65

3.2K 159 88
                                    


ERIN

Il viaggio verso la villa dei Mikaelson a Oakville non è dei migliori e dura una vita, tra curve, strade umide e boschi a circondarci sempre più fitti. A tratti la luce sembra sparire insieme al mio respiro, che trattengo sempre di più.
L'ansia, mi attanaglia ad ogni km che superiamo su un'auto dai vetri oscurati mandata proprio dalla famiglia che mi ha rovinato la vita. Kay, non ha ascoltato minimamente la mia richiesta, non ha accettato il mio racconto e il senso di colpa che deve provare dopo quello che gli ho detto. In parte però, so perché lo ha fatto. Ha avuto paura che io potessi tirarmi indietro e andarmene. In questo modo, mandando un'auto a prenderci, si è assicurato che tutto fili liscio.
Non c'è proprio limite al potere dei Mikaelson. Proprio per questo, non riesco a non agitarmi, specie quando scorgo il tetto della villa tra gli alberi che la circondano e, ho la certezza di essere quasi arrivata nella tana del lupo, quello pronto a sbranarmi.
La villa, non si trova poi così distante dalla casa di campagna isolata e in cui andavo ad accettare la mia perdita, a riflettere, a fissare il vuoto, ad ascoltare il silenzio. Riconosco il sentiero e, per un nano secondo mi sento meno a disagio, nonostante l'ansia stia mettendo alla prova la mia capacità di razionalizzare tutto.
Enorme la struttura esterna. Maestosa e vistosa, anche se ad impatto si nota che non è abitata di frequente, la villa si erge in aperta campagna, non molto distante dal paesino, in una zona coperta dal verde delle foreste.
Trovarmi qui, mi fa ripensare subito alla ragione per cui siamo in questo posto. Mi fa ripiombare nel presente e sentire a disagio nella mia stessa pelle.
Rivedere Theodor non mi spaventa quanto il pensiero che possa rivangare il passato. È quella la cosa che mi preoccupa davvero. Non voglio rivivere ognuno di quei momenti, è già fin troppo difficile per me essere qui.
Se sono venuta, in parte, è per scoprire che cosa abbia in mente di fare dopo anni passati, fatti di lontananza e silenzio. Io e lui, non ci siamo più tenuti in contatto, non che ci tenessi particolarmente a parlare ancora con un individuo del genere. In realtà, non so come reagirò quando ci ritroveremo faccia a faccia, so solo che sono tesa più di una corda e sono sul punto di spezzarmi in un respiro. Ma, spero di reggere il peso, di essere abbastanza forte da uscirne illesa.
Bradley mi stringe la mano quando usciamo dall'auto fermandoci davanti il cancello. In contemporanea, arriva Shannon. Senza dire niente, dopo essere sceso con disinvoltura ed essersi avvicinato, mi allontana da Bradley e mi abbraccia. Non posso fare a meno di stringermi a lui e sentirmi meno persa, meno sola.
«Non ho più dormito dopo quello che mi hai detto, stronza!», brontola staccandosi dall'abbraccio, dando una pacca amichevole sulla spalla a Bradley. Ci chiede di caricare in auto i nostri bagagli perché questa giornata sarà lunga e non torneremo a casa prima di domani.
La cosa mi agita.
Io e Bradley rimaniamo un po' indietro mentre Shannon preme il campanello facendo un passo in avanti e poi sgusciando dal cancello che si apre lentamente, troppo per i nostri standard.
La villa si trova a qualche metro di distanza dal sentiero pieno di pietre e muschio su cui camminiamo. Ai lati, un prato che avrebbe tanto bisogno di essere curato. Così come l'edera, gli alberi appesantiti dai rami che si spingono verso il cielo e le piante. Le mura della villa sono di un bianco sporco. È divisa in tre aree specifiche. C'è anche quella che dovrebbe essere una stalla.
«Perché ti ha preso per stronza?»
Bradley disturba il mio giro di ricongiunzione.
«Abbiamo parlato al telefono e gli ho detto quello che mi è successo tempo fa», indico il ventre con una smorfia tornando ad osservare il posto in cui mi trovo, a pochi passi dalla famiglia che ci ha convocati senza una connessione, forse solo per capriccio. Perché i Mikaelson sono così, fanno sempre qualcosa per il loro tornaconto.
«Lui non lo sapeva?»
Bradley non nasconde la sorpresa nel tono di voce.
«Avevo sepolto questa cosa prima di incontrarti e pensare un po' a quello che potrebbe essere il futuro», ammetto abbozzando un lieve sorriso, sentendomi male per lui, per quello che ci toccherà affrontare se non sarò in grado, un giorno, di renderlo felice colmando quello che stiamo costruendo con una nuova vita. Questa storia inizia a spaventarmi così tanto da sentire i crampi allo stomaco.
I tacchi che indosso rischiano inoltre di farmi scivolare o slogare una caviglia a causa dei pensieri che continuano a vorticare dentro la mia testa, distraendomi dai reali problemi che a breve dovrò affrontare, ma li porto con disinvoltura insieme ad un turbino blu scuro con dei motivi floreali. Ho raccolto i capelli e mi sono anche truccata per l'occasione. Ho l'aspetto da donna, diverso dalla ragazzina di diciassette anni che loro ricordano, e la cosa non mi dispiace. Voglio proprio vedere le loro reazioni al nostro arrivo. Voglio fargli conoscere Bradley che, come sempre è pazzesco. Pantaloni blu, camicia bianca e giacca elegante con colletto e polsini di un colore più scuro. I capelli chiari, pieni di sfumature in ordine, quell'orologio al polso, le vene in evidenza da capogiro e il profumo che emana, in grado di tranquillizzarmi.
Anche Shannon si è vestito elegante per l'occasione. Lo becco a guardarmi le gambe e distoglie lo sguardo grattandosi il mento con un sorrisetto.
Bradley se ne accorge e gli scocca un'occhiataccia. «La stai guardando troppo», sibila, incapace di trattenersi oltre.
Lo sento e gli mollo un colpetto. Mi afferra la mano portandola alle labbra. «Non mi piace condividere», sibila circondandomi il fondoschiena con un braccio per avvicinarmi a sé.
Mi fermo posando una mano sul suo petto. «E a me non piace la gelosia», non riesco a non sorridere.
Bradley abbassa il viso. «Pinocchio era un pezzo di legno», mi sussurra.
«Ed era un maschio quindi un bugiardo», rispondo facendogli la linguaccia e lui mi afferra per il mento rubandomi un bacio. «Alla fine capisce di avere sbagliato e diventa un bambino vero», mi sussurra.
Shannon schiarendosi la gola ci richiama e lo raggiungiamo mentre l'enorme portone si apre.
Ad accoglierci, Kay. I suoi occhi sono già su di me, sulla mia mano stretta in quella di Bradley che continua a guardarsi intorno curioso, affatto a disagio. Dimentico spesso che appartiene a questo ambiente, anche se si è allontanato dalla sua famiglia, ne ha fatto parte per anni.
«Benvenuti», ci saluta un po' nervoso. «Vi stavamo aspettando.»
Shannon gli dà una pacca sulla spalla mentre io entro con disinvoltura ignorandolo quando prova a salutarmi.
Mi guardo indietro. «Mio padre?»
«Sono tutti in soggiorno», ci avvisa dirigendosi verso la stanza sulla sinistra dove sparisce.
Le mura sono bianche e coperte da enormi quadri antichi circondati da spesse cornici d'oro. Il resto: colonne, vasi e fiori appassiti. In alto, qualche filo di ragnatele e polvere.
Shannon si ferma dietro la porta chiusa, si volta e mi lancia uno sguardo complice. Annuisco facendogli cenno di fare strada. E, quando mi ritrovo anch'io davanti alla porta in mogano con rifiniture in oro usurate dal tempo, sfioro le sue dita proprio come sta già facendo lui con le mie, mentre Bradley mi stringe a sé dandomi forza, quella necessaria per affrontare chiunque si trovi dietro questa porta.
Gonfio il petto. «Ok, uno scatto secco», dico.
Shannon solleva l'angolo del labbro. «Come un cerotto?»
Annuisco. «Come un cerotto.»
Shannon non se lo fa ripetere e per non perdere altro tempo prezioso, spalanca la porta entrando. Noi lo seguiamo a ruota, ritrovandoci in una stanza ampia e piena di persone che al nostro arrivo fanno silenzio.
«Buongiorno», saluta Bradley con educazione.
Qualcuno di loro risponde chiedendosi chi sia. Altri, mi guardano con occhi che lentamente si sgranano. Solo mio padre mi rivolge un cenno guardandomi con orgoglio.
Mi sento proprio gli occhi di tutti puntati addosso, soprattutto dei genitori di Kay, della nonna che mi rivolge un sorriso e urla balzando in piedi dalla poltrona su cui è seduta, pronta ad avvicinarsi.
«Erin?», chiedono uno dietro l'altro.
«Salve!»
Alzo la mano per salutare mentre mi tiro un po' indietro, irrigidita, quando la donna mi abbraccia premendo i palmi sulle mie guance. Per poco non vado nel panico. Stringo forte la mano a Bradley chiedendogli aiuto ma lui è colto alla sprovvista tanto quanto me.
«Oh mio Dio, Erin? Sei... sei bellissima, tesoro!», esclama baciandomi entrambe le guance. «Fatti vedere! Dio, quanto sei bella! Non è bella? Più di quel bastone di Eloise. Quanto sei cresciuta!», strilla emozionata. «Che fine hai fatto? Non ti ho più vista...»
Mi arriva una zaffata di Martini e insieme una sferzata fredda nel petto. Non ha smesso di bere, a quanto pare. Sarei anch'io nella stessa condizione se avessi un marito come Theodor al mio fianco. In realtà, non mi dispiacerebbe bere qualcosa in questo momento che non so che cosa dire. Per fortuna, la nonna di Kay ha l'attenzione di un bambino di tre anni e rivolge la sua curiosità a Bradley.
«E questo bel giovanotto chi è?», chiede squadrandolo da capo a piedi con un ampio sorriso.
«Mio marito. Lui è Bradley Connor.»
Sgrana gli occhi incredula. Apre e richiude la bocca muovendo le mani come se si stesse sventolando o stesse annaspando. Cerca poi suo nipote ma lui evita di guardarci.
«Ti sei sposata? Davvero? Ma è magnifico! Da quanto?»
Bradley le prende la mano baciandole il dorso senza toccarlo. Lei si scioglie difronte al suo gesto.
«Connor hai detto? Come i proprietari...»
«Nonna», ringhia Kay allontanandola da lui. «Non adesso! Non siamo qui per fare gossip, tantomeno per torturare con le domande Erin e il suo compagno.»
Bradley mi avvicina subito a sé con fare protettivo, continuando a tenerlo d'occhio. Lo vedo teso, più di me.
«Conoscono i miei a quanto pare», mi sussurra all'orecchio.
«Conoscono tutti. Preparati, abbiamo appena iniziato e abbiamo già avuto un assaggio», rispondo tra i denti mostrando un sorriso tirato.
Shannon si affianca così come mio padre, all'inizio, seduto sul divano accanto al padre di Kay.
«Ragazzi», ci saluta con un sorriso poi mi tiene d'occhio perché pensa che io possa scappare da un momento all'altro o reagire male.
Lui, al contrario, sembra più che a suo agio in questo ambiente. Questo solo perché è abituato alle riunioni importanti. Io invece, continuo a sentirmi un pesce fuor d'acqua e a cercare una possibile via di fuga.
«Erin», esclama Theodor avanzando verso di me. «Che piacere...»
Metto la mano davanti facendo di no con l'indice. «No, non lo farei se fossi in te. Credi di potere comprare chiunque ma per me rimani sempre un vecchio stronzo che ride alle spalle di una ragazzina. Quindi risparmiati i saluti finti e va dritto al dunque. Non sono qui per farmi calpestare da te un'altra volta.»
Attorno non vola più una mosca. Tutti ci stanno guardando, attenti alla prossima mossa.
«Non mi aspettavo ancora così tanto rancore...»
«No? E che cosa ti aspettavi? Di sicuro non una che si lascia sottomettere ancora da te e dal tuo stupido modo di vedere le cose. A quanto pare non sei cambiato affatto, tieni in pugno chiunque, proprio come facevi un tempo. Dimmi, usi ancora le minacce dirette o agisci escogitando piani nascondendoti?»
Theodor contrae la mandibola. È invecchiato molto in dieci anni, ma mantiene la schiena dritta e la mano ben salda sul suo bastone da passeggio con quell'animale intarsiato sul manico.
«Mi aspettavo un saluto più cordiale da parte tua.» Nella sua voce c'è rimprovero.
«Non vedo perché dovrei salutarti cordialmente quando l'ultima volta mi hai umiliata davanti a tutti al matrimonio di tuo nipote, anziché comportarti da adulto e risolvere in un altro modo il problema. Ti è piaciuto ridere di me, vero? Adesso ridi al fatto che non me ne frega un cazzo di quello che hai da dire. Sono qui perché ero curiosa di vedere come vi sareste comportati tutti ma, non ne è valsa neanche la pena fare tutto quel viaggio. Siete rimasti i soliti falsi ipocriti, nascosti dietro un sorriso finto e dei modi che non vi appartengono perché siete marci dentro.»
Theodor arrossisce aggiustandosi la cravatta.
Papà si è appena avvicinato così come Bradley che mi sta tirando un po' indietro, notandomi infuriata e sul punto di scoppiare.
«Erin...»
«Adesso se hai finito con questa farsa, perché non dici a tutti che cosa ti serve così poi possiamo tornarcene alle nostre vite», esclamo sempre più arrabbiata. «Che per la cronaca, sono migliorate da quando non ci siete voi nei paraggi.»
«Erin...»
«NO!», alzo il tono fermando mio padre. «Per anni ho aspettato questo momento. Per anni non ho mai capito il perché degli estranei mi odiassero così tanto. Adesso che ho davanti proprio colui che ha dato inizio a tutto, perché non approfittarne e chiedergli una spiegazione?»
Theodor aggiusta la giacca sempre più colto alla sprovvista dalla mia reazione. Sulla fronte gli si forma una goccia di sudore che tampona con un fazzoletto recuperato dal taschino della giacca.
«C'è una motivazione se siete qui anche voi, è vero», inizia a disagio.
«Non vedo come, visto che non abbiamo un grado di parentela. E direi per fortuna.»
Si allontana da me senza replicare. La cosa mi insospettisce.
Si sposta verso il divano dove prende dei documenti. «Se siete pronti procedo con la lettura del testamento», taglia a corto.
Corrugo la fronte. «Stai davvero evitando di rispondermi?», lo provoco.
«Erin non ha tutti i torti. L'avete trattata male e non meritate neanche il suo saluto. Che cosa ci facciamo noi qui? Io non sono vostro parente e non appoggio il vostro stile di vita o le vostre scelte», interviene Shannon. «E con il dovuto rispetto, non mi serve niente, perché ho già quello che ho sempre desiderato.»
«Devi proprio difenderla e sostenerla per tutto?», replica ferito Kay. «Non fai altro da quando le hai messo gli occhi addosso. Non ti è bastato starle accanto per quasi dieci anni?»
«Almeno io so da che parte stare e non l'ho tradita ferendo i suoi sentimenti. Ho le idee chiare su questo e sono stato fedele dall'inizio alla fine. Chi non ha avuto le idee chiare invece sei proprio tu. Ti sei comportato da egoista e non hai neanche avuto le palle di lasciarla prima che fosse tardi. Non le hai neanche chiesto scusa.»
«Di che cosa state parlando?», chiede la nonna di Kay.
Tutti i presenti stanno assistendo al diverbio tra i due amici, incapaci di dire la loro opinione. Se ne stanno seduti, in silenzio, un bicchiere in mano e gli occhi su di noi.
«Non lo sa?»
«Che cosa devo sapere?»
«Che suo nipote ha preso in giro Erin sin dal primo istante, ecco cosa. Non ha avuto le palle di dirle che stava già con un'altra e che non aveva intenzione di rispettare le promesse che le aveva fatto. Non ha avuto il coraggio di fermarsi e l'ha umiliata davanti a tutti. Ma non riesce ad ammetterlo. Non riesce ad ammettere di essere stato un vero bastardo. E dovreste essere grati di vederla ancora qui a parlarvi uno ad uno, perché non lo meritate! Voi... non la meritate!», urla e rosso in viso si avvia alla porta. «Potete pure avere i soldi ma non avrete mai il mio rispetto perché siete dei serpenti, strisciate e mordete. Ma ricordatevi che le vipere muoiono sempre del loro stesso veleno.»
«Sei solo geloso!»
«Almeno io non fingo di esserlo.»
Spalanca la porta ed esce fuori mandando a quel paese tutti quanti.
Lascio andare la mano di Bradley che capisce al volo e mi fa cenno di seguirlo.
Corro subito fuori. Tolgo i tacchi e lo cerco girando intorno al giardino.
«Shan?»
Lo chiamo un paio di volte senza ottenere risposta. Alla fine, lo trovo appoggiato ad un albero, il palmo chiuso a pugno sul tronco e le spalle tese. Inspira ed espira affannato cercando di calmarsi.
Lascio le scarpe all'entrata e mi avvicino abbracciandolo da dietro senza preoccuparmi della sua reazione.
Dapprima sussulta poi si stacca dall'albero indietreggiando insieme a me e posa le mani sulle mie provando ad allontanarmi. Il suo corpo è così caldo da bruciarmi ma resisto all'impulso di staccarmi. Lo affronto.
«Non dovevi seguirmi», dice con rimprovero.
«E tu non dovevi scoppiare in quel modo davanti a tutti.»
«Invece si! Meritano una lezione», brontola. «Credono di potere comprare tutto ma non possono comprare l'affetto delle persone. Quello si conquista con le dimostrazioni, con la presenza, con costanza e con amore.»
«Lo so. Non sto dicendo che su questo hai torto. Sto solo dicendo che non era necessario difendermi a spada tratta. Avevo tutto sotto controllo. So come comportarmi con persone del genere, non è la prima volta che mi capita.»
Fa una smorfia. «No, non è la prima volta ma non ti hanno dato poi così tanta scelta l'ultima. Se stata male per mesi e per che cosa?», sbotta. «Per uno che non ha neanche avuto il coraggio di guardarti negli occhi in maniera diretta e dirti come stanno davvero le cose.»
Giro intorno al suo corpo e mi ritrovo davanti a lui, alto più di me di venti centimetri. Adesso che siamo faccia a faccia, più o meno, vedo chiaro il suo scontento, la sua rabbia.
«È bloccato da qualcosa, Shan. Sai meglio di me che non ha mai ascoltato così tanto nessuno come sta facendo con suo nonno. C'è sotto un motivo che non dice, che non spiega per paura o... per...»
«Perché è un vero codardo», conclude.
Espiro. «Sei suo amico e sai come ragiona. Non puoi dare a lui tutta la colpa. Di sicuro suo nonno avrà trovato un modo per tenerlo lontano da me.»
Guarda un punto imprecisato. «Forse, ma questo non giustifica il suo atteggiamento, ogni sua azione. Tu non sei un gioco, non sei una sfida tra di noi.»
Sfioro il suo viso costringendolo a rilassare la fronte. «Sei più arrabbiato perché ho sofferto o perché ti ha abbandonato?»
Riflette sulla mia domanda stringendo i denti. «Sono arrabbiato perché per colpa sua hai sofferto e perché mi ha lasciato solo, non si è fatto più sentire per un po', adesso torna e crede che tutto sarà come prima.»
Sistemo la sua giacca lisciandola con i palmi. «E sarà così?»
Nega. «No. Non è stato un amico leale e sincero. Si è comportato da egoista.»
«E che cosa intendi fare?»
Stringe i denti agitandosi. «Non ne ho la più pallida idea. Da un lato vorrei tanto vendicarmi, dall'altro invece... non posso fare niente perché gli voglio bene, insomma era come un fratello per me, prima di pugnalarmi alle spalle e andarsene senza darmi un motivo.»
Sospira. «Che situazione del cazzo!»
Massaggio le sue spalle. «Ho lasciato Bradley da solo lì dentro. Dobbiamo salvarlo dalla nonna di Kay che, a quanto pare conosce i suoi genitori. Hai sentito quanto Martini tiene in corpo?»
Finalmente sul suo viso gli si dipinge un lieve sorriso. Mi abbraccia. «Non permetterò più a nessuno ti farti stare così male.»
Mi aggrappo a lui circondandogli il collo con le braccia, e quando mi solleva tenendomi per i fianchi, ci guardiamo negli occhi per un lungo istante. Non ci sono più parole, solo silenzi e battiti a parlare, a sussurrarsi frasi che alleviano il dolore.
«Grazie, Shan.»
«Perché sei uscita fuori?»
Rimetto i piedi per terra. «Perché sei importante per me. Mi hai appena difesa davanti a tutti, adesso tocca a me proteggerti.»
«Sei piccolina per nascondermi ma tenace, lo ammetto. Inoltre, ho appena ammesso davanti a tutti che sono geloso e pazzo di te.»
Alzo le spalle. «A me piace», sorrido. «Inoltre lo sapevano già, visto quello che abbiamo fatto al tuo matrimonio, la notizia a quanto pare è circolata.»
Lui sbuffa abbracciandomi maggiormente. Affonda poi la mano sulla mia nuca sciogliendomi i capelli. Il suo gesto veloce e quasi invisibile mi manda una lieve scossa lungo la schiena, specie quando mi massaggia la cute facendomi mugolare. «Stai meglio così, non legarli. Un po' mi mancano quei colori accesi che usavi. Di colpo mi sei sembrava una lampadina fulminata.»
Lo abbraccio ridendo. «Adesso torniamo lì dentro e mettiamogli i bastoni tra le ruote di continuo, che ne dici?»
«Commentiamo tutto?»
Annuisco e Shannon accetta.
Prima che io possa andare a recuperare le scarpe però mi avvicina a sé. «Sai che ci sono e ci sarò sempre?»
«Si», sussurro stranita da questa sua affermazione. Non mi dà ulteriori spiegazioni mentre rientriamo nella villa, adesso piena di voci che raggiungono l'atrio.
Quando facciamo la nostra comparsa, Theodor sta discutendo con suo figlio e con Kay. Papà parla con Bradley tenendolo lontano dalla nonna di Kay, sul punto di tornare all'attacco. Tutti gli altri bisbigliano tra loro.
Vedendoci arrivare, Kay, si avvicina a passo spedito fissando in cagnesco proprio Shannon. Mi metto subito davanti a lui, come se potessi fargli da scudo.
«Non riguarda te», mi ringhia addosso.
Alzo il mento. «La verità ti sta bruciando e sai bene di non avere una motivazione ma solo torto», dico spingendolo.
Detto ciò, raggiungo Bradley, lasciandomi avvolgere finalmente dalle sue braccia.
«Tutto bene?»
Nego. «Shannon è arrabbiato con Kay. Quei due a fine giornata si faranno male, se non a pezzi.»
«Per chi scommetti?»
Lo guardo come per dirgli: mi prendi in giro? Sei serio? La nonna di Kay gli ha fatto bere qualcosa?
Sorride in modo furbo. «Scommetto su Kay. Mi piacerebbe vedere Shannon in difficoltà una volta tanto. Mi ha anche fatto ingelosire per il modo in cui ha preso le tue difese prima, forse avrei dovuto farlo anch'io ma qui sono un perfetto estraneo.»
Mi volto. «Lo so. Ma... scommetto invece su Shannon. E il primo pugno partirà proprio da Kay.»
Mi porge la mano e gliela stringo prima di essere tirata a sé ed essere baciata.
Sentiamo una voce schiarirsi richiamando ordine in questo meraviglioso soggiorno raffinato.
Un rettangolo dal pavimento in marmo bianco con sfumature sul grigio, nero e oro. Le pareti tappezzate anche qui di quadri, un enorme camino acceso, due tende spesse rosse con ricami intorno i bordi. Divani disposti davanti un tavolo da caffè di vetro e al centro di esso un vaso con rose rosse appassite. Una libreria a parete di legno scuro simile alla porta, continua a catturare la mia attenzione con i suoi volumi, con ogni probabilità prime edizioni. C'è l'odore tipico di un ambiente chiuso ma nonostante questo, la stanza è davvero magnifica.
«Oggi vi ho riuniti qui per la lettura del mio testamento. Ho deciso di farlo in anticipo per spiegarvi personalmente le mie scelte. In questo modo, spero di non creare conflitti di varia entità con nessuno di voi.»
«Papà, ma che cosa c'entrano William Wilson e sua figlia? E perché hai convocato anche l'amico di Kay, Shannon?»
Theodor beve un sorso d'acqua stringendo un foglio che ha preso dalla cartellina di pelle. Sembra agitato. «A tempo debito lo saprete.»
Mi appoggio al petto di Bradley prima di sederci sul divano, rifiutando il bicchiere di Martini della nonna di Kay. Anche se ne vorrei tanto uno, devo essere lucida.
Shannon si siede accanto a me. Di tanto in tanto mi tira una ciocca di capelli attorcigliandola tra le dita da dietro e ci colpiamo.
«Preferisco saperlo adesso, così tolgo in fretta il disturbo, visto che non sono bene accetta nella vostra famiglia», replico. «A proposito, dov'è Eloise? Non la vedo da nessuna parte e mi piacerebbe restituirle il favore versandole un bel bicchiere di vino in faccia, proprio come ha fatto lei per riprendersi il suo cucciolo fedele e bastardo.»
Kay si volta di scatto a guardarmi. È letale come sempre ma non ha quasi più lo stesso effetto di un tempo. Se prima mi agitavo dentro o mi scioglievo, adesso provo solo un certo fastidio. Forse perché so che mi sta nascondendo qualcosa.
Indurisce i lineamenti facciali. Apre la bocca ma non fa in tempo a rispondere.
«Non lo sai?», interviene sua nonna. «Eloise non sta più con lui. È stato un gran sollievo togliersi dai piedi quella zavorra antipatica.»
Scoppio in una fragorosa risata. Tutti mi guardano come se fossi impazzita. Forse lo sono. Chi rimarrebbe sano di mente dopo tutto quello che ho vissuto io?
«E chi vuole starci con uno falso come lui? Che cosa le hai fatto? Le hai detto che l'amavi, l'hai sposata e poi l'hai scaricata per una ballerina? Oppure le hai fatto delle promesse che non avresti mai mantenuto?»
Arrossisce balzando in piedi. «Non è come pensi!», urla.
Mi alzo a mia volta, affatto intimidita. «No? Allora come? Ah, già, continui a non dirmi la verità perché non c'è un motivo valido. Sei solo stato un codardo!»
«Non è così! Io non potevo!», butta fuori con frustrazione affondando le dita tra i capelli prima di scrollare la mano.
«Perché?», urlo. «Perché non potevi stare con me e mi hai teso una trappola? Non potevi lasciarmi in pace prima?»
Kay gonfia il petto. Mi afferra per il polso stringendolo abbastanza da lasciarmi un segno. Guarda la sua famiglia e poi me. «Devo dirtelo, non posso più tenermelo dentro.»
Scrollo via la sua presa. «Puoi dirlo anche qui davanti a tutti. Almeno lo sapranno anche le persone che tengono davvero a me, per che cosa ti sei fatto odiare così tanto!»
Lui scuote la testa poi prende un respiro dietro l'altro. «Ok. Non possiamo stare insieme perché...»
«Basta così!», interviene Theodor alzando il tono della voce. «Sedetevi e ascoltatemi tutti. Adesso non è proprio il momento di screzi adolescenziali.»
«Mi dispiace ma ho di meglio da fare che ascoltare un vecchio con tantissimi averi e poca umanità. Puoi benissimo portarteli dentro la tomba. A me non interessa, io non...»
«Ho detto sedetevi tutti, adesso!»
È così adirato da farmi spavento. Mi siedo e Kay va ad appoggiarsi alla parete a braccia conserte, lo sguardo grave, provato e sul punto di scoppiare. Mi sfioro con le dita il polso che mi ha toccato bruciandomi la pelle.
«Adesso se siete tutti d'accordo, facciamola finita.»
Inizia leggendo quello che ha scritto con voce pacata. Dona ville, campagne, appezzamenti di terreno londinesi. E poi ancora soldi, collezioni, fabbriche. Sono talmente tante cose da confondermi.
«Io, Theodor Caius Mikaelson, alla mia morte, dono ad Erin Wilson, figlia di William Wilson, la mia tenuta di campagna a Oakville e un fondo aperto alla sua nascita, nella speranza che la casetta e la radura, rifioriscano insieme al bosco e al terreno intorno che andrà al migliore amico di mio nipote, Shannon.»
«Un momento, che cosa?», alziamo il tono entrambi.
Mi sollevo, incapace di stare ancora seduta ad ascoltare. «Un fondo? Ma di che cosa stai parlando? Perché? No, non accetterò mai niente del genere da te! Quella casa, questa tenuta, i terreni qui intorno spettano a Kay!»
Theodor nega insieme al nipote, a quanto pare d'accordo con lui.
Assottiglio le palpebre. Quindi lui sapeva. Che grandissimo bugiardo!
«Credi che non sappia chi si aggira nella mia terra?»
Batto le palpebre cercando di capire, adesso sono confusa. «Che cosa significa?»
«Tornata da Londra ti sei presa cura della casa e del terreno intorno.»
Spalanco gli occhi. «Come...»
«Io», interviene Kay. «Ti ho vista io.»
Indietreggio. I miei occhi si riempiono immediatamente di lacrime e il mio cuore perde un battito dietro l'altro precipitando nello sconforto. «Tu eri... qui?»
Passa frustrato la mano tra i capelli. «Si, ero qui.»
Scuoto la testa. «E non hai pensato neanche un secondo di avvicinarti e chiedermi come stavo?»
«Non era...»
«Invece lo era!», urlo. «Era facile! Per due mesi ti ho aspettato come una stupita e tu eri qui! Sei uno stronzo! Sei spregevole!»
Mi avvio alla porta. Prima di spalancarla mi volto. Bradley, Shannon e mio padre sono già al mio fianco, pronti a proteggermi e a spalleggiarmi.
«Rifiuto l'offerta. Non voglio un bel niente da un estraneo, tantomeno da un bugiardo!»
«Ti sbagli!», urla a sua volta raggiungendomi in poche e semplici falcate.
«Non toccarmi!», lo spingo non appena tenta di sfiorarmi.
Tutti si alzano cercando di allontanarci.
Kay mi afferra lo stesso per le braccia. I suoi occhi sono rossi. «Tu non puoi capire che cosa significa sapere la verità e non potere direi niente per il bene della famiglia. Ma adesso basta», sussurra rivolgendosi a suo nonno dopo avermi dato uno scossone. «Mi dispiace, non posso più continuare ad apparire come uno stronzo. Loro devono sapere. Lei deve sapere.»
Prende fiato. «Erin, io e te sin dall'inizio abbiamo avuto un legame speciale, nessuno può negarlo. Eravamo bambini quando ci siamo incontrati per la prima volta a scuola e poi abbiamo iniziato a giocare insieme con molti altri bambini del quartiere. Non starò qui a chiedere scusa per i dispetti che ti ho fatto, so di avere sbagliato e se ricordi, ne abbiamo anche parlato, ma... sono qui adesso a chiederti scusa perché so che quello che sto per dirti ti distruggerà, proprio come ha distrutto me dieci anni fa», inizia.
«Kay, no!»
«Nonno, loro devono sapere», dice con rabbia. «Tutti dovete sapere quello che sono stato costretto a tenere dentro!»
«Di che diavolo stai parlando?», chiede mio padre insieme a sua nonna che pone la stessa domanda ma al marito.
«Kay, non credo sia questo il momento giusto», lo avverte facendogli di no con la testa, supplicandolo.
«Il nonno ha avuto un altro figlio», inizia indicando proprio mio padre. «Lo ha sempre saputo e me lo ha detto quando ha notato che quella con Erin stava diventando una relazione seria, distruggendo così tutto quanto.»
«Che cosa?», chiedono tutti stupiti.
Io non riesco proprio a parlare, sono rimasta indietro.
«Erin è mia cugina», urla. La voce gli si spezza. «Mi sono innamorato di mia cugina!», distoglie brevemente lo sguardo passando le dita sulle palpebre prima di tirare su con il naso. Non appena si volta, guarda suo nonno con astio e tanta di quella rabbia da poterlo distruggere con un solo sguardo.
«Per colpa tua... io mi sono innamorato e poi mi hai strappato via la persona più importante della mia vita e per che cosa? Per un segreto, nonno. Non potevi dirlo prima e risparmiarci tutto questo dolore? No, certo che no. Tu segui sempre e solo i tuoi tempi. Ma io...»
Il mondo gira intorno a me. Barcollo. Quello che si ripete dentro la mia testa è la parola "cugini".
Tappo la bocca indietreggiando, negando con tutte le mie forze. «No...», sussurro, mentre un singhiozzo esce fuori dalla mia bocca.
Bradley prova ad abbracciarmi ma mi divincolo e allora mi si avvicina offrendomi la sua presenza.
«Io... sono tuo figlio?», domanda papà guardando Theodor stordito. Non oso immaginare quello che sta provando.
È uno shock anche per lui.
«È per questo che hai continuato per tutti questi anni a...», passa la mano sulle labbra, non riesce più a parlare, ad esprimersi. Trema, si agita. I suoi occhi vengono attraversati dalla furia e il suo sguardo muta mentre cerca di collegare ed incastrare tutti i pezzi, proprio come sto facendo io in questo momento.
«Dimmi che non è vero!», esclama sconvolto, toccato dalla verità così dura da digerire. «Dimmi che non sono tuo figlio e che per tutti questi anni non ti sei interessato a me, alla mia vita, solo per questo!»
Theodor abbassa gli occhi sul pavimento. Un'espressione che non gli ho mai visto prima prende vita sul suo viso coperto dalle rughe e dai segni del tempo. È come se fosse addolorato e allo stesso tempo sconvolto dallo tsunami di emozioni che stanno travolgendo le nostre vite in un attimo, spazzando via ogni certezza.
«Dimmi che Kay sta solo avanzando una scusa per potersi liberare di noi», balbetta. «Dimmelo!»
Theodor nega. La sua testa oscilla mentre i fogli che tiene ancora in mano si sparpagliano a terra e tutti iniziano a bisbigliare, a parlare tra loro e poi a urlargli contro per avere delle spiegazioni su come sia possibile.
«Purtroppo Kay dice il vero. Ho avuto una relazione con tua madre e tuo padre, quando è rimasta incinta, si è preso quella che doveva essere una mia responsabilità. Sei il mio secondogenito, William. Sei un Mikaelson.»
«E perché quando sono morti i miei genitori non mi hai detto la verità?»
«Perché avevo promesso a tua madre che avrei portato il segreto nella tomba. Ma volevo che avessi la tua parte...»
Papà scuote la testa interrompendolo. «E hai permesso per tutto questo tempo che ci frequentassimo, che tuo nipote vedesse mia figlia? Come hai potuto?», sbraita indicandomi. «Per colpa tua mia figlia è stata male per mesi!»
Sono sempre più confusa e disgustata da me stessa, per non avere capito, per non avere scavato fino in fondo, per non avere cercato di conoscere la ragione di questa separazione forzata con Kay.
«Li ho fatti trasferire già una volta!», replica alzando la voce, cercando di darsi ragione. «E a quanto pare non è bastato.»
Kay guarda male suo nonno. «Sei stato tu a farci trasferire quando ero ancora un bambino, ma lei se ne era già andata», replica. «Perché? Perché l'hai fatto?»
«Perché dovevo tenerti lontano da lui...», indica mio padre.
Papà batte le palpebre. «Lontano da me?»
«Mio nipote è venuto più volte a casa tua per Erin. Non riusciva a dimenticarla. È sempre stato legato a lei. Amava farle i dispetti ma le voleva bene e quando lei è sparita insieme a tua moglie, che non approvavo, ho sospirato dal sollievo ma non potevo permettere che si affezionasse anche a te e lo scoprisse.»
«Ma era solo un bambino!», interviene la madre di Kay. «E lui... William era della famiglia. Come hai potuto tenerlo lontano da noi? Come hai potuto trattarlo come un estraneo?»
Theodor riacquista colorito e la sua naturale compostezza. «Come ho detto, avevo fatto una promessa...»
«E a me non ci hai mai pensato?», sbotta irato mio padre. «Credi che adesso ti chiamerò "papà" o accetterò i tuoi averi? Scordalo! Non ho bisogno di niente da parte di uno stronzo egocentrico che mi ha abbandonato, che mi ha fatto crescere da un uomo che mi trattava male e con disprezzo. Ecco perché... hai fatto proprio una bella promessa.»
«Io non capisco... perché mi hai permesso di ritornare?», chiede invece Kay.
«Perché Erin era lontana. Non sapevo che sarebbe ritornata e che voi due... vi sareste ricongiunti.»
Kay avvampa. «A causa del tuo segreto, sono andato a letto con mia cugina, nonno!»
Tappo la bocca indietreggiando mentre tutti adesso ci guardano dopo avere spezzato il silenzio con esclamazioni e reazioni di vario genere.
«A causa tua io l'ho persa!», urla spingendolo e poi mollandogli un pugno in faccia così forte da sentire la rottura di un osso.
Sua madre e sua nonna urlano mentre i nipoti scoppiano in lacrime e vengono allontanati.
«A causa tua ho dovuto tenerla lontana dalla mia vita! Come cazzo puoi essere così cattivo?»
«Non potete stare insieme! Tra cugini o tra fratelli, non bisogna mai fare niente del genere!», gli urla contro spingendolo a sua volta. «È stato meglio così. Adesso lei ha una vita, un marito e tu... devi dimenticarla.»
Kay gli molla un altro pugno. Interviene subito Shannon ma viene colpito a sua volta.
Kay si aggiusta la giacca. «No! Non è stato meglio così. Io amo Erin e tu hai rovinato tutto quanto per un segreto!»
Una forte nausea mi investe. Non riesco più a reggere e mentre tutti sono impegnati a chiedere qualsiasi spiegazione, scappo fuori.
Le certezze sono lame invisibili in grado di lacerarti l'anima. Un unico, impercettibile attimo, ha il potere di far crollare a pezzi il tuo mondo, ogni consapevolezza evapora e sopraggiunge il dolore, quello forte e intenso che ti distrugge dall'interno.
E in mezzo a tanto rumore, mentre tutto sembra ovattato e diverso, riprendo a respirare. Mi volto e porto in salvo l'ultimo pezzo di cuore che mi è rimasto.
Lascio i tacchi all'entrata e sbattendo il portone alle mie spalle, mi incammino a passo spedito verso il bosco.
Corro, corro senza mai fermarmi. La nausea aumenta e sono costretta a piegarmi in due, a trovare appoggio su una corteccia e a vomitare aria. Lo stomaco si contorce e tossisco riprendendo la mia corsa mentre le lacrime appannano tutto.
Inciampo un paio di volte, sbaglio sentiero ma, alla fine raggiungo il fiume. Mi avvicino alla riva e cado in ginocchio tra i singhiozzi. Affondo le dita sulla terra, tra la ghiaia che recide i miei polpastrelli quando faccio pressione e lo sento, feroce nel petto, si fa strada il bisogno di urlare.
E allora mi libero. Urlo così forte da non avere più voce e poi picchio i pugni contro il terreno prima di rannicchiarmi e lasciarmi avvolgere dal dolore.
Non so quanto tempo sia passato. Il cielo da un azzurro incontaminato adesso, è coperto dal solito grigiore tipico di Oakville.
Mi rialzo a rilento. Sfioro con le dita l'acqua e poi passo dopo passo, mi immergo fino al collo. Proseguo e vado giù dove cerco il fondo rimanendo senza aria prima di darmi una spinta e poi risalire in superficie. L'acqua è fredda ma sento appena qualcosa a causa del dolore.
Qui mi lascio cullare dalla lieve corrente facendo il morto. Fisso le grosse e spesse nuvole che si stanno accumulando in alto e continuo rimanere in acqua dove spero di sparire, di dimenticare tutto.
Non è vero che il tempo cura le ferite. È solo una stronzata che chiunque dice a se stesso per andare avanti. Il tempo attenua solo il dolore che senti allontanandoti dai ricordi, momenti che sbiadiscono fino a diventare macchie indistinte nel cuore.
Kay è mio cugino. Sono andata a letto con mio cugino. Mi sono innamorata di mio cugino.
Dovrei esserne sconvolta e invece sono arrabbiata. Avrebbe dovuto lasciarmi subito, ma è solo sparito per qualche settimana prima di tornare diverso, prima di tenermi lontana, di non toccarmi come aveva fatto con ardore.
Non deve essere stato facile per lui ma neanche così difficile, doveva solo lasciarmi andare.
Chiudo gli occhi singhiozzando.
Da lontano arriva un tuono. Rimango lo stesso in acqua. Non riesco a muovermi. Non riesco a tornare indietro. Non posso. Fluttuo sull'acqua come una ninfea, sentendo dentro così tante cose da non riuscire a respirare.
«Erin!»
Sento un tonfo in lontananza e poi vengo afferrata e trascinata a riva contro la mia volontà. Quando mi ritrovo tra le sue braccia lo respingo con tutte le mie forze picchiando i pugni contro il suo petto senza sosta.
L'ho amato, tanto. L'ho amato come si ama il cielo buio pieno di stelle, punti luminosi spruzzati ovunque a regalare speranza. L'ho amato come si amano i desideri, stelle cadenti che non hai mai visto, che ti colgono all'improvviso, lasciandoti l'emozione dentro, il fiato sospeso e il cuore in subbuglio. L'ho amato, tanto. L'ho amato senza controllo. L'ho amato anche quando non avrei dovuto. L'ho amato e non smetterò mai di farlo, perché lui è stato il mio primo desiderio vero, puro e semplice, anche se mi ha fatto tanto male.
«Avresti dovuto dirmelo! Avresti dovuto dirmi la verità! Avresti dovuto comportarti da adulto, fidarti di me. Avrebbe fatto meno male, Kay. Lo avrei sopportato. E invece per quasi dieci anni non ho fatto altro che incolparmi, che sentirmi uno schifo a causa tua. Io non ti odio, io ti disprezzo!»
Mi tiene stretta mentre piango e continuo a dimenarmi per allontanarlo da me, perché averlo vicino riaccende sempre quella piccola fiamma di speranza che, adesso dovrà spegnersi per sempre a causa della verità.
Mi rialzo, tolgo i capelli dal viso mentre una pioggia leggera inizia a scendere.
Ci ritroviamo faccia a faccia, entrambi affannati.
«Erin, io non volevo ferirti. Credimi, è stata dura anche per me!»
Nego. «Sei solo un bastardo!»
Prova ad avvicinarmi a sé e mi scanso. «Non toccarmi! Mi fai schifo! Avresti dovuto dirmi la verità, fidarti di me!»
«E che cosa avresti fatto, eh?»
Rimango zitta. «Non ti avrei lasciato andare, ma adesso che sei qui davanti a me, vedo solo un bugiardo. Non riesco neanche a guardarti in faccia», gesticolo e mi allontano correndo verso il bosco dall'altra parte del fiume, che supero passando dalle pietre disposte a sentiero nel mezzo. La corrente adesso è maggiore ma sono sull'altra sponda in breve tempo.
«Erin, fermati!»
«Non seguirmi e lasciami in pace. Ho bisogno di spazio, ho bisogno di pensare, di riflettere e soprattutto di andarmene.»
Mi afferra per un braccio attirandomi a sé, poi mi stringe il viso tra le mani. «Lo vuoi capire che non ho mai smesso di amarti? Non mi importa se siamo cugini io ti amo lo stesso.»
Mi allontano dalla sua presa. «Non ci credo più», lascio uscire le lacrime. «Dici di amarmi e poi mi abbandoni...», scrollo la testa. «È finita!»
Corro verso gli alberi dove cerco di calmarmi e di non vomitare ancora.
I tuoni aumentano così come la pioggia e i ricordi che mi investono uno dietro l'altro.
«Erin, dobbiamo tornare indietro!»
«Vattene!»
Sta per rispondere quando un lampo colpisce l'albero. C'è un gran frastuono. Urlo spaventata ritraendomi. Il ramo si spezza e cade proprio verso di lui che se ne sta immobile e spaventato a fissare la scena a rallentatore. Scatto in avanti con le orecchie che iniziano a fischiarmi, lo spingo e mi ritrovo a terra, senza fiato.
Lui rotola per qualche metro prima di alzare la testa e poi sollevarsi scrollando via dal corpo la terra.
«Erin?»
Tossisco a causa del fumo e dell'odore di bruciato così intenso da stringermi la gola, sentendo un forte dolore alla caviglia.
Controllo sbirciando e sono ferita. Spingo via il ramo cercando di mettermi in piedi ma il dolore mi piega in due e mi ritrovo di nuovo a terra.
Kay si avvicina. «Andrà tutto bene», mi dice, dispiaciuto di essersi lasciato prendere dal panico.
Non capisco se lo sta dicendo a se stesso per convincersi perché ha paura o se vuole rassicurarmi. Sento solo il dolore alla gamba che mi fa dimenticare di tutto il resto.
«Lasciami vedere, ok? Allontana per un momento il tuo odio e lasciami... vedere», dice tirando su con il naso, passando il dorso sugli occhi.
Sta piangendo.
Le orbite sono cerchiate di rosso e rendono quel colore naturale, così freddo, più acceso.
Lo lascio fare e togliendosi la camicia la lega intorno alla mia caviglia. «Dobbiamo tornare indietro, posso prenderti in braccio?»
Mi divincolo. «No, non toccarmi!»
«Erin, non è il momento di fare la bambina. Stai sanguinando.»
Un tuono lo fa sussultare. Guarda l'albero da cui esce del fumo. «I fulmini non cadono mai una seconda volta nello stesso punto, eh?», sibila dilatando le narici.
«Non sto facendo la bambina. Va a chiamare Shannon o Bradley o mio padre. Starò bene.»
Mi guarda male e riprova a prendermi in braccio. Picchio i palmi sul suo petto allontanandomi, strisciando indietro con la gamba tesa.
«Erin...»
«Kay, vattene!», singhiozzo. «È tutta colpa tua...»
Sussulta. «Lo so. Mi dispiace, piccola.»
Strizzo gli occhi. «Non chiamarmi così, ti prego. Non... farlo!»
«Ok, ma adesso dobbiamo rientrare. Ti stanno cercando tutti e dobbiamo disinfettare la ferita.»
«Va a chiamare mio padre!»
«Dannazione, Erin!»
Sussulto. «Tu non puoi immaginare come e quanto ho sofferto. Mi sono sentita umiliata, tradita e usata. Non hai idea dei giorni che ho passato qui ad aspettare un messaggio, almeno uno per potere andare avanti. Invece non l'hai mai fatto. Te ne stavi a distanza ad osservarmi. Come hai potuto farmi questo?»
Abbassa il viso poi mi guarda dritto negli occhi. «Se potessi cancellare il momento in cui l'ho scoperto lo farei, per potere stare ancora con te.»
«Ma non puoi più farlo», piango.
Mi abbraccia. All'inizio provo ad allontanarlo poi però lo lascio fare e chiudo gli occhi stringendomi al suo petto nudo e caldo. Mi massaggia la nuca poi mi posa un bacio sulla fronte prima di premere sopra la sua. «Non accetterò mai tutto questo e so che non lo farai neanche tu. Non accetterò mai che tu sia di un altro, perché sono geloso e perché nessun uomo vorrebbe mai vedere la persona che ama accanto a qualcuno. Ma so che non posso più rimarginare la ferita che ti ho causato e so, so che mi pentirò per tutta la vita.»
Singhiozzo. «Avevi altre opzioni...»
«Dimmi... come avrei fatto a stare al tuo fianco sapendo di essere sangue del tuo sangue? Quando l'ho saputo è stato come ricevere una pugnalata, e farti del male mi ha distrutto. Sappi che non volevo. Sappi che non ho mai smesso di cercarti o di vederti anche di nascosto.»
Scuoto la testa. «Quando Ephram...»
Nega. «Sono tornato a Londra perché non sopportavo più il fatto di averti a poca distanza e non poterti toccare o anche solo parlare. Shannon non sapeva niente e quando mi ha avvertito non potevo fare molto da lontano. Ho dato di matto, ho chiamato chiunque per farti trovare e, alla fine quando mi ha detto che eri al sicuro, ho solo fatto la cosa più stupita, chiedergli di portarti dei fiori e un peluche.»
Provo ad allontanarmi ma le sue braccia mi avvolgono la schiena. «Non ti sto chiedendo di perdonarmi, sarebbe troppo. Non ti sto chiedendo di fidarti o di darmi una possibilità. Quello che ho fatto è stato orribile. Ti sto chiedendo di non dimenticarti di me, di quello che siamo stati insieme. Non dimenticare che ti amo e che questo non cambierà mai. Potrai contare sempre su di me.»
Scoppio in singhiozzi e lui mi stringe forte al petto. «Non volevo spezzarti e non volevo ferirti. Ho sempre ammirato la tua forza e non avrei mai voluto tutto questo. Ho sbagliato così tanto in quei giorni e la notte prima di quell'orribile matrimonio da odiare me stesso. Ero distrutto, Erin. Lo sono soprattutto adesso. Mi sono sposato, è vero, ma la prima notte di nozze l'ho passata sul divano, sbronzo e a pensarti. Avevo il telefono in mano e stavo per chiamarti ma sapevo che dopo un anno e mezzo tu non avresti mai più voluto rispondere e alla fine ho solo continuato a scrivere messaggi che sono rimasti nelle bozze del telefono. Erin, ti giuro che non ho mai permesso ad Eloise di toccarmi o di impedirmi di pensarti. Alla fine, dopo cinque anni, ho scoperto il tradimento e ho colto la balla al balzo per lasciarla. Mi dispiace se non mi sono comportato da uomo, se sono scappato, se ho ascoltato mio nonno seguendolo nel suo gioco. Perdonami se non ho lottato per te ma... non ero pronto a perderti completamente. Chiamami pure egoista ma non sono pronto nemmeno adesso.»
Il temporale aumenta e la pioggia picchia forte su di noi, intorno, ovunque.
Kay scosta dal mio viso una ciocca attaccata alla guancia e affondando le dita tra i miei capelli, mi avvicina a sé. «Perdonami se ti ho fatto stare male.»
Le nostre labbra si sfiorano. Una scossa ci investe entrambi e ansimiamo. I nostri occhi sono incastrati, spalancati e fissi.
«Ti prego, toglimi da questo tormento...»
Poso le dita sulle sue labbra. «Per giorni, mesi, anni... ti ho aspettato. Non ho mai smesso di amarti, neanche quando avrei dovuto odiarti di più. Non ho mai smesso di pensarti e, anche se pensavo di non sentire la tua mancanza, di non darti più importanza, nel mio cuore non hai mai smesso di esserci, di esistere. Ma adesso è tutto uno schifo e io... non ci riesco. Questo è troppo da assorbire, da accettare.»
Mi avvicina maggiormente. «Lo so. Per me ci sono voluti anni e ancora non riesco ad accettarlo.»
«Non lo farò mai», sussurro provando ad allontanarmi.
Quando penso che stia per lasciarmi andare, mi avvicina e mi bacia. Le sue labbra sono sulle mie in un attimo, si abbattono dapprima lente per poi prendere un ritmo più marcato. Ansimiamo e ci aggrappiamo l'una all'altro per un lungo istante in cui tutto sembra rimpicciolirsi e poi svanire.
Forse siamo destinati ad avere il cuore rotto in così tanti pezzi da non sapere più quale farà meno male. Forse siamo destinati ad essere cocci rotti, taglienti e fragili, in grado di fare sanguinare ancora e di provocare un dolore sordo e improvviso, proprio come un taglio fatto con la carta.
Sono io a staccarmi per prima. Riprendo fiato e mi guardo intorno smarrita, spaventata. «Devo raggiungere mio marito.»
«L'hai sposato davvero?»
«È l'uomo che voglio accanto a me», rispondo sentendomi in colpa per il bacio che mi ha fatto riassaporare la felicità di un tempo. Ma, come tutte le cose belle, è durato un attimo, solo il tempo di un battito feroce, di un sussurro, di un unico messaggio: "non ti scordar di me".
Kay torna in sé. «Ok, adesso torniamo indietro», dice.
Mi prende in braccio e senza aggiungere altro, con aria decisa, mi trascina alla villa. Qui, supera tutti con le loro domande portandomi in una piccola stanza dove mi fa sedere su un divano coperto da un lenzuolo bianco. Scioglie la camicia dalla mia caviglia osservando il taglio e corre a prendere la valigetta prima di medicarlo.
«Tornerai a Londra?»
I miei occhi si posano sulle linee scure che ha sulla schiena. Le mie dita ne sfiorano una e lui continua a fasciarmi dalla caviglia in su. Poi si volta, guarda la mia mano, abbassa per un secondo le palpebre e quando mi guarda mi fa sentire come se ci stessimo perdendo un'altra volta.
«No, inizierò a lavorare in Canada.»
Mi posa sulle spalle la sua giacca asciutta e si siede accanto a me. Prende la mia mano stringendola tra le sue, poi la bacia. «Facciamo pace?»
Ho la pelle d'oca e scoppiando in lacrime lo abbraccio. «Prenditi cura di te, ok?»
«E tu non combinare guai», mi sussurra sulla spalla posando un bacio sul mio collo risalendo fino alle mie labbra. «Non dimenticarti di me.»
«Non potrei neanche volendo. Ti farai sentire?»
Annuisce sfiorandomi il labbro superiore. «Mi permetterai di chiamarti?»
Singhiozzo e lui mi abbraccia. «A volte le cose non vanno come desideri, Erin. Ma noi due saremo sempre legati. E se avrai bisogno di me, io farò il possibile per esserci. Solo... non fare pazzie e non farmi preoccupare mentre sono via, ok?»
«Non puoi trasferiti vicino Seattle?»
Sorride accarezzandomi il viso. «Prima lavorerò in Canada per qualche mese poi deciderò. Magari ti verrò a trovare.»
«È una promessa?»
«Non ti libererai mai di me, sirenetta.»
Mi asciuga le lacrime che copiose continuano a scendere sul mio viso.
«Ti amo», sussurra.
Una voragine profonda si apre nel mio cuore. Uno squarcio, un dolore improvviso attutito da un lungo battito. Con quel ti amo maledetto, comprendo che l'amore è come una lama, non sai mai quanto a fondo ti entrerà nel petto.
Mi guarda le labbra avvicinandosi ad esse. È così vicino da sentire formicolare la pelle. Nello stesso istante però bussano, e quando la porta si apre siamo già lontani.
Era questo l'addio che aspettavo. Ma adesso che è arrivato, sento solo dolore e senso di perdita.
Bradley entra nella stanza e si avvicina svelto. Protendo le mie braccia e quando si abbassa inginocchiandosi davanti a me, bagnato come un pulcino e allarmato, lo abbraccio forte. «Sto bene», lo rassicuro.
Guarda male Kay ma non è arrabbiato con lui.
Anche Shannon si fionda nella stanza, controlla la caviglia poi prende per un braccio Kay trascinandolo via. I due iniziano ad urlare in corridoio.
Bradley si siede dove prima c'era Kay. «Com'è andata?»
Asciugo le lacrime e passo la mano sulla sua fronte togliendogli le gocce di pioggia.
Mi hanno reso forte i momenti sbagliati. Mi hanno reso forte gli attimi di una vita spesso messa a dura prova. Mi ha reso forte il dolore. Perché gli attimi difficili, i momenti distruttivi, ti rendono una persona diversa. E, anche se dentro sei spezzato, fuori mostri il sole.
Sorrido. «Mi porti a casa adesso?»
Non so dire se sta sospirando. So solo che il sollievo è evidente sul suo viso.
«Si. Torniamo a casa.»

🖤

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora