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Cinque mesi dopo...

Strano ma vero, finalmente, è una bellissima giornata di sole in questo posto sperduto e triste. La primavera sta arrivando in fretta anche se l'aria è sempre umida e fredda. Ma non sono più costretta ad indossare indumenti pesanti.
Il tempo è passato velocemente in questi mesi. Non è più successo niente di grave a Oakville e le cose per me sono andate per come dovevano. In realtà mi sono tenuta lontana dai guai per riuscire a terminare la mia esperienza scolastica nel luogo della mia infanzia.
Mi ritrovo a scuola. Non manca molto alla fine di questo anno fatto di alti e bassi. Soprattutto bassi che mi hanno spinta più volte a stretto contatto con il pericolo e a fare i conti con quei lividi che non riuscirò più a togliermi dalla pelle. Porto ancora addosso i segni ma non ho mai smesso di andare avanti, di percorrere la mia strada. Alla fine il coraggio sta anche in questo. Nell'affrontare ogni cosa dopo che si cade. Anche se ci si fa male.
Avere coraggio è prendere consapevolezza di una caduta, di un nuovo dolore in arrivo. Perché talvolta è meglio provarci, nonostante tutto, anziché rimanere con il dubbio e la paura di un fallimento.
Il rapporto con papà è migliorato. Andiamo d'accordo e non mi sento più sola quando scappa di casa per andare a salvare qualche vita. Anche se mi dispiace vederlo per qualche ora al giorno ormai non sento più quella fitta di delusione mista a smarrimento che mi investiva i primi tempi, quando vedevo il suo gesto come un abbandono. Ma abbiamo iniziato a capirci, ad anticiparci e soprattutto a rispettarci. Amiamo i nostri spazi, la nostra privacy e, ogni tanto troviamo anche il tempo di fare qualcosa di divertente, pur non uscendo molto di casa.
Dall'ultima volta, ho sentito più spesso i miei nonni, soprattutto durante le vacanze di natale quando erano riuniti e mancavo solo io tra loro con le mie canzoni rock e i miei indumenti scuri in contrasto con i loro maglioni rossi pieni di renne.
Manco un po' a tutti in casa. Be', non proprio, tranne a mia madre. Lei continua a non farsi sentire, ad ignorare i tentativi di nonna di farla ragionare, ma non ha ancora messo da parte l'orgoglio e sta continuando ad organizzare il suo matrimonio da favola previsto per il mese di luglio. Da un lato mi dispiace, dall'altro per me è una fortuna essere così lontana da non dovere sopportare i suoi piagnistei su un tulle sbagliato o sulla carta degli inviti non in abbinamento alle bomboniere. Per non parlare della lista degli invitati, degli acquisti pazzi.
Continuo ad immaginarla, specie dopo avere sentito i racconti della mia spiritosa e sempre sveglia bisnonna e di mia nonna, chiaramente agitate dall'evento.
Mi rendono partecipe. Ma in fondo so che il loro è un tentativo vano per incuriosirmi e farmi partecipare. Fino ad ora non ho ceduto e non penso che sarà possibile farlo. Ormai ho la mia vita. Tra poco tutto cambierà ancora e non ho intenzione di farmi urlare addosso di essere una rovina.
Non credo neanche di volere andare e fare finta di essere felice per lei, non dopo il modo in cui si è lavata le mani di me. Mi sento tuttora abbandonata da lei e non la perdonerò facilmente per questo. Quindi, anche se mi arriverà l'invito da parte sua: non penso che la accontenterò presentandomi al suo matrimonio. Non sfoggerò il mio più bel sorriso, seppur finto, per farle ottenere quello che vuole. Anche lei mi ha rovinato la vita. Quando ripenso a quello che abbiamo passato, mi sale addosso solo rabbia.
Per fortuna in questo ultimo periodo ho avuto troppe cose a cui pensare a parte questo evento per cercare vendetta.
Papà continua a pressarmi sul mio futuro. Come faccio a dirgli che non so che cosa voglio fare?
Non so che cosa farò, quale percorso intraprenderò finito il liceo. Ho iniziato ad inviare la mia candidatura per entrare all'università ma non sarà facile scegliere il percorso di studi giusto, anche se ho qualche idea.
Svolto il corridoio stringendo al petto i libri. Davanti a me, a poca distanza dal distributore, Harper e Dana stanno chiacchierando tra loro osservando un gruppo di ragazze ferme all'entrata. Queste ultime stanno starnazzando quando passano dei ragazzi del primo anno con le loro giacche perfette e i capelli sempre in ordine.
Mi domando come ci si senta ad essere sempre perfetti, convinti e sicuri di sé.
Harper ricambia il saluto del capogruppo ma lo fa annoiata.
Dopo averle detto di essere stronza e che sarebbe rimasta sola, ha deciso di abbassare un po' la testa, pur non depositando la corona, chiamando e chiarendo con Dana.
Da allora è riuscita ad attirala nuovamente nella sua cerchia privilegiata, a cui adesso fanno parte anche altre ragazze tutte graziose e ben vestite: le sue nuove bambole.
Dana non ha mai smesso di cercarmi, di invitarmi ad unirmi a loro, ma non ho mai accettato e lei non è mai uscita da sola senza Harper. Questo mi spinge a pensare che quest'ultima debba avere escogitato qualcosa per non permetterle di allontanarsi da lei.
Ho preferito tenermi a debita distanza da loro e dai problemi che causano tra le matricole. Ogni giorno succede uno spiacevole incidente a scuola durante la pausa, a mensa o sul campo. Come la volta in cui hanno infilato dentro lo zaino di una ragazza gli spaghetti con le polpette, rovinandole non solo i libri ma anche la divisa delle cheerleader. Questo perché non volevano averla in squadra. Oppure quando hanno attaccato una gomma sui capelli di un'altra ragazza presa di mira, tanto da spingerla a tagliarseli cortissimi.
La cosa grave è che nessuno intende fermarle.
Mi sento rinchiusa in una gabbia di matti e di bambini che giocano ancora a farsi i dispetti.
Ovviamente mi sono tenuta ben lontana dal loro radar, altrimenti avrei reagito al fuoco con il fuoco, e pure male.
«Erin», mi chiama Dana, facendomi cenno di avvicinarmi.
Ignoro i loro sguardi e quando provano a fermarmi per invitarmi da qualche altra parte o per chiedermi qualcosa, sfuggo entrando in aula di chimica con una banalissima scusa. So già che prima o poi cadrò vittima di uno dei loro sporchi giochetti o scherzo di cattivo gusto per mettermi in ridicolo.
Qui, in questa aula, ormai sono più invisibile degli invisibili. Non ho più legato con nessuno e non parlo durante le lezioni con i compagni. Evito qualsiasi contatto.
Sto tenendo duro, non sempre è così facile.
Trovo il mio posto libero. Si trova in fondo all'aula. Il mio bancone pieno di ampolle e fiale etichettate, lontana da Ephram al primo banco.
Con lui non ho più parlato. Cerco di tenermi alla larga. Nonostante siano passati mesi, non riesco proprio a guardarlo in faccia, a parlargli e a capire cosa lo abbia spinto a quel gesto. O meglio: sto cercando di capire se ha smesso o se sta covando qualcosa. Dall'ultima volta ci evitiamo e quando siamo costretti a collaborare per qualche compito, mi limito a svolgere il mio lavoro senza rivolgergli la parola o farmi anche solo sfiorare. Lui non ha provato a farlo e questo mi è servito per proseguire l'anno scolastico in una classe in cui non devo preoccuparmi di sedermi senza prima avere controllato che qualcuno non ci abbia spennellato sopra della colla.
Ho molte domande su di lui. Molte su quello che ha visto o immaginato. Non so se sta andando davvero da uno specialista per il suo disturbo. In cuor mio lo spero. Spero che riesca a tenere a bada i suoi impulsi.
Quando arriva insieme agli altri del suo gruppo, alza lo sguardo un solo istante prima di sedersi e sorridere con un ragazzo dall'aspetto gracile che gli si siede accanto ormai da mesi.
Si volta e prova a dirmi qualcosa. E per la prima volta dopo tanto tempo, sento il mio cuore battere forte mentre le immagini di quella notte mi investono prima ancora che io riesca a riprendere fiato o a muovermi. Non rispondo al suo sguardo. Mi volto. Sento però che sta continuando ad osservarmi e mentre conto i secondi, mi sale addosso una strana impressione che mi rilascia un brivido sulla pelle.
Poso i libri sul banco infilando il camice e gli occhiali, mettendomi a mio agio quando anche il professore fa la sua comparsa scusandosi per il breve ritardo.
Per gran parte dell'ora mi impegno nello studio svolgendo il test per sollevare la media dei voti, utile soprattutto ad aprirmi molte più porte.
Durante la pausa, mi ritrovo seduta in uno dei tavoli della mensa. Le cuffie attaccate alle orecchie, la musica ad un volume basso come sottofondo per questa nuova giornata serena e senza drammi che ho davanti.
Osservo ogni studente intorno. Se ne stanno tutti seduti in gruppo. Alcuni tentano di entrare nei King che, lentamente hanno riacquistato la loro popolarità dopo che Mason ha deciso di lasciare tutto per trasferirsi dai suoi nonni.
Per me è stato un sollievo non doverlo vedere più nei paraggi con quel ghigno e la voglia di vendicarsi su di me. Per Harper un po' meno, visto che adesso deve viaggiare per vederlo almeno una volta a settimana, mentre quando può soddisfa ogni suo bisogno usando Damon, sempre più innamorato di lei.
Una ragazza lancia un urlo cadendo all'indietro. Si rialza scivolando, rischiando un'altra caduta. Guarda il vassoio e non smette un secondo di saltare impaurita, poi afferra lo zaino e corre fuori piangendo.
Scoppiano tutti a ridere e sento dire da due ragazze sedute vicine al mio tavolo che qualcuno le ha messo dei vermi sul cibo.
Disgustoso!
Non mi sento sola in mezzo a tutta questa gente. Ho solo scelto di non fare parte di un gruppo seguendo fino alla fine la mia linea di pensiero. Sono a mio agio e presto non dovrò più ritrovarmi in mezzo a tutti questi individui che credono di sapere come si sta al mondo.
Apro il libro dando un morso alla mela gialla e succosa che ho appena preso dal cesto della frutta. Lecco le labbra sfogliando la pagina per continuare la mia lettura mentre qualcuno si siede accanto a me. Il profumo è un misto di colonia e talco. Alzo gli occhi mandando giù a fatica il boccone. Per poco non mi va di traverso. Vorrei avere la stessa reazione della ragazza che è appena corsa via ma la mano artigliata sul mio braccio me lo impedisce.
Ephram mi guarda speranzoso. «Ciao», saluta giocando con una delle scritte sul tavolo.
La sua voce è per i miei sensi come un'unghia grattata su una lavagna e il suo tocco un orribile eco di ciò che ho vissuto a causa sua. Raccolgo in fretta le mie cose. «Vuoi proprio una denuncia?»
Guardandolo male esco in fretta dalla mensa sotto lo sguardo curioso e attento di chi sta già spargendo la voce, soprattutto Harper che non ha smesso un secondo di tenermi gli occhi addosso, parlottando con Dana, tenendo il telefono in mano.
Tutti pensano che io sia senza sentimenti, che non abbia empatia con le persone o che ami punire chi mi fa un torto. Non sanno che la notte non riesco a dormire bene a causa degli incubi e non sanno quello che so io sul ragazzo che in questo momento mi sta seguendo fuori dalla mensa. Sento i suoi passi alle mie spalle e mi infilo in aula di letteratura.
Passo al setaccio i vari posti a sedere mettendomi in fondo. Tolgo le cuffie, poso il libro sul banco inspirando ed espirando in fretta. Poi mi alzo guardando fuori dalla vetrata coperta in parte dalle sbarre.
All'esterno, il sole tenta di scaldare il prato. In lontananza, il campo dove i ragazzi si stanno allenando per la partita di domani. Le ragazze sedute a guardarli sugli spalti. Anche a me piaceva farlo quando non ero in questo posto. Mi sedevo lì, sulla parte alta e leggevo piacevolmente avvolta dai rumori. Non guardavo mai i ragazzi. Erano loro a farlo e a pavoneggiarsi per cercare di attirare la mia attenzione. Cosa non facile, visto che non permettevo quasi mai a nessuno di avvicinarsi.
Ho sempre protetto il mio cuore dagli attacchi. Non è per paura, forse più per spirito di conservazione.
Dall'esterno proviene il fischio del coach e l'urlo che li rimette subito in riga quando iniziano a scherzare tra loro facendo i cretini.
Sento la porta dell'aula chiudersi. Mi volto di scatto impallidendo.
Alza subito le mani. «Non voglio problemi. Voglio solo parlarti un momento. Fa parte della mia terapia e ne ho bisogno per ottenere quei bollini.»
«E credi che io ci creda? Manderà me in terapia una cosa del genere se non te ne vai immediatamente!», indico la porta irrigidita e pronta a scappare.
Non so perché ma il suo sguardo non mi trasmette più quella dolcezza che mi suscitava quando lo guardavo e mi sembrava tenero, insicuro, da proteggere. Adesso vedo solo nei suoi occhi il riflesso di un predatore, di un animale che si nasconde prima di scattare in avanti con le sue fauci.
Inspiro ed espiro nel tentativo di calmarmi. Non voglio apparire spaventata anche se lo sono. Il ricordo di quella sera mi fa scivolare addosso, come acqua gelata, una bruttissima sensazione.
«Capisco che non vuoi parlare con me. Ti chiedo di concedermi solo cinque minuti», gesticola nervosamente, avvicinandosi di un passo. Usa un tono piatto. Troppo.
Gli punto il dito contro. «Non. Un. Passo. In. Più. Ti ho concesso abbastanza tempo e tu lo hai usato per pugnalarmi alle spalle, per seguirmi.»
Si ferma. «Voglio solo scusarmi con te, sta calma!»
Il sangue mi arriva al cervello. «Calmarmi? Davvero? Hai dimenticato quello che mi hai fatto?»
Abbassa la testa ma quando la solleva nei suoi occhi leggo con orrore solo la determinazione di un predatore che sa esattamente come fregare le sue vittime. In questo caso sono io la sua.
«Io non ti ho fatto proprio niente», solleva l'angolo del labbro. «Hai una fervida immaginazione, Erin. Lo ammetto.»
Da quando ha tolto gli occhiali sembra davvero un maniaco.
Ha abbandonato l'aria da cane bastonato per riprendere il suo ruolo. Ha creato un gruppo abbastanza numeroso. Adesso capitana gli "Invisibili".
«No? Non mi hai tappato la bocca e spinta contro la parete per tenermi buona o fatto cadere dalle scale per riprenderti un disegno in cui ero nuda insieme a te nel letto? Se non sbaglio c'era anche una frase sopra, come se fosse un fumetto per adulti. Avevi intenzione di pubblicarlo da qualche parte o ti saresti limitato ad incolpare i King con un altro murales?»
Indurisce i lineamenti strizzando le palpebre al suono della mia voce alta, che potrebbe richiamare l'attenzione di qualcuno in aula. Ed è proprio questo il mio intento.
«Erin, io non ho fatto niente di tutto questo. Lo sai...», dice a denti stretti chiudendo i pugni in vita. «Avevi bevuto un po' e alla vista di una rivista con donne nude hai elaborato tutto quanto nella tua mente.»
Sono sempre più allibita. Forse sto facendo il suo stupido gioco. Vuole che lo faccia arrabbiare per farmi ulteriormente male. Si, deve essere così.
Scuoto la testa alzando le mani. «Se l'acqua adesso è un alcolico per te, sei davvero pazzo come dicono. Sai, non voglio le tue scuse, non mi servono. Digli alla tua terapista o al tuo gruppo di sostegno che con me non funziona. E i bollini fatteli mettere in fronte perché sei davvero un pericolo per le persone che ti circondano. Adesso vattene al diavolo e lasciami in pace», cerco di usare un tono calmo guardando alle sue spalle, nella speranza che qualcuno entri mettendo fine a questo momento in cui l'aria sembra essersi rarefatta.
Fa un altro passo avanti con una spavalderia che non gli appartiene. Le mie parole non l'hanno neanche sfiorato.
«Adesso ti siedi e parliamo. Che ne dici?»
Incrocio le braccia trattenendo l'esasperazione. «Dico che è una pessima idea. Te l'ho detto, lasciami in pace se non vuoi finire dietro le sbarre.»
Le sue narici hanno un guizzo e stringe ancora uno dei pugni. «Mi stai minacciando?»
«No, ti sto mandando gentilmente a quel paese», uso ancora il mio tono tipicamente pacato. «Stai proprio facendo in modo che quello che ha sempre detto la gente su di te sia vero.»
Si avvicina senza tenersi a distanza di sicurezza e mi preparo a difendermi.
Mi sento così piena da avere l'impressione di poter scoppiare in mille pezzi da un momento all'altro.
«Tu non hai niente contro di me. Niente!», mi soffia in faccia facendo la mossa finta di sfiorarmi una guancia.
«Puoi anche crederlo», sibilo tra i denti tenendomi in equilibrio mentre si allontana tornando verso la porta.
«Che cosa hai detto?»
«Addio!»
Tiene la maniglia della porta. «Non pensare che sia finita qui, Erin. Ho grandi cose per noi e non sarà uno stupido che gioca a fare l'eroe a fermarmi.»
Quando la porta si richiude, mi affloscio sulla sedia chiamando mio padre. Ho bisogno di sapere che ho ancora un avvocato o qualcuno in mia difesa nel caso in cui quell'idiota faccia qualche altra mossa sbagliata.
«Ehi, pulce tutto bene?»
Ho paura. Ho paura perché le cose belle sono sempre effimere e delicate. Perché le cose belle sono quelle che le persone spezzano facilmente.
«Papà...», rispondo turbata e scossa.
Si rende conto in fretta che qualcosa non va. «Che succede?»
Provo a calmarmi per dargli una risposta sensata ma le mani mi tremano così tanto da essere costretta ad afferrare il bordo del banco. «Ephram, nell'ora di chimica si è voltato a guardarmi poi si è fermato a mensa e adesso mi ha seguito in classe e mi ha minacciata. Ha qualcosa in mente, ha detto che non è finita e io...»
Segue un momento di silenzio. «Ha fatto cosa? Si è avvicinato di nuovo a te?», esplode dalla rabbia. Lo sento imprecare tra i denti.
Mi accascio sulla sedia massaggiandomi la fronte. Recupero la bottiglietta e bevo. «Si è avvicinato a mensa ma l'ho respinto davanti a tutti, così si è presentato in classe con la patetica scenetta del ragazzo che chiede perdono perché glielo hanno chiesto alle sedute. Poi però qualcosa è scattato in lui... papà lui... lui era diverso. Sembrava minaccioso. Aveva lo sguardo assente ed era freddo come il marmo.»
«Questa non ci voleva. Vuoi che ti venga a prendere?»
Sentendo che qualcuno continua a chiamarlo, nego come se potesse vedermi. Ci vorrebbe troppo tempo prima che arrivi. Dovrò cavarmela da sola.
«No, ho solo le ultime due ore», dico distratta.
«Vai dritta a casa? Chiami Shannon per accompagnarti se è in paese?»
«Penso di sì. Non so se prima passo da "Chocolate Shop", per prendere qualcosa da mangiare. Oggi non mi va di cucinare. Vuoi qualcosa anche per te?»
Papà risponde a qualcuno. «Sono oberato di lavoro. Mi dispiace pulce. Non riesco ad essere a casa per cena. Mi farò perdonare con la colazione, ok? Tu fa solo attenzione.»
Sospiro delusa. «Si, va bene. Non affaticarti troppo», dico.
«Se rimani fuori scrivimi un messaggio. E dimmi con chi sei. Adesso che mi hai raccontato quello che è successo sono preoccupato per te.»
«Non fa niente. Magari sono paranoica io. Posso cavarmela. Inoltre sarò in viaggio per il matrimonio tra due giorni e mi allontanerò da questo posto. Ti scrivo quando sono a casa o se esco.»
Dopo la chiamata mi sento ancora abbastanza scossa. Parlare con mio padre non ha alleviato la mia angoscia.
Dalla porta entra qualcuno e lentamente l'aula si riempie. Il vocio, la spiegazione del professore mi tengono compagnia attutendo un po' di quei pensieri che iniziano a spaventarmi.
Finite le ore di lezione, lascio uscire un sospiro di sollievo. Nessuno mi ferma per chiacchierare mentre supero il portone. Dana prova a corrermi dietro per rifilarmi il suo ennesimo invito ma le faccio capire che ho fretta. Non posso attardarmi. Per una strana ragione esco di corsa, scendo i gradini saltandone un paio, mettendo finalmente piede fuori, sul viale che conduce al cancello.
Alzo il viso verso il cielo lasciandomi riscaldare dai piacevoli raggi del sole. Persino l'aria sembra cambiata. C'è odore di margherite e in questa zona di fumo di sigarette spente prima di entrare a scuola negli appositi contenitori con la sabbia.
Mi incammino verso l'uscita con la giacca sul braccio e mi fermo a pochi metri da lui che se ne sta lì ad aspettarmi appoggiato alla moto con un ampio sorriso.
Arresto la mia corsa sgranando gli occhi, tappandomi la bocca. La felicità nel vederlo è così tanta che perdo lucidità. Corro in fretta da lui e quando si stacca dalla moto gli salto addosso, ignorando tutti quegli sguardi curiosi e ancora increduli sulla nostra "relazione".
Il mio cuore batte violento contro lo sterno riconoscendo la persona più importante della mia vita.
«Sei qui...», mormoro sulla sua spalla inalando il suo buonissimo odore, sentendomi immediatamente al sicuro.
Dio, quanto mi è mancato!
«A quanto pare ti sono mancato tanto questa settimana», risponde prendendomi il viso tra le mani, baciandomi sulle labbra come un ragazzino.
Sorrido ricambiando. «Si, mi hai fatto una bella sorpresa», ammetto. «Non dovevi tornare tra due giorni per la partenza?»
«Era il mio intento sorprenderti. Ecco perché ti ho detto che sarei tornato qui tra due giorni», dice baciandomi il collo. «E questa accoglienza mi fa capire che in fondo non ho fatto male.»
Mi ruba un altro bacio sulle labbra. Sembra euforico. Ho visto i suoi occhi scoppiare di luce non appena il suo sguardo si è posato su di me. E ci ho visto così tanto amore da spezzarmisi una ad una le ossa per poi ricomporsi insieme, in fretta. È veleno e antidoto per i miei sensi. Luce per la mia vita.
«Non sei stato dall'amante spero», lo punzecchio controllando per finta che non abbia del rossetto sul collo o sulla maglietta.
«Andiamo, salta su scheggia!», mi passa il casco ma voltandosi rimane per un momento fermo, lo sguardo diretto su qualcuno alla mie spalle.
Seguo i suoi occhi notando Ephram. Se ne sta in mezzo ai suoi nuovi amici, ci guarda.
Mordo il labbro scuotendo la testa per non rovinare questo preziosissimo momento. «Dove mi porti?», chiedo per distrarlo.
Kay sembra avere capito già tutto ma sto aspettando di essere lontana da qui prima di dirgli quello che ha tentato di fare nell'aula di letteratura.
Vedo Harper uscire e fermarsi sulle scale del liceo. Saluta Kay con un: "Ciao bel fusto. Ti trovo bene". Lui si limita ad ignorarla togliendo il cavalletto e questo a lei sembra innervosirla. "Eravamo amici una volta!", gli urla. "Non fare lo stronzo come la tua compagna di giochi!".
Kay ha messo su massa ed è parecchio alto. I suoi capelli oggi sono corti ai lati e in ordine sulla base a causa del casco. So che non appena lo toglierà li scompiglierà. È il ragazzo più ambito dopo l'uscita improvvisa di scena di Mason Turner. In realtà lo è sempre stato ma da quando quest'ultimo si è dileguato, tutte le ragazzine non fanno altro che provarci con lui quando possono.
La cosa mi dà fastidio. Ma Kay è mio. Come ha più volte sottolineato lui a chiunque e ovunque.
Salgo sulla moto evitando lo sguardo furente e calcolatore di Ephram e le battutone di Harper sempre più vicina.
Kay mi stringe come la prima volta le braccia intorno al suo addome e senza dire niente, ignorando tutto e tutti, ci allontaniamo dalla scuola.
Ad un certo punto sollevo le braccia e lui fa un po' di slalom di proposito per provocarmi un sorriso. Quando mi aggrappo di nuovo a lui, con il mento sulla spalla, gira il viso. «È successo qualcosa?»
Annuisco con il vento che mi sbatte in faccia, ma non abbasso la visiera. «Ne parliamo davanti una porzione di riso?»
Sorride portandomi direttamente al "Chocolate Shop". Non ho bisogno di chiedere con lui. Ormai siamo in sincrono perfetto. In questi mesi non sono mancati i battibecchi, i litigi e le sfuriate, ma abbiamo sempre trovato il modo di trovare un punto di unione anziché separarci e perdere altro tempo distanti.
Quando arriviamo, Kay si ferma nella zona in cui sono presenti le moto dei suoi amici, una piazzola ordinata rispetto a quella che ho trovato al mio arrivo.
Mi aiuta a scendere e togliendomi il casco torna a baciarmi senza darmi il tempo di riprendermi dal viaggio, dall'adrenalina che ho in corpo.
«Come ho fatto a stare senza di te per una settimana?», affonda il viso nell'incavo del mio collo.
I brividi viaggiano su tutto il mio corpo depositandosi sul basso ventre. Premo la fronte sulla sua guardandolo da sotto le ciglia. «È stata lunga anche per me. Adesso però siamo insieme», sorrido e per non avere tentazioni, tiro la sua mano per farmi seguire dentro il locale.
Il proprietario ha vinto al lotto e ha cambiato gli interni che da rosso e grigio sono passati ad un bellissimo blu elettrico e grigio con qualche schizzo di colore giallo acceso. Mi piace molto di più rispetto a prima. L'odore qui dentro è inconfondibile e ormai familiare. Quello del caffè e del pollo fritto si sente già da qualche metro di distanza.
Lo scampanellio della porta fa voltare i tizi seduti al bancone a godersi il pranzo e una birra. Sono operai edili, imprenditori, animano il locale con le loro storie.
Saluto con un cenno della testa sia loro che il proprietario e quando vedo Shannon impegnato a gesticolare per richiamare la nostra attenzione, mi dirigo verso di lui che mi stringe in un abbraccio fraterno poco prima che io mi sieda.
«Come stai?»
«Ciao ragazzi. Starei meglio se oggi Ephram non si fosse avvicinato.»
I due si siedono nell'immediato mentre gli altri sembrano dileguarsi altrove nel locale sempre affollato.
«Per questo stavi correndo verso l'uscita. Era questo che volevi dirmi?», interviene Kay prima della raffica di domande che arrivano presto anche da parte di Shannon.
Racconto ogni cosa nel dettaglio non nascondendo le mie impressioni e ogni sensazione che mi ha provocato l'incontro. Alla fine mi affloscio come un palloncino sul divano. «Forse il suo intento era quello di mandarmi in paranoia, tutto qua. Ma era così strano, così diverso...»
I due si scambiano una strana occhiata. «Che c'è?»
«Ephram non fa mai qualcosa se non è sicuro del risultato che porterà a casa. Sta attenta e non restare mai con lui da sola in una stanza o in qualsiasi posto. Cerca di evitarlo il più possibile e per favore: non cacciarti nei guai.»
Kay, seduto davanti a me, afferra la mia mano in un gesto protettivo mentre Shannon, mi circonda le spalle con un braccio avvicinandomi al suo petto statuario e possente. Anche lui è andato in palestra. Potrebbe fare il buttafuori. Non ha perso neanche la sua fama e a quanto pare, come Kay, è ambito tra le ragazze. Il suo bene nei miei confronti è così sincero da farmi fidare anche ad occhi chiusi di lui.
«Per qualsiasi cosa, conta pure sul nostro aiuto. Intesi?»
Fisso la superficie gialla del tavolo. Non so che cosa pensare e se credere di potere terminare gli studi in questo posto passandola liscia. Non voglio illudermi.
«Troverà l'occasione giusta. Era convinto e mi ha anche fatto capire che ha intenzione di metterti fuori dai giochi.»
Kay stringe maggiormente la presa sulla mia mano. «Il problema non si pone adesso. Partiamo e staremo fuori per tutto il weekend.»
Sciolgo la mano dalla sua presa incrociando le braccia al petto. «E dopo? Vi dico che ha qualcosa in mente. Il modo in cui ghignava e mi guardava...», rabbrividisco. «Non siete preoccupati? È pericoloso!»
Kay lancia uno sguardo breve a Shannon. Lui mi chiede di passare. Mi faccio da parte guardandolo posizionarsi al centro del tavolo, le mani sulla superficie, i tatuaggi sbiaditi sulle falangi. «Lo farò seguire. Voi comportatevi normalmente. Da quanto non vi vedete?», ghigna lasciandoci intendere quello a cui sta pensando. «Divertitevi!»
«Shan, non è come pensi!»
Dalla sua espressione capisco che non mi crede. «Non appena siete entrati ho percepito una certa tensione tra di voi. Ho capito che vi state trattenendo fin troppo», mi prende in giro sporgendosi.
Lo spingo ridacchiando. «Idiota!»
Mi ruba un bacio sulla guancia. «Rilassati, principessa.»
«Ehi», lo rimprovera Kay, trucidandolo con i suoi occhi freddi come punteruoli ghiacciati.
«Sai che ho una cotta per lei. Se non te la tieni stretta ci penserò io a farla sentire protetta», lo stuzzica strizzandomi l'occhio, mandandomi un bacio volante.
Mimo: «Sfacciato!»
E lui per rispondere, guardando Kay continua a stuzzicarlo. «Per te ne vale la pena, principessa.»
Kay si alza e lui ride. I due si azzuffano davanti a tutti come degli idioti mentre prendendo il tablet scelgo il pranzo facendo finta di niente.
Quando Shannon finalmente smette di stuzzicarlo ed esce dal locale, Kay si siede accanto cingendomi le spalle con un braccio, avvicinandomi possessivamente. Mi annusa, poi mi dà un lieve bacio sulla guancia. «Ti diverti proprio a farmi ingelosire con lui, non è vero?»
C'è rimprovero nel suo tono. «Perché ti dà così tanto fastidio? Sai che siamo amici e andiamo d'accordo.»
«Perché è il mio amico e perché so quando gli piace davvero una ragazza impegnata. Conosco anche quello che è disposto a fare per conquistarla.»
Rido. È dolce quando non sa come gestire la gelosia. «Non sapevo di essere impegnata.»
Mi guarda male facendomi ridere ulteriormente.
«Ti piace giocare con il fuoco», scuote la testa.
Intanto arriva il pranzo servito dalla ragazza dalle trecce colorate. Guarda Kay ammiccando, tentando di attirare la sua attenzione. A lui non sembra importare. Lei infatti se ne va pestando i piedi sul pavimento a scacchi. Credo di averle sentito dire: "Che stronzo!"
«Mi piace scaldarmi», replico sollevando il coperchio, staccando le posate di plastica da sotto il piatto ben confezionato. Assaggio il riso con mandorle, semi, avocado e salmone. Mangio piano, godendomi ogni boccone.
«Se continui a mangiare così e ad emettere quei versi, mi ammazzi.»
Rido tappandomi la bocca. «Scusa. Non pensavo di avere così fame. Forse sono solo nervosa.»
Appoggia il gomito sul tavolo. «Per che cosa sei nervosa, esattamente?», gesticola con la forchetta.
«Ephram... il viaggio... il matrimonio... non so, qualcosa andrà storto, me lo sento.»
Manda giù l'ultimo boccone di riso. «Non succederà niente al matrimonio. Vedrai, andrà tutto secondo i nostri piani. Ricordi? Abbiamo ogni cosa sotto controllo.»
Prima che lui riesca a prendere il portafoglio poso una banconota sul tavolo. «Mio l'invito mio il conto», mi alzo apprestandomi ad uscire dal locale.
Kay mi segue, continua a guardarmi in maniera inquietante anche mentre mi allaccio il casco. «Che c'è?»
Sale in sella senza darmi una risposta. Mi sistemo dietro di lui. Cerca subito le mie mani stringendosele sull'addome. «Reggiti», ordina.
Da questo capisco che deve esserci qualcosa che lo ha turbato.
Mi reggo e ad ogni curva non mi oppongo alla paura di cadere. La moto non posa neanche le ruote sull'asfalto per la velocità con cui Kay ha deciso di guidare.
Stringo la presa e lui gira leggermente la testa. «Hai paura? Vuoi che rallenti?»
Appoggio il mento sulla sua spalla. «No, dimmi solo che cosa ti succede?», alzo il tono mentre il vento mi sferza sulla faccia.
Si ferma davanti casa dopo ben cinque minuti. Non scende e non mi accompagna alla porta. «Prepara la valigia. Posteggio la moto e ti raggiungo con il suv», dice, non rispondendo alla mia domanda.
Scendo piano slacciandomi il casco. «Partiamo... adesso?»
«Si. Avvisa tuo padre», prende il casco e senza aggiungere altro parte a gran velocità.
Corrugo la fronte aprendo il cancello. Poi saluto la signora Louis appena uscita fuori per prendere la posta. Ricambia con un tenero sorriso seguendomi fino a quando non entro in casa.
Scrivo un messaggio avvisando mio padre del cambiamento dei nostri piani. Salgo in camera per farmi una doccia e per prendere le valigie che sono già pronte. Raccolgo gli ultimi effetti personali e in breve mi ritrovo in attesa e in ansia.
Kay passa a prendermi dopo circa un'ora. Anche lui si è cambiato.
Mi aiuta a sistemare i bagagli in auto poi si mette al volante ma non dice niente. Neanche io apro bocca. Qualcosa non va. Qualcosa lo turba. Prima ha avuto una strana reazione. Adesso che lo guardo di sbieco, mi rendo conto che è teso.
Poso una mano sulla sua quando cambia marcia. Rallenta voltandosi.
«Puoi accostare un momento?»
Non se lo fa ripetere e si ferma. Cerca di capire per quale ragione ho urlato agitandomi sul sedile.
Sgancio la cintura sistemandomi a cavalcioni su di lui. «Che ti succede? So che c'è qualcosa che non va.»
Non mi tocca. Pare concentrarsi sul suo respiro veloce che in breve riesce anche a calmare.
«Mi sei mancata e... non lasciarmi ok?»
La sua risposta mi turba. Lo abbraccio avvolgendo un braccio intorno al suo collo. Premo le labbra sulla sua guancia. «Sei nervoso? Avevi bisogno di qualche altro minuto lontano da me?»
Abbassa il petto, le spalle, la testa. «Si, molto. Sapere che in mia assenza quel bastardo avrebbe potuto toccarti mi manda in bestia. Poi hai detto che senti che qualcosa al matrimonio andrà storto e mi sento sotto pressione perché adesso mi toccherà gestire più pensieri e paranoie e non sarà facile... neanche con te che mi guardi così.»
Sollevo il suo viso. «Non hai dimenticato lo smoking, vero?»
Sorride e finalmente ci rilassiamo entrambi. Rimango abbracciata a lui per qualche minuto. «Non mi hai ancora detto com'è andata», attendo impaziente.
«Mi laureo», dice con naturalezza.
Strillo più che felice per lui. Bacio il suo viso. «Sono orgogliosa di te, Dottorino!»
Cerca le mie labbra. «Ricordo quando me lo ha detto per la prima volta», sussurra.
Non riesco a smettere di sorridere. «Anch'io ho un bel ricordo di quel momento.»
Torna a farsi serio e con un sospiro mi accarezza il viso. «Sei irresistibile. Ma abbiamo fatto progressi in questi mesi e per quanto io sia eccitato, non perderò il controllo rovinando tutto. Mi capisci?»
Gli rubo un bacio sistemandomi sul sedile.
Fisso la strada davanti a noi.
«Kay...»
«Si?»
«Perché mi ami? Potevi avere chiunque, ma hai voluto me.»
Mi sorride. È la persona più bella che io abbia mai visto. È bello dentro, non solo esteriormente. Mi abbaglia con ogni piccola particella di sé.
«Non posso smettere di farlo. Non posso abbandonare la cosa che più di ogni altra mi sta rendendo felice. Non sono bravo a dimostrarlo, ma non ho mai provato ad aprirmi così tanto a nessuno. Lo sto facendo con te e mi piace. Tu non mi fai sentire solo. Non voglio nient'altro al mondo.»
Il sorriso che mi si dipinge in volto credo possa illuminare il buio della notte.
«Allora, dove mi stai portando se il volo è previsto tra due giorni?»
I suoi occhi si accendono. «È da un po' che non ti faccio una sorpresa», mi strizza una guancia.
Picchio la mano sul dorso della sua spingendolo. Sorride mettendo in moto l'auto.
Viaggiamo per circa un'ora cantando, parlando di tante cose e poi mi appisolo fino a quando Kay non mi sveglia.
È quasi buio fuori. Se ne sta vicino, lo sportello aperto. Stropiccio un occhio dimenticando di avere il mascara.
«Ciao», mi saluta.
«Ciao», ricambio.
Fuori dall'auto, mi rendo conto che ci troviamo in un ampio spazio circondato da alberi altissimi. C'è un fuoco acceso e il cofano del suv aperto. All'interno, le valigie sono state sistemate in un angolo, i sedili sono abbassati e sulla superficie ha disposto una coperta morbida e due cucini.
Alzo gli occhi verso il cielo rimanendo estasiata. Tantissime stelle ad illuminare il buio. Una serata tranquilla e limpida da passare insieme.
«Hai fatto tutto questo per me?»
Si avvicina. «Farei di tutto per te», mi sussurra prendendomi per i fianchi, sollevandomi e sistemandomi sul retro dove ci sdraiamo. Mi rannicchio tra le sue braccia. Afferro il suo viso baciandolo dolcemente, senza fretta.
«Grazie», dico incredula, rilassandomi.
Dopo qualche istante di silenzio, guardo il suo profilo. Il naso dritto, l'espressione imbronciata, quella lieve ruga sotto la palpebra, la cicatrice sotto il mento, il modo in cui strizza l'occhio.
Si volta accorgendosi della mia espressione. Incurva le labbra in uno dei suoi rari sorrisi dolci e sinceri. Mi tremano le gambe e il cuore.
«Tutto per la mia sirenetta.»
«Kay», sollevo la testa per incontrare i suoi occhi. Guizzano su di me come fuoco fatuo. «Si?»
«Mi sono innamorata di te.»
E ti amo così tanto da non capirci più niente. Voglio dormire con te e svegliarmi ancora con te, con il tuo sorriso a scaldarmi il cuore e la giornata. Si potrebbe definire così l'amore. Non contano i regali, le sorprese, conta quello che ogni singolo istante ti lascia dentro. L'amore che si annida lì: nel cuore, nelle giornate, nei cuscini impregnati di profumo, negli sguardi, nei battiti, nei brividi. È facile dire a parole "ti amo". È difficile dimostrarlo. Avere voglia di aprire gli occhi e guardare per davvero l'amore, quello vero, quello che ti tiene stretto, quello che ti toglie il respiro regalandoti un nuovo battito. L'amore è per i coraggiosi che nonostante il dolore trovano la forza di riprovarci, di sentire ancora dentro ogni emozione.

🖤

Come crepe sull'asfaltoHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin