Capitolo 57

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Emma
A volte mi sembra come di vivere una vita che non è la mia, come se la mia anima fosse davvero la mia, ma non questo corpo...non questo momento, non quello che i miei occhi vedono. Mi sento come la protagonista di uno di quei libri che spesso mi sono trovata a leggere, dove la ragazza scopre di provenire da un'altra galassia, da un altro universo completamente. Mi sembra di essere un pesciolino in un mare di squali, pronti a fare di me brandelli di pelle e di ossa.
Probabilmente se dovesse succedere, non mancherei a nessuno...penso nemmeno ai miei genitori che mi hanno considerata sempre come un danno nella loro vita, mi hanno sempre parlato con quella sufficienza e con quella arroganza che non dovrebbe esistere verso una figlia. I loro occhi sempre freddi sulla mia figura, le loro parole sempre distaccate e mai di conforto, pronti a buttarmi giù in qualsiasi cosa io volessi dare il mio meglio. Con le loro parole mi hanno costretta ad abbandonare la danza dopo avermi visto sbagliare una giravolta ed un salto finito male; mi hanno portata al punto di smettere di cercare passioni, di cercare un po' di divertimento e di svago che compensasse le ore di studio. Mi hanno fatta passare per anni come un loro enorme sbaglio, hanno sparlato di me con i loro amici, con i loro conoscenti e con chiunque aveva per me qualche parola di conforto e di incoraggiamento.
Hanno tentato anche, e questa penso che abbia superato il limite...hanno spesso organizzato cene per cercare di trovare una persona adatta a me, una persona che potesse fare di me quello che io non ero in grado di ottenere da sola. Sono stata costretta a partecipare a cene e pranzi di persone che non facevano altro che elogiare le proprie doti, i propri capitali...se mi fossi sottratta a tutto quello, mi avrebbero tolto l'unica cosa che mi permetteva di uscire da quella gabbia per qualche ora: la scuola.
Non potevo permettere loro di togliermi anche quello, non potevo...abbassavo la testa e obbedivo.
Ma ciò non bastava nemmeno, non bastavano nemmeno i voti eccellenti a scuola, non bastava nulla...io non bastavo.
La marionetta nelle loro mani era un gioco di cui non si sarebbero mai stancati, una figura di argilla da poter modellare a loro piacimento...non sono nessuno.
Voglio cambiare adesso, voglio conoscere me stessa, avere le palle di rispondere e di ribattere...di dire semplicemente la mia. Voglio aprire bocca e non sentirmi dire che sbaglio, di correre e di non sentirmi dire che potrei cadere, di mangiare quanto voglio e non sentirmi dire che potrei prendere qualche chilo in più.
È finita quella vita.

<Avanti, non battete la fiacca>.
Il sergente Blue continua ad urlarci contro frasi sconnesse tra di loro cercando di darci uno stimolo in più per continuare.
Ormai è da più di un'ora che continuano con questi allenamenti fisici: addominali, salti, salti con la corda, piccole corse di pochi metri e flessioni.
Non ho mai praticato sport così intensamente, mi sono semplicemente allenata a casa la maggior parte del tempo ma non per più di un'ora.
Sono abituata allo sforzo, ma non al massacro.
<Mi fanno male tutti i muscoli>, mormora Marine al mio fianco mentre alza il busto cercando di mantenere i piedi ben piantati a terra.
Certo che un materassino sotto la schiena avrebbero potuto anche darcelo e non far conficcare i piccoli sassolini nella nostra pelle tra la canottiera ormai imperlata di sudore.
Le giacche le abbiamo eliminate al primo esercizio e posano su un pezzo di pietra, una specie di masso di fianco al muro della struttura. Noi ci troviamo sul retro di essa, mentre l'altro gruppo credo che abbia iniziato da altro.
<Non dirlo a me>, sussurro cercando di mantenere il respiro regolare quanto possibile.
<Smettetela di parlare voi due>.
La voce del sergente mi fa bloccare i movimenti ed i suoi occhi puntati nei miei e poi in quelli della mia collega mi fanno gelare. Anche se vuole fare il duro, non gli riesce molto bene in alcuni casi...tanto che Marine gli sorride e lui ricambia gentilmente.
<Ci scusi sergente>, risponde prontamente facendo flettere il suo busto avanti e dietro.
<Credo che cadrà presto ai miei piedi>, precisa facendomi alzare gli occhi al cielo.
<Perché hai puntato proprio lui?>, domando per cercare di fare conversazione e non sembrare la solita isolata dal mondo che non sa nemmeno se la luna è fatta di formaggio o di roccia.
<Perché l'altro mi sembra impossibile da raggiungere>, risponde semplicemente facendomi capire che intende il sergente Brown.
<Ah...>, mi ritrovo a mormorare senza dare però voce ai miei pensieri come faccio sempre.
A me piacciono le sfide difficili, quelle impossibili, quelle che arrivi al traguardo col fiatone e sei fiera di te stessa. Quelle sfide che non ci dormi la notte e non ci vivi il giorno, non ci mangi...quelle sfide per cui dai l'anima ed essa ti torna indietro.
<Cinque minuti di pausa>.

Un pezzo di noiTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang