Prologo

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Questa è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a personaggi o luoghi reali è completamente fittizio. Nomi, personaggi, luoghi e vicende, sono il frutto dell'immaginazione dell'autore. Qualunque somiglianza con fatti luoghi o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale.

*******

"Amore è dove decidi di vivere."

C'è un istante nella vita in cui il tuo cuore prende a battere in modo scostante prima del brivido che raggiunge ogni centimetro, ogni fibra del tuo corpo scuotendolo come una foglia percossa dal vento. Quel momento, lo senti arrivare addosso con una certa violenza, come una sferzata fredda sulla pelle, rendendo ogni singola cosa intorno: distante, ovattata, distorta, appannata.
«Wanda Paulson, vuoi sposarmi?»
Il mondo frana di colpo. Tutto cambia. Tutto si trasforma. Tutto si distrugge in un nano secondo. Ogni certezza si sgretola ed io precipito nel vuoto più profondo.
«Che cosa?» Alzo il tono della voce lasciando cadere il cucchiaio nel piatto. Il brodo strabocca fuori dal bordo macchiando la tovaglia.
Questa reazione provoca un gran frastuono nel silenzio assordante che si innalza improvvisamente intorno, nel nostro modesto soggiorno, tra le porcellane raffinate tenute in bella vista sulle mensole e dentro la vetrina, un regalo di una lontana parente ormai passata a miglior vita. In questo luogo improvvisamente pieno di gente, ovvero gli invitati a questa assurda cena di fine estate. Tutti sono in attesa. Nessuno osa muoversi.
La mia bisnonna: Mandy, una vecchietta abbastanza vispa dai capelli a nido di rondine bianchi e due grosse "conchiglie" bianche alle orecchie, ben truccata e in forma, mi rimprovera chiedendomi di fare silenzio con un verso che emette sempre in chiesa contro quei bambini che disturbano la messa la domenica mattina.
Mia madre, mi guarda un attimo ed è come stordita, come se non mi vedesse con i suoi occhi chiari del colore delle foglie. Poi torna attenta, dedicando la sua completa attenzione al suo nuovo compagno e amico di giochi. Il numero sette per la precisione, ma il più tenace tra i pretendenti.
Nessuno aveva ancora resistito così tanto. Ma Harvey non sembra temere minimamente mia madre e i suoi strani comportamenti o disturbi. Forse le piace davvero oppure è annebbiato dalla sua bellezza.
«Devo ripeterlo?» Chiede agitandosi, ancora in ginocchio allargandosi la cravatta e schiarendosi la gola.
È arrossito davvero tanto. Si sta imbarazzando perché tra i presenti ci sono anche i suoi genitori.
Questi, non sembrano poi così d'accordo che il figlio si faccia carico di una donna divorziata con una figlia. Non mi hanno neanche salutata. Mi sono sentita a disagio al loro arrivo, ma dubito che qualcuno si sia accorto davvero di me.
«Ma sei tonto o cosa?» sibilo incapace di trattenermi.
Ancora una volta vengo zittita, questa: con una gomitata ben assestata sulla costola. Guardo male la mia bisnonna che adoro ma che è una grandissima rompipalle quando ci si mette.
Mia madre, Wanda Paulson, una eterna tenace bambina dai capelli neri come la pece e dagli occhi verdi, dall'aspetto da modella, si sventola con la mano le cui unghie sono laccate di smalto rosa che, alla luce dei fari sembra tanto bianco. Guardo per istinto le mie laccate di nero chiudendole come se stessi ritirando gli artigli che al contrario vorrei tanto affondare sulla faccia di qualcuno. Così, tanto per sfogarmi.
Stasera indossa un abito rosso fuoco, perfetto per la carnagione bianco cadavere che ho ereditato dai lei. Ma abbastanza contenuto. Si tratta infatti di un tubino stretto.
Non è da lei coprire l'abbondante seno o vestirsi in modo classico, visto che adora i colori e i tessuti floreali.
Probabilmente lo avrà fatto per compiacere Harvey e i suoi genitori che, continuano a lanciarsi occhiate furtive, gustando l'ottimo vino del nonno. L'unica cosa che a quanto pare gli sta piacendo di questa serata programmata dal figlio all'insaputa dei presenti, me compresa.
Mamma lascia uscire uno strillo dinanzi al diamante dentro la scatola di velluto rosso che Harvey le sta mostrando rimanendo in attesa di una risposta.
È così patetica come scena da farmi salire il voltastomaco. Per questa ragione mi concentro all'esterno guardando dalla finestra il giardino pieno di lanterne accese dove ci sposteremo a breve.
Non odio Harvey. Sto odiando lei, il momento, questo posto. Sto odiando la vita che mi sta facendo avere. Sto odiando il suo continuo ignorarmi per seguire il suo cuore che, prenderà un'altra brutta pugnalata.
«Digli di sì tanto è il conto in banca quello che conta.»
Questa volta parlo ad alta voce lasciando uscire in modo sincero il pensiero di tutti. Almeno io sto avendo il coraggio di dirlo.
Sorrido fingendo indifferenza mentre dentro tengo la furia e una stranissima rabbia che mi incendia il petto togliendomi persino il respiro.
Mi vergogno a volte di lei. So che è sbagliato perché è mia madre ma non capisco. È così disperata da avere bisogno costantemente di un uomo a prendersi cura di lei?
Quando si è lasciata, tutte le altre volte, ha passato circa una settimana a piangere, a dannarsi, ad autocommiserarsi. Poi come se niente fosse è uscita di casa andando a smaltire da qualche parte le confezioni intere di yogurt o gelato, patatine e vodka ingurgitate.
«Io non ce la faccio», brontolo vedendola sempre più pronta a ricevere quel dannato anello da quel poveretto che verrà spennato, letteralmente.
Lancio il tovagliolo sul piatto pieno di brodo e ravioli che, per inciso odio profondamente perché anche solo la vista mi fa stare male e tirando indietro la sedia, provocando ancora un altro rumore di piedi di legno che stridono sul parquet nuovo, mi alzo.
«Signorina, dove stai andando?»
Urla mia nonna, Janet, con la sua mole da mongolfiera alzandosi a sua volta da tavola. Le manca il solito mestolo in mano per minacciarmi come si deve. Adesso però ne è sprovvista visto che non siamo nel suo ristorante e non può rincorrermi con quell'attrezzo.
«Fuori, ho bisogno di una boccata d'aria. Continuate pure. Tanto sapete già come andranno le cose. Non che sia importante la mia opinione o la mia approvazione ma... non è neanche una grossa novità per lei, visto che è già stata sposata una volta.»
Mia madre adesso mi guarda con attenzione. «Erin...» sibila tra i denti bianchi e dritti. Si sta imbarazzando. La sto mettendo in ridicolo.
«Congratulazioni mamma!» metto una mano al petto guardandola in modo falso, con finta emozione. «Adesso con permesso», con una smorfia esco sul retro sbattendo la porta alle mie spalle.
Prendo il sentiero che si trova oltre lo steccato del giardino dalla quale esco dopo essermi arrampicata tirando sulle cosce il tubino che, sfilo immediatamente. Sono stata costretta ad indossarlo e per fortuna sotto ho il costume. Si tratta di un orribile tubino simile a quello di mamma ma rosa. Rosa porcello, il colore più odioso che possa esistere sulla faccia della terra.
Cammino lungo la spiaggia affondando i piedi nudi sulla sabbia, dopo avere lasciato i tacchi in giardino, fino a raggiungere la riva dove metto un dito del piede dentro accertandomi che l'acqua sia ancora calda.
Sciolgo i capelli liberando finalmente la mia chioma colorata tuffandomi, facendomi un bagno e una nuotata mentre dalla casa bianca a pochi passi da questo paradiso tranquillo, si sprigionano alte le risate, le urla di gioia e gli applausi per il lieto evento.
Non sono arrabbiata perché mia madre si sposa. Non sopporto l'idea che lei intenda trasferirsi ancora una volta per un uomo in una grandiosa villa quando abbiamo già la nostra casa, le nostre cose. Non è passato poi così tanto dall'ultimo trasloco. Mi stavo quasi ambientando qui.
Inoltre, lei non è mai stata pronta al matrimonio. È andata a convivere con la maggior parte dei suoi compagni e non ha funzionato proprio per il suo comportamento. E insieme al suo entusiasmo ha trascinato anche me nelle più umilianti delle situazioni.
Si lascerà trascinare anche da Harvey che, le pagherà ogni suo vizio rendendola sempre più snob e meno empatica. Questo le farà dimenticare maggiormente di me.
Stringo i pugni poi mi rilasso facendo il morto sulla superficie, fissando il cielo coperto interamente di stelle luminose.
Mi sento come loro: bella a detta di tutti ma terribilmente sola e distante dalla terra. Mi sento persino come Plutone, dimenticato da tutti perché ritenuto troppo distante e piccolo per essere un pianeta.
A volte penso di essere nata nel mondo sbagliato. E mi piace pensare che possa esistere una come me in un universo parallelo che sia davvero felice.
«Erin»
«Rayan!»
Esco appesantita dall'acqua raggiungendo il mio amico a riva. Lieta di rivederlo vivo dopo una settimana di lontananza.
«Come mai non sei dentro a festeggiare?»
Barcolla indicando la villa. Ha gli occhi rossi. Mi siedo sulla sabbia e lui fa lo stesso attendendo una mia spiegazione. Dubito che sappia realmente quello che sto dicendo. Non mi guarda neanche come farebbe un qualsiasi comunissimo ragazzo perché sono in costume, esposta.
Strizzo i capelli. «Perché non c'è niente da festeggiare. Mia madre è al settimo pretendente. Questa volta però si sposerà e tra qualche mese io sarò costretta a sentire le sue notti brave ad urlare e ad ansimare e poi a disperarsi quando quell'idiota si stancherà di essere un fottuto conto in banca.»
«Calma. Ehi calma piccola. Ho la cosa giusta per te», sorride accendendo una sigaretta. «Tieni, rilassati baby.»
Lo guardo storto perché sa che odio essere etichettata. Forse dovrei smettere di essere così dura e orgogliosa. Forse dovrei comportarmi come una normale ragazza che prima o poi se ne andrà di casa e si creerà un futuro. Quello che attualmente continuo a vedere come un buco nero fatto di sogni infranti, speranze vane e rancore.
L'odore della paglia mi arriva subito alle narici e accetto senza neanche pensarci poi così tanto sopra; facendo un paio di tiri che mi aiuteranno a rilassarmi e a liberare la mente.
Rayan in realtà è solo un conoscente. A volte però penso che sia un buon ascoltatore, l'unico a cui interessa davvero qualcosa di me.
È molto attento in quei pochi minuti di lucidità che ha prima di perdersi nel fumo della sua roba. Non la vende. Dice di farne uso per curare qualcosa, ma io non ci credo mica.
Passa la mano, imbrattata di grasso e olio di auto che non riesce più a togliere, sotto il naso.
«Ho una bella notizia», dice.
«Spara.»
«Ho trovato un possibile lavoro.»
Il colpo dato dal senso di tradimento lo sento appena. Se lui se ne va, io mi ritroverò sola e ormai è quasi finita l'estate. Senza di lui non avrò la possibilità di sentirmi libera, di divertirmi.
«Davvero?»
Passa la mano tra i capelli biondi ricci tutti scompigliati. Forse alle elementari, tutti gli anni, gli facevano fare l'angelo alle recite di natale. Ma a quei tempi non era così strafatto e sporco di benzina. E dubito fortemente che vorrebbe parlarne. Si imbarazza facilmente. E a me piace rispettare i suoi spazi, la sua vita privata.
«Ho trovato una vera officina e vogliono vedere quello che so fare. Una sorta di colloquio di lavoro. Che ne dici?»
«È una buona opportunità», gli tolgo la sigaretta fumando al posto suo. «Però devi andarci pulito.»
Tossisce ridendo come se avessi appena detto un qualcosa di osceno. «Pulito nel senso di pulito o...»
Lo guardo intensamente e ride ancora. «Ok», si sdraia guardando le stelle.
«Te la caverai?»
Guardo la villa, il mare, il riflesso della luna sull'acqua calma e calda. Fisso Rayan e annuisco.
«Comprerò dei tappi per le orecchie o scapperò di casa. Inoltre dovrò solo fare un ultimo sforzo poi potrò andare al college, quindi è probabile che nei weekend sceglierò di restare lì.»
Ride ripensando a qualcosa di divertente poi mi parla di quello che abbiamo fatto insieme durante l'ultima festa di cui non ricordo molto e, a quanto pare neanche lui.
«Compra un biglietto e vattene da questo posto. Non fa per te. Sei infelice qui.»
La sua frase mi spiazza poi rifletto sul fatto che a volte ha delle allucinazioni in cui parla con gli spiriti. Me lo ha detto lui una notte e non era strafatto ma impaurito.
«Erin. Erin torna a casa immediatamente!» urla mia nonna con la voce simile ad un megafono.
Si comporta così con i suoi camerieri ma li paga profumatamente facendosi volere bene lo stesso da loro.
Bacio la guancia a Rayan. «Buona fortuna piccolo fattone!» Scompiglio i suoi capelli.
Ride e quando mi sollevo mi dà una pacca sul sedere. «Anche a te sirenetta. E non cacciarti nei guai.»
Infilo il vestito entrando in casa dopo avere tolto la sabbia dai piedi e dal corpo.
Lego malamente i capelli lunghi per non fare notare il colore, anche se è impossibile nascondere il fucsia sbiadito, ripensando alle lezioni di danza quando ci facevano fare quel dannato chignon.
Quando arrivo in sala da pranzo nessuno fa caso a me. Tutti stanno continuando a congratularsi con i futuri sposi chiacchierando del più e del meno tra loro.
Mi siedo accanto al bisnonno Tobias. Non ci sente bene e continua a stare con la bocca aperta in uno stato apparente di trance.
Gli riempio un bicchiere di vino. Mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Mi sorride poi alza il calice brindando.
Prendo la bottiglia spostandomi sulle scale a bere per dimenticare e potere cancellare questa orribile serata in cui la mia vita cambierà di nuovo.
Il calore del vino va a mescolarsi all'effetto della canna rendendo la mia testa leggera e la mia lingua più sciolta del normale.
Le idee per distruggere questo momento sono tante ma non farò niente di esagerato. Voglio solo dare una lezione alla donna che dovrebbe prendersi cura di me ma che continua a comportarsi come una adolescente.
Mi alzo per prendere un'altra bottiglia e li noto tutti in giardino. Non hanno neanche ritenuto opportuno avvisarmi.
Spostandomi in cucina apro la bellissima cantina di mamma scegliendo un bel rosso invecchiato di cinque anni.
Stappo la bottiglia senza la minima difficoltà annusando l'odore del vino davvero costoso. Senza neanche attendere o prendere un bicchiere bevo qualche lungo sorso come se fosse acqua direttamente dal collo della bottiglia. Poi mangio un bownies leggermente affamata.
Per non esagerare o sporcare il tubino che mamma ha tanto desiderato vedermi addosso, esco fuori barcollando ma non me ne curo.
Mi appoggio alla colonna assistendo a delle stupide chiacchiere tra persone che si odiano ma che adesso stanno facendo finta di andare d'accordo. Domani i pettegolezzi raggiungeranno il posto e la vergogna sarà tanta.
«Ricordi quando siamo andati su quell'isola... com'è che si chiamava? Comunque lì è stato fantastico. Possiamo tornarci?» mamma inizia la sua lista di richieste. Mentalmente sta già scegliendo tutto. Sa cosa vuole e sa come ottenerlo.
Bevo il vino accorgendomi di avere quasi terminato la bottiglia. «Si, torna pure lì e lascia tua figlia sola in casa poi torna come se niente fosse, ingozzati di patatine e vodka e ignorala proprio come stai facendo da quanti anni?»
Attorno non vola più una mosca. Tappo la bocca con la mano sgranando gli occhi. Credevo di parlare dentro la mia testa invece ho appena pronunciato tutto ad alta voce.
Mia madre chiede silenziosamente al suo compagno di non intervenire e avvicinandosi mi toglie la bottiglia dalle mani. Sgrana gli occhi arrossendo quando si accorge che è la sua preferita, quella che conservava ormai da anni, per le occasioni speciali.
«Tranquilla la potrai ricomprare adesso che sei fidanzata con uno che costruisce... zattere?»
«Sono yacht», mi corregge lui sentendo la mia risposta.
«Non sto parlando con te», biascico guardandolo male, puntandogli l'indice contro. Me ne vergogno immediatamente. «Scusa», mimo battendo le palpebre.
Che diavolo mi sta succedendo?
«Erin perché lo stai facendo? Ci sono degli ospiti...» sibila saettando con gli occhi ovunque continuando a serrare i denti per farmi capire che non è il luogo o il momento adatto per fare certe scenate.
Rido. Non riesco proprio a trattenermi. «Ti imbarazza così tanto? Purtroppo hai una figlia mia cara Wanda e non l'hai cresciuta quindi non puoi sapere se magari ha davvero bisogno di tutti questi uomini e cambiamenti nella sua vita.»
Mia madre è sempre più paonazza. «Erin...»
«Cosa? Devo proprio dirti perché è finita con l'ultimo uomo che hai avuto? Ancora non lo hai ammesso a te stessa che hai sbagliato. Ma ci penso io a rinfrescarti la memoria. Perché ha tentato di infilarsi nel mio letto mentre dormivo e se non te ne parlava la nonna che lo ha visto neanche te ne accorgevi del male che avrebbe potuto farmi. Io non te ne volevo parlare proprio perché mi avresti accusata. La verità è che sei sempre accecata da qualcosa», guardo quel poveretto. «Scusa, non ce l'ho con te», dico sincera passando il dorso sotto il naso. «Tu sei fantastico, davvero.» Barcollo visibilmente.
«Sto parlando con la donna che non fa mai niente con coerenza e razionalità. Ricordi che alla fine sono sempre io quella che ti raccoglie da terra ogni volta? E tu...» alzo il tono facendola sussultare. «Non hai mai voluto considerarmi perché pensi che prima o poi ti lascerò e potrai finalmente comportarti come una fottuta adolescente! Beh, manca solo un anno quindi resisti.»
«Signorina modera il linguaggio», minaccia.
«Altrimenti che fai? Lo capisco, avermi a diciassette anni per te è stato un trauma ma potevi farmi fuori in tanti modi e potevi pensarci prima usando le dovute precauzioni. Adesso che sono qui potresti anche guardarmi in faccia di tanto in tanto e rendermi partecipe della tua stupida vita fatta di uomini sbagliati e soldi!»
Mi molla uno schiaffo abbastanza sonoro da fare reagire gli invitati. In molti fanno un passo avanti per fermarla.
Scosto i capelli sfuggiti dallo chignon scoppiando a ridere come una pazza.
«Davvero?» la sfido.
«Sei una piccola ingrata. Che cosa ho fatto per meritare questo», si volta trattenendo le lacrime.
«Avresti dovuto crescermi non credi?»
Mi guarda male mentre Harvey le si affianca abbracciandola, accarezzandole la nuca. Forse anche frenando i suoi istinti.
«Perché stai rovinando tutto?»
Alzo le spalle. «Perché non mi hai chiesto se voglio quest'uomo in casa, se lo accetto come "patrigno" e se sono disposta a vederti sperperare e dilapidare il suo patrimonio», chissà perché continuo a ridere. Sto straparlando ma non riesco proprio a frenarmi. Non riesco a trattenere la rabbia e la delusione verso una donna che dovrebbe proteggermi e invece continua ad ignorarmi.
Sento un certo vocio. Mia madre avvampa ancora mentre mia nonna con una mano sul petto e una sulla bocca scuote la testa.
«Va subito in camera tua», ordina. «E restaci.»
«E perdermi la scenetta patetica di te che ti sbaciucchi con questo tronco di legno? Con piacere!»
Prova ad avvicinarsi ma lui la trattiene di nuovo. «Lascia, le parlo io. È solo brilla.»
Inarco un sopracciglio. Vedo tutto appannato. Cerco di concentrarmi e quando è di nuovo tutto normale lo ritrovo a pochi passi. Gli altri stanno bisbigliando tra loro facendo finta di niente.
Mi sento stordita. Non riesco ad avere più il pieno controllo della mia mente, del mio corpo, la cognizione del tempo.
Harvey ha i capelli lunghi biondi, la barbetta curata e gli occhi azzurri come il cielo. Sembra il principe azzurro in Shrek ma molto più simpatico, intelligente e carino. Eppure lo odio, perché non dovrebbe legarsi a mia madre fino a farsi prosciugare da lei.
Intanto il nonno sta accendendo il barbecue a circa due passi di distanza come se niente fosse. Per lui non è poi una grossa novità. Ormai da tempo ha deciso di lasciare mia madre libera di soffrire. Per lui è un caso perso.
Mi riprendo la bottiglia strappandola dalle mani di quest'ultima dopo una breve lotta. «Congratulazioni!» bevo davanti a lei.
Harvey, si sente a disagio ma si sistema ancora davanti a me. «Posso parlarti?»
«Se proprio devi fallo qui davanti a tutti. Non credo che ormai ci sia qualcosa da nascondere.»
Il nonno mi passa un hamburger che rifiuto con un gesto secco della testa.
«Tu mi piaci Harvey. Tra tutti sei stato quello più gentile e sincero con mamma e forse anche con me ma...» scuoto la testa.
«Senti, siamo partiti con il piede sbagliato. Che ne dici di conoscerci meglio e cercare un modo per andare d'accordo... diciamo per il bene di tua madre?»
Non gli rido in faccia perché mi sta salendo una certa nausea e il rischio di vomitare è davvero alto.
«Allora?»
Lo stomaco mi brontola rumorosamente. Ho come uno spasmo, un conato. Attendo resistendo uno, due secondi.
Piega la testa di lato. «Ehi, ti senti bene?»
Vomito sulle sue scarpe firmate imbrattando il suo costoso abito grigio.
Sento le espressioni dei presenti come se fossero il pubblico di una trasmissione comica.
«Che schifo!» esclama lui disgustato.
Mentre mi piego in avanti, per errore inciampo e lascio andare la bottiglia che va a schiantarsi contro il barbecue. La fiamma che si sprigiona in alto illuminando gran parte del giardino fa urlare i presenti e persino il nonno che, insieme allo zio pensano male di spingere il barbecue per non essere arrostiti. Questo, cadendo fa infiammare le aiuole e in breve le fiamme si spingono all'interno della casa entrando dalla finestra aperta la cui tenda svolazza sospinta dalla brezza.
Tutti urlano mentre io alzandomi, dopo avere vomitato ancora, fisso la casa prendere fuoco e il fumo sprigionarsi ovunque.
Qualcuno, forse la nonna, mi porta all'ingresso, sul vialetto pieno di ciottoli scuotendomi per farmi riprendere dallo shock.
I minuti passano e tutti corrono più lontano possibile, poco prima dell'esplosione che manda in frantumi praticamente ogni vetro presente.
Mi abbasso e vomito ancora prima di scoppiare a ridere come una pazza del tutto incredula.
Ben presto arrivano i vigili del fuoco a domare le fiamme alte, chiamati dai vicini.
Nel giro di un'ora il rogo viene spento ed io sono meno ubriaca, meno fatta e quasi soddisfatta di avere mandato letteralmente in fumo tutto quanto, anche se involontariamente.
L'infermiere che mi visita mi ordina di bere acqua per recuperare i liquidi persi e di riposare.
«Erin Wilson!» Urla forte mia madre pestando i piedi sull'asfalto.
Scendo immediatamente dal mezzo salutando l'infermiere con un sorriso tirato, conscia del fatto che a breve mia madre mi darà una bella lezione.
«Sei in grossi guai», cantilena divertita la mia bisnonna guardandosi le unghie laccate di smalto rosso con degli strass luminosi.
Mia madre si ferma a poca distanza da me in lacrime, con il viso pieno di macchie nere e i capelli scompigliati. È la prima volta che la vedo così distrutta.
Gratto il sopracciglio guardandola con indifferenza e finta innocenza. «È stato un incidente. È stato il nonno a spingere il...»
«Hai chiuso», sussurra affannata, i pugni stretti in vita.
Batto le palpebre. «Cosa?» Chiedo per capire.
«Hai sentito benissimo ciò che ho detto. Tu... hai chiuso con questo posto. Sei in punizione!»
Sollevo l'angolo della bocca. «In punizione?» rido.
Notando la severità e la serietà nei suoi occhi improvvisamente freddi, mi ricompongo. «È stato un incidente. Non dovevi trasferirti?»
Diventa più rossa di prima. Serra la mascella avvicinandosi rabbiosamente. «Te ne andrai da tuo padre.»
Sgrano gli occhi. «Che cosa? No!»
«Invece lo farai senza fiatare e ti metterò su quel dannato volo personalmente e con la forza se sarà necessario. Dopo che ti sarai tinta i capelli e vestita adeguatamente te ne andrai da lui. Non si discute.»
Asciuga le lacrime. «Va a fare i bagagli e vattene da qui!» inizia piano. «Muoviti!» urla facendomi sussultare quando mi vede impalata.
La guardo subito con astio. «Mi stai rovinando la vita!»
«Tu l'hai già rovinata a me. Muoviti!»
Intuendo di non potere fare niente per farle cambiare idea, entro in casa raccogliendo le mie poche cose. L'incendio e l'esplosione non hanno causato poi così tanti danni al piano superiore.
Riempio la valigia imballando i miei libri. Impiego poco tempo, anche perché non avevo neanche finito di sistemare la stanza, visto che abbiamo vissuto quasi sempre in posti diversi prima di trasferirci qui vicino ai nonni.
All'alba, senza salutare nessuno, con i miei capelli colorati e i miei vestiti scuri addosso, mi lascio accompagnare in aeroporto dal nonno.
Mentre mi allontano so come ci si sente quando hai tutto e ti ritrovi con un vuoto consistente tra le braccia, nel petto, dentro il cuore. So come ci si sente quando ogni cosa crolla senza preavviso colpendoti alle spalle, cogliendoti impreparato. So come ci si sente quando sentì la mancanza fisica di qualcosa, di qualcuno che non hai mai avuto accanto. So come ci si sente quando tutto si muove freneticamente facendoti cadere, ferendoti profondamente lasciandoti una grossa ferita. So come ci si sente ad essere forte, a fare tutto da solo. Sopratutto quando non hai più alcuna alternativa. Ed io non ne ho più nessuna. Adesso mi toccherà affrontare una parte del mio orribile passato.

♥️

N/a:
~ Buona sera e benvenuti in questa nuova avventura. Spero che il prologo vi sia piaciuto così come la copertina e la trama. Fatemi sapere ovviamente cosa ne pensate qui sotto nei commenti.
Lo so, avevo detto che mi sarei presa una pausa ma l'ispirazione è arrivata di getto e avevo bisogno di raccontarvi la storia di Erin. Spero davvero possa piacervi.
Mi preme anche chiedervi un piccolo favore. Se potete e se vi va, lasciate un voto. È importante anche far conoscere a più persone possibili questa storia quindi potete consigliarla a qualcuno (senza fare spam). Per il resto, aggiungetela nei vostri elenchi di lettura per ricevere gli aggiornamenti e non dimenticatevi di seguirmi qui e anche su Instagram.
In ogni caso come sempre io vi ringrazio e che dire... buona lettura romanticone!
Grazie di tutto.
Un abbraccio,
- Giorgina_Snow❄️

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now