Capitolo 11

8.9K 351 64
                                    

Thomas
Mattina.
La sveglia.
Lavoro.
Pochi pensieri.
Mi alzo dal letto sbadigliando per le ore minime di sonno fatte ieri notte, e vado verso il bagno.
Lavo i denti, la faccia e poi subito a mettere la divisa.
Avete presente quando a volte vorreste dimenticare tutto, dimenticare le cose brutte che vi sono accadute, le cose brutte che vi hanno detto? Quelle cose di cui si potrebbe fare sicuramente a meno e ricordare solo quelle belle? Quelle cose che fanno bene al cuore, insomma.
Ma questo vale per chi un cuore ancora ce l'ha, ed il mio non so che fine abbia fatto.
Sono sempre stato considerato il ragazzo "solitario", il ragazzo cupo, il ragazzo freddo, il ragazzo di poche parole, il ragazzo che non dava confidenza, il ragazzo del fratello solare e simpatico.
Ero considerato il cattivo ragazzo della situazione, solo perché sorridevo poco, solo perché non avevo tanti amici, solo perché mi sono sempre circondato di persone che potevo contare sulle dita di una mano. Cattivo ragazzo per cosa? Per una parola in meno, per un sorriso in meno.
Nella mia vita ho avuto solo tre persone stabili: Noah, Matt e Kayty, la figlia di due amici dei miei genitori. Ho sempre vissuto con loro e sono affezionato tanto a loro. Kayty è una ragazza forte e solare, dispettosa, lingua lunga. Prima di partire, per venire a lavorare qui, pensavo che ci fosse del tenero con mio fratello; li vedevo spesso vicini, da soli, sguardi di sfuggita e sorrisi imbarazzati. Siamo cresciuti tutti e tre insieme.
Non mi è mai mancato l'affetto, una parola carina da parte loro, ma a volte ci si vuole staccare per vedere cosa vedono gli altri e in me non hanno mai visto niente che ne valesse la pena.
Ho un carattere chiuso ed introverso, non rido per circostanza, e nemmeno parlo per far un piacere a qualcuno.

Passo le mani nei capelli ricci e vado ad aprire la porta per andare in mensa.
<Noah>, sussurro quando mi trovo davanti mio fratello.
<Buongiorno fratellino, come stai?>, mi domanda lui sorridendo.
<Bene, tu?>, chiedo io uscendo dalla stanza e chiudendo la porta.
<Benissimo, sai che tra poco è il nostro compleanno vero?>, domanda ancora lui ed io mi fermo sul posto.
Cosa?!?!
Siamo già a Giugno?
<L'avevi dimenticato vero?>, continua lui sbuffando.
<No, io..si>, ammetto sbuffando e andando di nuovo verso l'uscita.
<Sempre il solito sei, ha ragione mamma>, dice lui alzando gli occhi al cielo.
<A cosa hai pensato quindi?>, domando sapendo già che le sue rotelle hanno lavorato parecchio in questi giorni.
<Pensavo di andare da mamma e papà per qualche settimana, abbiamo un sacco di giorni liberi arretrati e..>, inizia lui a dire.
Andare a casa, di nuovo.
<No, vai tu>, rispondo senza pensarci due volte.
Non voglio tornare a casa.
Voglio lavorare, voglio liberare la mente.
<Cosa? Non vuoi venire?>, domanda lui quando ormai siamo quasi arrivati in mensa.
<Noah devo lavorare>, affermo deciso e fermo sulla mia decisione.
<Devi o vuoi lavorare? Perché la differenza è enorme>, replica lui stizzito.
Prendo il mio vassoio con una tazza di caffè ed un pezzo di torta al cioccolato, e vado a sedermi al solito tavolo.
<Possiamo parlarne in un altro momento?>, chiedo poi poggiando le mani sul tavolo e sopra di esse la testa.
<Perché non vuoi tornare? Cosa ti tiene qui ogni cazzo giorno della tua vita?>, domanda lui alzando di poco il tono della voce e alzandosi dal tavolo.
Va verso l'uscita.
Perfetto.
Adesso ho anche litigato con mio fratello.
Inizio a mangiare la mia torta quando dalla porta entra il colonnello con affianco sua figlia.
Ha i capelli raccolti in uno chignon alto con alcune ciocche che svolazzano qui e là per il viso. Ha la pelle chiara e le guance sempre rosate, gli occhi grandi e scuri.
Il colonnello porta in mano due vassoi e la figlia dietro che lo segue.
<Giorno tenente>, mi saluta lui sedendosi davanti a me.
<Giorno>, sussurra l'infermiera mettendo di lato alla sedia le stampelle.
<Buongiorno colonnello>, saluto solo lui mentre bevo il caffè caldo.
<Ho visto Noah parecchio arrabbiato, avete discusso?>, domanda lui.
Mi ha sempre trattato come un figlio, so che mi vuole bene e vuole bene anche a mio fratello.
<Più o meno si, colpa sua>, rispondo guardando la ragazza davanti a me.
Ha le mani sottili e delicate.
<Avete litigato per il vostro compleanno, vero?>, domanda lui come se già sapesse tutto.
<Lei cosa ne sa?>, chiedo finendo di bere il caffè e poggiando entrambi i gomiti sul tavolo.
<Perché mi ha chiesto un permesso per entrambi>, dice ovvio sorridendo.
Guardo lui e poi la figlia e giuro che non noto nessuna somiglianza tra i due, sono diversi.
Non sembrano padre e figlia.
Di solito quando una persona fa domanda qui, dobbiamo avere un fascicolo su quella persona in cui c'è scritto tutto..ogni cosa. Dobbiamo fidarci al 100%.
Quando lei ha fatto domanda, il colonnello non mi ha fatto leggere quel fascicolo, non l'ha fatto leggere a nessuno ad essere sinceri.
<Non torno a casa, nemmeno per un giorno>, specifico con tono duro e la ragazza alza lo sguardo verso di me per la prima volta da quando si è seduta.
Poi abbassa lo sguardo verso le mie mani, le guarda sempre e non capisco perché.
<Ne avrebbe bisogno, dopo la m...>, cerca di dire lui ma io lo interrompo prima che possa dire altro.
<Non lo nomini, è chiaro? Non torno a casa>, affermo alzandomi e mi dirigo verso l'uscita.

Un pezzo di noiWhere stories live. Discover now