9. H virus (3)

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Arco I: Evolution

Capitolo 9: H Virus (3)

Lo studio di Giles era uno dei luoghi preferiti di Vincent; lo aveva visitato in realtà solo un paio di volte, ma lo trovava elegante, professionale, perfettamente adatto ad una giovane promessa della psicologia.

Le pareti erano di un chiaro color panna, il pavimento in parquet scuro, il centro della stanza era occupato da un tappeto nero sul quale si trovavano delle poltrone del medesimo colore - su una di quelle Vincent aveva schiacciato un magnifico pisolino, una volta -, dei finestroni alti e in legno bianco lasciavano entrare una gran quantità di luce esterna.

In fondo si trovava la scrivania della segretaria di Giles e a destra la porta che conduceva alla famosa sala del lettino, come la chiamava Fanny.

Era difficile credere che l'uomo con l'orribile adesivo con la papera sulla propria auto avesse in realtà degli ottimi gusti in fatto d'arredamento.

Nonostante l'orario delle visite fosse terminato, Nana Ivanovna Morozova non si era mossa dalla sua postazione, dimostrando ancora una volta tutta la sua competenza; i suoi occhi celesti saettarono su Vincent e lo riconobbero, ma le sottilissime labbra pallide non si arcuarono in nessun sorriso.

Con un cenno del capo lo salutò, accompagnandosi con parole essenziali «Buonasera. Il dottor Morgan la sta aspettando.»

«Ah... grazie... e buonasera.» il ragazzo provò ad apparire più in forma di quanto fosse, ma era sicuro che la segretaria, algida come la Russia in cui era nata, non avrebbe fatto domande.

La superò e raggiunse la porta nera, ricordava di aver scherzato con Fanny anche su quella: era un varco che conduceva nel mondo dell'oscurità.

"Ha ragione quando dice che sparo stronzate" pensò, senza però trovare quel ricordo in qualche modo dolce, piacevole.

Abbassò la maniglia, che scattò con un clack secco, ed entrò nella stanza; questa era meno illuminata della precedente, ricca di librerie stracolme di tomi e pratiche, ed alla scrivania, dopo il letto e il divano di rito, stava seduto Giles in giacca e cravatta, con un paio di occhiali sul naso ed il getto dell'aria condizionata alle sue spalle che gli muoveva i capelli albini.

«Hey.» lo salutò Vincent, quasi in imbarazzo.

Lo psicologo abbandonò di lato dei fascicoli che stava leggendo e gli sorrise in modo rassicurante «Ben arrivato, Vince. Mettiti comodo.»

Il giovane attraversò la stanza, passando davanti al finestrone che gli proiettò addosso la luce della città, ed andò a sedersi su una delle due poltrone, faccia a faccia con l'amico.

«Sei ridotto proprio male, eh?» lo analizzò Giles, un sopracciglio alzato ed l'espressione ora più seria «Dovevi aspettare così tanto per venire qui?»

Vincent abbozzò un sorriso poco convincente, ma quasi subito gli angoli della bocca si inclinarono spontaneamente verso il basso «Non mi piace chiedere aiuto... beh, quel che conta è che sono qui, no?»

«Indubbiamente.» l'approvazione era ben udibile nella voce calma e profonda dello specialista «Sei abbastanza a tuo agio o preferisci che andiamo a casa mia?»

Una proposta davvero gentile, pensò Vincent, colpito da tutta quella premura: Giles era una persona in realtà molto fredda e calcolatrice, ma con lui e Fanny era sempre stato particolarmente protettivo, simile a Jonathan ma più propenso all'ascolto e più paziente.

"Chissà se mi tratta come un paziente o come un amico ora?" si domandò, curioso di conoscere la risposta «Va bene qui. Non voglio che Fanny senta ciò che devo dirti.»

Twisted MindWhere stories live. Discover now