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Ci sono sensazioni che non puoi provare con chiunque e non puoi sostituire. Sono le stesse che ti trapassano il cuore facendoti sentire forse per la prima volta: amata, capita.
La sveglia suona rumorosamente. Sporgo la mano da sotto la coperta bloccando il fastidiosissimo trillo scelto appositamente e messo a tutto volume. Il primo di una lunga serie che ho inserito ogni cinque minuti per non fare tardi. Ma sono troppo stanca per aprire gli occhi. Ho ancora quindici minuti di tempo, mi dico sprofondando maggiormente con la testa sul cuscino.
Il mio corpo è bloccato da una morsa piacevole. Passo la mano sul braccio e mugola. «Altri due minuti.»
Intuendo che non mi ha abbandonata, mi lascio avvolgere dal suo tepore assopendomi per qualche altro minuto.
Quando la sveglia squilla di nuovo si lamenta. «Vuoi spegnerla? Cazzo!»
Mi volto e la mia faccia viene schiacciata dal suo petto. Mi stringe affondando il viso sul mio collo. «Sono sfinito!»
Mi sento in colpa. È stata anche colpa mia se siamo rientrati tardi.
Spengo la sveglia sollevandomi a metà busto. «Hai ancora un'ora. Dormi», provo ad alzarmi.
Mi ferma tirandomi sotto il suo peso. «Dove vai?»
«Preparo la colazione poi cerco di mettermi in ordine per affrontare una nuova giornata da passare al parco.»
Scuote la testa. «Rimani», mi trattiene provando a baciarmi il collo.
Rido. «Non posso. Se mi addormento poi qualcuno degli organizzatori o dei professori potrebbe avvisare mio padre e allora sarò maggiormente nei guai.»
Sbuffa. «Altri dieci minuti non ti cambieranno la vita. Sei in tempo, hai due ore.»
«Ho fame», ammetto.
«Anch'io... ma non di cibo e se non la smetti di dimenarti ti mangio.»
Mi fermo. Ci guardiamo stralunati. Lui con i suoi due pozzi color ghiaccio, i capelli scompigliati e i muscoli in tensione. Io probabilmente con lo sguardo da ebete, i capelli arruffati e gli occhi gonfi e stanchi.
Scoppio a ridere e prova davvero a mordermi. Lo spingo. «Sta fermo.»
Smette guardandomi con quel mare di ghiaccio nello sguardo che brucia sulla pelle. La mia mano gli accarezza il viso. Il pollice sulle labbra che bacia un paio di volte trasmettendomi grosse scariche fresche sulla schiena.
Mi alzo scappando dalla sua presa. Raggiungo la porta voltandomi e lui mette il broncio reggendosi sul braccio.
Sembra così normale come situazione da allontanare per un momento ogni dubbio.
Scendo al piano di sotto serena. Apro il frigo trovando la torta al cioccolato fondente. Ne taglio due fette riempendo due tazze abbondanti di caffè.
Mi volto e lui sta infilando la maglietta entrando in cucina a passo sicuro.
Si avvicina ed io quasi indietreggio elettrizzata da ogni suo movimento.
Ho il viso bollente ma non me ne vergogno. Lui sa esattamente quello che mi provoca. Sa cosa mi fa il suo tocco, quanto brucia sulla mia pelle.
E se per caso sente ogni mia emozione, spero che questa riesca a travolgerlo o a sconvolgerlo quanto la sua fa con me. Spero di fargli sentire quanto il mio corpo sta attendendo un gesto veloce delle sue mani.
Kay preme forte la fronte contro la mia facendomi indietreggiare. Il suo respiro si spezza un momento insieme al mio.
Mi fissa attento e desideroso afferrandomi per i fianchi, issandomi sul ripiano facendo risalire le mani dalle mie cosce alla schiena dopo averle divaricate ed essersi sistemato nel mezzo.
In diciassette anni non mi sono mai concessa di fantasticare così tanto su qualcuno. Ho sempre cercato di lasciare ogni tipo di debolezza lontano dal mio cuore. Ho sempre visto la dolcezza come una minaccia e adesso invece mi sto godendo un brevissimo quanto intenso istante di questo sentimento proibito.
Sono così abituata ad affrontare la vita tenendo sempre presente che la felicità non sia altro che un qualcosa di effimero, che questa improvvisa ondata di romanticismo, questa attrazione mi investe di colpo senza darmi il minimo scampo. Mi piacerebbe prolungare ma so già che finirà a breve, pertanto vivo il momento prima che qualcosa vada storto.
Prendo un pezzo di torta posandoglielo sulle labbra.
«Mangia con me», sussurra dopo avere addentato il pezzo.
Senza darmi il tempo mi bacia e non in modo delicato, ma con trasporto.
Continuo ad imboccarlo e lui a provocarmi con i suoi baci.
Staccandosi, leccandosi le labbra sorride bevendo un lungo sorso di caffè, indietreggiando. «Grazie per la colazione», ghignando se ne va lasciandomi addosso una fortissima voglia di corrergli dietro e abbracciarlo o stringermi così forte a lui da diventare una cosa sola.
Ma freno il mio entusiasmo e anche quei pensieri da adolescente scuotendo la testa, scendendo dal bancone.
Metto in ordine il ripiano della cucina, lavo i piatti per non lasciare tracce e poi salgo al piano di sopra a cambiarmi.
Quando esco di casa, ho come la vaga sensazione che qualcosa cambierà ancora. E non si tratta della luce del sole che gioca continuamente a fare capolino tra le nuvole bianche, prive di scariche elettriche e pioggia. Non si tratta neanche del consueto paesaggio grigio che va a mescolarsi al verde della foresta. Non so, ci sarà qualcosa che scombussolerà questo mio buonumore, lo sento.
Forse è solo una mia stupida paranoia perché non sono abituata alle cose belle. Non sono abituata a sentirmi così leggera.
Per fortuna non c'è nebbia nei paraggi ma quasi tutti i prati delle case, i giardini, i vialetti sono coperti da un sottile strato di brina.
Il mio respiro si confonde nell'aria fredda di questo nuovo giorno.
Cerco di rimanere stabile sul marciapiede evitando di finire con un piede sulle pozzanghere ghiacciate mentre cammino in direzione della piazza per raggiungere il parco. Mi sarebbe piaciuto rimanere a letto in un giorno così freddo, magari tra le braccia di quello stronzo che, nonostante tutto sta cercando di non arrendersi con me.
Mi stringo sotto il cappotto soffiando sulla sciarpa per scaldarla e per distrarmi da certi pensieri che potrebbero essere la mia rovina.
Avvisto e raggiungo il mio gruppo riunito all'entrata. Ephram è il primo ad accorgersi di me e ad avvicinarsi.
Controllo l'ora. Non sono in ritardo eppure se ne stanno tutti fuori dal parco apparentemente in attesa di sapere qualcosa di intrigante.
Attorno c'è una stranissima aria, un vocio sommesso dietro le solite occhiate che mi si conficcano addosso come frecce scoccate da vicino.
«Ehi, che succede?»
Ephram valuta la mia espressione e notandomi serena pone a sua volta una domanda in risposta alla mia. «Come... non hai saputo?»
Nego guardandomi intorno, strofinando le mani. «Saputo che cosa?»
Ephram tralascia la curiosità riguardo il mio buonumore per spiegare quello che sta succedendo e lo fa mostrandomi lo schermo del suo cellulare.
«I vandali hanno rovinato di nuovo il muro con delle scritte. Abbiamo pulito per niente», parla mentre leggo il messaggio sul gruppo dove veniva annunciato il divieto di entrare nel parco.
Mi faccio subito attenta. «Quali scritte?»
Mi ferma quando provo ad entrare più che curiosa. «Gli organizzatori stanno raccogliendo tutte le prove che hanno lasciato. Nessuno può entrare al momento, hai letto il messaggio.»
«E cosa stiamo aspettando?»
«Che arrivino tuo padre e il signor Bolton. Sono stati avvisati. Non eri con lui questa mattina?»
Non vedo mio padre da circa due giorni. Non posso spiegare ad Ephram quello che è successo o quello che ho fatto, mi giudicherebbe e soprattutto mi metterebbe subito in guardia.
Fremo dentro. «È così grave?», evito la domanda.
Ephram annuisce con un cenno della testa. Non resistendo oltre, entro più che spedita nel parco e lui, agitato dalla mia reazione, mi segue provando a fermarmi.
«Erin non...»
Ogni traccia di buonumore scompare dal mio viso, raggiunto il sentiero che conduce al muretto di pietra che si estende separando il labirinto dal parco giochi trovo uno scempio.
Rimango spiazzata nel leggere la scritta a caratteri cubitali: "Per te, Sindaco Wilson". I miei occhi vagano sull'orribile ed indecente graffito che ho davanti. Leggo le frasi provocatorie, le molteplici parolacce, le minacce nascoste nei disegni disgustosi. In uno ci sono io avvinghiata ad uno scorpione in una posa alquanto discutibile.
Sul muro, disposte una dietro l'altra, delle bottiglie di vetro frantumate probabilmente da un fucile a pallini.
Indietreggio sentendomi male.
Ephram, accorgendosi della mia reazione, mi porta fuori dal parco. «Non avresti dovuto vederlo.»
«Credi che questo sia solo uno scherzo di pessimo gusto?»
Si fa serio e scuro in volto. «No, da queste parti non esistono azioni volte allo scherzo, Erin. Questa è una minaccia. Loro non scherzano. Hanno chiaramente fatto capire a chi punteranno la prossima volta.»
Mi si blocca il respiro. «Hanno visto tutti? Qualcuno ha scattato delle foto?»
Tira sul naso gli occhiali. «No, solo io e qualcuno dei nostri ma nessuno ha scattato foto, me ne sono assicurato. Siamo arrivati prima dell'ora e siamo entrati per recuperare le divise dal ripostiglio. Non appena abbiamo visto quello che c'era siamo corsi fuori e abbiamo contattato chi di dovere ed impedito che qualcuno lo vedesse.»
Non mi rassicura di certo la sua spiegazione.
Harper arriva con la sua chioma ordinata, un cappotto leopardato e stivali fin sopra le ginocchia di camoscio. I suoi occhi intercettano subito i miei e a passo sicuro, da pantera, si avvicina sfiorandomi una ciocca di capelli.
Le sue labbra sembrano state ritoccate da qualche punturina.
«Ciao», saluta ignorando Ephram, mettendoglisi proprio davanti a lui.
«Harper»
«Perché siete tutti fuori? Abbiamo ricevuto un messaggio sul gruppo annunci della scuola ma...»
La guardo male interrompendola prima che continui con questo copione. «Fingi davvero bene. D'altronde non ti sporcheresti mai le mani personalmente», dico tra i denti superandola.
Mi ferma. «Vedilo come un avvertimento», sibila all'orecchio.
Da questo comprendo ogni cosa. Non riuscendo ad usarmi grazie al piano degli Scorpions e alla fuga, hanno escogitato un modo diverso per umiliarmi, per dire a mio padre che frequento uno di loro.
«Non ho paura. Quando hai la coscienza pulita non hai niente da temere. Chissà cosa penserà Mason quando saprà di Damon», le sibilo a mia volta.
Mi strattona davanti a tutti digrignando i denti. «Fottuta stronza, come hai fatto?»
«Che cosa sono queste parole signorina Morris?»
Il mio cuore perde un battito. Mi volto e mio padre sta guardando con rimprovero Harper mentre il signor Bolton entra nel parco guidato da uno degli organizzatori, apparentemente a disagio.
Le sorrido perfida ignorando la presenza di mio padre, attualmente nelle vesti di sindaco.
«Ricordati che sono sempre un passo avanti. Non importa quello che escogiterai, sarai sempre in bilico e pronta a cadere in un soffio.»
Stringe forte la presa sul manico della sua borsetta. Le narici le si dilatano mentre Ephram continua ad assistere chiaramente divertito alla scena. Un po' come il resto dei presenti.
Raggiungo mio padre. Non sapendo che cosa dire mi limito a salutarlo con un cenno.
«Stai bene?»
Vorrei tanto negare, avvertirlo che a breve vedrà qualcosa che gli farà male ma non ce la faccio. Dovrebbe essere lui quello a tenermi al sicuro non Kay, non i suoi amici, non io, ma lui. Mio padre.
«Si, a meraviglia. Tu?», mento.
«Sai che cosa è successo?»
«Ho appena visto quello che hanno fatto e preparati allo shock. Piccolo spoiler per te: sono stati i tuoi graziosi King», gli dico tra i denti spostandomi.
Papà liscia la cravatta entrando con compostezza.
So già che avremo una bella discussione quando torneremo a casa. Ma in fondo io ci spero. Perché è quanto più vicino ad una conversazione e ad un contatto che posso avere con lui.
Attendo insieme agli altri la sua reazione che, come sempre non sarà teatrale ma severa.
Nel frattempo Ephram mi raggiunge sedendosi insieme a me sul marciapiede.
«Stai bene?»
Quando una persona mi chiede se sto bene non so mai come rispondere o se rispondere usando una menzogna e poi sentirmi in colpa. La verità è che ci sono momenti in cui credo di stare bene e altri in cui invece non mi sento in pace con me stessa.
In questo istante sento solo un enorme fuoco divamparmi nel petto e il peso di una vergogna che non ho mai provato ma che si insinua lento e poi mi travolge forte strizzandomi le interiora.
«Non lo so», decido di essere sincera. «Tu, tutto ok?»
Riflette anche lui un momento passando la mano tra i capelli dopo essersi tolto il berretto. «Direi come ogni altro giorno ma sono preoccupato per te. Che cosa significa quel disegno?»
Sta indicando il parco alle nostre spalle. Lo guardo come se mi stesse prendendo in giro. «Davvero non ci arrivi?»
Vuole sentirlo uscire dalla mia bocca. Abbasso il viso accontentandolo. «Pensano che io vada a letto con uno degli Scorpions ma ho scoperto ben altro oggi che mi farà guadagnare tempo e forse mi coprirà le spalle per un paio di giorni.»
«Mettendo alla prova Harper come prima?»
È perspicace. Annuisco. «Si, ho ottenuto da lei la risposta che potrebbe metterla subito a tacere. Per lei è importante la faccia, la reputazione, un po' meno la persona che si porta a quanto pare a letto e non è Mason.»
Non sembra convinto. «Ho visto Harper distruggere una persona fino a rovinarle la vita, la carriera, tutto...»
«È solo una ragazzina che si atteggia a fare l'adulta. Hanno trovato altro o è successo solo in questo parco?»
Ephram saluta un suo amico con il pugno. «Solo qua. A quanto pare era il luogo migliore da distruggere», dice stringendosi nel giubbotto rosso imbottito.
«In questo modo sarebbero arrivati in fretta a me», sussurro. «E a mio padre.»
Dalla strada arrivano i King da una parte e dall'altra dopo qualche minuto spuntano anche alcuni degli Scorpions. Tra questi ultimi c'è Kay ma non mi guarda neanche quando si fermano mescolandosi tra di noi.
Non so dire se sto provando fastidio per il fatto che mi sta deliberatamente ignorando o se per il fatto che i suoi occhi non cercano mai di incontrare i miei.
«Non vai a salutare il tuo amico?» Ephram lo indica.
Fingo indifferenza. «Non è mio amico. Comunque no, mi piace congelarmi le chiappe qui.»
Sorride. «Non è tuo amico, eh? Se non ricordo male giocavi quasi sempre con lui proprio perché era in grado di farti arrabbiare e ridere.»
Lo guardo nascosta dietro i capelli mentre parla con Shannon. «Sono passati anni. Siamo cambiati.»
«Come fai a reagire così bene a tutto? Non soffri?»
Soffri il doppio ma quando cadi e ti fai male molte volte impari a lasciarti scivolare addosso tutto quanto.
Per strada si crea un certo bisbiglio. Gruppi di studenti si formano.
Ad un certo punto vedo mio padre uscire più che infuriato dal parco seguito da due dei nostri docenti e dal signor Bolton che ha lo sguardo severo come quello di un aguzzino.
Tutti attendiamo impazienti raggruppandoci intorno a loro.
«Tornate nei vostri gruppi, qui non c'è niente da vedere», dice con voce pacata.
«Non può spiegarci che cosa è successo?», alza il tono qualcuno degli invisibili facendo animare altri ragazzi curiosi.
Mio padre si agita sul posto inumidendosi le labbra. «I ragazzi che non fanno parte dei King oggi andranno insieme agli Scorpions a pulire il magazzino», ordina.
Si crea un ulteriore mormorio. Papà non ha dato nessuna spiegazione. Sta evitando per non mettermi in ridicolo.
«I King rimarranno qui a pulire lo scempio che hanno creato durante la notte e aggiungo», alza il tono minaccioso guardandoci tutti. «Che alla prossima effrazione o minaccia o atto di vandalismo chiunque... verrà punito. Passerà una notte in cella e avrà la fedina penale sporca. Nessuna cauzione per chi commetterà errori. Volete la guerra? Combatterò a modo mio.»
«Intende prendere solo su di noi il provvedimento? Perché dobbiamo pulirlo da soli il muro?», chiede sfacciata Harper. Come se lei avesse preso una scopa durante la prima giornata, penso.
Eppure si inganna da sola. Nessuno ha parlato di muro. Lei stessa prova a cambiare risposta ma mio padre coglie la palla al volo.
«Perché siete stati voi e voi pulirete da cima a fondo l'intero parco. Il provvedimento che ho preso per tutti invece sarà il coprifuoco e nessuna festa nelle prossime settimane», detto ciò si allontana sotto le urla dei King che lo offendono.
Papà mi si avvicina. «Quando finisci dritta a casa. Questa sera affronteremo l'argomento. Intesi?»
«Va bene», non me la sento di contraddirlo anche se la voglia è davvero tanta.
Papà si sposta insieme al signor Bolton verso l'auto. «Un'altra cosa», alza ancora il tono. «Sarete sorvegliati assiduamente durante le ore di volontariato e chi non rispetterà le regole riceverà un'altra punizione.»
Si allontanano parlando tra loro fino a raggiungere l'auto posteggiata a poca distanza mentre le guardie e i supervisori muniti di cartelle iniziano a fare l'appello.
In poco tempo siamo divisi in gruppi e mentre i King rimangono al parco, io mi sposto verso il magazzino dove si è tenuta la riunione, quel luogo pieno di polvere e ragnatele in cui probabilmente ogni cosa è andata a farsi benedire avendo inizio.
Cammino per circa cinque minuti buoni prima di ritrovarmi circondata dagli Scorpions che, a quanto pare ci stavano già aspettando standosene comodamente seduti sul terreno a giocare a carte, a fumare e a scherzare tra loro.
Sembrano davvero una famiglia, non preoccupati della punizione ma a quanto pare motivati a fare qualcosa. Mi sento quasi a disagio avanzando tra loro.
Ci osservano uno ad uno. In fondo, siamo il gruppo degli sfigati, degli invisibili. Siamo i cervelloni, quelli strani che hanno un qualche difetto nascosto o evidente. Non siamo buoni per fare parte di un gruppo.
Il nostro supervisore ci distribuisce delle giacche fosforescenti. La mia è giallo evidenziatore.
La indosso. «Niente male», dico divertita. «Come mi sta?», chiedo facendo un giro su me stessa ad Ephram che nel frattempo tiene le scope e un grosso cestino con le ruote.
Mi lancia una breve occhiata. «In tinta con i capelli direi», nasconde un sorriso. «Non ti sei stancata del colore?»
«Era una battuta quella? Oh oh, fermi tutti!»
Mi spinge con una spallata. «Andiamo o ci beccheremo un ammonimento.»
Entriamo nel magazzino aperto da tutte e quatto le saracinesche sostituire da dei portoni scorrevoli. Il suo interno è stato svuotato. Le sedie sembrano essere sparite così come il palco e i banchi, il tutto ammassato all'angolo fuori, sotto una tettoia e uno strato consistente di cellophane per riparare il materiale dalla pioggia. Me ne accorgo sbirciando alla mia sinistra.
L'interno del magazzino è stato suddiviso in quattro aree. Qui dentro troviamo il caos. Ragazzi a rincorrere le ragazze con le scope piene di ragnatele. Musica improvvisata da tre ragazzi che battono il tempo sui coperchi dei bidoni di latta, urla e divertimento. Sembriamo più ad una festa che ad una punizione.
Ephram si impala sulla soglia per un momento di troppo irrigidendosi, poi inizia a spazzare per terra come se niente fosse eclissandosi completamente.
Lo aiuto ignorando in un primo momento la curiosità dovuta alla sua reazione. Mi scanso quando uno degli Scorpions fugge fuori inseguito da una ragazza dai capelli rosa e scuri alle radici. Piercing alle orecchie e tanti anelli sulle falangi a reggere un rastrello pieno di polvere e ragnatele avvolte intorno ai denti.
«Che ti succede? Sei allergico alla polvere o...»
Ephram nega velocemente. «No, non dovrei stare qui», dice continuando a saettare ovunque con gli occhi.
«Se posso chiedere: come mai?»
Mi indica una ragazza in fondo al magazzino. Caschetto biondo cenere, occhi scuri e naso all'insù. Alta e slanciata come una ballerina di danza classica. Sta sorridendo con le amiche ed è una degli... Scorpions.
«È una tua ex amica?»
«No, è la mia ex.»
Mordo il labbro fingendo di non sapere niente. «E perché mai non dovresti essere qui?»
Passa l'indice sotto il naso rosso a causa del freddo. «Perché mi è costata un ordine restrittivo.»
Non indago oltre notandolo infastidito dalla mia invadenza ma lo tengo d'occhio mentre fa finta di niente per passare inosservato.
Continuo il mio lavoro spazzando tutta la polvere che nasconde delle assi di legno apparentemente in buono stato che dovevano funzionare da pavimento un tempo. L'altra sera non ho avuto modo di osservare davvero l'ambiente.
Notando un chiodo arrugginito uscito dal bordo del buco in cui dovrebbe essere piantato, recupero un martello e inizio ad aggiustare tutti quelli che rischiano di fare impigliare o ferire qualcuno.
«Da principessa a operaia edile è un attimo», mi prende in giro Shannon entrando nel magazzino, trovandomi impegnata a sistemare le assi di legno e ad incastrarle dopo averle spazzate per bene.
«Ordinaria amministrazione. Mentre da re a spazzino... è un secondo direi», replico indicando il sacco nero che porta caricato in spalla.
Ride facendo voltare molte delle ragazze raccolte all'angolo tra cui la presunta ex di Ephram.
Si è accorta di lui ma sta facendo finta di niente, quindi mi chiedo se non sia stato solo un modo, quindi un pretesto, per tenerlo lontano da lei. Ad esempio per potere stare con qualcuno del suo stesso gruppo, visto che Ephram non ne fa parte.
«Non è immondizia. Porto doni principessa», alza il tono aprendo il sacco nero che appoggia ad un tavolo improvvisato costruito con dei ceppi di legno.
Dentro di questo: sacchetti di caramelle, panini al cartoccio e vaschette di patatine. Il tutto sotto involucri di carta e tovaglioli. Uno dei suoi amici entra invece con le bevande.
«Chi ha fame?», urla.
Tutti fischiano applaudendo e, ancora una volta mi sento in mezzo ad una famiglia di spostati.
Shannon mi passa un po' di tutto facendomi l'occhiolino. «A lei principessa degli operai.»
«Rettifico: da re a Babbo Natale è un attimo. Grazie», poso il palmo sulla sua spalla dandogli un colpetto e con il mio bottino mi sposto verso Ephram e il suo amico dividendo con loro la merenda.
«Conosci Shannon», mi fa notare il ragazzo, Xavier. Pelle color ebano, occhi come pece rotondi e denti dritti bianchissimi a fare da sfondo ad un viso simpatico. Va molto d'accordo con Ephram. I due sembrano affiatati. Continuano a farsi delle battute, a concludere la risposta dell'altro. È piacevole vederli così.
«Come vi siete conosciuti voi due», biascico divertita.
Xavier lo guarda complice. «In un negozio di fumetti. Eravamo ad una fiera.»
Pulisco le labbra. «Davvero? Non l'avrei mai detto.»
Ephram sorride forse per la seconda volta. È teso, continua a saettare ovunque con lo sguardo come se dovesse arrivare la polizia e portarlo via davanti a tutti. Noto come trattiene il fiato quando entra qualcuno. Deve essere stato traumatico per lui.
«Oh si, ha praticamente asfaltato un tizio che credeva di sapere tutto sui fumetti di X-Men.»
«Dove sono i video quando servono?»
Ridono. «Dovevi proprio esserci. Questo continuava a pavoneggiarsi ma ad una mia domanda», schiocca le dita. «È caduto come un pero.»
«E voi due invece?», ci chiede subito.
«A scuola», rispondo.
«In realtà io e Erin ci conoscevamo già. Giocavamo insieme da piccoli. Ci siamo rincontrati a scuola.»
Xavier appare interessato. «Avete avuto una storia d'amore infantile o cosa?»
Rido mandando giù il boccone che per poco non mi faceva strozzare. Bevo subito un sorso d'acqua. «No, niente del genere. Ephram però mi ha regalato un peluche fatto all'uncinetto che ho attualmente sulla mensola insieme ai miei libri. A proposito, grazie.»
Arrossisce e Xavier lo guarda pensando a qualcosa. «Aspetta... lei è la bambina sparita di cui mi parlavi?»
Ephram annuisce. «Ti avevo raccontato un paio di cose che a quanto pare non hai dimenticato. Non ho detto che era sparita che ma che se ne era andata.»
«A quanto pare sono famosa», li interrompo notando l'imbarazzo nello sguardo sfuggente di Ephram.
«Si, il mio amico deve essere davvero affezionato a te.»
Ephram lo spintona e Xavier ride prendendolo in giro. I due finiscono per bisticciare e rincorrersi proprio come tutti gli altri.
Rimasta sola, avvolta tra le risate, la musica in sottofondo e il vocio finisco di mangiare.
«Dimmi un po', che ci fai qui da sola?»
Shannon si siede accanto a me passando il palmo sulla tavola togliendo il velo di polvere.
«Non sono da sola», accartoccio la stagnola bevendo gli ultimi rimasugli di acqua. Indico Ephram e Xavier.
Shannon assottiglia gli occhi muovendo velocemente la mandibola prima di accendersi una sigaretta. Prende una lunga boccata. «Sai che cosa ha fatto quello svitato?»
«Non so quello che hai fatto tu, svitato», replico.
Lascia andare il fumo. «Punto per te, principessa. Ma dovresti fare attenzione e stare alla larga il più possibile.»
Alzo le spalle. «Da te o da lui?»
Ride. «Mi piaci», dice dandomi un buffetto, incrociando il mio sguardo.
Scaccio la sua mano. «Questo non lo vedono di buon occhio le tue seguaci o dovrei chiamarle... groupie?»
Gratta il mento. Il filo di barba lo rende attraente nel complesso. «Credi che questo mi farà fermare?»
«Penso di no ma non farti strane idee.»
Mette subito le mani avanti. La sigaretta tra le labbra all'angolo e l'occhio strizzato per il filo di fumo che sale bruciando la cartina e il tabacco.
«Non rubo mai le ragazze dei miei amici», ghigna. «Tranne quando sono belle come te.»
Sento un certo fastidio dentro. «Io non sono la ragazza di nessuno dei tuoi amici. Ma che sia chiaro: ti vedo più come il fratello maggiore che non ho mai avuto. E comunque se era un modo per farmi un complimento quello, ti ringrazio.»
Si sporge verso il mio orecchio guardando di proposito le ragazze. «Visto che sono tuo fratello, allora ascoltami quando ti dico di non avvicinarti troppo ad Ephram.»
Sorrido. «Furbo ma non abbastanza. Decido da sola le mie amicizie, fratellone», lo prendo in giro.
Spegne la sigaretta lasciando uscire il fumo alzando la testa. Riflette su qualcosa. Non sta neanche sorridendo come prima. «Se non vuoi farti male, ascoltami.»
Soppeso il suo sguardo. «È così grave quello che le ha fatto?»
Gratta la guancia. «Non quello che ha fatto a lei ma quello che ha fatto a lui...»
Indica un ragazzo fuori dal magazzino. Quando questo si volta, rimango spiazzata. Un segno sulla faccia simile ad un graffio gli attraversa la fronte e l'occhio fino a scendere sulla guancia.
Boccheggio. «Ephram ha...»
Shannon si alza. «Sta attenta, ok?»
Corrugo la fronte. «Me lo stai dicendo più per me o per Kay?», chiedo alzandomi, andando dritta al punto.
«Sei perspicace.»
Cammino accanto a lui aiutandolo a raccogliere i residui della merenda come bicchieri e involucri di carta. «Perché sei preoccupato per lui?»
Riflette un momento se rispondermi. «Kay non si fermerebbe di certo al viso», dice brevemente. «Non userebbe solo un coltello.»
Drizzo la schiena. Sento un brivido freddo percuotermi le ossa. «Che cosa significa?»
Mi segue fuori dal magazzino dove inizio a passare il lucido sulle travi già dipinte in precedenza. Mi aiuta a sollevarle e a lucidarle.
«Kay non è il tipo che quando è geloso e si trova coinvolto in una rissa si ferma alla semplice minaccia.»
Mi fermo un momento deglutendo quasi a fatica al pensiero di vedere Kay arrabbiato e pronto a fare a pezzi qualcuno. «Ma io e lui non stiamo insieme», oso dire.
Shannon recupera l'ennesima trave di legno da lucidare. Ghigna. «Ah no?»
Arrossisco violentemente sotto il suo sguardo. «No, ci odiamo.»
Ride. «Questa è la cosa più stupita che hai detto fino ad ora.»
«Perché? Ma dico, non hai visto come ci comportiamo?»
Annuisce. «Si, e pure bene. Voi due insieme siete dinamite.»
Scuoto la testa negando. «No, è insopportabile per non parlare del fatto che abbiamo vecchi rancori.»
«Cose da infanzia, lo so. Ma non puoi comprendere il modo in cui ti guarda. Da quando sei tornata non esce più con noi, non beve e non scopa. Che cazzo gli hai fatto? Si sta trasformando in un cazzo di damerino puntiglioso. Più di quanto già non fosse.»
Trattengo una risata. «Io? Niente. Che cosa avrei dovuto fargli? È lui che non vuole. Avrà le sue buone ragioni, non credi? Non glielo proibisco mica io. Magari sta crescendo.»
Passa la mano sulla testa rasata. «Può darsi ma non spezzargli il cuore, intesi?»
Metto le mani avanti sentendomi minacciata. «Non lo farò soffrire.»
«Croce sul cuore?»
Rido. «Ok.»
«Bene, perché non voglio difenderti e perdere il mio amico. Tu mi piaci ma non arriverò a scegliere tra te e lui.»
Corrugo la fronte. «E questo che cosa significa?»
«Significa che ti terrò d'occhio ma per le questioni riguardanti Kay, quello che succede tra di voi... mi terrò alla larga. Diciamo che lo prenderò solo in giro.»
Sospiro. «Ma io e lui non staremo mai insieme quindi il problema non si pone e comunque... grazie per quello che fai per me. Non so come sdebitarmi.»
«Tieniti alla larga dai problemi e non avrai alcun debito con me.»
Rimaniamo in silenzio per un po' continuando le nostre mansioni. Di tanto in tanto esclama qualcosa che mi fa ridere e come sempre il gruppo delle ragazze si voltano bisbigliando poi tra loro.
Ad un certo punto c'è uno strano trambusto all'interno del magazzino. Persino la musica cessa.
Shannon si stacca per andare a controllare e vedere la ragione di tanto rumore all'interno ed io lo seguo a ruota trovando Ephram davanti ad uno degli Scorpions, il pugno serrato in vita e lo sguardo freddo come non gli ho mai visto in faccia.
«Che succede?»
Il ragazzo con la cicatrice al suono della voce baritonale di Shannon si stacca velocemente da Ephram. «Niente.»
Mi avvicino a quest'ultimo. «Andiamo», dico piano.
Lui batte le palpebre. Notando il mio gesto mi guarda smarrito poi insieme a Xavier mi segue fuori. «Che cosa è successo lì dentro? Non posso lasciarti un momento da solo che ti cacci nei guai?»
«Stava attaccando briga di proposito quel bastardo.»
«Ti avrebbe fatto a fettine e nessuno avrebbe mosso un dito», lo rimprovera Xavier.
Ephram però nega stringendo il pugno. «Cazzo!»
Gli porgo una bottiglia d'acqua sedendomi accanto a lui, passandogli la mano sulla schiena. «Respira.»
Lentamente fa come dico. Persino Xavier segue il mio consiglio.
«Sei calmo adesso? Riesci a pensare lucidamente?»
Annuisce. «Si, grazie. Che ci facevi con Shannon?»
«Abbiamo solo parlato e quasi finito di lucidare le travi», spiego brevemente. «Al contrario di voi noi stavamo lavorando e... forse lui stava facendo ingelosire qualcuno usandomi.»
Sentiamo una voce schiarirsi. Mi volto e ritrovo Kay a poca distanza, mi fa un breve cenno con la testa richiamandomi.
«Scusatemi un momento», dico loro raggiungendolo.
«Perché stai sempre con quello?»
Alzo gli occhi al cielo sentendo il suo fastidio gelarmi le vene. «Ciao anche a te.»
Mi guarda male. Ricambio con astio.
«Puoi evitare questo atteggiamento e rispondere?»
Gli rido in faccia. «Chi sei esattamente?»
Indurisce i lineamenti e guardandosi intorno, afferrandomi per un braccio mi trascina a distanza, verso il boschetto. Mi spinge contro un albero tenendomi ferma, i palmi ai lati della mia testa.
«Sono chi sta per tapparti la bocca», replica e poco prima che io riesca anche solo a rispondere mi bacia.
Le sue labbra così piene, esercitano sulle mie una forte pressione in grado di trasmettermi sicurezza, una fermezza naturale. Cede arrendevole alle carezze della mia lingua che chiede solo di poter essere accolta e sfiorata dalla sua.
Mi godo ancora il suo tocco, il suo bacio così premuto e voglioso, dato senza un secondo fine. Nasconde però una nota di rabbia, di pura gelosia. Un impeto che mi lascia scappare un flebile gemito in grado di provocargli uno spasmo.
Ed è qui che ho un attimo di lucidità. Che cosa sto facendo? Non posso lasciarmi coinvolgere emotivamente da un diavolo. Non posso offrire la mia anima ad uno che non sa come proteggere la sua.
Lo spingo. «Non farlo più», sbraito.
«Perché? Ti è bastato passare del tempo con lo svitato per dimenticarti di me?»
Lo supero sfiorandomi una guancia per capire quanto sono accaldata e rossa in viso. «Svitato? Ma ti senti? E poi sei stato tu quello ad andartene e ad ignorarmi al parco.»
Mi incammino per non farmi beccare con le mani in mano dai supervisori che di tanto in tanto fanno la loro comparsa.
«Ti ha dato fastidio?»
«No, ma te ne sei andato con il sorriso e poi non ti sei neanche accorto di me», gesticolo.
Mi fermo fuori ad aggiustare lo steccato che alcuni dei ragazzi hanno già messo in piedi e che aspetta di essere verniciato di bianco.
«Mi sono accorto benissimo di te. Ma sai già che non voglio fare scenate davanti a tutti. Specie se te ne stai con quel... viscido.»
Apro il coperchio del colore dopo avere indossato una tuta di carta bianca.
Kay fa lo stesso sentendosi ridicolo in bianco, proprio come altri dei suoi amici che continuano a prendersi in giro.
«Si chiama Ephram, ha un nome proprio come te. Io non vengo a dirti chi frequentare. Non dovresti farlo neanche tu.»
Superandolo mi metto al lavoro cercando solo di concentrarmi. E ci riesco, per qualche minuto, prima che Kay torni alla carica indispettito dal mio atteggiamento.
«Come funziona, mi tieni un po' il muso e poi mi permetti di dormire nel tuo letto e baciarti?»
«Già che ci sei urlalo pure. Non l'hanno capito quelli che stanno dentro il magazzino.»
Prova ad aprire la bocca e gliela tappo passandogli il pennello pieno di colore bianco sopra. «Ops!», fingo di essere dispiaciuta ma con una certa soddisfazione.
Kay chiude un momento gli occhi per frenare ogni istinto. «Non l'hai fatto davvero...»
Provo a scappare ma in breve una sferzata di colore mi cade addosso.
Kay si avvicina come un lupo. Le sue dita si artigliano alla mia vita sollevandomi, caricandomi sulla sua spalla.
«Allora è una mania la tua! Mettimi giù!», ringhio.
«Smetterai di fingere?»
«Che cosa?»
«Di non provare niente di niente. Di non provare piacere nel baciarmi o nel toccarmi. Di non stare con me.»
Mi fermo, smetto di dimenarmi. «Ma noi noi non stiamo insieme. Quello che è successo ieri...»
Mi mette immediatamente giù interrompendomi con il suo sguardo distante. «No?»
Seppur insicura, mordendomi il labbro, nego.
Stringe le labbra in una smorfia di delusione poi girando sui tacchi, dandomi le spalle, si avvicina lesto ad una ragazza, la provoca facendola girare, la saluta e poi la bacia con una sensualità tale da farmi male. Il tutto sotto l'acclamazione dei suoi amici, chiaramente divertiti dallo spettacolo.
La ragazza non sembra neanche volersi staccare da lui. Lo stringe e lui continua sollevandola leggermente, facendo fischiare dei ragazzi seduti su dei ceppi.
E nel profondo del mio cuore si crea una ferita, uno squarcio improvviso, invisibile dalla quale sgorga il sangue. Una ferita che non si rimarginerà neanche al sole, che farà sempre male.
Shannon mi guarda attento mentre me ne sto impalata. Non so che cosa pensare ma so cosa sto provando dentro, so cosa mi sta provocando tutto questo e voltandomi, con un certo contegno, per non dare nell'occhio, più che disgustata, mi allontano togliendomi la tuta con rabbia andando a chiedere il permesso al supervisore di tornare a casa. In fondo, mancano solo cinque minuti.
Ottenuto il permesso, supero la recinzione ritrovandomi a debita distanza. Lascio uscire il respiro simile ad un attacco d'arma e drizzando la schiena, stringendo i pugni dentro le tasche, mi incammino lungo la stradina in discesa per raggiungere l'incrocio e poi la via che mi condurrà a casa.
Pesto i piedi sull'asfalto continuando a camminare con un tumulto dentro in grado di generare un gran caos.
Giunta all'incrocio, frastornata, mi fermo un momento osservando i due locali chiusi alla mia destra. I miei occhi però, intercettano delle figure e quando metto a fuoco, davanti a me ci sono Harper e Mason.
Non credo sia il momento giusto per un litigio in piena regola. Non mi sento in vena e principalmente in forma per potermi difendere come si deve dalle loro stupide frecciatine o da un loro possibile attacco che serve a fare da tramite per arrivare a mio padre.
Indietreggio provando a non farmi notare, in punta di piedi mi volto e il mio cuore perde un battito alla vista di Damon che mi sorride come uno squalo che ha appena fiutato il sangue della sua preda.
«Dove vai così di fretta?»
Porto i capelli dietro l'orecchio. «Non mi sento molto bene. Non credo sia il momento...», lo avverto sentendomi carica a pallettoni, soprattutto dopo avere visto lo slinguazzamento di Kay con quella ragazza dai capelli rosso ciliegia sbiadito che sembrava proprio apprezzare.
Ma non credo che questo sia il motivo scatenante del mio strano malessere. C'è qualcosa che in questo momento non va in me, mi sento priva di vita, stanca.
Damon non sembra avere sentito le mie parole per cui mi afferra per le braccia tenendomi stretta, facendomi girare, mostrandomi ai due dopo averli richiamati con un fischio.
«Guardate chi abbiamo qua?»
Ad Harper le si illuminano gli occhi. Questo però solo all'inizio. È come una lucciola che si spegne perdendosi nel buio fitto.
Non comprendo.
Mason invece appare più che soddisfatto, controlla infatti che io sia sola avvicinandosi come un leone a passo sicuro, spavaldo.
In questo momento mi piacerebbe rompergli la faccia o spezzargli una gamba solo per il gusto di farlo urlare come una bambina. I segni sul suo viso non si sono ancora rimarginati ma assumono sulla sua pelle una linea marcata in grado di renderlo ai miei occhi come un cane rabbioso pieno di bava.
Da questo comprendo già che le cose a breve andranno in malora.
Non mi spaventa il fatto che sia arrabbiato. Mi suscita solo inquietudine sapere di doverli affrontare da soli.
«Guarda guarda, la regina degli invisibili è tutta sola.»
Il mio interesse per lui è scemato nell'esatto istante in cui mi ha parlato in quel modo, con risentimento e dandomi della figlia di... puttana.
Non conosco la ragione del suo comportamento, tantomeno delle sue parole nei confronti di mia madre. Ho ricordi contrastanti del periodo in cui giocavamo. Questo da quando Kay mi ha rivelato che lo facevano solo per prendermi in giro.
Stringo i pugni in vita mantenendo la calma. Con la coda dell'occhio controllo di avere almeno una via di fuga e che sia libera. Devo mantenere la calma, continuo a ripeterlo mentalmente prendendo piccoli respiri per calmare il cuore che sembra sul punto di scoppiare.
«Stavo giusto dicendo a Damon che non sto bene. Se potete lasciarmi andare ve ne sarei grata.»
Mason mi scruta attentamente piegando la testa di lato, leccandosi le labbra e stringendo i denti messi in bella mostra come quelli di una belva. «Che cosa ti fa credere che ti lascerò andare senza prima averti dato una lezione, eh?»
Harper ha un attimo di esitazione intuendo le intenzioni del suo ragazzo. «È una ragazza ed è mia amica. Non puoi trattarla come quei bastardi. Non puoi... sai dove andrai a finire se solo la toccherai con un dito?», dice spaventata da quello che potrebbero fargli.
Dal modo in cui le sue mani stanno tremando mi suggerisce che non è niente di buono quello che sta per fare Mason.
«Certo, è vero», fa un cenno e Damon mi lascia andare.
«Ma è colpa sua!»
Prima ancora che io possa anche solo rispondere mi ritrovo a terra senza fiato. Harper urla spaventata. La sua paura rimbomba intorno in questo vicolo silenzioso dalla quale non passa nessuno.
Il colpo allo stomaco lo sento appena. Boccheggio ritrovandomi inginocchiata, senza fiato. Lo guardo male mentre mi sorride, pronto a darmi un'altro calcio ben assestato.
«È solo una stronza a cui serve una bella lezione», sputa fuori con un certo risentimento. «E sarò io a farle capire chi comanda qui, di chi deve avere paura...»
E così fa, senza controllo, senza ripensamenti, senza paura.
Non emetto un fiato quando mi colpisce ancora. Tossisco solo, provando a rialzarmi.
«Che cazzo stai facendo?», Damon appare spaventato, prova subito ad aiutarmi, ad allontanarmi da Mason.
Scaccio le sue mani come un animale ferito e lui indietreggia alla mia minaccia silenziosa quando lo spingo via. Guardo Mason con disprezzo senza dargli la soddisfazione di vedermi piegata. Il dolore lo sento eccome ma si brucia alimentando la mia rabbia.
«È una ragazza e non puoi comportarti così!», sbraita Damon spingendolo.
Mason sputa a terra. «Non immischiarti. Sto solo dando una lezione a questa stronza. Vediamo se suo padre adesso avrà il coraggio di minacciarci.»
Mason schiaccia Damon contro il muro con un pugno stordendolo, spinge Harper quando si mette di mezzo facendola cadere a terra e mi colpisce ancora. Lo lascio fare sputando a terra il sangue che mi cola dalla bocca.
«Mason, fermati. Le stai facendo male!»
«Così l'ammazzi!»
Damon lo colpisce ma Mason sembra inarrestabile e dopo una breve colluttazione ha la meglio sull'amico.
«Portala via!», gli ordina rabbioso indicando Harper che continua a strillare e a piangere.
Quest'ultimo esita. «Amico non puoi...»
In risposta Mason lo ferma scoccandogli un'occhiata brutale. «Ho detto... portala via o le faccio molto male.»
Guardo di sbieco e dietro l'angolo noto dei movimenti. Qualcuno ci osserva, forse i residenti. Ma so che devo cavarmela da sola. Non ho nessuno qui.
Mi rialzo leccandomi le labbra dopo avere sputato una consistente quantità di sangue al suolo.
«Tutto qua?», lo provoco per fare allontanare Harper prima che lei possa andarci di mezzo o Mason possa farmi davvero male.
Mason serra il pugno provando a colpirmi ma con una mossa ben studiata grazie ai suoi colpi precedenti che per me erano solo di prova, usando tutta la forza di cui dispongo attualmente pur non riuscendo a respirare bene, lo mando a terra usando le tecniche imparate dall'amico dell'ex di mia madre.
Vedendolo a terra, stordito, incredulo, gli metto un piede sulla gola premendo abbastanza forte da farlo dimenare come uno scarafaggio. Abbassandomi, con disprezzo, sussurro: «Prova ancora a minacciarmi e a mettermi le mani addosso e giuro che ti sbudello come un porco davanti a tutti. Ricordati di questo giorno Mason, ricordati di come sei caduto come una femminuccia e ricordati di come mi hai ridotta perché sarà l'ultima volta», gli mollo un calcio così forte in faccia da lasciarlo privo di sensi.
Ogni traccia di adrenalina si affievolisce. La vista mi si appanna e barcollo indietro appoggiandomi al muro di una casa senza più fiato. Scivolo a terra come una bambola di pezza appesantita toccandomi l'addome con una smorfia.
Sento qualcuno correre in fretta nella nostra direzione.
«Che cosa è successo?»
«Oh mio Dio, Erin!»
Dana si avvicina mentre Davis si assicura che Mason sia solo svenuto.
Non riesco a muovermi, vedo tutto sfuocato e il dolore si dirama ovunque. Vorrei tanto dirgli che sono stata io a mettere il bastardo al tappeto ma non riesco ad aprire la bocca, a lasciare uscire una parola. Non riesco a muovermi.
Allarmata, Dana si inginocchia davanti a me picchiettandomi la mano sulla guancia. «Erin... Erin... resta sveglia», mi strilla agitata. «Oh mio Dio, chiama suo padre, subito!»
«Non possiamo», interviene Harper asciugandosi le lacrime.
Per tutta risposta Dana la guarda male. «Davvero? Vuoi lasciarla così?», pesca il telefono dalla tasca. «Allora lo farò io e dirò tutto. Me ne sbatto altamente delle tue regole.»
Harper esita agitandosi. «Io... io non lo so. Non so che cosa fare. Io...»
«Cazzo!», urla Damon. «Questa non ci voleva.»
Non capisco il perché delle sue parole.
Sento solo un gran trambusto prima del fischio alle orecchie, il dolore intenso e poi il buio.

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Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now