8. Phoenix's little secret (2)

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Arco I: Evolution

Capitolo 8: Phoenix's little secret (2)

Quando giunsero finalmente a destinazione si trovarono davanti ad una folla più folta di quanto si aspettassero.

Grazie alla moto ebbero la fortuna di trovare un parcheggio senza far il giro dell'isolato più di due volte: un piccolo spazio tra una volkswagen blu elettrico ed un hammer nero. In mezzo a quei due mastodonti, Vincent ebbe per un attimo paura di rimanere schiacciato; sul suo volto si disegnò un'espressione poco convinta, ma scelse di non tentare ancora la fortuna e lasciare lì la sua cara ninja: un'ora, massimo un'ora e mezza e se ne sarebbero andati.

Che diavolo poteva mai accadere in un'ora?

Smontò dalla sella con un sospiro, imponendosi il suo abituale menefreghismo.

«Wow!» sentì esclamare Marika alle sue spalle «È un mostro questa... cabrio?»

Vincent sentì davvero il mondo crollargli addosso! Si voltò, squadrandola con uno sguardo carico di rimprovero «Come cazzo hai fatto ad arrivare alla facoltà di medicina, con una delle medie più alte del corso e non sapere la differenza tra un elefante e una formica?»

Il paragone sembrò non essere stato pienamente compreso dalla giovane mente allenata a giocare all'allegro chirurgo con gli esseri umani vivi, ma non abbastanza in gamba da distinguere una cabrio da un hammer.

Marika provò a parlare, a replicare, ma il ragazzo scosse il capo con fare rassegnato.

«Lascia perdere, mi ero dimenticato che tu vieni da Secchionandia... andiamo a questa benedetta inaugurazione, prima che mi cadano le braccia!»

E così si avviarono, senza rivolgersi la parola l'un l'altra. Di tanto in tanto Vincent lanciava a Marika qualche occhiata fugace, come a volersi sincerare di non stare esagerando con quel trattamento.

Pensò addirittura di doversi scusare per essere stato troppo brusco, ma poi si ricordò che faceva tutto quello solo per non darle false speranze e per stroncare sul nascere ogni tentativo di riavvicinarsi, quindi si convinse di essere nel giusto e poté tornare a camminare a testa alta, mani in tasca e lo sguardo fisso davanti a sé.

Il luogo era, sì, molto affollato, ma anche molto spazioso, e la gran quantità di persone riunite sembrava non essere poi così eccessiva se comparata al grande spiazzo che si estendeva davanti all'ingresso del museo. Poteva scorgere i più diversi tipi di persone: dalle tipiche famiglie newyorkesi in vacanza, agli studenti armati di carta e penna, pronti a dar sfogo ai loro milioni di miliardi di neuroni pur di ottenere la lode al prossimo esame, dagli studiosi di un certo livello ai semplici curiosi, come lo erano loro due.

I suoi occhi osservavano annoiati alla gente che li circondava, alla ricerca di qualcuno di veramente degno di considerazione, ma, come gli piaceva dire, affogavano nella banalità; in quel momento dalla maestosa porta bianca del museo apparve qualcuno capace di attirare l'attenzione collettiva e zittire il brusio delle chiacchiere. I due ragazzi, indietro com'erano, non riuscirono però a veder niente finché l'uomo non salì su di un piccolo podio, sovrastando la folla.

«Oh, mio Dio, è lui!» sussurrò sottovoce Marika, emozionata come poche volte Vincent l'aveva vista.

Il ragazzo acuì la vista, ma tutto ciò che riuscì a scorgere fu un omino a suo dire insignificante, brutto e vecchio, mal vestito e privo di ogni senso estetico. Allungò la bocca in una smorfia «... Chi è quel mostro?»

La ragazza sbuffò e gli mollò un ceffone sulla nuca a mo' di rimprovero, assieme ad un'occhiata di scherno «Come cazzo hai fatto a leggere Platone senza sapere che quell'uomo è Benjamin Saunders, uno dei più famosi esperti di filosofia, storia e arte greca a livello mondiale?» poi rise «Oh scusa, mi ero dimenticata che non vieni da Secchionandia...»

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