Capitolo 55

7.4K 186 20
                                    

Emma
Sull'aereo che mi sta portando in Siria, chiudo gli occhi e penso al fatto che forse io stia facendo l'errore più grande della mia vita. Sto pensando che aver preso questa decisione all'ultimo minuto e con i vestiti messi alla rinfusa nel borsone non stia stata un'idea geniale.
Fare domanda qui ed essere accettata come una nuova cadetta, solo per far accapponare la pelle ai miei genitori e mettere a rischio la mia vita...sono una pazza, completamente.
Sono terrorizzata da quello che mi aspetterà, ma sono anche elettrizzata.
Anche se la scelta è stata presa nel giro di due giorni, non rinnego la scelta presa, non rinnego l'aver messo piede su questo aereo ed il non aver visto sul viso dei miei genitori un solo secondo di felicità e di ammirazione nei miei confronti.
Da quando sono nata, la mia vita è sempre stata un "devi dare una buona impressione di te"...essere me stessa è sempre stato un po' vietato. Ridere troppo, non mantenere la schiena dritta, fissare la gente, fare qualche battuta...erano e sono cose che per me sono sempre state mie nemiche.
La vita agiata che i miei mi hanno consentito di avere, non mi è poi servito a molto se in venti anni non ho nemmeno potuto avere un'amica.
Un'amicizia non costa nulla, non ti serve il denaro per avere qualcuno con cui sfogarti o avere semplicemente qualcuno da chiamare a tarda notte per qualcosa di serio o per una cavolata...eppure non mi è stato permesso. Avere amici, per loro, è un po' come avere delle distrazioni, un po' come far in modo che persone estranee scoprano qualcosa di te e poi te lo rigirano contro. Mi hanno tenuta in una gabbia di vetro per tutti questi anni: la scuola privata, gente con cravatta ed uniformi, gente con la puzza sotto al naso e gente che non ti rivolgeva la parola se il tuo conto in banca non superava i cento mila dollari.
Tutto un mondo che ho odiato e che continuo ancora ad odiare.
Alle feste scolastiche non mi era permesso andare, e non ci tenevo nemmeno io a dir la verità.
Andare in un posto dove non mi sentivo me stessa e dove mi sentivo come un uccellino a cui veniva impedito di volare.
Mi hanno sempre tappato le ali.
Ed io, beh...me le sono lasciate tappare.

Le ruote dell'aereo toccano finalmente terra ed io non me ne sarei accorta se non fosse per un uomo in divisa mimetica che cammina verso di noi e si ferma al centro del corridoio e ci ispeziona con lo sguardo.
<Ci sarà da lavorare>, lo sento sussurrare quando il portellone si apre e lui si dirige proprio verso esso.
Slaccio la cintura e mi alzo prendendo al mio fianco il borsone pesante che carico in spalla e guardando altri ragazzi che come me hanno preso una scelta di vita.
C'è chi ha uno strano sorriso sul volto, chi ha il terrore negli occhi e chi, come me, non sa esattamente a cosa va incontro.
Un po' come camminare alla cieca.
Uno ad uno, in fila indiana scendiamo gli scalini e quando poso un piede al suolo si alza una piccola nuvoletta di terra.
Il paesaggio è completamente deserto, alberi folti e verdi davanti a noi e il deserto dietro.
Sembrano due mondi completamente opposti, eppure fanno parte della stessa zona.
Ingoio un po' di paura e sento le gambe tremare, l'ansia che si impossessa di me e lo sguardo che saetta in ogni parte.
<Stai bene?>.
La voce bassa e cauta proviene dalla mia sinistra.
Una ragazza poco più bassa di me, con i capelli biondi e gli occhi scuri mi fissa con un piccolo sorriso.
Piego un po' la testa di lato e corrugo le sopracciglia confusa, avendo timore che lei mi abbia scambiato per una qualche sua amica o per qualcuno che conosce.
<Non parli la mia lingua?>, chiede ancora portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio e mostrandomi un triangolo di nei sopra la guancia.
<Oh...certo...si insomma, ti capisco>, mormoro imbarazzata pensando alla figura di imbecille che ho appena fatto.
<Sembri spaventata a morte>, constata guardando poi davanti a sé ed io seguo i suoi occhi quando sento alcuni passi coordinati e pesanti che si posano sulla terra.
<Lo sono, infatti>, dico chiudendo le mani a pugno lungo i fianchi.
<Io sono Marine>, afferma lanciandomi un piccolo sguardo con un sorriso sincero mostrandomi i denti bianchi e perfetti.
<Emma>, rispondo soltanto con un'espressione che non saprei decifrare nemmeno io se mi fossi vista da fuori.
Non sono pratica nel cominciare anche un semplice rapporto, non so come si fa, cosa dire e come comportarmi.
Non so nemmeno chi sono io, come faccio a farlo capire agli altri.
Di me conosco solo le lacrime ed i singhiozzi nella mia camera da letto, nei pomeriggi passati in solitudine con un libro in mano o con le cuffie a bombardarmi le orecchie di musica.
Non so altro.

Un pezzo di noiWhere stories live. Discover now