi capelli corvini disfatti erano sparsi e formavano quasi una criniera, alcuni addirittura raggiungevano il bruno, seduto al suo fianco e con lo sguardo fisso sul suo profilo, immobile.

Da quanto tempo erano fermi così? Il ragazzo cercò di cogliere con lo sguardo la posizione delle lancette sull'altra parete, ma il fitto buio glielo impedì. I pochi raggi di luce che entravano dalle persiane si proiettavano sul soffitto, a volte muovendosi rapidi quando all'esterno qualcosa li offuscava.

Indubbiamente era molto tardi, era passata un'ora abbondante da quando aveva terminato il servizio, ma Alicia non aveva più accennato a muoversi e il ragazzo cominciava a dubitare che lo avrebbe fatto molto presto.

"Non posso restare qui tutta la notte..."

Con questa giustificazione infine emise un sospiro e volse il capo, ma quando si mosse per scendere dal letto, una mano lo afferrò saldamente per il polso e lo tirò senza pietà giù, sopra il materasso intriso di calore.

«Hey!» si lamentò lui «Bastava chiederlo con gentilezza!»

«Resteresti qui, per favore?»

Alicia, il cui volto era a pochi centimetri da quello del ragazzo, aprì piano gli occhi, intravedendo quelli dell'altro nell'oscurità. Nonostante Hound non riuscisse a vederla bene, dal tono della sua voce comprese che era stranamente abbattuta.

Se c'era una cosa che lui non sapeva fare era ascoltare; non era mai stato l'immancabile amico a cui si può confidare tutto e magari ricevere anche un consiglio: osservava da lontano, in silenzio, e se qualcuno a cui teneva si trovava nei guai agiva di propria iniziativa, a volte aveva anche avuto successo.

Tuttavia, quella sottospecie di lavoro osceno lo aveva spesso costretto nella posizione di ascoltatore, confidente, compagno di una sola notte a cui rivelare i propri segreti più intimi.

E così aveva imparato ad ascoltare gli altri, il più delle volte anche giudicando, ma imparando sempre più sfaccettature della dura e cruda realtà che era il mondo degli adulti. Aveva diciannove anni, ma nella sua testa vi erano i ricordi di diverse vite non sue, con tutti i loro insegnamenti e le loro morali.

Si sentiva estremamente confuso da tutto ciò, ma capì che quella notte non avrebbe avuto altra scelta che diventare ancora una volta strumento di sfogo morale oltre che fisico, e con il lenzuolo che gli strusciava sul corpo dolcemente si sdraiò lento accanto ad Alicia, faccia a faccia.

«Perché sei qui?» le chiese, diretto.

La domanda parve spiazzarla, un interdetto silenzio seguì per parecchi secondi prima che la donna parlasse «... Cosa?»

Indugiava, cosa che Hound aveva imparato sin da piccolo a non fare: indugiare implicava essere insicuri, quindi a mostrare una pericolosissima debolezza. Un uomo perfetto come lui, come doveva essere Vincent Black, non doveva conoscere il significato di quella parola.

«So riconoscere qualcuno che non è in cerca di sesso.»

Dopo quest'affermazione ci fu un'altra prolungata pausa, la diffidenza di Alicia dagli occhi non gentili era quasi palpabile.

Allora decise di fare un ultimo tentativo «Non devi mica parlarne con me se non vuoi. Dopotutto non ci conosciamo, ma se non intendi farlo almeno lasciami andar via.»

Doveva aver toccato il tasto necessario a svegliarla, la donna ribatté fieramente «Neanche tu hai la faccia di uno che ama il suo mestiere.»

Il ragazzo incassò il colpo e senza preamboli affermò «A me non piace questo lavoro.»

«E allora perché lo fai?»

Curiosità legittima, Hound sospirò; era come dire ad un bambino che le sue caramelle erano già state mangiate senza aspettarsi lamentele.

Tuttavia, stavolta nemmeno lui era sicuro della risposta, o meglio la conosceva ma la reputava troppo astrusa per essere credibile. Non si trattava dei motivi più comuni a cui probabilmente Alicia stava pensando – debiti, povertà, necessità -, ma qualcosa di molto più imbarazzante: un'esigenza da sfogare che lui stesso non credeva possibile.

Una fame di sesso che sembrava accomunare tutti i clienti e i prostituti del Naughty Sunday, neanche ci fosse qualche strana sostanza nei cocktail; Hound, che non sapeva quasi niente di ambienti simili, si ostinava a credere che fosse una cosa normale all'interno dei giri di prostituzione.

Tutto questo lo spaventava un po', anche se non lo avrebbe ammesso davanti a nessuno, neanche davanti ad una cliente che probabilmente non avrebbe mai più rivisto in vita sua.

Alicia sospirò delusa, ma sotto le coperte allungò una gamba – forse per sgranchirla – ed urtò per errore una del ragazzo.

«Come potrei mai dire a uno sconosciuto ciò che penso?»

«Molti lo fanno proprio perché sono solo Hound, uno sconosciuto che non rivedranno mai più.»

Sì, era una buona argomentazione, che strappò un sorriso malinconico alla donna; a inizio serata si era imposta di pensare a Hound come a un semplice strumento, ma non era affatto facile. Lo aveva capito osservandolo con cura fino a quel momento, mentre si spogliava con un pizzico di vergogna, mentre si abbassava su di lei meccanicamente, mentre, dopo averla soddisfatta, si era quasi rannicchiato in posa fetale, ma si era corretto subito dopo.

Quel ragazzo era una persona che provava, con risultati mediocri a dirla tutta, a nascondere le proprie emozioni e mostrarsi più forte di quel che era; dopotutto era ancora un ragazzino di... non riusciva ancora a dargli un'età.

Chinò lentamente il capo, e nell'oscurità riuscì per un attimo ad incrociare lo sguardo con quegli occhi gialli tristi e assorti.

«D'accordo. Forse tu puoi rispondermi.» si arrese infine, avvicinandosi a lui ancora un po', con la voce bassa, e chiese «Perché le persone tradiscono?»


Twisted MindWhere stories live. Discover now