20. Resolution S (1)

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Arco II: rEvolution

Capitolo 20: Resolution S (1)

Shaun Morris odiava le stelle.

Non ricordava bene il momento in cui aveva iniziato a trovarle irritanti, come non ricordava buona parte della sua vita. Quando l'aria appestata dalla vernice fresca del suo nuovo bilocale gli aveva invaso i polmoni con un unico profondo respiro, i ricordi di ciò che era stato fino ad allora andarono a chiudersi nel dimenticatoio, alla voce "argomenti tabù".

Nessuno avrebbe mai saputo la verità; nessuno tranne Ian Newell, l'uomo che lo aveva salvato dalla strada.

Shaun non era stato un bambino fortunato, ma solo una delle mille ombre furtive di neanche un metro e cinquanta che strisciano come vipere per i vicoli di New York, rubando qua e là per assicurarsi un pasto almeno una volta al giorno.

La sua famiglia, composta dai genitori e una sorella che non vedeva da quasi vent'anni, un tempo aveva avuto una casa umida e fredda, nella zona del Queens. Dalla finestra della camera che condivideva con Cynthia, gli capitava talvolta di guardare fuori e chiedersi quanta ipocrisia ci volesse per definire una delle città più belle del mondo proprio New York, quando di notte, nel buio, potevi spesso scorgere barboni e poveri dai guanti sgualciti e gli occhi bianchi di disperazione.

Quel modo di vivere alla giornata, soccombendo ai crampi della fame e soffiando sulle mani fino a non sentire più né le dita né il fiato, Shaun lo conobbe in pochi anni.

Veloci come un treno furono il licenziamento di suo padre e poi lo sfratto, infine la strada.

Il mescolarsi di volti deformati dal gelo invernale, il raggrupparsi intorno ad un fuoco acceso alla bell'e meglio con sconosciuti senza nome, la sporcizia che si intrufolava dappertutto, la puzza orribile e i conati che gli provocava erano d'improvviso realtà; Shaun, da bambino affettuoso e gentile qual era, non aveva potuto far altro che abituarsi e crearsi una nuova etica, secondo la quale non era sbagliato rubare se serviva a far mangiare la sua famiglia.

Durante l'estate vivere era più facile, a volte aveva addirittura il tempo di annoiarsi a Central Park, sdraiato sotto un albero, con l'odore dell'erba nelle narici e le grida dei bambini nelle orecchie. Un paio di volte lo avevano invitato a giocare, almeno finché i genitori non li avevano portati via, rimproverandoli con disappunto e preoccupazione per aver giocato con uno straccione dalle vesti bucate.

Anche sulle sue mani iniziarono ad apparire geloni e cicatrici col passare del tempo, soprattutto quando i guanti di Cynthia vennero rubati e lui le cedette i suoi. Sua sorella aveva perso l'anima assieme alla casa, ogni volta che Shaun la guardava negli occhi si sentiva annegare in un mare di indifferenza ed apatia; Cynthia diceva che vivere come una morta la aiutava a non soffrire.

Forse fu allora che Shaun iniziò ad odiare le stelle, in una delle mille notti nere in cui sollevò i suoi occhi scuri al cielo e le vide, al di là della cappa di gas di scarico e inquinamento della città.

Così belle da mettere ancora più in risalto lo sporco della sua vita. Lo facevano diventare pazzo di rabbia.

Se c'era un Dio, perché non lo aiutava? Perché non faceva niente per consolare i singhiozzi e i pianti segreti di sua madre? Perché non faceva uscire di prigione suo padre?

Che cosa avevano fatto di male per meritarsi quella vita da reietti?

La verità era che, per quanto forte avessero urlato, nessuno li avrebbe mai sentiti, e questi pensieri riuscivano ogni volta a farlo sentire misero.

Per i successivi anni visse alla stregua di un animale ferito: i capelli lunghi, le unghie sempre rotte, le guance magre e scavate.

Infine, quando un giorno si soffermò sul proprio riflesso nella vetrina brillante di un negozio, i suoi occhi si specchiarono nei suoi occhi: erano bianchi di disperazione.

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