Capitolo 67

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Emma
<Puoi fare la valigia adesso, perché te ne vai>.
Mi guarda con gli occhi scuri e freddi.
Corruga le sopracciglia e socchiude le labbra quando sposto per un secondo lo sguardo su di esse.
Alzo le sopracciglia e aspetto che mi dica altro, tipo che è uno scherzo e che mi porterà sul campo per farmi sudare cinque o sei canottiere.
<Devi andartene da qui>, mormora ancora conservando la pistola per poi voltarmi le spalle ed andare via dal poligono.
<Cos'è appena successo?>, mi domanda Johanna alle spalle che ha assistito a tutta la scena.
<Me lo sto chiedendo anche io>, rispondo sbuffando passandomi una mano tra i capelli che sposto dietro la schiena e sperando che nessuno mi fermi mi incammino verso la porta.

Il corridoio è vuoto, deserto.
<Diamine>, sussurro non sapendo cosa fare.
Non so nemmeno se fosse serio o se vuole davvero che vada via; adesso che ci penso bene, non so nemmeno se abbia il potere di mettere in atto una decisone del genere o se vuole solo fare il gradasso e mettermi in difficoltà.
L'unico posto in cui forse potrei trovarlo è la palestra.

I miei piedi si muovono velocemente verso destra e l'ultima porta blindata è proprio quella della palestra.
Dal vetro, riconosco subito il suo corpo che effettua flessioni su un tappetino blu notte che mostra delle pieghe ogni qualche volta che le sue braccia si avvicinano ad esso.
Prendo coraggio ed apro la porta; il modo migliore per risolvere questa cosa è chiedere subito scusa.

La giacca è posata sul manubrio di un tapis roulant, mentre la canottiera nera gli lascia scoperte le braccia.
Cammino lentamente nella sua direzione e non si ferma nemmeno quando i miei piedi entrano nel suo campo visivo.
Mi abbasso sulle ginocchia e le racchiudo con le braccia.
Lo osservo; osservo le braccia che fanno muovere la schiena...quasi come se si aprisse e si chiudesse un secondo dopo.
<Ti ho detto di andartene>, mormora con il tono affaticato mentre continua con il suo allenamento.
C'è qualcosa che non va oggi.
<Mi dispiace, scusa>, dico sedendomi sul pavimento freddo con i piedi incrociati e con le mani unite su di essi.
Il suo corpo si ferma, alza il viso verso il mio e vedo subito una goccia di sudore cadere dalla sua fronte per fermarsi alla fine della mandibola.
Si siede sulle ginocchia, le mani posate sulle cosce muscolose e lo sguardo che guarda verso il basso.
<Non...non volevo dirti che sei...non lo pensavo davvero>, continuo sentendomi un po' in difficoltà nel non sentire nemmeno un fiato uscire dalle sue labbra.
Il corpo sembra essere su un altro pianeta oggi, così come la mente.
<Connor...>, sussurro piegandomi leggermente verso di lui.
<Stai bene?>, domando ancora muovendo una mano davanti al suo viso piegato ancora verso il basso.
Drizza la schiena e si solleva da terra velocemente, come se fosse adesso tornato da un viaggio intergalattico.
<Fai le valigie, Emma>, mormora dopo attimi di silenzio in cui pensavo che ormai la situazione fosse risolta.
<Cosa? Perché?>, chiedo alzandomi mentre lo osservo infilarsi la giacca.
<Perché non sei in grado di stare qui dentro, eri la peggiore nella classifica>, risponde aggiustando il colletto per poi andare verso la porta.
<Ma sono migliorata, sono passata>, ribatto andandogli dietro e fermando la sua mano sulla maniglia.
La mia si posa sopra la sua e sento che lui stringe più forte la maniglia.
<Mi dispiace se ti ho detto quella cosa prima>, mormoro guardando i suoi occhi che sembrano che non mi vedano.
<Quale cosa?>, domanda allontanando la mano dal mio contatto e facendo un passo indietro.
<Quando ti ho detto che sei uno stronzo...>, sussurro alzando le spalle e passandomi una mano sugli occhi.
<Andiamo, forza...ti aspetta una lunga giornata>, afferma storcendo le labbra per poi oltrepassarli e andare fuori.
<Ma no>, mugugno tra i denti capendo perfettamente cosa ha in mente.

<Più veloce>.
Connor continua ad urlarmi contro, pare che il cattivo umore non gli sia passato per nulla e sembra anche che abbia deciso di sfogarsi con me.
<Non battere la fiacca>, urla ancora alle mie spalle quando per l'ennesima volta mi fermo posando le mani sulle ginocchia che ormai non mi reggono più.
<Ti ho detto di fermarti?>, domanda sentendo i passi dei suoi piedi sul terreno.
<No>, rispondo sedendomi sulle ginocchia cercando di riprendere fiato.
Ormai è pomeriggio inoltrato, ed il sole sta diventando meno luminoso rispetto a questa mattina.
Non ho nemmeno pranzato.
Le forze iniziano a mancare davvero ed il fatto che lui insista nel farmi correre e nel farmi fare il percorso ad ostacoli un centinaio di volte, mi fa preoccupare.
Continuando di questo passo non avrò nemmeno la forza per tornare in camera e tantomeno di fare una doccia.
<Alzati, devi effettuare ancora il percorso>, mi ordina quasi come se davanti a sé non vedesse una ragazza inerme.
<Non posso>, sussurro posando le mani sulle cosce ormai doloranti.
<Alzati Emma>, ripete ed io scuoto la testa.
I capelli raccolti in una coda alta, quasi gocciolano.
<Vuoi che ti mandi via?>, chiede poi con tono saccente.
<Perché mi ricatti? Cosa ti ho fatto?>, domando in risposta alzandomi in piedi così da essere faccia a faccia.
Il sole che tramonta, crea una luce arancione sul suo viso...tanto che i suoi occhi sembrano assumere il colore del miele.
<Stai mettendo in discussione un mio ordine?>, continua con questo tono che non mi piace per nulla.
Lo stesso tono che ho sentito nella mia vita per anni, lo stesso tono che mia mamma usava quando non volevo andare a quelle stupide cene.
Mi sembra di essere tornata a qualche settimana fa.
<Sto correndo da questa mattina, non ho mai detto di no...ma non ce la faccio più, non...non ne ho le forze>, mormoro portando le mani sui fianchi.
Guarda per un attimo verso destra, puntando gli occhi sul cancello che si sta aprendo per far entrare una jeep nera.
Serra la mascella e corruccia le labbra che bagna con la lingua.
<Puoi andare>, mormora infilando le mani in tasca e guardando me finalmente.
<Vai a fare una doccia, sei libera>, conclude mostrandomi i suoi occhi colpiti dal sole.
Le iridi sono piene di linee più chiare, quasi come se la luce rivelasse il loro vero colore.
Annuisco e corro via prima che cambi idea e che mi faccia fare qualche altro percorso.
<Rimane comunque uno stronzo>, sussurro tra me e me camminando verso la mia camera.

Un pezzo di noiWhere stories live. Discover now