19. Side J (1)

161 18 9
                                    

Arco II: rEvolution

Capitolo 19: Side J (1)

La discussione con Giles era servita più del previsto, ammise Jonathan quando fu solo. Lo psicologo aveva un impellente impegno con i colleghi che gli avevano chiesto pareri per le perizie di cui avevano parlato, così dopo aver preso la decisione di incontrarsi di nuovo per la visita alla prigione, Jonathan era rimasto con l'unica compagnia di due tazze vuote e una cameriera dall'aspetto trasandato che correva da un tavolo all'altro, chiedendogli di tanto in tanto se desiderava altro.

Giles aveva pagato il conto per entrambi prima di andare, era un'abitudine che si portavano dietro da quando avevano cominciato a frequentarsi – seppure sporadicamente – senza la presenza delle rispettive piccole pesti.

Ricordava che la prima volta era stata quando - Vincent aveva undici anni ed era a Phoenix per le vacanze estive - i due più giovani avevano chiesto ai fratelli maggiori di sedersi lontani da loro, al McDonald. Giles e Jonathan avevano impiegato un buon quarto d'ora a scherzare su quali argomenti maturi e privati Fanny e Vincent avessero da discutere per addirittura volere della privacy... il resto della serata era stata occupata dalle occhiate di falco di Giles e continui "non ci starà provando con lei?".

In effetti Jonathan non aveva mai fatto caso a come la sua vita fosse estremamente influenzata dalla presenza o assenza di Vincent.

Come aveva detto poco prima allo psicologo, era deluso da suo fratello e da se stesso; aveva creduto davvero di fare la cosa giusta voltando le spalle a Vincent, aveva creduto davvero che fosse il metodo migliore per insegnargli a prendersi le proprie responsabilità, a camminare da solo, a non immischiarsi nelle faccende che non lo riguardavano.

Insomma, crescere un po'.

E invece aveva avuto l'effetto contrario: Jonathan se ne era reso conto ogni giorno, ogni volta che Vincent scappava al suo sguardo, ma aveva perseverato nel suo comportamento, combattuto tra la convinzione di star facendo la cosa giusta e l'urgenza di capire che cosa stava succedendo a suo fratello.

Continuava a ripetersi che lui e Lacey erano la parte lesa in quella storia: Vincent era suo fratello, qualsiasi cosa sarebbe accaduta Jonathan gli avrebbe voluto bene, ma egli aveva commesso un errore difficilmente perdonabile. Anzi, quello era stato solo il primo di una serie di errori: aveva venduto il suo corpo come se fosse stato un oggetto.

E questo Jonathan non glielo avrebbe mai perdonato.

«Signore, desidera altro?»

«Ah... no, grazie. Sto andando via.»

***

Rientrato a casa Black, vuota come sempre, Jonathan si chiuse in camera sua; per l'occasione la porta era simbolicamente chiusa a chiave, segno che non voleva essere disturbato.

Aveva deciso di rimanere un po' da solo per mettere ordine tra le proprie idee e scegliere una linea di comportamento, il tutto a mente fredda, prima che Vincent rincasasse e la loro battaglia campale riprendesse senza esclusione di colpi.

A differenza di quella di quella di suo fratello, la stanza di Jonathan era ampia e spaziosa, soleggiata quasi tutto il giorno, e trasmetteva sicurezza; il letto era ammassato contro il muro color panna, un tempo le tre grandi librerie che occupavano quasi ogni parete erano state ricolme di libri, ma da quando aveva deciso di trasferirsi in una casa propria, aveva man a mano eliminato quanto avrebbe potuto creargli intoppi in vista di un sempre più prossimo trasloco.

In realtà aveva già trovato una carinissima villa, che da qualche mese era incerto se comprare o no: l'unico motivo che lo aveva spinto fin ora a non lasciare casa Black si chiamava Vincent e aveva una faccia da schiaffi.

Adesso ne aveva la conferma: senza di lui suo fratello era davvero senza speranza.

Era bastato poco meno di un anno senza parlare con lui per trasformarlo da ragazzo tutto sommato per bene a volgare prostituta di strada? Anche solo pensare a quella definizione dava il voltastomaco a Jonathan, purtroppo però corrispondeva a verità.

Si lasciò cadere sul letto, dapprima seduto, poi si sdraiò malamente, con una gamba penzoloni e le mani giunte sul petto, una posizione che reputava comoda ma che gli aveva sempre ricordato i morti. Sospirò stanco e chiuse gli occhi: non voleva avere più niente a che fare con il mondo per qualche ora.

Naturalmente, benché le sue preoccupazioni andassero soprattutto a suo fratello, non si era dimenticato del motivo principale per cui Vincent li aveva riuniti qualche sera prima: la lotta a un fantomatico virus H, che sarebbe stato sviluppato nei laboratori nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Dominazione delle menti altrui e altre stronzate simili, che in breve rientravano nella definizione di "la tua ex è l'incarnazione del male".

Un po' troppo fantascientifico, un po' troppo comodo per Vincent.

E poi c'erano le prove che aveva fornito, la testimonianza di quei due clienti, Alicia e Shaun.

Il nome di Shaun Morris Jonathan non lo avrebbe dimenticato, quell'uomo che aveva osato alzare le mani su suo fratello.

Si costrinse ad espirare l'irritazione, per poi spostare il peso del corpo sul lato sinistro e girarsi, appoggiandosi su una spalla.

Il ticchettio dell'orologio era ritmico, instancabile e, come sempre quando la sua mente pretendeva silenzio, irritante. Non voleva ascoltarlo, non voleva ascoltare più il suono caotico del mondo, il rimbombo dei suoi errori, degli errori che aveva involontariamente spinto Vincent a commettere. Non voleva sentirsi un fratello fallito, incapace anche nel momento cruciale di prendere la decisione giusta per redimersi, per aiutare davvero una persona che aveva a cuore.

Non voleva perdere Vincent. Ma non voleva perdere neanche Lacey.

Il destino lo stava invece portando a quella orribile scelta che necessitava di un tradimento.

Chiuse gli occhi, lasciandosi andare ai ricordi e alle riflessioni...

Twisted MindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora