17. Phase F (1)

174 19 6
                                    

Arco II: rEvolution

Capitolo 17: Phase F (1)

La giornata stava volgendo al termine.

Erano le diciannove, ma stranamente la luce del giorno aveva quasi del tutto lasciato spazio all'oscurità. Quello era stato un autunno molto più tetro e grigio rispetto al precedente, si alternavano giornate soleggiate a bruschi acquazzoni tipici del clima desertico, ma le temperature rimanevano stabilmente sui 20°, con un'umidità così elevata da far passare a Fanny la già poca voglia di uscire di casa.

Fanny Morgan aveva sempre condotto una vita da reclusa, come la definiva suo fratello, tra le sicure e protettive mura domestiche, nascosta ora sotto il braccio di loro padre, ora tra le montagne di libri e fumetti, ora avvolta tra le coperte del letto.

Modestamente, Fanny poteva vantare una sfilza di conoscenze, contatti e amicizie fatte sul web, sia con americani che oltreoceano, tanto da essere parecchio ricercata! Durante le sue giornate tutte uguali, passate tra un libro, un videogioco o una chat che si illuminava di un vivace arancione ad ogni nuovo messaggio, il suo carattere, di natura estroverso e amichevole, aveva finito per incupirsi senza che la ragazza se ne rendesse conto: era diventata più sensibile ad ogni frase scritta – che lei si ostinava a pensare pronunciata –, si arrovellava il cervello su ogni parola, ogni significato nascosto, ogni strano comportamento, e aveva finito col perdere di vista se stessa e modellare, crescendo, i propri sentimenti come una struttura di cristallo fragile.

E la sera, quando andava a letto dopo aver dato un'ultima occhiata a chi era online, scoccava uno sguardo all'orologio che segnava l'una o a volte persino le tre, inspirava profondamente e sorrideva, dicendosi che anche quella era stata una giornata proficua.

La luce del sole, che sarebbe dovuta entrare ogni mattina dalle finestre, nella sua stanza aveva il permesso di farsi avanti solo dopo le undici, quando apriva con riluttanza le persiane e guardava fuori, verso quella città pericolosa che l'aveva spinta a diventare una neet*.

E quando la mattina pettinava i suoi odiati capelli albini, Fanny non poteva fare a meno di ricorrere con la mente a tutte le volte in cui...

- Dodici anni prima -

«Giochiamo! Giochiamo a mamma e figli!»

"Il gioco più noioso di sempre..." sbuffò tra sé e sé Fanny.

Era quasi felice che i bambini non la prendessero in considerazione. Quando la pausa pranzo iniziava, i suoi compagni di classe non perdevano troppo tempo a decidere che gioco fare, così spesso si finiva per rincorrersi senza logica nel grande cortile della loro scuola elementare, oppure a fare giochi noiosi e da ragazzine, come appunto mamma e figli.

Lei preferiva giocare ai mecha o ai Pokémon.

Nel suo angolo un po' appartato, all'ombra di uno degli alberi piantati con lo scopo di dare una parvenza di natura incontaminata in piena città, Fanny rimaneva spesso da sola, con in mano un quaderno pieno di disegni fantasiosi e un succo di frutta alla pesca che veniva finito in meno di tre minuti.

Di certo non le faceva piacere essere esclusa da qualsiasi attività di gruppo, ma quelle poche volte in cui le maestre si erano impegnate per convincere gli altri a coinvolgerla era sempre finita male; il copione era immutabile: qualcuno la prendeva in giro per i suoi capelli da vecchia, lei si metteva a piangere e poi arrivava...

«Fanny. Oggi è il turno di Fanny!»

Arrivava Vincent, che intanto le si era avvicinato con passo felpato.

La bambina sollevò lo sguardo su di lui ed inclinò il capo, sorpresa dall'ennesimo, caparbio tentativo del bambino dagli occhi gialli di farla giocare.

In genere, l'ultima parte del copione prevedeva che Vincent facesse a pugni con chi l'aveva fatta piangere.

Quel compagnetto era sempre così silenzioso ma affettuoso, era uno dei pochi che non trovavano nei suoi capelli motivo di burla, uno dei pochi a capire che non si trattava di malattia né vecchiaia precoce, solo di un tratto somatico un po' raro ereditato da mamma. Tra strani ci si capisce.

«Eh? Perché deve giocare anche Fanny?» si lamentò con una smorfia Aisha Butler, loro compagna dai tempi dell'asilo, una bambina paffuta e rossa di lentiggini.

«Perché Fanny è una mamma migliore di te!» la punzecchiò Vincent, sbruffone e con un certo divertimento.

Prima che l'altra potesse iniziare un battibecco, Fanny si affrettò a specificare che non aveva voglia di giocare «Non ne ho voglia. Non mi piace questo gioco.»

Con la lunga sciarpa rossa che lo copriva fino al naso, Vincent rise di nascosto, un po' se lo aspettava, poi si sedette accanto all'amica e si rivolse agli altri compagni.

«Io non gioco, giocate voi.» decise, e la novità non sembrò dispiacere agli altri, alcuni scrollarono le spalle, altri lo ignorarono, altri ancora li lasciarono subito perdere per dedicarsi ai loro giochi.

Qualcuno urlò «Fanny e Vincent fidanzati!» giusto per prenderli in giro, facendo sbuffare ancora una volta l'albina.

«Stupidi! Lo dirò alla mia mamma!» gridò con la sua vocina stridula, mentre Vincent rideva.

Quando rimasero soli, Fanny si sentì molto in colpa: era già accaduto diverse volte che per stare insieme a lei Vincent rifiutasse gli altri, isolandosi a sua volta. Era abituata a stare da sola. Da quando la sua particolarità era classificata come stranezza, indossava spesso berretti o cappellini, una volta aveva anche chiesto a Giles di tingerle i capelli.

«Ah! Hai fatto un nuovo disegno! Fa' vedere!»

Ritrovata la vitalità che mostrava solo quando era in compagnia di persone a cui voleva bene, Vincent allungò il collo per sbirciare il foglio.

Fanny, segretamente felice, iniziò a raccontargli della nuova fantastica avventura di Sailor Moon da lei immortalata.



Note:
#1: "Not (engaged) in Education, Employment or Training", NEET. Una persona che non studia né lavora.

Twisted MindHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin