23. Those who are left behind... (3)

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Arc III: Redemption

Capitolo 23: Those who are left behind... (3)

Quella notte e per tutta la mattina successiva piovve senza sosta; piccole e fredde gocce che s'infrangevano contro il vetro delle finestre erano tutto ciò che Vincent aveva osservato, incapace di pensare, su una sedia di plastica della sala d'attesa.

Di Thomas non c'erano ancora notizie: l'ultima volta che aveva parlato con i dottori, gli avevano assicurato che non era in pericolo di vita, almeno per il momento, ma non sapeva in che condizioni versasse, quanto l'esplosione e il fuoco avessero segnato il suo corpo, se il volto che conosceva così bene era ancora lì, uguale a come lo aveva lasciato la mattina precedente. Il viso di suo padre.

E tutto ciò era dilaniante.

***

Marika si catapultò fuori dal taxi dentro l'ospedale alle otto e dieci, trafelata e col fiato corto di chi ha corso: aveva raccolto i capelli in uno chignon frettoloso, che si era già rovinato, il cappotto bianco era aperto e lasciava vedere il maglione blu rovinato dal tempo.

Si informò su dove si trovasse Thomas Black, quindi si affrettò verso la terapia intensiva attraverso la hall semivuota e gelida.

Era quello il suo ambiente di lavoro, ma di certo non era anche quello in cui sperava di incontrare Vincent e Jonathan. Non erano passati che pochi giorni da quando aveva accettato di incontrare Vincent in quel bar, e allora le era sembrato più sicuro di sé rispetto al giorno delle rivelazioni sul virus H.

"Adesso!" pensava "Proprio adesso doveva succedere!"

Trovò Jonathan all'entrata del reparto, fermo alla macchinetta del caffè con lo sguardo perso e in mano una tazzina bianca. Sembrava una statua di sale, troppo stanco persino per accorgersi che la sua bevanda si era raffreddata.

«Jonathan!» lo chiamò, attirando la sua attenzione.

L'uomo sobbalzò, rendendosi conto che era fermo lì da troppo tempo, a specchiarsi sul pavimento pulitissimo «Ah, Marika... grazie di essere venuta.»

La bruna gli si accostò e lo abbracciò come si fa tra amici, volendolo confortare, Jonathan però non fu in grado di ricambiare e per poco non le versò il caffè addosso.

«Come state?» chiese con apprensione lei, soffermandosi a studiare le condizioni dell'uomo: sembrava stare così male, con gli occhi rossi di chi ha pianto e le guance pallide. Chissà che nottata infernale avevano passato i fratelli.

L'altro scrollò le spalle e biascicò «Come dovremmo stare? Non ci hanno ancora detto niente, solo che è instabile ma non in pericolo di vita.»

Che domanda stupida aveva fatto. Marika si morse il labbro, arrabbiata con se stessa. Strascicò il piede destro per terra ed abbassò la testa, tentata di chiedere scusa, ma sarebbe sembrato fuori luogo: Jonathan le aveva telefonato per un motivo, e lei sapeva già qual era.

«Vincent dov'è?» domandò, e all'istante il volto dell'uomo si rabbuiò.

Le fece un cenno col capo, indicando l'angolo a circa tre metri da loro: una svolta a destra l'avrebbe velocemente condotta da Vincent. Marika gli raccomandò di riposarsi e non strafare col caffè, quindi si avviò a passo lesto.

Quando trovò il ragazzo, si sentì invadere il petto da un profondo moto di pena.

Vincent stava seduto su una sedia tra decine, vicina al finestrone da cui si poteva vedere il cortile interno e il temporale che incombeva, era raggomitolato su se stesso, con la testa abbandonata di lato e le spalle curve. Sembrava potersi addormentare da un momento all'altro, impressione rafforzata dalle pesanti occhiaie che gli oscuravano il viso pallido e smunto: era l'ombra del Vincent del bar, esattamente come Marika temeva.

Twisted MindHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin