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ERIN

Nessuno è preparato all'arrivo dell'amore. Nessuno è pronto a vedere due occhi e a perdercisi dentro. Nessuno è pronto a sentirsi ebbro per il suono di una voce o per la vicinanza di un corpo caldo e forte.
Io non ero pronta. Non mi aspettavo l'arrivo di qualcuno in grado di capovolgere la mia vita, le mie giornate, tutti quei momenti unici e indelebili.
Non mi aspettavo neanche di sentirmi così in ansia e così riluttante nell'avere la consapevolezza di dovere tornare a casa mia dopo qualche giorno passato insieme a Bradley, ancora non del tutto in forma. Non mi aspettavo di riuscire a lasciare un po' andare quel passato per sentirmi rinata, per fare una nuova esperienza.
Sono già in piedi e ai fornelli. Non sono riuscita a dormire, l'ansia mi attanaglia. Credo, in parte, di averlo viziato in ogni modo possibile in questi giorni, anche quando ha fatto i capricci facendomi innervosire. Per me non è stato facile, eppure ancora una volta mi sono adattata. Ci ho messo tanto impegno a farlo sentire amato, in compagnia senza mai fargli pesare in alcun modo quello che ha vissuto.
Bradley, è stato attento, premuroso e dolce nei miei confronti. Mi ha mostrato un altro lato di lui. Un ragazzo con uno spiccato senso dell'umorismo, generoso, gentile, creativo e di compagnia. Non ci siamo annoiati e non siamo rimasti per più di qualche ora qui in casa, evitando quei momenti di passione improvvisi in cui, quasi sempre, uno dei due si è fermato. In realtà non so neanche io perché non abbiamo ceduto. Forse mi sento ancora in diritto di proteggere il mio cuore, ma lui?
Da un lato è stato frustrante, dall'altro ho capito cosa mi piace del nostro rapporto e cosa cerco. Non so ancora se definire la nostra una relazione, ma stare qui con lui, nel suo ambiente, con i suoi animali, mi ha fatto conoscere tanti piccoli aspetti del suo carattere, della sua straordinaria personalità; sfaccettature che non sfoggia mai totalmente in pubblico perché deve mantenere la facciata da eroe, da uomo forte e protettivo.
La gente, dopo i vari articoli e le notizie uscite fuori sulla vicenda tramite il notiziario, ha iniziato a riconoscerlo per strada, a fermarlo. È successo così tante volte da essere stati costretti a spostarci lontano da Seattle per qualche ora. Non è stato facile scappare dai curiosi, dai giornalisti e persino dalle telecamere sempre pronte ad immortalarci anche mentre portavamo a passeggio il cane.
Bradley, ha deciso di rilasciare una piccola intervista alla radio e presto permetterà ad un programma televisivo di fare lo stesso. Questo, per mettere finalmente fine a questa assurda storia e ritornare alla propria vita.
Non ama avere i riflettere su di sé. L'ho visto distante e rigido sotto questo aspetto. Mai pronto a fermarsi davanti a uno di quei giornalisti armati di taccuino o registratore e sempre molto attento a non invischiarmi nei suoi problemi. Mi ha tenuta a debita distanza e al sicuro dalla calca di curiosi che continuano a parlare di lui come se lo conoscessero da una vita. Hanno persino scavato nel suo passato, scovato le sue abitudini. Questo dettaglio sembra preoccuparlo maggiormente e ogni volta che mettiamo piede fuori di casa continua a guardare ovunque per non avere brutte sorprese.
Anche il suo capo sta cercando di aiutarlo ma ad oggi non hanno ancora risolto alcunché. Tutti vogliono un pezzo di Bradley, la sua versione dei fatti e lui, presto metterà fine a tutto questo per potere tornare alla sua vita tranquilla.
Oggi è l'ultimo giorno che passo qui dentro casa sua e la cosa mi mette addosso una certa ansia.
Guardo l'ambiente in cui sto cucinando e sorrido rigirando la pastella per i pancake.
Vivere, passare del tempo insieme a lui, non è stato disastroso come mi aspettavo all'inizio, quando ero restia a seguirlo. Entrambi, abbiamo fatto un tacito accordo in queste giornate passate con il sorriso. L'uno non ha invaso lo spazio dell'altro.
Ci siamo divertiti. Abbiamo fatto la spesa insieme, siamo andati al parco per una passeggiata, a cena fuori e da papà che ha invitato anche lui. E poi ancora da Sammy per una piccola festa che ha organizzato per inaugurare la sua convivenza con Stan, entrambi molto felici.
Con papà è andata bene anzi, più che bene. I due, a tavola, non smettevano un momento di parlare di qualsiasi argomento. Qui ho scoperto un uomo diverso.
Bradley è meraviglioso, una scoperta continua. Non mi aspettavo di conoscere una persona così preparata e così genuina. In realtà non mi aspettavo di potere sentire maggiore per lui il sentimento che tengo dentro e che proprio non riesco a lasciare uscire, per dimostrargli quanto sia importante per me.
Ma non posso lasciarmi coinvolgere completamente. Mi piacerebbe eliminare ogni traccia di tristezza, delusione e dolore causato dal mio passato, per godermi ogni cosa bella, ma sono talmente abituata a vivere nel dolore da non sorprendermi neanche più delle cose cattive che in un attimo possono arrivare. E me le aspetto sempre. Mi aspetto sempre il peggio quando sto bene. Forse è proprio per questo che non riesco ad andare avanti, a mettere un punto, a voltare pagina.
La verità è che ci piace soffrire. È nella nostra natura aspettarci il peggio. La sofferenza, il dolore, ci fanno sentire vivi. Mentre la felicità ci spaventa così tanto da rifiutarla, da lasciarla sfuggire come polvere in balia del vento.
«Ti sei svegliata presto oggi», esclama dall'alto con voce bassa, scendendo piano e a piedi nudi le scale. Allunga il collo facendo qualche movimento rotatorio per sciogliere i muscoli.
La sua voce è un caldo abbraccio nel silenzio e nella tranquillità della stanza.
Aggiungo le gocce di cioccolato alla pastella lanciando uno sguardo alla vetrata. Il sole non è ancora sorto. Fuori c'è un'aria grigia. Una nebbia leggera rende tutto appannato: i palazzi, i lampioni ancora accesi, le auto che di tanto in tanto passano e poi ancora le barche che attraccano e altre che svaniscono in lontananza. Dalla vetrata aperta, entra la lieve brezza fredda dell'alba ormai alle porte. È piacevole sulla pelle.
"Tildo" e "Ness" stanno ancora dormendo mentre il pesce tropicale si sposta da una parte all'altra dell'acquario.
«Anche tu. Torna a letto, ti porto subito la colazione», gli ordino.
Con un mestolo creo sulla padella il primo pancake e attendo qualche minuto prima di girarlo senza farlo rompere.
Bradley scende lo stesso avvicinandosi. Mi circonda con un braccio la pancia e tirandomi indietro, a sé, mi posa un bacio sulla guancia. «Buongiorno», saluta.
Una scena da film, ma che ha un certo impatto su di me. È difficile non cadere in vecchi ricordi quando si comporta in questo modo o fa gesti di un certo tipo.
«Non posso starmene da solo a letto e perdermi la visione di te che cucini per me.»
Poso sul piatto il primo pancake fumante. «Oggi toglierai quel tutore al braccio liberando la spalla e da domani inizierai la terapia. Dovrai seguire una dieta ferrea e non mangerai più dolciumi a colazione. Non sei contento?»
Mi volto tenendo il mestolo pieno di pastella sollevato sulla ciotola.
Bradley si siede sullo sgabello. Gratta sotto il mento. La barba è più lunga ma non ho osato esprimere la mia opinione in merito, perché so che presto andrà da qualche barbiere a sistemarla o lo farà da solo.
Non capisco la sua espressione attuale.
«A dire il vero... no. Sono contento di riavere il braccio e le mani libere, non fraintendermi ma... non posso essere contento senza di te e le tue colazioni abbondanti prima dell'alba. Mi stavo quasi abituando a trovarti qui a fare esperimenti di dolcezza e non credo di essere pronto a trovare la cucina vuota da domani.»
Rimango a dargli le spalle perché non riesco proprio a guardarlo in faccia. Voglio tornare a casa eppure mi sembra di fargli un torto. E come se gli stessi dicendo addio. Una sensazione orribile che inizio anche ad odiare, man mano che si avvicina l'ora X.
Spruzzo lo zucchero a velo, poso due lamponi al centro e poi lascio gocciolare la nutella sul pancake creando delle linee come quelle di un elettrocardiogramma, attualmente seguo il ritmo del mio cuore che non si dà tregua.
Gli passo anche una forchetta e attendo che mangi riempiendogli una tazza di caffè.
Assaggia i pancake. Alzandosi gira intorno al ripiano raggiungendomi. «Siediti qui sopra», sussurra corrucciato di non potermi sollevare da solo.
Faccio come dice e si sistema tra le mie gambe avvicinandomi a sé. «Bene. Adesso facciamo colazione insieme e poi mi spieghi perché sembri sul punto di scappare.»
Sussulto. Dimentico sempre che riesce a capirmi al volo. È così evidente il mio stato d'animo?
Quando avvicina alle mie labbra un pezzo di pancake apro la bocca lasciandomi imboccare e ne approfitta per darmi un bacio. Posa la forchetta e la prendo per imboccarlo a mia volta.
Blocca subito il mio gesto tirando indietro la testa. «So quando cambi umore. Non cercare di sviare il discorso. Che ti succede?»
Riprovo ugualmente posando il pezzo di pancake sulle sue labbra. Lui mangia masticando lentamente, attendendo paziente una mia spiegazione. Stringo le gambe intorno ai suoi fianchi e intreccio le caviglie. «Mangia», faccio l'aereo e si trattiene dal sorridere. Sa che qualcosa non sta andando per come dovrebbe.
Ripulito il piatto lo allontana e posando la mano sulla mia schiena mi preme contro il suo petto. «Che ti succede?», sussurra sfiorandomi il naso con il suo.
«Niente, sono solo un po' ansiosa di tornare a casa. Sentire di nuovo il suo tipico odore, rivedere le mie piante grasse, il mio soggiorno... la mia stanza, "Ness" appollaiato sulla soglia di marmo della finestra a fissare fuori», sorrido ma non mi esce dal cuore.
Perché il pensiero di tornare a casa da un lato mi elettrizza e dall'altro mi spaventa?
Bradley se ne accorge. Si accorge che sono combattuta e fa una smorfia.
«Sai che puoi restare? Non ti caccio fuori solo perché ti sei data un giorno di scadenza. Mi piace averti con me e non a distanza di km. Sai che avrò ancora bisogno di te mentre faccio terapia.»
Mi guarda con occhi da cucciolo ma non mi lascio abbindolare. Provo a scendere dalla superficie e mi blocca. «Non sei costretta, lo sai.»
«Lo so. Ma voglio tornare a casa. E posso sempre aiutarti, non è un problema per me. È solo che... non lo so.»
Sospira annuendo e senza aggiungere altro, staccandosi, sale di nuovo sul soppalco lasciandomi sola e inebetita. Che sta succedendo?
Salgo in fretta di sopra e lo trovo impegnato a mettere in ordine il letto con un solo arto. Mi affretto ad aiutarlo ma non mi guarda neanche in faccia. Non come fa sempre. Quando finisce, posa il cuscino sul letto anziché picchiarmelo addosso come fa di solito insieme a un sorriso e prova ad andarsene. Mi avvicino a lui riuscendo a fermarlo con una mano ben piantata sul suo petto.
Piego la testa di lato sollevando le sopracciglia. «Mi spieghi che c'è?»
Mi guarda come se lo avessi appena colpito in mezzo alla gambe.
Corrugo la fronte. «Ho fatto qualcosa di sbagliato?», oso chiedere.
«Rispondimi ad una domanda», inizia più che nervoso. È permaloso, ho avuto modo di constatarlo. Lo vedo dallo sguardo che è indispettito del mio atteggiamento. Ma sono confusa. Che cosa è cambiato?
«Vuoi andartene perché hai capito di non volere stare con me o perché hai paura di potere stare ancora bene? Preferisci struggerti ancora o vuoi tornare a vivere veramente?»
Mi spiazza questo suo atteggiamento così spietato. Porto i capelli dietro le orecchie percependo il calore depositarsi velocemente sulle guance.
«Credi che non mi sia trovata bene qui? Mi sento come a casa ma ho bisogno delle mie cose, del mio ambiente. Mi manca starmene sul mio divano a guardare la tv o fuori in giardino a piantare i miei fiori preferiti. Non sei tu il problema, Bradley. Sono io che non riesco a staccarmi dal mio nido. L'ho costruito per quasi nove anni. Ho fatto enormi sacrifici per avere tutto come ho sempre desiderato e non posso distruggerlo per vivere altrove la primavera. Non so che cosa ti frulla dentro la testa in questo preciso momento, ma rimani lo stesso importante per me. Quindi no, non voglio struggermi ancora, voglio solo potere tornare a casa senza che tu pensi che io voglia lasciarti.»
Non riuscendo a guardarlo in faccia recupero gli indumenti puliti dal borsone e scappo di sotto, in bagno dove mi chiudo cercando di calmarmi, di placare il senso di rabbia che si è fatto strada di fronte alle domande di Bradley.
Faccio una doccia in breve tempo per non lasciargli poca acqua calda. A quanto pare devono aggiustare la caldaia, ma a nessuno in questo palazzo sembra importare. Cosi, mi sono permessa di chiamare un esperto in riparazioni di questo tipo e arriverà nel pomeriggio. Ho già avvisato con un biglietto tutti gli inquilini di Bradley che vivono ai piani inferiori.
Ferma davanti allo specchio, mi guardo pettinando i capelli. Ciò che vedo mi fa storcere il naso, increspare le labbra. Non sono più io. Sciacquo il viso come se questo potesse aiutarmi, poi metto la crema e passo anche la soluzione per le occhiaie. Una conseguenza delle ore passate a fissare il soffitto e a pensare troppo.
Bradley bussa piano alla porta.
«È aperto», dico spalmando sulle labbra il burro cacao al cocco.
Entra guardandomi un momento facendo su e giù con gli occhi. Senza dire niente, slaccia il tutore stringendo i denti quando prova a sfilarselo dal braccio.
Mi avvicino e lo aiuto. Guarda le dita fasciate muovendole a fatica mentre le mie agiscono ormai abili e delicate.
«Tornerà come prima, vedrai», dico togliendo la benda. Le bruciature e le escoriazioni, sono quasi guarite del tutto.
Mi guarda intensamente. «E tu? Quando tornerai in te?»
Mi blocco. Il sangue affluisce ovunque, soprattutto al cervello. «Sei ingiusto lo sai? Stai facendo i capricci solo perché voglio tornare a casa mia e tu non vuoi lasciarmi andare.»
Stringe i denti contraendo la mascella e il pugno con uno sforzo enorme. Poso la mano su di esso e allenta la presa allontanandosi da me.
«È vero, non voglio!»
«Per quale assurda ragione?», chiedo mettendomi a braccia conserte, appoggiata al lavandino.
Entra nella doccia in boxer. Apre il getto cercando di lavarsi con una sola mano. Non avevo ancora assistito a questa parte della convalescenza di Bradley. Non mi ha mai permesso di entrare nella doccia o nel bagno in generale mentre c'era lui. Forse per non distrarlo o per il semplice fatto che non ama che io lo veda in difficoltà, ferito, fragile.
Fatica ad insaponarsi. Vorrebbe sbloccare il braccio e con un sospiro carico di frustrazione si lascia attraversare dal getto caldo dopo essersi messo sotto il soffione e avere chiuso il pugno contro le piastrelle scure del box doccia per trattenersi. Rimane per qualche minuto sotto la cascata, fino a quando il getto dell'acqua emette uno spruzzo diverso.
Esce gocciolante passano la mano dal viso verso i capelli e gli avvolgo l'accappatoio addosso dopo averglielo tamponato sulla pelle.
Attendo una sua spiegazione o reazione stringendo le dita sul morbido tessuto umido. Il suo odore è penetrante e il suo calore raggiunge la mia pelle in una carezza rilasciandole solo brividi.
Lui fissa le mie mani, le unghie laccate di smalto rosso che spiccano notevolmente per la mia pelle bianca come il latte. Poi il suo sguardo risale lungo il mio corpo coperto dall'asciugamano fino a posarsi nei miei occhi. Mi manca l'aria. Sento un vuoto allo stomaco. È come quando sali sulle montagne russe.
«Non voglio perché ho come l'impressione che non tornerai. Non voglio perché non so che cosa ti passa per la testa. Non mi fai mai capire quello che provi ed è frustrante. Non voglio perché mi fa sentire completo averti qui con me, ma so che non non posso obbligarti. Voglio solo che inizi ad essere sincera con me e a pensare per due. Non puoi comportarti ancora a senso unico.»
Purtroppo le cose che vivi e che ti segnano nel profondo, non fanno altro che cambiarti. Ti rendono freddo, irraggiungibile all'esterno. Mentre l'amore, quando arriva, ti cambia dentro, ti distrugge il cuore. E fa paura.
Non sono mai stata brava a dimostrare alle persone che mi circondano quanto tengo a loro. Anche se ci provo, sembra che non mi importi. In realtà non è affatto così. A me importa, pure tanto. È solo che non so come trasmettere a parole o a gesti tutto quello che provo e sento forte dentro. Ogni tentativo mi sembra inutile. Non è mai abbastanza.
Gli getto le braccia intorno al collo cogliendolo alla sprovvista. Freme guardandomi le labbra ma si trattiene.
«Tu non hai idea di quello che sento per te. Non so come dimostrarlo ma non voglio che questo mio desiderio di ritornare a casa sia un ostacolo per entrambi. Soprattutto per te che non riesci ad accettarlo.»
Preme la fronte sulla mia chiudendo gli occhi. Cerco le sue labbra. «Non ti sto lasciando, Brad. Devo tornare al mio lavoro, a correre la mattina, ad occuparmi del mio giardino. Me ne sto solo andando a casa mia dove potrai venire a trovarmi. Posso anche ospitarti quando vuoi. Era questa la mia proposta iniziale e non cambierà di certo ora che stai un po' meglio.»
Fa una smorfia mentre gli accarezzo il viso. I suoi occhi si fermano nei miei. «Sei sicura?»
Annuisco facendo su e giù con il viso rubandogli un bacio. Lui mi trattiene quando provo ad andarmene. Ci guardiamo ancora negli occhi senza dire niente, sussurrandoci tutto. Ci scambiamo un altro breve bacio poi mi lascia andare ed esco dal bagno spostandomi sul soppalco dove mi vesto e preparo tutte le mie cose cercando di non farmi troppe paranoie sulla sua reazione.
Mi fa davvero piacere che lui abbia il desiderio di vedermi e trovarmi ancora qui domani al suo risveglio, però devo andare. Ho delle scadenze da rispettare, un lavoro che mi aspetta.
Dopo avere sistemato "Ness", adesso con un amico in più, dentro la sua gabbietta, mi sento come se stessi vivendo un qualcosa che mi ha cambiato dentro. La nostalgia mi sta già divorando dall'interno.
Provo così tanto da sentirmi piena.
Metto in ordine tutto quello che trovo fuori posto in casa per tenermi impegnata e quando Bradley mi raggiunge con lo sguardo impenetrabile, saluto "Tildo" con un certo magone e usciamo dall'appartamento.
In auto la tensione è davvero alta. Guido con la schiena dritta e l'attenzione di un falco fino a fermarmi davanti il cancello di casa. Qui lascio "Ness" libero di vagare di nuovo tra le sue cose. Il mio gatto appare scontento di trovarsi da solo ma va ad appollaiarsi alla finestra come se niente fosse.
«Anche tu volevi restare?», chiedo con un breve sospiro.
Si volta guardandomi con i suoi occhi rotondi come biglie e sbadiglia accucciandosi dopo avere miagolato senza voce.
Gli arruffo il pelo e accettandomi che abbia acqua e cibo a disposizione, esco di di casa tornando in auto.
Porto Bradley in ospedale per una visita e per vedere come sta andando il processo di guarigione delle sue ferite.
Durante il viaggio, mi ritrovo più volte a sospirare, a cercare un argomento per fare conversazione con lui ma non trovo niente di importante.
Bradley, come se avesse percepito, mi posa la mano sulla gamba. Lo fa sempre quando siamo in auto e mi piace sentire le sue dita muoversi e disegnare sulla mia pelle. In questo momento però è diverso.
Giro il viso per un istante. Lui guarda davanti a sé. La cosa che più mi preoccupa è quell'espressione letale, distanze che ha assunto. Molto simile al giorno in cui l'ho conosciuto.
«Sei ansioso?»
Finalmente riesco a sciogliere la lingua, a parlare, anche se rimango in ogni caso tesa.
«Si. Spero di risolvere in breve questo problema. Voglio tornare nel mio ambiente di lavoro il prima possibile.»
Aggrotto la fronte. Perché questo repentino cambiamento d'umore?
«Davvero? Non è ancora presto?»
«Se non posso averti in casa, preferisco andare nel mio ufficio. Almeno non mi annoierò e non dovrò stare da solo ad autocommiserarmi o a rimproverarmi per non essere caduto direttamente di testa quel giorno.»
Rallento. Per poco non freno di botto facendomi tamponare da uno stupido automobilista distratto dal cellulare.
«Come puoi dire una cosa del genere? Dovresti avere rispetto per la vita.»
Sospira. Non mi guarda. «Sono stanco anch'io, sai?»
Sussulto. «Non puoi fare certi ragionamenti e non puoi tornare in centrale per lavorare perché non sei ancora al massimo delle tue forze. Non puoi rischiare di peggiorare la situazione.»
Adesso si volta. «E perché non posso?»
«Non sei ancora guarito e hai un braccio fuori uso», esclamo preoccupata al pensiero che possa chiedere al suo capo di tornare e mettersi di nuovo in pericolo.
«Posso sempre occuparmi del lavoro noioso che c'è in ufficio, scrivere verbali, rispondere alle chiamate e tanto altro. Posso persino seguire i miei uomini, dare ordini e guidarli affinché nessuno si faccia male.»
Mi fermo nel parcheggio dell'ospedale. «Non puoi davvero dire questo. Sei appena sopravvissuto ad una bruttissima esplosione e non sei ancora pronto. Non puoi pensare di tornare in campo con una spalla lussata e un braccio fuori uso! Per quanto tu sia preparato non puoi metterti in pericolo in questo modo.»
Guarda davanti a sé. «Non è una decisione che spetta a te. Ho costruito anch'io il mio nido e non posso volare altrove per vivermi una primavera diversa, lontano da casa, che è il posto in cui voglio stare», replica acido aprendo la portiera. «Preferisco andare da solo alla visita. Non ho bisogno di una badante. Passa una buona giornata, Erin.»
Esce fuori sbattendo la portiera ed io lo seguo, irritata dal suo atteggiamento. Lo fermo costringendolo a voltarsi.
«Ti stai comportando da stronzo, lo sai? Stai facendo leva sui miei sentimenti per non lasciarmi andare. Sto solo tornando a casa mia, non sto partendo. Devo lavorare e pagare le ultime tasse. Inoltre ti ricordo che non so ancora che cosa siamo esattamente quindi non puoi pretendere che io assecondi ogni tuo bizzarro capriccio. Non sono tua moglie o la tua ragazza e in ogni caso non mi farei sottomettere lo stesso.»
Appena mi rendo conto di quello che ho detto per concludere il mio discorso, mi sento una stupita.
I suoi lineamenti si induriscono. «Un capriccio? Non sai che cosa siamo? Non sei la mia ragazza? Allora in una settimana non ti ho trasmesso o fatto capire un bel niente. È così?», indietreggia colpito, ferito e risentito. «Che cosa volevi? Una dichiarazione davanti a tutti con uno striscione e la scritta "vuoi metterti con me?" per capire che voglio stare insieme a te... e non come due ragazzini che continuano a rincorrersi ma come due adulti che prendono delle decisioni insieme?», scrolla la testa. «Sei davvero incredibile, Erin.»
«No, non mi aspetto niente di niente! Perché sei così tanto concentrato a tenermi stretta piuttosto che amarmi. Sei così tanto concentrato a fare i capricci da non renderti conto che ho solo bisogno dei miei spazi», urlo. La voce mi si affievolisce dopo avere tremato in maniera grottesca. «Ho bisogno di stare con te ma di avere anche il tempo per me stessa. Perché non è facile!»
«Non è facile neanche per me, credimi. E fattele due domande se ti tengo stretta anziché lasciarti andare come se niente fosse. Davvero non ti rendi conto che ho paura di perderti? Che ho paura di non trovarti perché sei tornata da qualche altra parte dimenticandoti in fretta di me?», esplode a sua volta con voce dura.
Indietreggio. «Non puoi pensare davvero questo di me», replico irrigidita e delusa. «Non puoi pensare che dopo avere dormito nel tuo letto, mangiato nella tua cucina e condiviso il tuo bagno io voglia andare da un'altra parte, con un altro! Non puoi pensare davvero...»
La sua testa oscilla. «Non so più che cosa pensare di te. Forse è perché vedo come ti si illuminano gli occhi quando ti manda un messaggio il tuo amico e invece come inizi ad agitarti quando stai con me. L'amore non dovrebbe metterti paura, Erin. L'amore dovrebbe farti sentire bene e farti dimenticare per un attimo tutta la merda e il dolore che hai dovuto passare. Dovrebbe essere un sollievo.»
Mi sento colpita a fondo. «Tu non mi metti paura», soffio con le guance in fiamme.
«E allora cosa c'è che non va in me? Se ti sto vicino non ti sta bene e se mi allontano mi urli di non farlo. Io non ti capisco! Mi fai ammattire!»
«C'è che non voglio rifare lo stesso errore. C'è che ho la sensazione che non mi stai dicendo tutto quello che c'è da sapere su di te e...»
Mi ferma nell'immediato. Il viso livido, trasformato dalla furia. «Io? Sono io quello che ti tiene nascoste le cose? Ne sei sicura?»
Soffia dal naso distogliendo lo sguardo. «Fa una cosa quando arrivi a casa, nel tuo nido: guardati allo specchio e renditi conto che sei tu a tenere dentro il fatto che sei stata presa in giro da uno stronzo a cui continui a pensare dandogli, dopo anni, il potere di manipolarti anziché passare oltre e dimenticarlo. Sei talmente succube del tuo passato da non accorgerti di ciò che ti passa tra le dita fuggendo via. Non ti accorgi di chi ti ama, già... ma a questo non ci credi perché ti piace credere ancora ai bastardi.»
Apro e richiudo la bocca. I miei occhi si riempiono di lacrime ma non le lascio andare. Non l'ho fatto il giorno dell'incidente, figuriamoci adesso. Se ne stanno solo lì, in bilico. Mi pizzicano le palpebre, appannano tutto.
«Grazie per essere stato tanto sincero quanto spietato, Brad», dico voltandomi. «Adesso so perfettamente quello che pensi davvero su di me.»
Sollevo gli occhi guardando il cielo, gonfiando il petto.
«Prima o poi qualcuno doveva farlo. E visto che nessuno ha ancora avuto le palle di dirti la verità, lo faccio io beccandomi ogni conseguenza. Visto che tu non mi hai ancora detto niente e ne sono venuto a conoscenza tramite terzi, lo faccio io. Visto che non apri il tuo cuore a me, lo faccio lo stesso. Sei solo una ragazzina ancorata al passato e al ragazzo delle superiori che continui ad amare ma che non ti ama perché a quanto pare si è anche sposato. Non eri tu la sua scelta. Non lo sei mai stata. Eri solo una scommessa, Erin. Voleva solo portarti a letto e farti piangere, umiliarti. Ma noto che non ti è servita a niente questa lezione.»
«Vattene al diavolo!»
Mi allontano entrando in auto come una furia. Incapace di trattenermi picchio il pugno contro il volante e avviando il motore torno a casa decisa a mettermi al tappeto con qualcosa di così forte da dimenticare persino chi sono.
Non puoi fare un passo in avanti se sei ancorato nel tuo passato. Quante volte ho sentito dire questa cosa.
Ma è vero. Non è facile lasciare andare quello che è stato, quello che ti ha segnato. È facile trasformare tutto in un ricordo, farlo appassire dentro, per soffrire meno. Non è facile fingere di avere tutto sotto controllo mentre dentro ti stai solo sfaldando. Non è facile avere voglia di urlare e continuare a vivere nel silenzio.
Picchio ancora il palmo sul volante. Sono costretta a fermarmi quando sento di potere avere una crisi isterica.
Mi guardo intorno smarrita. Mi sento persa. Mi sento sola. Ho bisogno di un volto amico per riprendermi. Riavvio l'auto e decido di cambiare strada e andare da Sammy, lei saprà risollevarmi.
La trovo alle prese con una torta nuziale. Il colmo per oggi. La vista mi nausea e non poco.
Mi fa entrare e indossare in fretta il grembiule e i guanti per non contaminare l'ambiente. Mi siedo all'angolo osservandola mentre crea delle onde sul bordo di ogni piano, mentre nell'ultimo, con la sac à poche in mano, delle rose con al centro delle perle commestibili.
«Sembri nervosa, non hai ancora detto niente e i tuoi occhi sono gonfi. Che ti è successo?»
Notando la coppia di sposi di cioccolato su un sacchetto, la sollevo e le do un morso staccando la testa dello sposo. Ne ha già un paio di riserva nella credenza.
Sammy da questo gesto capisce al volo. «È andata così male?»
Continuo a mangiare la statuina di cioccolata masticando con rabbia, trattenendo a stento i singhiozzi. «In questi giorni no, sembravamo in luna di miele. Oggi invece c'è stato il finimondo. Da un momento all'altro è cambiato tutto. Almeno adesso so quello che pensa davvero di me.»
Posa la sac à poche prendendo una forchetta con cui forma dei disegni sulla superficie del secondo piano della torta. «Racconta.»
L'aria è impregnata dell'odore di pasta di zucchero e glassa alla vaniglia. Il mio stomaco si contorce e la nausea sale.
«Non c'è molto da dire. A Bradley non è andato a genio il fatto che ho deciso di tornare a casa. Mi ha persino minacciata a livello psicologico e affettivo dicendomi che allora se ne tornerà lavorare in centrale. Come se questo potesse fermarmi. E poi... ciliegina sulla torta: ha detto che non vivrò mai nel presente perché amo ancora quel bastardo. Ha persino saputo che si è sposato.»
Sammy smette per un momento di lavorare sulla torta. Mi toglie gli ultimi pezzi di cioccolata per mangiarli al posto mio.
«Shannon me la pagherà per questo. Non avrebbe dovuto lasciarselo scappare!»
Sammy riflette un momento sulla situazione. «E tu che hai fatto quando ti ha detto queste cose?»
«L'ho mandato a quel paese. Volevo tornare a casa ma sono venuta qui perché altrimenti sarebbe finita male per me. Dio, ho proprio bisogno di togliermi dalla testa tutto quanto.»
Apre il frigo frugando dentro per qualche minuto. Alla fine prende una bottiglia e versa in due calici il vino rosso, corposo e apparentemente delicato.
Continuo a fissare la torta immaginandolo il giorno del matrimonio. Un anno e mezzo dopo avermi umiliata. È stato facile per lui dire di sì ad un'altra. Perché io non ci sono ancora riuscita?
Mi volto smarrita. Sammy posa il telefono. «Se ti consola, io ho discusso aspramente con Stan perché ha lavato gli indumenti colorati insieme senza mettere il foglio acchiappa colori. Ti dico solo questo perché come sono usciti dalla lavatrice i miei vestiti puoi immaginarlo.»
«La vostra prima lite domestica?», emetto un verso di dolcezza abbracciando la mia amica che sbuffa facendomi tornare il sorriso con i suoi drammi. «Come si è fatto perdonare?»
«Da cosa lo hai capito?», mi fissa circospetta.
«Non stai parlando male di lui. Non stai creando nuovi dolci. Non stai dando di matto o cercando un modo per fargliela pagare... vuoi che continui?»
Fa tintinnare il bicchiere con il mio per brindare. «Agli uomini complicati», inizia. «E alle donne che aumentano le complicazioni», aggiungo con un sospiro bevendo un sorso generoso di vino.
«Perché non gli hai ancora detto quelle due semplici parole?»
«Io non sono brava in queste cose. Non sono brava nei rapporti sociali o nelle relazioni. Non ho avuto un buon esempio e delle belle esperienze. Capisci?»
«Lo so. Ma perché non provarci. Perché non dirgli chiaramente che lo ami anche se ti senti un disastro?»
«Perché correre troppo non fa per me. Prima ho capito di avere sbagliato. Per tutto questo tempo non ho fatto altro che scappare dalla verità. Forse ho ancora un conto in sospeso, per questo non riesco proprio a lasciarmi andare del tutto. Penso di dovere chiudere davvero una porta per riuscire ad aprire un portone.»
Sammy, mi mette sotto il naso una fetta di torta al cioccolato. «Correre non fa per te o non fa per la parte di te che ha ancora paura?»
Mando giù il resto del vino. «Per entrambe. E non ci penserei un secondo a scegliere Bradley di fronte al mio passato. Devo solo affrontarlo e rendermi conto di essere stata vittima di un gioco. Ha ragione quando pensa di me tutte quelle cose.»
Sammy si siede accanto a me versandoci altro vino. «Davvero?»
Confermo con un cenno e la bocca piena di torta. «Sono stata bene insieme a lui. Non potevo chiedere di meglio. Questi giorni sono volati e oggi io... mi sono sentita come se stessi strappando una pagina del mio libro preferito per tenere dentro la tasca il pezzo che mi ha fatto battere di più il cuore, per tenerlo con me e rileggerlo quando sento di averne più bisogno. Capisci?»
Sammy va a chiudere il negozio. «Allora perché non glielo hai detto in questo modo? Perché continui ad ossessionarti e ad avere paura? Pensi che quel bastardo potrebbe tornare e darti la rivincita?»
«Perché con lui non ci riesco. Non posso e non voglio deluderlo. Mi conosco e creo sempre qualche strano casino o attiro i guai come una calamita», trangugio tutto il vino.
Lecco le labbra passandoci sopra il dorso della mano. «Ho paura di scoprire che Bradley ha una ragazza e di essere presa in giro un'altra volta. È questo che mi frena. Il dovermi ritrovare di nuovo in quella situazione. Quindi da un lato mi piacerebbe lanciarmi tra le sue braccia mentre dall'altro mi frena il pensiero di una nuova delusione.»
Sammy conosce bene il mio stato d'animo su questo argomento. Non sa ancora i dettagli e forse è arrivato il momento di spiegargli qualcosa.
«Che cosa è successo davvero quel giorno?»
Riviverlo è doloroso. Troppo. Posso farlo? Posso dare vita a tutto quanto per una volta?
«Era così bello che non ho neanche fatto caso ai molteplici segnali che mi aveva mandato settimane prima di quel dannato giorno. Lui era convincente, parecchio. Mi sono lasciata andare troppo, mi sono sciolta completamente credendo di potere vivere qualcosa di unico. Alla fine ho accettato il fatto che stessimo insieme e mi ha trascinata ad un matrimonio. Quello del fratello. Non quello di un amico ma del fratello, cazzo. C'erano proprio tutti, anche lei... la sua ragazza. Come dimenticarla? Eloise. Avevo una brutta sensazione quel giorno. Lo vedevo teso e prima dell'alba frugando nel suo borsone avevo trovato quel dannato pacco di protezioni. Lui mi aveva detto di non averne... ma questo non è importante. Non voglio pensare alle sue luride mani addosso in quel bagno. Dopo la cerimonia ci siamo spostati in hotel per il ricevimento. Nel bagno delle ragazze ho sentito i discorsi di Eloise insieme alle sue amiche. Ho avuto modo di conoscerla in chiesa, ma ho continuato lo stesso ad assecondarlo perché ci speravo in un cambiamento da parte sua. Poi, durante un ballo, gelosa, mi ha gettato addosso un cocktail alla frutta. Sono andata a cambiarmi e quando sono tornata con un abito pulito e un ampio sorriso in sala, il mondo mi è crollato addosso. Lui la stava tenendo stretta e la stava baciando, davanti a tutti. Dopo che aveva portato me e baciato me a quello stupito matrimonio. Non mi sono mai sentita tanto ridicola, sporca dentro e tradita.»
Bevo un altro bicchiere fino a svuotarlo.
Sammy non riesce a dire niente. È impietrita. Allora continuo.
«Sono salita in camera per non dare spettacolo, anche se ormai tutti avevano assistito. Ho fatto le valigie e stavo per andarmene quando lui è arrivato. Non riusciva a parlarmi. Io al contrario urlavo come una pazza cercando di non esplodere del tutto. Lui... continuava a dirmi che non avevo capito, che poteva spiegarmi ma avevo solo voglia di vomitare e piangere. C'erano proprio tutti in quella stanza. Alla fine non ho resistito, mi sono spezzata davanti a lui. Gli ho fatto vincere quella dannata scommessa. Voleva vedermi piangere da così tanto tempo...», scuoto la testa vedendo tutto sbiadito. «Sapevi che da piccola mi ha rovinato il compleanno?»
Batto le palpebre. «Il dolore era troppo forte e sapevo che mi avrebbe seguita per continuare con la sua parte del ragazzo costretto a stare con una persona che non amava. Così, sono scappata sul terrazzo e mi sono scaricata del tutto. Alla fine me ne sono andata da Londra e non ho più parlato di quel giorno.»
Mi volto. C'è un certo silenzio. Sammy tiene in mano il telefono. Accorgendosi della mia espressione cerca di premere un tasto arrossendo. Glielo strappo dalle mani e mi rendo conto che c'è una chiamata in corso. Riconosco il suo numero e guardo con rimprovero la mia amica.
Riaggancio iniziando a respirare a fatica.
Mi piacerebbe poter dire che ci si abitua prima o poi ad essere delusi dalle persone che si amano. Purtroppo, quando una persona ti ferisce e lo fa senza rendersi conto del sangue che stavi già versando, a te non rimane altro che premere sullo squarcio e andare via. Perché per quanto spesso arrivano le delusioni nella tua vita, non ti abitui mai alla sensazione terribile che sei costretto a provare. Non ti abitui di certo all'ennesima pugnalata che arriva dritta al cuore.
«Erin, posso spiegare. Io... volevo solo...»
«Volevi solo che cosa? Pugnalarmi alle spalle? Non avresti dovuto...», mi agito. «Come hai potuto?»
«Erin...»
«Non toccarmi!», dico disgustata quando prova a posarmi una mano sulla spalla. «Vattene a fanculo! Io mi fidavo di te!», urlo strappandomi di dosso il grembiule, raccogliendo le mie cose.
Prova a fermarmi ma la spingo con rabbia. «Non cercarmi mai più e non seguirmi, stronza!»

🖤

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now