33

4.5K 206 84
                                    

Una suite accogliente. La vista mozzafiato su Londra, in uno dei quartieri inglesi maggiormente conosciuti. Due letti matrimoniali, due camere comunicanti, una rosa sul materasso coperto da un piumone grigio ghiaccio. Un bagno enorme, pulito e profumato. Un salotto all'angolo, davanti una finestra coperta dalle tende bianche che svolazzano sospinte da un venticello freddo. Sul tavolo un vaso pieno di rose. Luci soffuse e tranquillità. L'ambiente intero odora di magnolia e cocco.
Porto la valigia al centro della stanza guardandomi ancora intorno a questa bellissima suite del più costoso e rinomato hotel della città.
Il viaggio in aereo è stato piacevole insieme a Kay che sta togliendo la rosa dal letto infilandola in mezzo a quelle bianche dentro il vaso.
Si lascia cadere sul letto sfinito. Un braccio a coprire gli occhi e la maglietta leggermente alzata sul fianco.
Non ha parlato molto. Posso capire la ragione. È solo un po' strano il suo mutismo. Non una battuta, non un gesto d'amore. Solo un freddo e inaspettato distacco.
Metto le valigie all'angolo della parete color tortora. Sopra un mobile di legno vi è un quadro con dei bellissimi girasoli.
Tolgo le scarpe entrando in bagno. Sciacquo la vasca idromassaggio anche se è pulita e la riempio osservando il bellissimo rettangolo piastrellato rosa antico e beige ben arredato. Qui dentro c'è odore di disinfettante.
Recupero il beauty-case versando dentro l'acqua due gocce del mio bagnoschiuma.
La porta cigola mentre tolgo la maglietta attaccata alla pelle.
Mi fermo mentre Kay mi si avvicina. «Anche se sono sfinito, voglio fare un bagno con te. Gli ultimi due giorni siamo stati troppo impegnati a non toccarci e a stare a debita distanza. Sono mesi che non ti sento mia», sussurra sfilandomi la maglietta e poi tirando giù i jeans. Mi toglie persino i calzini e infine le sue labbra iniziano a baciarmi dalla caviglia verso l'interno coscia e quando mi bacia tra le gambe, sul tessuto dell'intimo, mi ritrovo a gemere e ad affondare le dita tra i suoi capelli. Lo tiro in piedi gettandomi tra le sue labbra. Cerco la sua bocca e in breve lui si appropria della mia.
C'è qualcosa di diverso. È famelico, frettoloso.
Staccandomi tolgo i suoi indumenti e quando mi circonda con le braccia mi avvinghio a lui strofinando la punta del naso sul suo. «Mi manchi anche tu», sussurro.
Il suo corpo diventa teso. I muscoli guizzano e tenendomi sollevata entriamo nella vasca.
L'acqua è un po' calda e mi concedo un mugolo attutito dalla sua bocca sempre più urgente. Che diavolo gli prende?
«Voglio stringerti e sentirti contro la mia pelle», mormora sganciandomi il reggiseno.
Quando mi fissa il seno, sento le guance imporporarsi. Sfiora un capezzolo e abbassandosi lo prende tra le labbra guardandomi, eccitandosi quando piego la testa indietro e gemo.
«Non volevi solo fare un bagno?», chiedo con un filo di voce.
Mi abbassa le mutandine affondando la mano tra le mie gambe. «Ho detto che voglio fare un bagno con te, non ho specificato come», risponde con un ghigno vedendomi cedere al suo tocco rude.
Fermo la sua mano e smette. Ansimo baciandolo, ricomponendomi. «Mi stai tentando...»
Sorride perfido. «Vuoi resistere ancora qualche altro mese?»
Annusa il mio collo poi lo morde e le sue dita tornano sul mio intimo. Mi stringo a lui allargando le gambe. «Kay... non così!», mordo le sue labbra mugolando.
Si ferma. Inspira di scatto. «Lasciamelo fare», piagnucola. «Ho bisogno di sentirti tremare al tocco delle mie dita», sussurra.
Bacio le sue labbra negando. «No, non così. Se mi vuoi, adesso... mi prendi tutta.»
Fatico a parlare. Sono accaldata. Non avrei mai immaginato che aspettare così tanto potesse darmi questo senso di frustrazione nel non poterlo avere.
Scivola un po' sotto l'acqua e il cavallo dei suoi boxer, rigonfio, si strofina sui miei slip.
«Inizierò da questo poi continuerò nel letto», dice con occhi lucidi, carichi di lussuria.
Abbasso i suoi boxer e lui li toglie mantenendo il controllo. Tira giù le mie mutandine e le tolgo voltandomi, lasciandomi avvolgere dal suo corpo.
Incastra le gambe ai miei fianchi e la mia schiena aderisce al suo petto.
Preme la guancia sulla mia. «Ti va bene come piano?», mi solleva il mento baciandomi la porzione di pelle vicino all'orecchio prima di mordermi il lobo.
Provo ad aprire le gambe ma le sue le incastrano. Abbandono la testa sulla sua spalla. «Si», dico.
Prendo la sua mano posandola sul mio petto dopo averla baciata. Ascolta il mio cuore. Poi scivola tra le mie gambe.
Gemo aggrappandomi al bordo ma non si ferma. Le sue dita aumentano la pressione e dopo qualche istante lascio uscire un breve urlo di piacere mentre si ferma baciandomi la spalla.
Mi insapono e poi voltandomi faccio lo stesso con lui. Blocca i miei polsi. «Hai un'aria selvaggia. Stai bene?»
Rido passando il soffione con l'acqua calda sulla sua pelle. Lui ricambia e in breve siamo più rilassati.
Ma continuo a controllare quella ruga che ha sulla fronte. Qualcosa lo preoccupa. Non oso turbarlo ulteriormente. Non mi è difficile immaginare la ragione.
Fuori dal bagno mi stendo sul letto. Kay si avvicina gattonando. Mi tira giù, sotto il suo peso.
Ci guardiamo negli occhi. Il frastuono del mio cuore è udibile intorno.
Solleva il bordo dell'asciugamano sfiorandomi le cosce. «Avevamo detto di doverci andare piano», inizia premendo la fronte forte sulla mia. Fatica a parlare. Nei suoi occhi c'è incertezza.
«E ci siamo riusciti. Kay non possiamo trattenerci all'infinito. Tra di noi non c'è solo attrazione. L'abbiamo anche capito. Tutti pensavano che non saremmo arrivati neanche al primo mese insieme e invece guarda quanti ne sono passati. Per te non è una vittoria?»
Provo a slacciare il bordo dell'asciugamano e lui mi blocca il polso sulla testa con una certa forza. «Sicura di volerlo?»
Perché è così distratto? Che cosa c'è che non va?
Mi agito. «Voglio te», sussurro.
Riflette su qualcosa. «Mi dispiace ma c'è un piccolo problema», mi bacia il collo poi sotto l'orecchio.
La mia pelle prende fuoco. «Quale?»
«Abbiamo gettato tutte le protezioni con il nostro voto di castità e non ne abbiamo dietro», mi prende in giro.
Inizialmente lo guardo scettica credendo mi stia prendendo in giro poi però mi rendo conto che è serio e che non intende toccarmi. Mi concedo una risata nervosa sollevando le ginocchia e lui mi ammira abbassandosi, baciando il mio sorriso con tenerezza.
«Mi vorrai ancora?»
Che strana domanda...
Lo spingo e rotola sul piumone prima di stendersi supino sotto le coperte. Attende con impazienza una mia risposta. Mi avvicino lasciandomi circondare dal suo abbraccio. «Si», sussurro. «Più di adesso.»
Sorride. «Meglio», mugugna assopendosi.
Corrugo la fronte e provo anch'io a dormire.
Non dormo mai bene tranne quando sto tra le sue braccia. C'è qualcosa di magico, di intimo nella sua stretta. Qualcosa che mi fa sentire al sicuro e nel posto giusto nonostante la situazione non sia delle migliori. Ma non è questo il caso. Non ce la faccio proprio. Lo osservo cercando di trovare ogni risposta.
Prima era deciso a portarmi qui con lui mentre adesso è nervoso, guardingo e troppo rispettoso.
Mi alzo dal letto togliendomi il suo braccio di dosso e senza fare rumore in camera mi sposto in bagno.
Da giorni mi chiedo come reagirà nel vedermi con i capelli del mio colore naturale. Per l'occasione, visto che tra qualche ora inizieranno i preparativi per il matrimonio del fratello ho acquistato delle tinte per togliermi dai capelli questo bianco pieno di ciocche colorate. Non voglio apparire normale davanti a loro e non lo faccio per farmi accettare. Sento di avere bisogno di un cambiamento.
Davanti allo specchio, osservo per un attimo il mio riflesso prima di decidermi iniziando a mescolare il colore per la base.
Dopo avere asciugato i capelli la prima volta, procedo con le sfumature impiegando pochi minuti e controllando che Kay non si svegli prima che io abbia finito.
Soddisfatta, dopo l'ultimo shampoo avvolgo i capelli con un asciugamano creando un turbante. Faccio una doccia veloce e quando mi sento particolarmente rilassata mi sposto in camera.
La sua valigia attira la mia attenzione. Non so se per la paranoia che qualcosa possa andare storto o altro ma, mi ritrovo a sollevare il coperchio. Frugo un po' tra le sue cose e poi trovo una scatola di protezioni. Lo guardo e rimetto a posto tutto.
Per non riempirmi ulteriormente la testa di cattivi pensieri, mi metto seduta sul divano a leggere un libro con i piedi penzoloni sul bracciolo e la luce tenue dell'alba che filtra dalla finestra. Rileggo più volte la stessa pagina non riuscendo a capire. Perché mentirmi? Avrebbe potuto usare qualsiasi scusa. In fondo, ha iniziato lui.
Non sarà una giornata particolarmente soleggiata ma non c'è la minaccia di pioggia. Dentro di me al contrario sta iniziando una tempesta.
Inumidisco le labbra e con un sospiro chiudo il libro. Non riesco proprio a concentrarmi.
Alzo lo sguardo verso la finestra. La vista è mozzafiato. Recupero il telefono scattando un paio di foto prima di aprire la finestra lasciando entrare l'aria londinese in camera insieme ai primi suoni.
Percepisco un movimento alle mie spalle poi le sue braccia mi avvolgono. «Buongiorno», saluta con voce roca e ancora impastata dal sonno.
Mi giro abbracciandolo. Sono tesa ma se ho lui accanto posso fare qualsiasi cosa. A meno che non stia mentendo. Continuo a ripetermelo mentre escogito il mio piano per fargli fare bella figura al matrimonio e tornare illesa a casa.
Tutti pensano che io sia una che crea guai come lui. Si sbagliano su di noi. Si sbagliano su di me. Non ho intenzione di spingerlo a scegliermi. Voglio solo che faccia le sue scelte secondo coscienza e con il cuore. Lo vedo nei suoi occhi tutto il peso di ogni azione e non posso biasimarlo se non vuole spingersi troppo in là con me, in questo posto.
«Va tutto bene?» solleva il mio mento per guardarmi meglio.
Ha capito che qualcosa mi turba ma non voglio mettergli addosso altra pressione.
«Come hai dormito?», cambio discorso scivolando via dalla sua presa prima di perdermi e fare tardi.
Mi siedo sul divano sollevando la cloche d'argento. «Hai fame?», indico il piatto.
Kay fissa prima me poi la colazione lasciandosi cadere sul divano. «Ho fame», mi guarda intensamente e comprendo il doppio senso ma non lo vedo convinto.
Lo imbocco. «Sei nervoso?»
«Non quanto te», biascica fermandomi quando continuo a imboccarlo facendolo sentire come un bambino.
Mi toglie tutto dalle mani stringendole tra le sue. «Sei gelata», nota. «Perché...»
«Ho lavato le mani prima», mento, uso la prima scusa che mi viene in mente.
Non posso dirgli che so che mi ha mentito.
Fa una smorfia. «C'è qualcosa che devi dirmi?»
E tu? Non hai niente da dirmi?
«Sono incinta», lo prendo in giro.
Mi guarda in modo strano. Batte le palpebre. «Sei... cosa?»
Rido. Mi abbandono quasi istericamente alla risata per togliermi di dosso un po' della tensione accumulata nel corso della notte.
Sentendosi preso in giro mi molla un cuscino in faccia. Lo abbraccio cercando nel suo corpo un po' di conforto, riempendo di piccoli baci il suo collo. «Se reagisci così ad una notizia del genere non fai una bella figura», ridacchio ancora.
Mi spinge sotto il suo peso mordendomi il labbro, lo fa con attenzione, quasi non volesse rompermi. «Stavo già facendo il conto. Non facciamo niente da un po' di tempo e a meno che tu non mi abbia tradito non dovresti esserlo», mi bacia con più pressione sulle labbra. «Inoltre sono molto attento. Non voglio figli.»
Poso due dita per allontanarlo. Questo è un altro segno?
«Non ne vuoi con me o non ne vuoi in generale?»
«Adesso. Non ne voglio adesso.»
Non ha aggiunto che un giorno potrebbe anche volerne, con me.
Notando la mia espressione accigliata si abbassa. «Dimmi quello che pensi», mormora.
Perché è così strano?
«Che in effetti non ti vedo alle prese con pannolini e biberon o pronto a sopportare i pianti isterici di un neonato alle due di notte.»
Arriccia il naso. «No, non ora», ammette.
«E comunque non ti rovinerei mai la carriera», dico giocando con le linee scure dei suoi tatuaggi sul suo petto. Non so perché mi preme farglielo presente. Forse voglio solo ottenere una confessione, qualcosa prima che sia troppo tardi. Anche se ormai è tardi, mi sono innamorata di lui e non posso fare retromarcia.
Inarca un sopracciglio. «Mi stai dicendo che me lo terresti nascosto?»
«Hai lavorato tanto per arrivare dove sei ora», mi sollevo. Improvvisamente ho bisogno di creare un certo distacco tra me e lui. È come se il cervello stesse mandando strani avvertimenti al cuore. Sento fitte fredde, mi fanno paura.
Sorrido. «Che i preparativi abbiano inizio!», esclamo con finto entusiasmo.
Kay, continua a starsene sul divano. Non accenna a muoversi. La mia risposta deve averlo turbato o forse sta capendo che anch'io inizio a comprendere. In cuor mio spero di sbagliarmi, perché se dovesse succedere quello che da mesi immagino, non so se riuscirò mai a riprendermi.
Ho paura. Ho una paura folle di perderlo. O forse, ho paura di perdere una parte di me. So che queste cose a volte bisogna evitare di pensarle ma sembra inevitabile. Perché quando tieni davvero a qualcuno il destino non fa altro che caricarti su un vagone e metterti su un'altra strada.
Non sto solo rischiando. Sto mettendo ogni cosa in gioco. Ho paura di svegliarmi e non riuscire più a sorridere. Perché quando il cuore parte, la mente viene messa a tacere da un lungo battito.
Dopo pochi istanti va a prepararsi sistemando sul letto lo smoking coperto dal cellophane.
Mi sposto in bagno iniziando dal trucco. Asciugo i capelli e indosso l'abito elegante nero. Ha uno scollo sul davanti abbastanza appariscente dato del corpetto pieno di perline luminose, una fascia sull'addome e la gonna fluida lungo le gambe. Indosso un punto luce sul collo, una collana che mi ha regalato mia madre per il mio quindicesimo compleanno e per l'occasione cambio i piercing.
Quando ho finito di agghindarmi, faccio un passo indietro osservandomi allo specchio.
Le labbra rosee e carnose, le lunghe ciglia scurite dal mascara, le palpebre truccate tenuemente, i capelli raccolti.
«Non sembro più io», sussurro girandomi per osservare la schiena nuda.
Sento bussare alla porta e il mio stomaco si contorce. Kay prova ad entrare ma ho chiuso a chiave proprio per non fargli vedere il mio colpo di testa con i capelli e la mia trasformazione scioccante.
«Perché hai chiuso a chiave la porta?»
«Non puoi usare l'altro bagno?», la voce mi esce stridula.
Bussa ancora. «Che succede lì dentro? Prima eri molto strana. Apri.»
Mi guardo ancora poi ripenso alla sua bugia e mi blocco. No. Non mi sento pronta. «Non succede niente. Non voglio deluderti oggi, tutto qua.»
Mi siedo sul bordo della vasca inspirando ed espirando. Sto per avere un attacco di panico, me lo sento.
E se tutto questo fosse uno scherzo? Kay aveva la tendenza ad escogitare qualcosa di cattivo. E se non fosse cambiato? Se l'odio che aveva per me si fosse tramutato in qualcosa di più pericoloso?
Deglutisco a fatica sentendo la pelle sudare freddo.
«Apri questa porta, Erin. Non mi deludi mai, lo sai.»
Mordo il labbro. «Prometti di non ridere e di non prendermi in giro?»
Segue un attimo di silenzio. Questo mi fa quasi impazzire. Quando alla fine parla con un tono dolce, mi rilasso, anche se non del tutto.
«Apri questa porta, cazzo!»
Mi alzo a rallentatore e giro la chiave. Faccio un passo indietro drizzando la schiena.
La porta si apre lentamente. Sollevo gli occhi rimanendo spiazzata e senza fiato. Kay ha la mia stessa reazione.
Lo guardo con attenzione e davanti a me si para l'immagine di un ragazzo meraviglioso nel suo smoking scuro con rifiniture lucide lungo i bordi. Il papillon ancora da allacciare e i capelli scompigliati. Mentre gli occhi, i suoi occhi sono spalancati così come le labbra schiuse in un'espressione buffa. Deglutisce a fatica. Batte le palpebre in fretta e facendo un passo avanti mi prende la mano facendomi uscire dal bagno.
Premendo il palmo sul suo petto ascolto il tuo cuore che batte forte picchiando contro la gabbia toracica. Eppure non riesco a crederci. Continuo a pensare di non dovere essere qui.
Con la mano libera sfiora la guancia poi i capelli ma lo fa come se non volesse rovinare il mio lavoro.
Attendo trattenendo il fiato, i pensieri, le paranoie, la paura.
«Sei... bella. Davvero... bella.»
Sento le guance imporporarsi. Abbasso il viso ma la sua mano me lo impedisce tenendolo ben alzato. Sfuggo al suo sguardo perché potrebbe leggere nel mio ogni angoscia. Mi tremano le ginocchia e il cuore. Lui è uno spettacolo della natura da vedere mentre io mi sento apparentemente piccola e fragile. Sto esponendo troppo la mia anima.
«Anche tu sei bello», sistemo i suoi capelli.
Circonda con un braccio la mia schiena avvicinandomi. Abbassa il viso e il mio corpo prende vita agendo senza controllo. Alzo le punte dei piedi ritrovandomi a metà strada per un bacio lento, eloquente. Ma ci vedo solo l'inizio di una scusa.
«Sei una continua sorpresa, Erin Wilson», sorride sulla mia bocca.
Ho la pelle d'oca e liscio la sua giacca per concentrarmi, per fare attenzione. «E tu sei meraviglioso, Kay Mikaelson», non riesco a smettere di guardarlo e sentirmi fortunata. Allo stesso tempo mi sento presa in giro perché non si sta comportando come al solito. E mi confonde.
«Pronta?»
Nego. «No, però è arrivato il momento di andare.»
Dopo avere lasciato le nostre cose in ordine nella suite, ci dirigiamo con l'auto verso una chiesetta antica di pietra circondata da un ampio prato e da un meraviglioso giardino alle spalle.
Tutti indossano dei cappelli stravaganti di varia forma e colore. Anch'io ne ho uno piccolo, con un velo a coprirmi metà della fronte. Non sono poi cosi impreparata come credono. Mi preoccupa solo l'improvviso cambiamento di Kay. Sta avendo un comportamento strano.
Viene ad aprirmi la portiera aiutandomi a scendere dall'auto e stringendomi forte la mano, avanziamo verso l'entrata dove ci sono già i primi invitati.
«Forse non avrei dovuto convincerti», dice tra i denti con sguardo grave.
Un'altra fitta mi colpisce il cuore. Non posso rispondere al momento. Sono troppo tesa e concentrata a camminare sui tacchi.
Prendo piccoli respiri sentendo gli occhi puntati addosso, soprattutto da parte della sua famiglia quando entriamo nella chiesa gremita di gente e di vetrate colorate. Tanto sfarzo qui dentro, troppo oro in bella mostra. E poi le panche di legno scuro, il tulle bianco intrecciato ai bordi. Rose bianche ovunque. Al centro fino alla navata un tappeto rosso.
Kay si ferma. Osserva la sua famiglia. Tutti in attesa dell'arrivo della sposa. Gira il viso e abbassandosi mi posa un bacio sulla guancia. «Non lasciarmi», sussurra.
Intreccio con maggiore forza le nostre dita. «Tu non dimenticarti di me», replico.
Avanziamo verso la prima fila dove ci sediamo accanto a una coppia di invitati, non con loro. La cosa diventa davvero strana.
Kay non saluta nessuno, non li guarda più in faccia. Continua solo a stringermi la mano e a sussurrarmi di tanto in tanto parole dolci, come per rabbonirmi, per tenermi impegnata o per non darmi il tempo di avere cattivi pensieri su questo viaggio, sulla nostra storia.
La cerimonia ha inizio e la sposa non ha l'aria di una che sprizza allegria da tutti i pori. Ma è davvero bella nel suo abito bianco, semplice e un po' troppo abbottonato.
Qualcosa in una delle damigelle richiama subito la mia attenzione. Sta fissando Kay con occhi trasognanti e di tanto in tanto cerca di attirare la sua attenzione.
È proprio come l'avevo immaginata. Alta, snella, leggermente abbronzata, capelli biondi e sorriso da pubblicità. I suoi occhi scuri fiammeggiano e sembra quasi oscurare la sposa per la sua naturale bellezza.
Mi agito sentendo il peso di ogni loro sguardo su di me. Mi stanno giudicando. Mi stanno facendo sentire di troppo tra loro, tra tutta quanta questa ricchezza. E quando lei mi squadra, ho come la sensazione di esserci cascata.
Kay si abbassa. «Sembri tesa rispetto a prima. Riesci a resistere?»
Lo guardo smarrita. Vorrei tanto negare ma non ci riesco. Devo aiutarlo. Posso farcela. «Mi devi un anello abbastanza costoso per questo, lo sai?»
Il sorriso che mi rivolge potrebbe abbagliare l'intero universo facendo invidia alle stelle. Ma io ci vedo anche l'enorme buio che mi inghiottirà in un colpo.
Trattiene la risata per non disturbare la cerimonia ma suo nonno, suo padre, sua sorella, tutta la sua famiglia ci sta guardando in tralice.
«Pensavo di regalarti anche una cena, facciamo sushi?»
«No, voglio qualcosa di costoso. Per chi mi hai presa?», sto al gioco pur essendo nervosa e sempre più sotto pressione.
«Parigi? Italia?»
«Costoso... mi piace», sorrido guardando lo scambio degli anelli.
Quando mi volto lui mi sta ancora osservando. Liscio la sua giacca. «Anche un cane e una casa andranno bene.»
Morde il labbro nascondendo un sorriso o forse una smorfia. «Preferisco i gatti. Mangiano, dormono e ti ignorano se non gli piaci.»
Nascondo la bocca con la mano. «Vada per il gatto. Dove devo firmare?»
Mi sfiora la guancia. Lo fa come se fossi sua sorella. Un altro segno. «Sai che dopo la cerimonia posso portarti dentro l'ufficio e chiedere al parroco di ufficializzare?»
Arrossisco. «Sei già mio», dico d'impulso. Non so se questo sarà mai vero. Non fino a quando non torneremo insieme a Oakville.
Ci alziamo mentre parte un applauso dopo che il parroco dichiara marito e moglie gli sposi. Kay mi avvicina dandomi un bacio. «È bello sentirtelo dire.»
Apro bocca per capire.
«Kay!»
Theodor si fa avanti insieme alla moglie. Una bellissima donnona dai capelli rossi, dagli occhi verdi accesi e un po' lucidi. Indossa un abito color pavone. Le sta d'incanto nonostante la mole.
«Erin, sei... cambiata. Ti trovo bene», dice baciandomi il dorso della mano.
La donna accanto a lui osserva il nipote poi me e le nostre mani intrecciate. «Figliolo», dice barcollando leggermente. Quando lo abbraccia forte mi arriva una zaffata di profumo e odore inconfondibile di Martini. «Ma guardati... quanto sei cresciuto», stringe le sue guance con affetto poi mi guarda indicandomi. «E questa meraviglia? Dove l'hai tenuta?»
«Nonna, lei è Erin. La mia fidanzata», dice orgoglioso ma allo stesso tempo con un tono rigido.
La donna spalanca gli occhi, poi mi sorride abbracciandomi. «Finalmente ti sei deciso a lasciare quel manico di scopa di Eloise. Da quanto stavate insieme? Era ora!»
Mi irrigidisco. Mi viene persino da piangere. Kay si accorge della mia reazione quando allento la presa sulla sua mano e mi avvicina a sé. «Nonna», la rimbecca. «Ne riparliamo dopo il matrimonio.»
La donna non sembra ascoltarlo. «Che c'è da parlare? Sono felice di vederti sereno e finalmente con qualcuno che ami e non con quella spocchiosa creatura del demonio», ridacchia chiaramente ubriaca. «Nessuno riuscirebbe a stare con lei. Persino tu l'hai lasciata dopo anni.»
Theodor si scusa e più che imbarazzato la porta fuori trascinandola prima che possa aggiungere altro.
«Lasciare... eh?»
Kay contrae la mascella. «Ricordi quello che ti avevo detto? Hanno iniziato a metterti alla prova, Erin.»
Non ci credo. Ho notato come si è irrigidito e ha guardato suo nonno per farla portare via.
«Forse stanno mettendo te alla prova», dico ansiosa di arrivare alla fine di questa giornata.
Mi stringe a sé. «Stammi bene a sentire...»
«Kay, sei tornato!»
Eloise si fa avanti con un sorriso da arpia provando ad abbracciarlo.
Non ha detto "dove eri finito" ma "sei tornato". Queste sue parole mi vorticano dentro la testa come pugnali avvelenati piantati nel petto. Quindi Kay non ha visto la sua famiglia in questi anni ma ha visto lei? Che cosa sono esattamente?
Decisa ormai a scoprire la verità, torno al mio piano iniziale: fingere di essere la sua fidanzata.
Eloise, da vicino non è poi cosi meravigliosa come pensa di essere. Ha solo il viso da arpia.
Accompagnata da altre due damigelle che, a quanto pare sono amiche della sposa infelice che sta sorridendo in modo finto a tutti quanti, si ferma quando si accorge del gesto possessivo di Kay nei miei confronti. Mi ha appena usata per farsi scudo? Che diavolo sta succedendo qui?
Eloise lo guarda come se lo vedesse per la prima volta e tutto si fosse fermato a quell'istante. Ma non appena si accorge di me, cambia atteggiamento. Ogni sua fantasia si è appena infranta. Batte le palpebre. Le lunghe ciglia finte sembrano ali di farfalla in preda agli spasmi. «Non sei solo a quanto vedo...», stringe i denti e le dita intorno ad un foglio. «Le voci erano vere.»
«Come vedi, no. Sono con la mia fidanzata. Adesso dobbiamo andare a congratularci con gli sposi. Con permesso.»
Eloise lo ferma, la mano quasi sul suo petto. «Che cosa significa... che è la tua fidanzata?»
Guarda il suo gesto infastidito ma continua a ritrovarsi nei suoi occhi. Non può farne a meno.
«Quello che ti ho detto», risponde a denti stretti.
Eloise arrossisce. «Sai che non può farlo?», alza il tono come una bambina viziata.
«Non abbiamo mai parlato per più di due minuti. Io non ti conosco e non voglio un matrimonio infelice come quello di mio fratello con la tua amica. Adesso se non ti dispiace vorrei accompagnare la mia fidanzata a conoscere la mia famiglia», brontola spingendomi.
«Non dicevi così quella notte quando ti sei ubriacato o quando ci siamo ritrovati nello sgabuzzino», replica acida. «Devo continuare o sai già di avere torto?»
I miei piedi si muovono a stento sui tacchi. Rischio di cadere sul morbido prato per la spinta continua lungo la schiena da parte di Kay che, intuendo il mio disagio e la mia reazione si sposta subito sul viale. Passa una mano tra i capelli poi ci spostiamo verso il rinfresco dove mi passa un bicchiere di champagne. Lo tracanniamo entrambi in fretta, senza fiatare.
Non so che cosa pensare, che cosa dire. So solo che ancora una volta lui ha mentito. E sono delusa. Forse sono anche infuriata ma non riesco a muovermi. Non riesco a crederci.
«Non è come pensi...», beve un altro bicchiere. Guarda davanti a sé passando la mano sul viso. «Cazzo! Quello che volevo dire è che io e lei non...»
«Kay»
Ad interromperci, per fortuna, è la madre. Ho vaghi ricordi di lei. È una donna bellissima. Capelli corvini, occhi chiari e un fisico da ventenne. Indossa un abito in chiffon e un capello enorme e vistoso.
Kay rimane rigido anche mentre la madre lo stringe tra le braccia. «Non sei più tornato. Prima ho saputo che hai incontrato più volte Eloise», lo guarda con occhi lucidi. Mi piacerebbe essere guardata così anche da mia madre. «Adesso torni e sei distante e... quando pensavi di dirmi che hai anche una nuova fidanzata? Oggi non si fa che parlare di questo. Hai idea di quello che succederà adesso? Avresti dovuto essere sincero almeno con me che sono tua madre.»
Kay, come se si fosse appena ricordato di me, mi indica. «Mamma, ricordi Erin?»
Si volta spalancando gli occhi. «Erin... Erin Wilson? La bambina che tormentavi?»
Kay arrossisce lievemente ma rimane composto. «A quanto pare non eravamo nemici», mi sorride.
Purtroppo sono ancora altrove. Ripenso allo sguardo di quella ragazza, alle occhiate delle amiche e a quelle parole dette con veleno. Non riesco a impedirmi di immaginare lui con Eloise. Le sue mani sul suo corpo e le finte promesse fatte a me.
«È un piacere rivederti e trovarti così grande e bella, Erin. Mi concedi un minuto con mio figlio?»
«Certo», replico a disagio. Lo faccio anche per allontanarlo da me.
Qualcosa non va.
Sciolgo la presa dalla mano di Kay sentendomi sollevata seppur non al sicuro e soggetta a qualche attacco. Lo tengo d'occhio concentrandomi sui particolari della chiesa per aggrapparmi a qualcos'altro che non siano le sue finte promesse.
Vedo Kay circondato dalla sua famiglia. Sbraita persino con il fratello. Mi indicano uno ad uno come se non ci fossi.
Alla fine si allontana da loro. I suoi occhi sono foschi. «Andiamo», ringhia non appena è vicino.
Lo seguo all'auto che ha noleggiato senza dire niente. Sbatte la portiera picchiando un pugno sul volante. «Cazzo!», urla.
Mette in moto cercando di evitare le strade più affollate per tornare in hotel dove si terrà la cena. O forse mi sta riportando in aeroporto, mi dico sempre più irrigidita.
«Che cosa ti hanno detto? Non mi vogliono qui, non mi sopportano o...»
«Non erano rivolte a te quelle urla. Mia nonna ti trova bella e per lei è un modo per approvarti. Lo hanno fatto tutti ma li ho messi in un grosso guaio sparendo per tre anni e ricomparendo come se niente fosse. Per non parlare delle voci che Eloise sta già mettendo in giro. Non le credi, vero?»
Non capisco al volo quello che sta cercando di dirmi. «Il problema qual è?»
«Devo parlare personalmente con il padre di Eloise che è presente e spiegargli perché non sposerò sua figlia. Devo pure dare una giustificazione, ti rendi conto di quello che hanno combinato i miei? Adesso se ne lavano persino le mani», scuote la testa lasciando uscire aria dalle narici.
Batto le palpebre stordita. «C'è dell'altro?»
«Dovrò rinunciare all'eredità davanti a tutti, con un discorso. E dovrò aggiungere che lo faccio per stare con te. Mio padre non approva la nostra relazione. A lui importa solo del denaro. Che si tenga pure tutto, sa che me ne importa!»
Non sento sincere queste parole. Ormai è inutile fingere. Perché continua?
Mi abbraccio. «Kay, non puoi farlo per me», balbetto.
Posteggia. «Lo farò per me. Stasera sarò finalmente libero, in un modo o in un altro.»
Corrugo la fronte sentendomi tramortita da tutto questo. Non riesco proprio a capacitarmi. Kay dovrà rinunciare a tutto per stare con me. Dovrà anche parlare con il padre della sua vera fidanzata dicendogli di avere rotto da anni la promessa fatta dai suoi genitori. Lo rinnegheranno e sarà solo.
«Ehi», prova a sfiorarmi.
Esco fuori. Lui mi segue fin dentro l'hotel. «Vedrai che tra qualche ora sarà tutto finito. Ce ne andremo senza vincoli.»
Mordo l'interno guancia. «Devo venire a conoscenza di qualcos'altro?»
Prova ad abbracciarmi ma l'arrivo dei suoi ci interrompe. «Vado un momento al bagno.»
Lo lascio con suo padre che non si è neanche degnato di avvicinarsi, proprio come la sorella e mi sposto nel sontuoso bagno. Qui mi chiudo nel cubicolo abbassando la tavoletta, pulendola con il rotolo di carta igienica prima di sedermici sopra e quando sento qualcuno entrare porto le ginocchia al petto trattenendo il respiro.
«Avete visto con quanta sfacciataggine lo tiene mano nella mano camminando in mezzo a noi come se fosse della famiglia? Quei due si sono messi d'accordo. Non è possibile che voglia una del genere al suo fianco.»
Inizialmente non comprendo il dialogo poi però mi è tutto più chiaro quando Eloise prosegue.
«L'avete vista? Con quell'abito nero e quell'espressione soddisfatta. Sono rimasta per anni ad aspettarlo, a lasciargli fare quello che voleva, persino andare a letto con altre e lui che cosa fa? Trova la prima ragazzina di campagna e la porta al matrimonio di suo fratello spacciandola per la sua fidanzata. Ridicolo! Inopportuno!»
«Per me è carina.»
«Sta zitta!»
«Per te sono tutte carine. Qui non stiamo parlando di bellezza. Quella stronza mi sta rubando il patrimonio e il ragazzo che conosco da quando lui si è trasferito qui con la famiglia.»
Sento il getto dell'acqua e il freddo addosso.
«Lei non sarà mai come noi. Si vede dal modo in cui cammina che non è adatta. E quell'espressione poi? Pfff, patetica! Quella vuole sono mettere le grinfie sul conto in banca dei Mikaelson. E Kay glielo sta lasciando credere. Voglio proprio vedere quando la lascerà davanti a tutti come reagirà.»
«Che cosa intendi dire?»
«Ho qualcosa in mente per riprendermelo. Stasera», dice decisa. «Non intendo più aspettare e lasciarlo andare a letto con quella. Avete visto che faccia beata durante la cerimonia? Confabulavano, fidatevi. E se lo conosco, quella sarà solo una pedina del suo stupito gioco. Lo faceva sempre. Una volta mi ha persino raccontato che da piccolo torturava una bambina solo per vederla piangere ma questa non gli dava mai alcuna soddisfazione.»
«Ma è orribile!»
«No, non per lui. Ricordate: a lui piace vincere e non si ferma fino a quando non ottiene quello che vuole!»
Stringo i pugni. Vedremo, mi dico. Vedremo. Se è vero tutto questo, Kay me la pagherà cara.
«Rendici partecipi del tuo piano una volta tanto.»
«Kay non sa resistere. Si stanca anche in fretta. Vedrete, cederà e si ricorderà di me, di quello che gli facevo provare.»
Mordo la lingua. La odio. La odio con tutta me stessa. Sto facendo uno sforzo immane per non uscire dal bagno e ringhiarle addosso o strapparle dalla testa quei capelli finti.
«E di lei, che ne facciamo?»
«Quello che facciamo sempre. Ma ci penserà lui a rovinare tutto, vedrete.»
Ridono uscendo dal bagno.
Mi guardo decidendomi ad uscire. Sciacquo i polsi con acqua fredda e più che rigida torno verso la sala.
Kay mi aspetta fuori dal bagno. Mi stringe la mano abbastanza forte ma io non ricambio la stretta. «Hai avuto qualche problema in bagno?»
Perché è così nervoso? È vero?
«No, no. Perché?»
«Ho visto uscire Eloise dal bagno. So che a volte è una stratega arrogante.»
Alzo le spalle. «Non saprei. Non l'ho vista», mento.
Ci spostiamo nell'ampia sala regale. Candelabri antichi di cristallo, il pavimento con disegni intricati, i tavoli con tovaglie bianche e le sedie con fiocchi di seta. Bouquet di fiori ovunque, musica classica. Odore di cibo.
Gli sposi arrivano facendo il loro primo ballo e tra portate e buon champagne le ore passano sotto le occhiate, tra domande e battute di pessimo gusto su di me.
Kay, vedendomi distratta, ad un certo punto mi prende per ballare. Accetto, grata di potermi finalmente staccare dalla sua famiglia anche se non so se riuscirò a farlo anche con lui quando mi deluderà.
Intreccio le dita sulla sua nuca e lui abbassa il viso. «Mi dispiace», sussurra.
Per che cosa? Vorrei tanto chiederglielo ed evitare una forte umiliazione.
Gioco con le sue labbra pensando che potrebbero essere le ultime ore che passeremo insieme. «Aggiungerò un abbonamento al cinema se continuerai così!»
Ride. Ma il suo sorriso non viene dal cuore. Lo abbraccio e lui mi bacia una spalla prima di impadronirsi della mia bocca come se volesse ancora scusarsi con me. «E io aggiungerò molte scatole di protezioni. Ho una voglia matta di prendermi in te e non possiamo.»
Non possiamo...
«Com'è che dicono: l'attesa aumenta il desiderio?»
Arriccia il naso. «L'attesa mi fa solo innervosire e alzare la sbarra», replica. «Soprattutto adesso che ti sei appena strusciata su di me», solleva il viso accaldato.
Rido provando ad allontanarmi. Non voglio più fare parte del suo gioco.
Kay mi tiene stretta a sé. «Eh no, non fare la furba con me.»
Gli getto le braccia al collo con il chiaro intento di abbracciarlo e andarmene. Non avevo previsto che mi avrebbe sollevata cercando le mie labbra. «Dove scappi?»
Quando scivolo via e prova a farmi fare una giravolta per attirarmi a sé, sento come una sferzata fredda su tutto il vestito.
Qualcuno emette uno strano verso e io mi blocco impallidendo nel notare del liquido rosso con dei pezzi di frutta sul mio corpo.
Kay fissa in cagnesco Eloise. Lo fa come per chiederle: "Dovevi proprio?"
Era questo il suo piano? Che lurida... stronza!
«Oh, quanto mi dispiace!», non mi guarda nemmeno ma sorride. Sta solo sfidando lui. Il ragazzo che vuole ad ogni costo.
«No, non ti dispiace affatto», replico acida. «Era il tuo piano sin dall'inizio, no?»
Deglutisce a fatica. «È stato solo un incidente. Sono inciampata.»
«Stronza!»
Scuoto la testa allontanandomi dalla pista e anche da lei prima di metterla al tappeto.
Kay mi segue. Mi fermo notando sua nonna pronta a rubarlo per un ballo. «Mi cambio e scendo subito, ok?»
Non ha il tempo di rispondere. La donna me lo sottrae mentre io prendo l'ascensore per andare in camera dove mi cambierò facendo vedere a quella stupida stronza che non mi intimorisce. Poi me ne andrò da qui, più in fretta che posso. Prima che Kay mi spezzi il cuore.
Dentro il quadrato color oro, mi appoggio allo specchio ed essendo sola, emetto un breve ringhio. Stringo i pugni così forte da solcarmi la pelle con le unghie.
Una volta essere entrata nel bagno della suite, mi osservo allo specchio. Ha fatto proprio un buon lavoro con quell'alcolico rosso che puzza di frutta tropicale.
Tolgo il vestito macchiato poi mi lavo con la spugna e indosso il secondo abito, quello che non avrei mai voluto prendere. Rosso scuro. Intrecciato al collo, la gonna fluida e l'apertura a goccia sul seno.
Sciolgo i capelli legandoli di lato. La mia lunga chioma ringrazia.
Mi guardo un'ultima volta prima di scendere con una certa sicurezza. Ma quando arrivo in sala, quello che vedo non mi piace affatto. Il mio cuore si ferma. Le orecchie mi fischiano. Gli occhi iniziano a bruciarmi.
Kay sta ballando con Eloise. Le si abbassa all'altezza del viso e lei si protende verso di lui. Si sorridono, si stringono. Si baciano.
Ho bisogno di andarmene. L'onda anomala è appena arrivata e mi ha travolta trascinandomi dritta sugli scogli. Ho bisogno di cancellarmi dalla pelle ogni singola illusione, soffocare questo maledettissimo dolore al petto che mi soffoca come fuoco indomabile, che impregna tutto come inchiostro. Ho bisogno di togliermi dagli occhi il ricordo di quello che mi ha trafitto. Di quello che sta facendo contorcere le mie viscere. Lo sconforto nel capire che a breve sarà tutto finito e non per un motivo banale ma per un qualcosa che mi sta facendo molto male. È proprio vero, il destino è come il vento. Non sai mai quando cambierà direzione. E da un momento all'altro tutto va a puttane. Inutile abituarsi.
La gente intorno a me inizia a bisbigliare. Sua nonna tappa la bocca sventolandosi scuotendo ripetutamente la testa.
Tutti si aspettano che io corra da lei a minacciarla, a mettermi in ridicolo. Non lo faccio. Indietreggio sempre più nel panico.
«Dimmi un po', come ci si sente ad essere la seconda scelta?», mi sussurra suo nonno affiancandosi. Fissa il nipote con soddisfazione. «Perché è questo quello che sei per lui», continua. «Non vedi come stanno bene insieme e si completano. Tu sei solo un momento, una distrazione che lui si è concesso. Eloise è il suo unico futuro. Mio nipote sa mentire più che bene, devo ammetterlo. Con te è stato facile. A quanto pare è stato convincente in questi mesi. Portarti qui poi... un grosso azzardo anche per lui.»
Quando Kay si volta, attirato dallo sguardo della folla, dai bisbigli e dalla musica che si interrompe per una pausa e mi vede, spalanca gli occhi bloccandosi.
Come un lampo: mi è tutto più chiaro.
Il brusio incessante delle loro voci mi avvolge diventando soffocante, come un nodo troppo stretto. Sento tutto intorno a me come un eco confuso e non riesco a ignorare le parole, i giudizi. Non cade niente nel silenzio di questa sala. Tutto mi piomba addosso come il dolore che non si ferma di certo di fronte alla delusione.
Scuoto la testa ignorando le parole di Theodor e girando sui tacchi mi allontano più in fretta che posso.
Sento la risatina delle amiche di Eloise. Qualche "che cosa si aspettava?". E poi ancora: "poverina".
Salgo di nuovo in camera e qui preparo la mia valigia come una furia.
Sto per togliere l'abito quando Kay entra in camera sbattendo la porta. «Erin», sussurra affannato slacciandosi il papillon.
Non rispondo. Non voglio sentire le sue stupide scuse. Mi sto solo sentendo sporca dentro e ho bisogno di andarmene da qui, di allontanarmi da lui prima di avere una brutta reazione.
Lo sapevo!
«Erin!»
«Che cosa vuoi?»
Sussulta. I miei occhi bruciano e quasi sicuramente sono rossi.
«Non è...»
Non lo guardo. Mi fa schifo. «Come penso? Già...»
Tolgo l'abito gettandoglielo in faccia. Cade ai suoi piedi e lo guarda incapace di parlarmi.
Mi rivesto indossando una felpa e un paio di jeans. Chiudo la valigia con furia e fretta di lasciare questo posto e questo momento alle spalle.
«Che cosa stai facendo?»
È come se mi avesse appena dato un pugno allo stomaco. Lo guardo furiosa.
«Dimmi, vuoi usarmi ancora? Credi che io non abbia visto come la guardavi o quello che stai facendo? Smettila con questo gioco!», urlo e la voce mi esce così stridula da spezzarmi il cuore.
«Hai avuto tre anni per dire a suo padre che non volevi il fidanzamento con lei, eppure non l'hai mai fatto e te la sei pure scopata dentro uno sgabuzzino. Adesso capisco anche il perché non hai mai affrontato la tua famiglia o me. Non preoccuparti, non dirò a nessuno che sei solo uno stronzo egoista! Un mostro! Penso lo sappiano già che di te non ci si può fidare.»
Non nega. Non ribatte e il mio cuore si spezza prendendo sempre più consapevolezza della realtà.
«Prima era solo un gioco lo ammetto. Non avevo calcolato le conseguenze.»
Mi sta guardando come se tra noi non ci fosse stato mai alcun tipo di legame. Come se non fosse l'artefice di tutto.
Ma come posso credere ancora alle parole di un bugiardo?
Bussano alla porta e va ad aprire. In camera entra Theodor seguito da sua moglie e il padre di Eloise insieme lei. Ci sono quasi tutti.
«Che cosa succede, chi è questa ragazza?», chiede l'uomo.
«Nessuno. Non sono nessuno», replico prendendo la valigia e provando ad uscire dalla porta. «Sono solo la puttana che si è portato a letto per mesi.»
Kay mi sbarra la strada. «Ti devo una spiegazione», mantiene a stento la calma. «Io... io non sono stato del tutto sincero con te. È vero. Ma lasciami spiegare.»
«Che diavolo stai dicendo?», interviene sua nonna. «Hai preso in giro questa bellissima ragazza? È così che ti abbiamo cresciuto? Cristo santo, Kay!»
Theodor l'ammonisce godendosi il momento in disparte, proprio come Eloise.
«Non mi devi più niente perché è finita. Non rinuncerai a niente per me. Non dirai al tuo futuro suocero che non ami sua figlia ma che te la sbatti ovunque e che non la vuoi sposare perché mira ai tuoi soldi. Tu mi hai solo usata e hai giocato, mi hai tirato proprio un bellissimo scherzo alla Kay Mikaelson», sento qualcosa di umido sulle guance, non me ne curo.
«Era questo il tuo intento sin dal primo istante in cui mi hai dato quel maledetto passaggio fingendoti cambiato. Sei spregevole e falso!»
«Lasciami spiegare... io...»
Nego. «È tardi. Hai avuto mesi per farlo. Per dirmi che era un gioco, una scommessa. Invece mi hai convinta...», scuoto nervosa la testa.
«Ecco perché Shannon mi teneva d'occhio. Lui lo sapeva...», singhiozzo. Mi tappo la bocca, incredula. «Tutti lo sapevano...», passo la mano sulla guancia umida. «Che stupida!»
C'è qualcosa che mi impedisce di vedere bene. Si accumula nei miei occhi. Il pianto isterico di una che non lo fa da anni.
«Ecco perché sparivi per settimane con la scusa dell'Università. Ecco perché non mi hai più toccata da quella notte in camera mia quando hai detto di amarmi. Ecco perché hai finto di volerti trattenere e poi questa notte ci hai provato di nuovo. Che cosa speravi di ottenere? Sei un bastardo!»
«Andiamo», Theodor spinge tutti fuori. «Lasciamoli soli.»
Adesso appare sconcertato dal comportamento del nipote. Non lo sapeva? Io l'ho capito in quel fottuto bagno che qualcosa non quadrava. Sono state le parole di quelle galline a mettermi in allarme ma non volevo crederci, non volevo vedere la realtà.
Ero solo uno stupito gioco. Avevano ragione a dirmi di fare attenzione. Invece sono andata a sbattere contro quel muro.
Eloise prova a controbattere ma il padre sconvolto la trascina via mentre lei urla. «Diglielo! Dillo a tutti come sono andate le cose!»
«Erin...»
Stringo il manico del trolley. «No, non hai scuse. Non hai ragioni. Non hai niente da dirmi. Sei solo un animale!»
Prova ad avvicinarsi. Metto la mano avanti. «Non ti odio solo per esserti preso gioco di me. Ti odio per me stessa, odio me stessa per averlo permesso e per non averlo capito in tempo. Odio me stessa per essermi lasciata andare. Odio me stessa per tutto. Sai, fate proprio una bella coppia. Spero ne sia valsa la pena fare il doppio gioco per tutto questo tempo. Spero tu ti sia divertito. Spero che le bugie che mi hai rifilato quando partivi o quando mi facevi una sorpresa non ti divorino dall'interno.»
Apre la bocca. Non voglio sentire niente. «Addio, Kay...», la voce mi si spezza.
«Congratulazioni, hai vinto! Sei riuscito a spezzare finalmente Erin Wilson. Hai un altro trofeo sulla mensola.»
Gli volto le spalle tenendo per me le lacrime che non merita di vedere. Alzo gli occhi al cielo come se questo bastasse a rimandarle giù, a cacciarle di nuovo indietro. Con il cuore frantumato tra le dita faccio un passo dietro l'altro raggiungendo l'ascensore.
«Erin, aspetta!», urla. «Devi lasciare che ti spieghi...»
Mi irrigidisco.
Non è scritto da nessuna parte che bisogna essere come le lame per fare del male a qualcuno che ti ha ferito. A volte può fare più male un petalo caduto sulla pelle come una carezza che una lama conficcata in profondità nel petto. Per questa ragione lo guardo distante pur non vedendolo perché accecata dalle lacrime.
«Non farti più vedere e non avvicinarti mai più a me. È finita. Mi fai schifo! Ti odio ma ti auguro il meglio, davvero!»
Singhiozzo come una bambina mentre le porte dell'ascensore si chiudono e anziché scendere salgo fino al tetto per non essere trovata o fermata e usata per qualche altro gioco.
Mi sento a pezzi. Ma so per certa che il cuore si spacca una sola volta. E anche se lo ricomponi, non torna più come prima.
Mi si scava dentro un vuoto. Ci cado fino in fondo e rimango lì, fino ad abituarmi al buio. Non mi piace questa sensazione ma è la più confortante provata fino a questo istante. E mi sale addosso l'impellente bisogno di mettermi a urlare, di lasciare uscire parole che non sono stata in grado di pronunciare. Perché c'è troppo dolore in ogni cosa che ho vissuto.
Adesso so con certezza com'è desiderare qualcosa che non puoi avere. Chi lo avrebbe mai detto che abbassare le difese sarebbe stato così pericoloso?
Il dolore è forte, lo combatto, ma mi consuma come il fumo di una sigaretta.
Corri, cadi, ti spezzi, ti rialzi ma non hai più la forza di ricominciare. La storia della mia vita. Questa è la storia di come sono ricaduta nel vuoto, nel buio. E adesso non ne uscirò più.
E mi sento così male da rannicchiarmi in un angolo nel tentativo di calmarmi e infine quando tutto passa trascinato via da un'onda, con una certa determinazione, con il cuore rotto, scendo al pian terreno, fermo un taxi e mi faccio accompagnare all'aeroporto.
In questo posto lascio una parte di me. Da qui mi allontano da Londra. Da qui torno a casa. Da qui ricomincio la mia storia.

🖤

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now