Capitolo 65

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Emma
<Mamma>.
Seduta a bordo della piscina, mi viene in mente di chiamare la donna che non ha ancora osato mettersi in contatto con me.
So che sono stati sempre troppo duri con me, so che per loro mostrare affetto è un po' una cosa fuori dal normale, ma mi mancano.
Anche se non sono i genitori perfetti, anche se spesso hanno parole poco carine nei miei confronti, anche se hanno una visione di me che non esiste e se non hanno molta fiducia in me...mi mancano.
Voglio creare una mia indipendenza, ma non voglio di certo eliminarli dalla mia vita.

Dopo qualche squillo, finalmente accetta la chiamata.
<Emma?>, sussurra con voce stranita e stridula.
L'orologio che porto al polso, segna le tre e trentaquattro e facendo qualche calcolo in mente mi rendo conto che in America è mattino inoltrato.
<Sono io, si>, rispondo infilando i piedi in acqua dopo aver tolto gli scarponi che iniziavano a darmi fastidio senza i calzini.
<Come mai chiami?>, mi domanda mentre in sottofondo sento la voce di qualcuno che sussurra qualcosa ma non so se sia mio padre.
<Eh...ti ricordi di dove mi trovo o no?>, chiedo a mia volta sbuffando e chiaramente non sentirò dalla sua bocca uscire nessun "mi manchi".
Chiaramente mi aspetto da lei troppo, troppo anche solo da pensare.
<Certo, e ti vorrei ricordare che presto andremo al tuo funerale sempre se riusciranno a trovare il corpo>, afferma con voce serena.
Parla con una tale tranquillità, come se non stesse parlando con sua figlia che non vede da giorni e giorni.
La prima cosa che le viene in mente di dirmi è parlarmi di un eventuale funerale.
<Certo mamma...papà dov'è?>, mormoro facendo dondolare i piedi nell'acqua tiepida che senza luce è solo un ammasso di acqua scura senza alcuna trasparenza.
<Dove vuoi che sia? Al lavoro, mi sembra ovvio Emma>, mi spiega leggermente annoiata da questa conversazione.
<Ovviamente>, sussurro passandomi una mano tra i capelli per la frustrazione.
<Se non devi dire altro, io avrei da fare>, dice cercando un pretesto per liquidarmi.
So che se avesse davvero voglia di sentirmi e di sapere qualcosa di qui, starebbe al telefono per ore...così come succede con le sue amiche.
Riesce a fare tante cose contemporaneamente, sembra un polipo che ad ogni tentacolo affibbia un compito ben preciso.
<No, figurati...ciao>.
Chiudo la chiamata e sbuffo, sentendomi ancora più stupida di prima.
Mi sembra di non essere mai in grado di fare qualcosa, mi sento sempre un passo dietro chiunque.
Perché non mi vogliono bene?
Perché per loro, tutto il contesto, è sempre più importante di me?

Mi stendo sul pavimento con i piedi che ancora dondolando in acqua e so che dovrei andare a dormire, so che dovrei riposare perché domani ci aspetta un'altra mattinata...ma proprio non riesco a rilassarmi.
Chiudo gli occhi per un secondo e davanti alla barriera nera delle palpebre, passa l'immagine di me che torna a casa e che riceve un caloroso abbraccio da qualcuno.
Che strani film che metto in pratica.
<Dormi qui?>.

Salto sul posto sentendo la voce di qualcuno che sussurra.
Apro gli occhi e mi sollevo sui gomiti, guardo in alto e la figura di Connor sta ferma dietro le mie spalle con il viso leggermente piegato verso destra.
Da qui sembra ancora più alto e possente.
<No>, rispondo in un sussurro alzandomi in piedi e facendo attenzione a non cadere in piscina un'altra volta.
Mi guarda e poi inizia a togliersi la giacca lasciandola cadere a terra.
<È calda?>, mi chiede indicando con il viso l'acqua.
Inizia a togliere gli scarponi allacciati con cura e toglie i calzini neri.
<Eh...tiepida>, mormoro poco convinta guardando le sue mani che raggiungono il bottone del pantalone che lo tiene chiuso in vita.
Lo apre e con le dita lunghe tira verso il basso la cerniera che si apre in un secondo.
Costringo i miei occhi a guardare altrove, anche se la curiosità è tanta.
<Faccio una nuotata, tu che fai?>, mi domanda ancora abbassando lo sguardo sui miei piedi che si muovono l'uno sull'altro.
Le mani le torturo dietro la schiena e le dita quasi mi si spezzano per quanto le sto incastrando.
<Torno in camera>, rispondo afferrando gli scarponi che si trovano più a sinistra dal mio corpo e li lascio ciondolare avanti e dietro con le stringe che mi solleticano le gambe ancora bagnate.
Anche se non punto gli occhi su di lui, la panoramica mi permette di vedere tutto.
Maledetta!
I pantaloni ormai non esistono più: un paio di boxer neri fasciano la sua parte intima che mostra la sua protuberanza tra il tessuto. Le gambe sono toniche, i muscoli si vedono senza tanti problemi e il sedere sembra che sia stato scolpito da Michelangelo.
Tipo "Il David".
<Non dovevo disturbarti>, mormora con la voce soffocata dal tessuto della canottiera che tira su ed elimina lasciandola a terra vicino al resto degli altri indumenti.
Avevo già avuto una bella vista del suo petto nudo, ma questa volta sembra decisamente meglio.
Il fatto di essere completamente al buio, rende ancora più evidenti i contorni del suo corpo. Gli addominali scendono verso il basso in modo perfetto mentre i boxer interrompono la linea a "V" che non nego...avrei voluto vedere.
<Non fa niente>, dico alzando le spalle.
Cerco di non fissarlo troppo e mi concentro su qualcosa di più interessante, ma la cosa è davvero difficile.
<Stai bene?>, chiede poi prima di tuffarsi in acqua.
Gli schizzi sono alti quando il suo corpo si scontra con la superficie, quando i muscoli della schiena si contraggono allungando le braccia sul davanti.
Quando è ancora immerso, decido di andare via.
Scappare è un ottimo modo per non dover rispondere alla sua domanda, anche se così facendo mi mostro come una bambina...ma a lui questo non deve interessare.

Un pezzo di noiWo Geschichten leben. Entdecke jetzt