Capitolo 38

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Maggy
Raggiungo il suo ufficio guardando le sue spalle che si muovono insieme ai suoi piedi.
<Prego>, dice aprendo la porta e facendomi entrare per prima.
Mi fermo al centro della stanza e aspetto che lui dica o faccia qualcosa.
Lo vedo passarmi accanto e andare a sedersi dietro la scrivania.
<Non si accomoda?>, mi domanda sollevando lo sguardo verso di me.
<Oh...si, certo>, rispondo balbettando.
Sono agitata.
Incrocia le mani sulla scrivania e continua a guardarmi.
<Deve dirmi qualcosa?>, domando piegando la testa di lato e sentendo un odore strano provenire dal mio giubbotto.
Abbasso lo sguardo e noto del sangue asciutto su di esso. Anche le mani non sono messe bene.
<Quindi ha già trovato lavoro>, afferma poggiando la schiena alla sedia e mettendo una mano sotto al mento.
<Si, non avevo motivo di stare a casa>, dico alzando le spalle.
<Si sente pronta?>, chiede ancora alzandosi e mettendo le mani nelle tasche.
<Devo esserlo>, dico poco decisa guardando le mie mani che stanno iniziando a sudare.
<La mia domanda era un'altra e chiaramente non è pronta>, continua lui poggiandosi al muro alle sue spalle.
<Lo sono>, replico guardando il modo in cui cerca di mettermi a disagio con queste domande.
<Allora resti qui, è la stessa cosa>, ribatte lui alzando le sopracciglia come per indicare l'ovvio.
<Se deve dirmi questo, credo che sia meglio andare>, esorto alzandomi dalla sedia.
<Voglio solo parlare>, afferma lui staccandosi dal muro per venirmi incontro.
<Se vuole conficcare il dito nella piaga preferisco fare altro>, replico mentre lo guardo poggiarsi alla scrivania ed incrociare i piedi.
<Perché non me l'ha detto?>, mi domanda dopo alcuni secondi rimasti fermi a fissarci.
Ed è strano come il suo sguardo riesca a penetrarmi dentro per poi risucchiare tutto quello che trova.
<Cosa voleva che le dicessi?>, chiedo alzando la voce.
<Che...che le hanno fatto del male...>, mugugna lui abbassando lo sguardo.
<Perché avrei dovuto dirglielo? Noi non siamo amici>, replico mettendomi le mani nei capelli.
<Doveva invece, questo non c'entra un cazzo>, sbraita lui aprendo leggermente le gambe come se stesse per alzarsi.
<Si che c'entra, lei vuole solo avere il controllo di tutto ma questo non le riguarda>, ribatto voltandomi verso la porta quando sento che gli occhi stanno iniziando a diventare umidi.
<Ed è qui che si sbaglia, mi riguarda invece>, urla come se la cosa lo toccasse in prima persona.
<Mi faccia firmare quei documenti>, mugugno respirando a fondo ma continuando a tenergli le spalle.
<Non se ne andrà, non...>, sussurra lui.
<Cosa? Io voglio andarmene da qui, non voglio lavorare più qui>, spiego voltandomi e vedendolo ad un paio di centimetri dal mio corpo.
Faccio un passo indietro e abbasso lo sguardo sul suo petto.
<Mi guardi e mi dica che vuole andarsene>, sussurra mentre continuo a guardare il suo petto e la divisa che lo copre.
Alzo lo sguardo verso di lui ed incrocio i suoi occhi azzurri con punte di trasparenza dovuti alla luce nella stanza.
<Voglio andarmene>, affermo decisa.
<Mi dia una motivazione valida>, continua lui guardando ogni centimetro del mio viso.
<L'essere stata violentata non le basta? Non le basta sapere che a causa di quello non posso avere figli? Non le basta...>, dico facendo un passo indietro per riprendere fiato e non crollare davanti ai suoi occhi.
<Non mi basta>, mugugna il ragazzo di fronte a me.
<Non le basta? Ma a me si, non voglio rivedere ogni giorno questo dannato posto, non voglio svegliarmi ogni mattina in questo posto che mi ricorda tutto quello che mi ha portato via...non lo voglio>, urlo iniziando a tirare pugni contro il petto del tenente che non si smuove di un passo mentre il mio viso inizia ad essere ricoperto di gocce amare.
<Tutto quello...tutto quello che volevo era avere una famiglia e...e questo posto me l'ha portato via. Mi ha portato via tutto cazzo e lei...lei vuole una motivazione valida?>, continuo mentre i pugni ed i singhiozzi continuano ad urtare il corpo di Thomas.
Il fiato è quasi assente ed i singhiozzi aumentano mentre i miei pugni rimangono fermi sul suo petto e abbasso la testa guardando a terra. Gli occhi mi si appannano e alcune gocce finiscono anche sul pavimento.
<Volevo una famiglia...dei bambini...e...adesso non ho più niente...>, dico con voce spezzata e sommossa da quello che sembra essere un pianto liberatorio. L'ennesimo.
Estrae le mani dalle tasche e le porta sui miei polsi. Li avvolge e li porta lungo i miei fianchi con una lentezza quasi disarmante. In questi minuti non ha detto niente, immobile, inerme.
Alzo lo sguardo verso il suo che guarda davanti a sé e poi avvolge un braccio intorno alla mia vita e mi avvicina a sé.
L'altra mano sale lungo la schiena fino a fermarsi sul collo. Mi stringe a sé con forza ma anche con delicatezza. Poggio la guancia sinistra sul suo petto, quasi vicino alla sua spalla e chiudo gli occhi.
La mano che si trova sul collo inizia a muoversi come per calmarmi. Lentamente.
Le mie mani sono stese lungo i fianchi e rilasso le spalle dopo un momento di incertezza.
<Pianga pure>, sussurra con voce bassa.
<Non mi dica così...>, dico tra le lacrime che ancora non cessano.
<Shh...>, sussurra di nuovo iniziando a fare piccoli passi indietro ma senza lasciarmi.
Finisce per poggiarsi alla scrivania e la sua altezza diminuisce di poco.
<Vuole un bicchiere d'acqua?>, mi domanda allontanando la mano che era sul mio collo facendola scendere lungo la schiena.
<No, sto bene>, rispondo alzando il viso e notando che la sua divisa è intrisa delle mie lacrime.
<Mi dispiace...>, sussurro indicando la giacca.
<Vorrà dire che prima di andarsene dovrà lavarla lei>, afferma facendomi alzare lo sguardo quando mette una mano sul mio viso per scacciare via le ultime lacrime.
<Adesso che non lavoreremo più insieme possiamo darci anche del "tu", cosa ne pensa?>, mi domanda mettendo una mano sul mio braccio facendomi capire di fare respiri profondi. Solo ora mi accorgo che sto respirando troppo velocemente. Mi devo calmare.
<Si, va bene>, dico catturando un'altra lacrima caduta. Non voglio farmi vedere così fragile da lui. Sono una stupida.
<Quindi adesso possiamo essere anche amici>, afferma lui spostandomi i capelli dietro le spalle.
Guardo i suoi occhi quando fa questo piccolo gesto e subito ritira indietro le mani, come se non se lo aspettasse nemmeno lui.
<Potevamo esserlo anche prima>, dico guardando le sue mani che si incrociano verso il basso.
Mi accorgo che l'abbraccio è finito e che le sue mani non mi tengono più stretta, ma sono ancora troppo vicina a lui.
Faccio un passo indietro.
<Adesso non voglio rinfacciarti questo abbraccio>, mi spiega piegando la testa di lato in modo da incrociare il mio sguardo.
<Ed io non voglio darti nessuno schiaffo>, dico con voce ancora bassa a causa del pianto.
<Mi sembra un giusto compromesso>, afferma staccandosi dalla scrivania e andando a sedersi dietro essa.
Dal cassetto tira fuori una cartellina, è da essa prende un paio di fogli.
<Firmiamo questi documenti?>, chiede ed io annuisco.
Mi siedo e mi porge i fogli con una penna.
Metto due firme ad entrambi i fogli e poi li porgo a lui.
<Adesso credo sia meglio se vai a fare una doccia>, mi consiglia lui indicando il giubbotto con qualche macchia di sangue e le mani.
Annuisco e mi alzo dalla sedia.
Sono ancora un po' scossa e intontita per quello che è successo poco fa.
<Non dimentichi nulla?>, domanda facendomi fermare sulla porta.
Mi volto e lo vedo alzarsi dalla sedia e togliersi la giacca della divisa, rimanendo in canottiera.
<Devi lavarmi la giacca>, precisa porgendomela.
<Ah...si certo>, balbetto incerta prendendola.
Apro la porta e vado via.

Un pezzo di noiWhere stories live. Discover now