23. Those who are left behind... (4)

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Arc III: Redemption

Capitolo 23: Those who are left behind... (4)

«Vincent!»

Vincent sollevò la testa in tempo per ricevere uno schiaffo sulla guancia. Non fu molto forte, ma abbastanza marcato da farlo sobbalzare.

«Di nuovo?!» brontolò tastandosi la guancia colpita, cominciava davvero a stancarsi di essere preso a schiaffi «Che ti ho fatto?»

La mano della ragazza era ancora tesa in aria e stonava con l'espressione dispiaciuta e colpevole che aveva sul volto «Scusa! Ma stai saltando a conclusioni affrettate! I medici hanno detto che non è in pericolo di vita, quindi non darlo per morto! E poi questo comportamento non è da te: ti stai lasciando prendere dalla paura. Dobbiamo mantenere la mente lucida, ricordi?»

Quelle poche parole furono come una doccia fredda, una brezza gelida che risveglia da un sonno intontito. Vincent finalmente lo realizzò: aveva perfettamente ragione lei.

Thomas non era morto e non era in pericolo di vita, non doveva pensare per ora al peggior scenario o si sarebbe buttato giù in maniera forse irreversibile.

La quarantena, l'oppressione militare, la fretta e la paura lo stavano soggiogando e mettendo con le spalle al muro: si stava lasciando condizionare.

Comandò alla sua mente di muoversi lentamente, seguendo pochi, essenziali comandi: siediti. E si sedette. Respira. E respirò profondamente. Ragiona. Quella era la parte più difficile.

Marika ebbe il buon senso di non interromperlo durante tutto questo, ma lo seguì a ruota sulla sedia accanto a quella di lui e lo fissò con attenzione, come avrebbe fatto con un paziente del reparto psichiatria; molte volte si era chiesta se Vincent soffrisse del disturbo borderline, quella linea sottile che se superata portava alle conseguenze più imprevedibili.

Nel frattempo, lui si era lasciato sprofondare nei suoi ragionamenti: da quanto tempo non prendeva la HR24? Stavano diventando una dipendenza, ecco un altro motivo del suo assurdo nervosismo, non si sarebbe stupito se fossero di lì a poco partite anche le allucinazioni.

Non poteva permettersi di cedere all'isteria, tornato a casa avrebbe per prima cosa assunto il farmaco: ormai era chiaro che qualunque infetto andato fuori controllo veniva prelevato dall'FBI e portato chissà dove. Meglio dipendente da droghe che incarcerato chissà dove.

Questo riuscì a calmare il battito concitato del suo cuore, almeno per il momento.

Sollevò la testa, rimanendo ad osservare la porta chiusa da ore «Non ho ancora avvertito mia madre.»

La bruna gli mise una mano sulla spalla «L'hai sentita dall'inizio della quarantena?»

Vincent annuì «Sì, era molto preoccupata. Tu hai sentito tuo padre?»

«Molte volte. Si rimprovera di non essere tornato prima, ma ne sono felice. Vivere da sola non è il massimo, ma non lo vorrei in mezzo a questo inferno.» la voce di Marika si affievolì.

Giusto, lei normalmente viveva al campus, ma adesso niente era più come prima e gli studenti erano tornati a casa, al sicuro, dunque anche lei non doveva aver avuto molta scelta. Un tempo, quando era bambina e Jack Starson si assentava per lunghi periodi, era il nonno paterno Dominic a prendersi cura di lei, che però abitava non lontano dal confine col Nuovo Messico e quindi era impossibilitato a entrare.

Allora gli venne un'idea strana, che però espresse senza remore «Vieni a stare da me.»

«Stai scherzando?» per un attimo Marika si sentì espressamente presa in giro, ma era chiaro che Vincent non scherzava affatto: era serio, più che serio.

«Papà sarà bloccato qui per chissà quanto tempo e io e Jonathan faremo avanti e indietro da casa. C'è spazio, puoi stare al terzo piano, se non vuoi essere disturbata. Non mi piace saperti sola, è troppo pericoloso...»

Era un ragionamento logico, pensò l'universitaria; stare a casa di un amico le avrebbe permesso di dormire sonni tranquilli e forse addirittura rilassarsi, ma se quell'amico era Vincent Black...

I suoi pensieri furono interrotti dall'aprirsi della porta davanti a loro. Un dottore di mezz'età dall'aria affaticata e stanca uscì, rilasciando un gran sospiro, ma venne quasi travolto da Vincent, che gli si scagliò contro con uno slancio degno di un disperato.

«Come sta mio padre?» domandò in fretta e furia il ragazzo, trepidando.

Marika si precipitò accanto all'amico, mentre il medico spiegava «Le sue condizioni ora sono stabili. Il braccio, la spalla e il lato sinistro del volto sono le parti che hanno riportato ustioni più serie, il resto guarirà velocemente.»

«Che cosa significa 'il resto guarirà velocemente'? Mi sta dicendo che il lato sinistro è grave?» il sollievo di Vincent durò poco, la paura si impossessò velocemente di lui, ma stavolta neanche Marika poté fare niente.

«La maggior parte delle ustioni sono di primo grado, guariranno in massimo quindici giorni. Purtroppo per le altre necessitano di un trattamento che va alle tre alle otto settimane, ma il viso rimarrà sfigurato.» il disagio dello specialista aumentò, i suoi occhi si riempirono di qualcosa di strano... pietà?

Significava che il volto di Thomas era da un lato irriconoscibile? Come quelli che avevano visto nei film innumerevoli volte? Un Thomas Black senza metà del suo elegante volto, Vincent faticava a figurarselo, ma avrebbero tutti imparato a conviverci, a curarlo, a non farglielo pesare: andare avanti senza suo padre sarebbe stato un incubo improponibile.

Era vivo. Era vivo, si sarebbe rimesso.

Quando però sembrò essere sul punto di calmarsi e riprendere il controllo di se stesso, il dottore parlò ancora, stavolta prima prese fiato «Il vero problema è che ha riportato lesioni celebrali di entità moderata, e questo ha condotto al coma.»

Coma.

Vincent si sentì barcollare, ma la sua mente non comprese se si era trattato di un'impressione o aveva veramente perso l'equilibrio, seppe solo che una lunga, interminabile e asfissiante fitta gli strinse il petto, il fiato gli si mozzò in gola e si ritrovò a stringere come un pazzo il camice dell'uomo tra le mani, urlando senza ritegno «Che cosa significa questo?!»

Egli però non aveva una risposta a una domanda così inutile e tacque, con un lampo di dolore negli occhi, come ricordando qualcosa nella sua esperienza che rendeva dolorosa la vista di quel ragazzo disperato.

Vincent però non accettò il silenzio, non era quello che voleva, così lo strattonò mentre abbassava la testa, continuando a gridare «Dica qualcosa!»

«Vincent, calmati!»

La mano di Marika gli sfiorò la spalla, ma lui se la scrollò di dosso malamente, gli occhi gialli e inferociti puntati contro quelli nocciola del dottore; quest'ultimo gli prese con delicatezza le dita e le allontanò da sé, senza che il giovane opponesse la minima resistenza «Abbiamo fatto tutto quel che era in nostro potere. Il resto non dipende da noi.»

A quel che accadde dopo Vincent non prestò attenzione. Qualcuno lo fece sedere di nuovo e lo abbracciò, cercò di confortarlo, ma la sua mente era troppo lontana e il suo sguardo vagava spesso in direzione della sala operatoria.

C'era la possibilità che suo padre non si svegliasse più, proprio ora che si erano finalmente chiariti e avvicinati.

Aveva perso un'altra persona che amava e che aveva deciso di proteggere. E adesso non aveva la forza neanche per piangere.     

Twisted MindWhere stories live. Discover now