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ERIN

Non sono riuscita a chiudere occhio. Tutto quello che è successo mi ha destabilizzata e non poco. Il weekend è arrivato e non ho programmi particolari per questa giornata. L'unica cosa che devo fare è passare da mio padre in ospedale per pranzare con lui.
Inoltre, ne approfitterò per farmi medicare la ferita. Da sola non ci riesco. Questa mattina è stata una gran fatica non bagnare il cerotto mentre facevo la doccia dopo la mia solita corsa dell'alba.
Nel corso degli anni passati mi sono ripromessa di vivere alla giornata, senza programmi a lungo termine. Ho preso tutto quello che la vita, giorno dopo giorno, aveva da offrirmi e non mi sono mai arresa, mai sentita piccola o insignificante. Ho attraversato una tempesta e ne sono uscita cambiata pur rimanendo me stessa.
Raggiungo l'ospedale posteggiando nella parte laterale, accanto all'auto di mio padre. Poi usando il pass per entrare supero i controlli di routine, arrivo all'entrata sorpassando anche la reception senza chiedere a nessuno indicazioni. Ormai so dove andare, so orientarmi e in breve sono davanti la porta del suo ufficio socchiusa, dove sbirciando lo trovo impegnato in una conversazione al telefono.
Busso una sola volta alla porta per annunciare la mia presenza e lui alzando gli occhi dalla cartella che tiene davanti, mi sorride facendomi cenno con la mano di entrare e sedermi. Termina in breve la chiamata con una serie di "ok", "va bene" e alzandosi dalla poltrona girevole viene ad abbracciarmi.
Stringo i denti quando per errore mi sfiora la ferita, ma si accorge subito che ho qualcosa sulla spalla. Si intravede dalla maglietta.
Nel trambusto ieri non gliene ho parlato quando abbiamo parlato al telefono. Non volevo allarmarlo. Lo conosco e dopo l'ultima volta, quella di otto anni fa, è stata dura vivere sotto la sua protezione e con il fiato sul collo da parte di tutti.
«Non dirmi che uno di quei bambini ti ha colpita con le forbici», brontola.
Stupita del fatto che mio padre non sappia nulla di ciò che è successo, lo faccio sedere e glielo racconto rubando qualche minuto del suo tempo per parlargli di qualcosa che non sa, che non poteva prevedere e di cui non ha colpa. So già che ne parlerà con mia nonna. I due hanno recuperato i rapporti. Anche mamma sembra più tranquilla adesso che con Harvey ha superato il settimo anno di storia d'amore e le avversità del divorzio con mio padre.
Diversa rispetto alle solite risposte, papà si lascia cadere sulla poltrona color crema accanto a me. «Hai ringraziato quel ragazzo come si deve, spero. Mio Dio, Erin, io... non so che cosa dire.»
«È stato strano anche per me, papà. Mi ha persino offerto qualcosa in pasticceria perché ha notato che stavo evitando tutti. Era davvero immerso nel suo lavoro quell'uomo. Mi ha ricordato tanto te, della passione che metti e di come non esiti un istante. Era come in quei film... pazzesco.»
Lui sorride. «Dovrei essere preoccupato ma sono felice che tu stia bene e che qualcosa ha finalmente attirato la tua attenzione distogliendoti da tutto il resto. Adesso andiamo nel mio ambulatorio e vediamo in che stato è la ferita e se quell'uomo ha fatto davvero bene il suo lavoro.»
Mentre camminiamo fianco a fianco lungo il corridoio dalle pareti bianco latte, con le luci al neon che emettono uno strano ronzio, noto papà un po' distratto. Non lo vedo così da tempo. Qualcosa non va. Lo sento e so di non sbagliarmi. È sfuggente e sta evitando di parlarmi.
«Che succede? Se non puoi pranzare con me dopo lo capisco...»
Sta già negando e il mio stomaco si contrae mentre nella mia mente si parano molteplici immagini, una più orribile dell'altra. Sta per darmi una brutta notizia? I miei nonni stanno bene? La mamma? Harvey?
Passa la mano sulla barba. «No, è solo che...»
Lo guardo indietreggiando ed entro nel suo ambulatorio senza aspettarlo. Non appena mi volto mi blocco impallidendo e il mio sorriso di sollievo lentamente si spegne come il sole sul punto di collassare dietro le montagne. Il mio cuore smette di battere, sento forte una dolorosa contrazione in grado di propagarsi come un'onda anomala su tutto il mio corpo. Poso la mano sul petto sentendo il respiro risucchiarsi via dai miei polmoni e la gola restringersi come se avessi un cappio al collo. Una sensazione che non provavo da tanto tempo ma che mi annienta in un istante.
Ansimo e dalla bocca mi sfugge un rantolo quando si volta nel medesimo istante in cui il mio cuore accelera, troppo, impennandosi come un cavallo imbizzarrito e ci fissiamo entrambi increduli, incapaci di muoverci.
«Erin?»
La sua voce è come un fischio prolungato, una stilettata al petto.
Scuoto la testa indietreggiando mentre lui solleva le labbra in un ampio sorriso. Non riesco a ricambiarlo perché mi guardo intorno come se dovessi scovare insieme a lui il suo compagno che mi ha rovinato uno dei momenti più importanti della mia vita facendomi sentire stupida. Mi giro intorno smarrita, incapace di parlare o dire qualcosa.
Non so che cosa fare. Per la prima volta in otto anni non so come reagire, che cosa dire, come comportarmi. So solo che è come ritrovare di nuovo nel petto un vecchio pugnale estratto tempo addietro e che mi ha causato una brutta ferita.
«Erin...», papà prova a parlare, a giustificarsi.
Metto una mano davanti, quasi a tappargli la bocca, evito di guardarlo mentre i miei occhi stanno già imprimendo l'immagine dell'uomo che ho davanti riempendosi di ricordi e di tutte le lacrime che non ho più versato congelandole dentro, facendo sì che indurissero il mio cuore, la mia anima rotta e ferita nell'orgoglio.
«Erin, lasciami parl...»
«Ho bisogno di un momento», faccio il segno con l'indice prima di scappare dall'ambulatorio.
Corro lungo il corridoio ignorando la voce di mio padre che prova a seguirmi. Scendo al piano di sotto prendendo le scale di emergenza e poi mi fiondo verso le porte che conducono sul retro dove si trova il parcheggio.
Cammino a passo agitato. Non guardo dove sto andando, tantomeno dove metto i piedi. So solo che un attimo prima sono in piedi e quello dopo mi ritrovo a terra. Un dolore forte mi si propaga sulla schiena partendo dal sedere. Non mi capacito come sia potuto accadere. Batto le palpebre confusa emettendo un breve verso di sorpresa misto a dolore. Alzo lo sguardo per scusarmi o per mettermi a sbraitare contro l'idiota che non mi ha evitato e quando i miei occhi si sollevano a rilento partendo dalle gambe slanciate coperte dai jeans chiari, proseguendo sulle spalle possenti sotto una maglietta di cotone bianca che lascia intravedere ogni forma dei suoi muscoli sodi fino a raggiungere il viso, mi irrigidisco maggiormente.
Perché tutte a me? Perché proprio oggi?
«E tu che ci fai qui? Mi stai seguendo?», esclama con arroganza porgendomi la sua mano dopo avere messo il telefono nella tasca posteriore dei jeans. I suoi gesti sono sempre in netto contrasto alle parole, allo sguardo.
Poso insicura la mia sulla sua e dandomi la spinta sulle gambe mi sollevo. Traballo ma riesco a rimanere in piedi pur percependo dentro una forte scossa in grado di farmi sentire in alto mare.
«Grazie», provo a ricompormi ma sono così agitata da non riuscire a stare ferma. Mi sento un disastro. Sto persino tremando. Ho solo voglia di scappare, di trovare un posto e nascondermi per sempre.
L'uomo che ho davanti a me, attende una mia risposta standosene con la mia mano nella sua. Ha il palmo grande, una cicatrice bianca appena visibile si nasconde sotto il mio palmo che aderisce bene al suo.
Non appena mi rendo conto del gesto che nessuno dei due ha ancora ritirato, drizzo la schiena irrigidendomi e staccandomi ficco le mani dietro la schiena torturandomi le dita che stanno formicolando ormai da diversi minuti.
Ha le mani morbide, la presa forte e delicata allo stesso tempo.
«In realtà penso sia un caso. Non sto seguendo nessuno. Sono qui da mio padre. Non credo lo sai, ma gestisce questo posto», dico senza una ragione ben precisa provando a non balbettare e gesticolando nervosamente. «È il direttore nonché medico della struttura.»
Mi guarda in quel modo, fisso e senza mai smettere e il suo profumo mi fa dimenticare per qualche istante la ragione della mia improvvisa fuga. È un odore più che intenso oggi e non c'è quel misto di fumo e sudore che ho percepito la prima volta. Non mi dispiace, anzi, mi fa andare fuori di testa, mi confonde.
Evito di perdermi troppo in stupidi dettagli facendo la figura della stupida. «Tu... che cosa ci fai da queste parti? Ti sei fatto male?»
«No, io sto bene. Sono qui per mia nonna. L'ho accompagnata due ore fa per le solite visite di routine e adesso sono di ritorno per riportarla a casa. Anche se prima penso che la porterò a pranzo e a prendere un gelato. In una giornata così soleggiata è sempre una buona idea uscire un po' di casa», guarda l'orologio poi l'entrata. «Penso sia meglio che vada prima che inizi a chiamarmi», indica la porta con il pollice e il telefono pescandolo dalla tasca posteriore.
Mi faccio subito da parte rendendomi conto di avere trattenuto il fiato. Sto persino pensato che sia adorabile quello che fa per sua nonna.
Che diavolo mi sta succedendo? Perché mi mette una strana sensazione addosso?
«Allora buona giornata e buon gelato», dico guardandomi le punte dei piedi.
Rimane un momento di troppo sulla stessa posizione poi fa un passo avanti anziché allontanarsi. «Ho ancora qualche istante. Ne approfitto per chiederti il tuo nome. Ieri non ne ho avuto l'occasione», dice indietreggiando con le mani dentro le tasche dei jeans.
Guardarlo mi sembra sbagliato eppure continuo a farlo. Non riesco a smettere.
«Sono Erin Wilson», replico avviandomi all'auto.
«Bradley Connor», detto ciò si allontana senza aggiungere altro. L'espressione serena stampata in volto. Fischietta persino e trovo anche questo dettaglio insolito oltre che curioso. Deve essere una persona serena e senza pensieri.
Lo guardo sparire all'interno della struttura e mi sento meno tesa rispetto a prima.
Dandomi subito un contegno, per non perdere la dignità e ripensando alla ragione per la quale sono scappata qui al piano di sotto, raggiungo la mia auto. Appoggiandomi allo sportello alzo il viso verso il cielo osservando le due uniche nuvole che si stanno spostando altrove.
«Che cosa devo fare?», sussurro. «Entrare e comportarmi da adulta o mandare tutto all'aria per una paura, un rancore che mi porto da otto anni addosso?»
Inspiro ed espiro stringendo i pugni sugli occhi. Inspiro ed espiro e poi scrollando la testa decido di affrontare la persona che si trova qui in ospedale ed entro di nuovo raggiungendo mio padre al piano superiore dove mi aspetta fuori dalla porta più che impaziente. «Sei più calma adesso?»
Mi fermo a qualche metro da lui. Non sono arrabbiata. Mi sento delusa. «In realtà no. Perché non me l'hai detto?», sbraito.
Appare dispiaciuto. «È arrivato ieri. Ha superato il colloquio e il suo curriculum è impeccabile. Non volevo dirtelo tramite telefono perché non saresti più uscita di casa.»
«E hai pensato di farmi pugnalare dritta al petto direttamente da lui», storco le labbra delusa dal suo comportamento.
Nega. «Sai che non è così e sai che quel ragazzo ci tiene a te. L'hai tenuto a lungo lontano da qui, da te. Per anni ha continuato a cercarti, a chiederti di rivedervi e tu hai usato solo delle scuse. Cosa che adesso non potrai fare. Penso sia anche un bene per te, per entrambi. Non puoi vivere per sempre nella paura, Erin.»
Sospiro. «Già...», incrocio le braccia. «A te sembra tutto più facile così. Per me non lo è. Non è stato facile svegliarmi per anni a causa degli incubi prima di trovare una serenità, un motivo per andare avanti. Non è stato facile tenerlo lontano e con la paura che potesse rivelare a qualcuno dove mi trovo.»
«Lui non è la causa!»
«È suo amico! Vederlo mi fa ripensare subito a lui. Sono passati otto anni e... Cristo, non posso credere di avere mandato all'aria tutto il lavoro in un solo minuto. Avresti dovuto avvisarmi, prepararmi a questo.»
Sentiamo una voce schiarirsi. Mi giro e Shannon si morde il labbro facendo un passo avanti dietro l'altro.
Prima ancora che io possa anche solo avere una reazione, mi avvolge tra le sue braccia avvicinandomi a sé. All'inizio non reagisco poi picchio un pugno sul suo petto e continuo così fino a stancarmi. Alla fine gli affondo la guancia premendola sull'addome chiudendo gli occhi. Lui mi bacia la testa rimanendo così per qualche minuto.
Il mio cuore sembra un insieme di massi che crollano. Picchia sullo sterno facendosi sentire, vivo, forte, ferito.
«Non volevo destabilizzarti e non sapevo che tuo padre fosse il nuovo direttore di questa struttura. Quando ho fatto domanda di assunzione non ho fatto attenzione ai nomi presenti nell'elenco. Mi sono lanciato senza paracadute perché avevo bisogno di un cambiamento. Ero stanco di lavorare in un ambulatorio di campagna dove non succedeva mai niente a parte qualche gamba rotta, spalla lussata e punti di sutura da mettere. Ero stanco di molte cose a dire il vero. Io... dovevo allontanarmi.»
Non so perché ma sentire la sua voce bassa e baritonale, dopo tanto tempo, mi agita dentro suscitandomi un'emozione che non ho più sentito dopo essermi chiusa in me stessa.
«Scusami, sto blaterando», mormora. «Erin, è stato difficile anche per me. E... cazzo, sei davvero bella!»
Alzo il viso premendo il mento sul suo petto, incastrando i miei occhi nei suoi scuri e pieni di rimpianti, soprattutto di rammarico e tristezza per me.
Di colpo mi ricordo. «Il tuo divorzio...», balbetto sentendomi una persona orribile per la reazione appena avuta. Provo a staccarmi ma non me lo permette.
«Quattro di cinque anni sufficienti a farmi riconsiderare la convivenza, il fidanzamento eterno con qualcuno o la vita da single come unica alternativa quando stai con qualcuno. È stato un calvario vivere con mia... con la mia ex moglie. Mi rendeva tutto difficile e alla fine sai quello che ha fatto.»
Quattro anni fa, Shannon ha deciso di sposarsi con una ragazza. Una giovane senza ambizioni dal punto di vista lavorativo. Era una storia, in apparenza, seria. La prima dopo avere capito che con me non avrebbe fatto passi avanti oltre ad un'amicizia. Inoltre, la lontananza non giocava a nostro favore e io non avrei mai e poi mai considerato la possibilità di vederlo come qualcos'altro se non un amico a cui voglio tanto bene.
Shannon, ha conosciuto la sua ex moglie cinque anni fa durante un lavoro in uno studio di una piccola cittadina. Un anno di conoscenza e fidanzamento per volere della stessa e della sua famiglia "all'antica", emozionata ad infilarsi un anello al dito prima dei suoi venticinque anni.
A Shannon lo dicevamo tutti di non lanciarsi a capofitto in questa storia, che era avventato e che lei gli avrebbe causato qualche problema. Alla fine ci è cascato. Lei voleva solo una vita da regina e lui non poteva offrirle altro che il suo amore e qualche enorme sacrificio per regalarle tutto quello che desiderava. Insoddisfatta e sola, quando lui era impegnato al lavoro, circa due anni fa, ha iniziato a tradirlo con il loro vicino di casa. Quando Shannon ha scoperto il tradimento, un anno fa, non ci ha impiegato un solo istante a lasciarla e a sbandierare ai suoi genitori quello che la figlia gli aveva fatto. Da lì è come ripartita la sua vita. Ha vissuto un momento di sconforto. Ecco perché ha detto che ha sentito l'esigenza di un cambiamento.
«Mi dispiace», sono sopraffatta ma continuo a starmene tra le sue braccia.
La nostra amicizia si è svolta tramite lunghe e-mail, messaggi, chiamate e qualche incontro sporadico. Ma da quando si è sposato ho troncato definitivamente questa concessione perché la sua ex moglie non era proprio a posto con la testa. Ma questo non l'ho mai apertamente ammesso a Shannon. Anche se credo che adesso lui sappia con esattezza ogni cosa su di lei.
In realtà è anche successo qualcos'altro di cui da una parte non vado molto fiera e da allora ho deciso di allentare un po' il tutto. Questo fino ad oggi.
Mi sfiora una guancia. «Anche a me non averti dato ascolto e avere buttato nel cesso cinque anni in cui avrei potuto essere felice anche da solo, piuttosto che infelice con una squilibrata e godermi quello che già avevo anziché perderlo del tutto. Il bello è che mi controllava il telefono, quando uscivo invece era lei a tradirmi», scuote la testa.
Mi sfugge un sorriso. «Lo hai ammesso finalmente», mi rilasso.
Non so perché ma pur pensando che la sua presenza sia negativa per la mia psiche, averlo vicino mi fa sentire meno persa.
Con il pollice mi sfiora il labbro inferiore guardandolo intensamente. So l'effetto che gli faccio e ho promesso a me stessa che non avrei più sbagliato con lui.
«Mi sei mancata, tanto», sussurra abbassandosi.
Mordo il labbro sentendo il groppo in gola stringersi. «Anche tu e i tuoi lunghi abbracci.»
Notandolo si stacca con il viso rosso. «Scusa, è che vederti mi fa uno strano effetto. Sono felice di averti incontrata e so quanto sia difficile per te avermi qui ma non voglio turbare la tua tranquillità in alcun modo. Me ne starò qui a fare il lavoro che ho scelto e se ti andrà ci vedremo qualche volta per un pranzo o una cena. Magari per spettegolare un po'.»
Mi ricompongo prendendo un lungo respiro. «Si, va bene. Scusami. Vederti mi ha destabilizzata. Avrei dovuto starti accanto, invece sono stata egoista.»
Mi guardo intorno accorgendomi che mio padre si è dileguato. Apprezza molto Shannon. Ha iniziato a trattarlo come parte della nostra famiglia e presumo sia stato lui ad accettare la candidatura.
Adesso però mi domando se lo ha anche fatto per farmi sciogliere, per farmi sentire qualcosa.
«Lasciamoci tutto alle spalle. Dimmi un po', perché sei qui?»
Indico la mia spalla con una smorfia. «Non hai visto la tv?»
Sta rispondendo di no. «Avrei dovuto?»
Entro nella stanza togliendomi dal corridoio quando noto delle persone.
Shannon chiude la porta mentre mi siedo sul lettino coperto da uno strato di carta sfilandomi la maglietta dalla testa.
Con lui non provo imbarazzo, nonostante i trascorsi. Vedo il modo in cui mi guarda ma so che non mi farebbe mai niente.
Ci siamo baciati una volta e a lungo, per il suo matrimonio, ed è stato imbarazzante oltre che pericoloso. Eravamo ubriachi, ci siamo ritrovati in quel dannato bagno in cui io cercavo di riprendermi dopo il discorso fatto dalla damigella che aveva provocato in me qualcosa di triste e incontrollato e lui cercandomi, intuendo quello a cui stavo pensando, trovandomi seduta sul ripiano di marmo tra il lavandino e il muro, ha iniziato a confortarmi. Abbiamo parlato tanto e alla fine è scattato qualcosa ma da quel giorno non abbiamo più fatto niente di avventato o distruttivo per la nostra amicizia. Abbiamo capito entrambi che non ne vale la pena.
Lui sta pensando alla stessa cosa. Lo guardo da sotto le ciglia per cogliere il messaggio. I minuti passano e alla fine scoppiamo a ridere.
«Si, stavo pensando la stessa cosa. Ancora oggi odio lo champagne e forse anche un po' me stesso per non essere riuscito a trattenermi.»
Arriccio il naso. «Non farmici pensare. Mi sale la nausea al pensiero di tutto quell'alcol in circolo, di quello che ho detto. E comunque hai tradito anche tu tua moglie, seppur con un bacio dato alla testimone», gli faccio notare con un sorrisetto perfido.
Odiavo quella stronza. Si fingeva tutta innocente ma aveva qualcosa da nascondere. Come quando subito dopo avere ricevuto le carte del divorzio gli ha annunciato di essere incinta. Ha persino avanzato l'idea che la bambina era sua. Ma Shannon sapeva quando era stata l'ultima volta che erano andati a letto insieme e quei momenti si potevano contare sulle dita di una mano. Ha comunque preteso il test di paternità e lei non si è fatta più vedere.
Ghigna. «Già. Mi dispiace ancora per averti afferrata e baciata in quel modo. Nonostante ciò non me ne pento. Abbiamo capito entrambi molte cose da quel bacio.»
Provo ad alzare la spalla ma mi esce una smorfia. «Non ho disdegnato il bacio anche se poi mi sono sentita uno schifo e non sono per il dopo sbronza», ammetto.
Annuisce cambiando in fretta atteggiamento. Parlare del giorno del matrimonio o degli ultimi cinque anni lo mette a dura prova.
«Allora, che cosa hai combinato questa volta?»
Tolgo il cerotto mostrandogli il taglio. Lui lo osserva. «Quanto è grave? Mi sono trovata a terra dopo che una bombola è esplosa in aria e un pompiere mi ha fatto da scudo con il suo corpo. A terra c'erano cocci di vetro e mi sono ferita.»
«Però... non sei cambiata affatto!», ride.
Lo spingo. «Puoi evitare di commentare e dirmi se non è infetta e se guarirà senza lasciare traccia?»
Controlla sfiorandola con le dita coperte dai guanti che indossa teatralmente facendomi ridere. «No, si sta cicatrizzando bene. Forse ti rimarrà un piccolo segno. Quindi non mi racconterai niente?»
Nego alzando il mento. «No, accendi la tv o cerca su internet. Oppure chiedi di 'Marge' a Samantha.»
Shannon, conosce tutti i dettagli della mia nuova vita. Del laboratorio della mia amica, delle nostre sventure e avventure. Nelle nostre lunghe e-mail ci raccontavamo tutto quanto. Samantha e mio padre sono venuti con me al suo matrimonio. Quel giorno c'erano quasi tutti. Tranne la persona a cui ho smesso di pensare imponendo a me stessa di dover essere felice altrove.
Spalanca gli occhi. «Non dirmi che è...»
Annuisco. «Dovrai fare le condoglianze a Samantha quando la vedi», dico infilandomi di nuovo la maglietta dopo che ha disinfettato la ferita mettendoci un cerotto pulito sopra.
Scendo dal letto e lui mi prende la mano come se volesse fermarmi. «Puoi pranzare con me? So che tuo padre sarà impegnato...»
Adesso è tutto più chiaro. In un lampo vedo ogni cosa in maniera nitida. «Sei un fottuto bastardo!»
Sorride raggiante. «Non avresti accettato.»
«Odio le sorprese», sospiro, metto il finto broncio e lui mi avvicina strappandomi una risata.
«Lo so. Ma avrò il tempo per farmi perdonare e questa volta non ti bacerò, promesso.»
Usciamo dall'ambulatorio fianco a fianco scendendo nella bellissima mensa dell'ospedale. Una delle zone più luminose e movimentate.
Prendo un vassoio con un piatto di spaghetti e Shannon fa lo stesso indicandomi un tavolo in fondo dove ci sediamo l'una davanti all'altro.
«Novità? Hai trovato finalmente qualcuno con cui andare a letto? Mi sembri tesa.»
Mando giù a stento il boccone. Tossicchio. «Che cosa? No, certo che no. Non potrei mai tradirti!», esclamo sarcastica.
Mi spinge. «Guarda che poi ci credo», sta al gioco.
Pulisco gli angoli della bocca bevendo un sorso d'acqua. «Non ho ancora trovato nessuno.»
Soppesa il mio sguardo poi guarda qualcosa in fondo alla sala ma non posso voltarmi. Sento di non doverlo fare, chissà per quale strana ragione.
L'essere paranoica non mi è mai passato e forse mai mi passerà.
«Da quanto tempo?»
Arrossisco. Lui sorride poi distoglie in fretta l'attenzione concentrandosi sugli spaghetti. «A scuola come te la passi?»
Arriccio il naso. «Ho troppi vestiti dentro l'armadio», dico avvilita.
«Non hai provato a trovare un altro posto?»
Nego. «Mi piace il personale e ormai conosco i bambini. Si è creato un legame di fiducia tra di noi. Non voglio trovarmi in un altro posto e dovere ricominciare tutto un'altra volta.»
Chiacchieriamo per il resto dell'ora prendendo anche la frutta e un dolcetto al limone. Ridiamo, ci prendiamo in giro e chiariamo qualche malinteso.
Dopo pranzo ci avviamo fuori dalla mensa. Shannon guarda il telefono. «Tuo padre ha bisogno di me», dice mostrandomi lo schermo.
«Va a salvare il mondo!»
Ride. «E tu passa il weekend senza pensieri. Divertiti e prenditi una sbronza. Finisci a letto con uno sconosciuto e poi vergognati.»
Gli mollo una spallata. «Tu non affaticarti troppo. Hai già fatto colpo sul capo e non hai più bisogno di dimostrare niente», lo stuzzico.
Mi guarda male. «Ehi, è tutta opera mia e del mio sudore. Di queste mani che in otto anni hanno medicato tante persone.»
Rido. Mi era mancato questo nostro scambio. «Lo so. Ma è bello stuzzicarti.»
Prova ad abbracciarmi, questa volta mi scanso pur sorridendo. C'è qualcuno ad osservarmi. L'ho visto con la coda dell'occhio. Mi volto nella sua direzione e se ne sta fuori da una stanza, appoggiato al muro con le mani dentro le tasche. Staccandosi dalla parete mi viene in contro.
Shannon lo squadra da capo a piedi. Gli mollo una gomitata sul fianco per farlo smettere di ringhiare. So quanto è possessivo e geloso nei miei confronti.
Bradley avanza senza guardarlo. I suoi occhi chiari sono su di me. Mi fanno sentire un po' in difetto.
«Prima non ti ho chiesto come va la spalla e la ferita.»
Per istinto la guardo sfiorando il tessuto con le dita, percependo il cerotto a coprire il taglio. «Hai fatto un buon lavoro sul marciapiede», replico sentendomi stupida. Sorrido timida. Guardo subito Shannon che a sua volta sta scrutando come un falco Bradley. Lui adesso ricambia. È come se si fosse accorto di Shannon soltanto ora.
«Erin, lui sarebbe il tizio che ti ha salvata?», chiede indicandolo.
Annuisco. «Shannon, lui è Bradley Connor.»
Shannon gli porge subito la mano stringendogliela, mandandogli un messaggio silenzioso. «Grazie per averla salvata. È preziosa per noi.»
Bradley stringe la presa a sua volta, affatto intimorito. Mi piace questa sua forza, la spietata sensazione che mi provoca. «Non ne dubito. Ho solo fatto il mio lavoro ed Erin era in pericolo. Dovevo salvarla. Inoltre, non appena l'ho vista mi sono avvicinato perché volevo sapere se quel taglio sarebbe guarito.»
«Si, guarirà. Hai fatto un buon lavoro.»
Bradley adesso mi guarda con una strana luce negli occhi. «Bene, sono soddisfatto», solleva l'angolo del labbro.
Sulle mie guance sento un lieve e piacevole calore. «Adesso puoi dormire sogni tranquilli», esclamo.
«Non ne dubito. Adesso devo andare. Ciao, Erin.»
Alzo la mano. «Ciao, Bradley. Grazie ancora.»
Lo guardo entrare nella stanza e quando mi volto Shannon mi sta scrutando con attenzione, stando a braccia conserte.
«Che c'è?»
«Non dovrei dirlo ma quel tizio ha del potenziale. È proprio il tuo tipo», replica, come Samantha.
Sbuffo. «Ma che diavolo è questa storia del "mio tipo"?»
Non capisce così mi affretto a spiegare. «Anche Sammy me lo ha detto quando lo ha visto. Che cos'è questa storia?»
Alza le spalle. «Ho solo notato lo scambio di sguardi e percepito... come dire... una certa tensione.»
Arrossisco. «Tu sei fuori. Non ci siamo guardati come pensi. Non devi raggiungere mio padre?»
Come se si fosse appena ricordato dell'impegno scatta verso il corridoio poi torna indietro abbracciandomi, sollevandomi da terra e baciandomi le guance. «Prenditi una sbronza e scopa», strizzandomi l'occhio si allontana.
«Sei un bastardo!»
Ride riempendo il corridoio con la sua risata alta e spensierata.
Scuoto la testa uscendo dall'ospedale con un caos inimmaginabile in testa.
In auto, ho bisogno di un lungo istante per riprendermi. Rivedere Shannon non è solo stato strano. Mi ha riportato alla memoria momenti passati e parole taciute a lungo. Non gli ho mai fatto alcuna domanda su di lui. Non perché non fossi curiosa ma per preservare un po' di me, del mio cuore. Lui non ha mai preso l'argomento sulla persona che nessuno ha più nominato in mia presenza. Non era neanche presente per il suo matrimonio il che è stata una grande fortuna.
Senza rendermene conto sto già chiamando Sammy. Ho bisogno della mia amica, della sua spontaneità, dei suoi consigli e anche dei suoi rimproveri.
«Sei ancora viva... ieri sei scappata», brontola passando subito al dunque.
Mi farò perdonare. Ci riesco sempre. «Non hai idea di chi si è trasferito a Seattle», dico agitandomi, sganciando così la notizia.
Inserisco la cintura poi metto le cuffie per parlare tranquilla con la mia amica.
«Cosa? Chi? Quando?», strilla.
«Shannon è qui. Lavorerà con mio padre.»
Silenzio dall'altra parte mentre io ritorno a casa. Ho bisogno di una doccia fredda e di calmarmi. Sto ancora tremando e non solo dall'emozione ma anche per il momento di incontro tra quei due.
«Cazzo! Com'è stato? Com'è andata?»
A Samantha ho parlato di lui, della nostra amicizia. Non ho neanche nascosto il nostro bacio e lei, presente al matrimonio, non ha mai smesso di farmene una colpa. Quando poi lo ha conosciuto un po' meglio tramite qualche incontro o per le e-mail che le ho fatto leggere, selezionando le più importanti, lo ha accettato. Purtroppo non è mai andata oltre la semplice conoscenza.
In qualche modo Sammy ha il suo modo di selezionare le persone che meritano la sua attenzione. Vede Shannon come l'amico di uno che mi ha spezzato il cuore, per una ragione che lei non conosce ancora, pertanto non merita la sua totale attenzione.
Adoro questo suo lato protettivo ma a volte mi mette addosso una brutta ansia perché ho paura di deluderla. So che devo decidere da sola chi voglio nella mia vita ma il suo giudizio è importante.
«È stato... strano.»
«Tutto qua? Non vi siete chiusi da qualche parte a pomiciare come due scopamici? Niente porcherie? Avete almeno usato una protezione?»
Mordo la guancia mettendo la freccia, fermandomi dopo un paio di metri ad un semaforo con le guance in fiamme.
«Sammy!»
«Che c'è? Che cosa ho detto di male?», biascica assaggiando qualcosa prima di dare alcuni ordini su come cambiare l'acidità ad un dolce. «Voglio solo sapere com'è stato, tutto qua.»
«Sai che con lui non è successo quello che pensi. Da quando te l'ho raccontato non fai altro che accusarmi. Ma te lo ripeterò fino alla fine, in quel bagno ci siamo solo baciati, non siamo andati oltre e poi non ci siamo più visti per un po'.»
Emette qualche verso. «Ma adesso è tornato...», lascia intendere i suoi pensieri.
«Hai così poca fiducia in me?», chiedo, offesa.
«Quando si tratta di Shannon? Si. Ho visto come ti guarda e so quello che prova per te. Ho anche letto quello che ti ha scritto. Si è sposato e dopo avere detto di sì ti ha praticamente portata a letto con gli occhi per tutta la durata della cerimonia e poi ha ficcato la sua lingua dentro la tua bocca usando la carta dell'ubriachezza. Eri scossa quando sei uscita da quel bagno e ti sei comportata in modo strano per giorni fino a quando non mi hai confessato tutto. E non hai neanche disdegnato. Quindi scusami se non mi fido di lui o di te quando si tratta di lui.»
Il suo discorso stringe ogni nodo dentro il mio cuore. Passo la mano tra i capelli. «Che cosa dovrei fare secondo te? Continuare ad ignorarlo? È un mio amico. Abbiamo sbagliato. E allora? Anche a te è capitato di baciare un uomo sposato o di finirci a letto. Non sei meglio di me. Sammy, lui c'è stato per me e mi ha... mi ha salvata quella notte quando quel maniaco stava per violentarmi.»
Sammy non replica. Sa a cosa mi riferisco e sa quanto sia doloroso per me parlarne. Sospira. «Ok, adesso è tornato. Che cosa succederà? Vi vedrete ogni giorno?»
Sto negando come se potesse vedermi. Spengo l'auto lasciandola sul vialetto di pietra. Chiudo la portiera e a passo spedito entro in casa tenendo il telefono tra la spalla e l'orecchio.
Ness mi gira intorno miagolando, strusciandosi tra le mie gambe. Lo prendo in braccio arruffandogli il pelo morbido, baciandogli la testa mentre protende le zampe sul mio viso come per ricambiare le mie coccole.
«No, ci vedremo di tanto in tanto e nel frattempo io continuerò a vivere come voglio. È qui per lavoro.»
Urla qualcosa a qualcuno. «Poi? Che altro è successo? So che c'è dell'altro che ti turba.»
Sorrido. Le voglio troppo bene. Mi capisce al volo. «Ho incontrato il pompiere a cui hai chiesto se era single.»
Ride forte. Sento che aziona l'impastatrice. «Davvero? E che ci faceva in ospedale?»
«Era con sua nonna. Mi ha chiesto il mio nome nel parcheggio. Poi mi ha visto con Shannon e si è avvicinato chiedendomi per la ferita. Dovevi vederli faccia a faccia.»
Urla facendomi sussultare. «Oh mio Dio!»
Allontano le cuffie lasciando libero Ness.
Spostandomi in bagno, riempio la vasca posando il telefono sul ripiano del mobile basso accanto. Recupero un bicchiere di vino e spogliandomi entro nella vasca piena di acqua e schiuma rilassandomi.
La voce della mia amica rimbomba nelle pareti. «Racconta!»
«I due si guardavano in maniera inquietante. Si sono stretti la mano scambiando qualche parola poi Bradley è andato via e Shannon mi ha detto le tue stesse parole», corrugo la fronte.
«Che Bradley è il tuo tipo?»
Sbuffo sprofondando sotto la superficie dell'acqua per un istante. Quando riemergo, Sammy sta ridendo divertita. «Se lo dice lui che ti conosce più di me...»
Mi irrigidisco. «Non credo sia il caso di costruire un castello per niente. È stato solo gentile a chiedermi se sto bene. In ogni caso non lo rivedrò più.»
Sammy tossicchia. «Si, credi a questa stronzata. Passiamo a qualcosa di serio, che ne dici di uscire questa sera? Ho bisogno di divertirmi e so già dove andare.»
Accetto più che lieta e ci mettiamo d'accordo per le nove.
«Vedrai, ci divertiremo!»
E io non ho alcun dubbio sul significato delle sue parole.

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now