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ERIN

Non appena mettiamo piede fuori dall'aeroporto, inizio a sentire forte la pressione dentro e, il senso di déjà-vu mi riporta alla memoria il momento in cui sono arrivata dopo anni a Oakville.
Da bambina mi piaceva stare in quel posto ma dopo quell'anno disastroso, ho rivalutato ogni cosa.
Ancora non abbiamo raggiunto il paesino, ma sento già il peso del passato, di quei momenti vissuti tra le stradine, nel bosco, in casa dove rimetterò piede a breve, tutto sulle spalle, sul cuore appesantito dal quantitativo di emozioni che sto continuando ad accumulare in questi giorni.
Papà non ha venduto la sua villa. Ci torna quando sente nostalgia e, prima o poi so già che vorrà restare qui, nella sua terra, tra la gente piena di pregiudizi e pronta a puntare il dito contro. Mi domando se esiste ancora quel murales, se le vicine sbirciano nascoste dietro le tende e se le mie compagne rimaste hanno messo su famiglia. Rivedrò Dana insieme a Davis? Stanno ancora insieme? Harper starà davvero bene e sarà una brava mamma? Mason sarà tornato a casa? Rivedrò Damian o Xavier? Ephram sarà a Oakville?
Quest'ultimo pensiero mi colpisce più di una pugnalata.
Ogni giorno, lottiamo per sopravvivere. Ogni giorno, dentro e fuori, cambiamo per resistere, per adattarci al meglio o forse di più al peggio.
Nella vita si cambia. Non è vero che restiamo gli stessi. Tutto quello che viviamo ci aiuta a crescere, ci plasma in qualcosa di nuovo. Un po' come il bruco quando si trasforma in farfalla non aspettandosi di certo di essere effimero.
Ogni cosa o immagine, sensazione, emozione, ricordo, persino le persone, ti portano a costruire dentro dei muri per proteggerti. E, pezzo dopo pezzo, quando questi diventano più alti, è un casino. Dentro e fuori di te, è solo un gran casino.
«Erin...»
La voce di mio padre mi raggiunge ovattata, poi quando ripete il mio nome più forte. Batto le palpebre mettendo di nuovo a fuoco. Tutti gli altri, sono già in auto, pronti a partire, mentre io sono ancora sul marciapiede, la borsa a tracolla sulla spalla, il pugno chiuso, tenuto così stretto da solcarmi il palmo con le unghie e gli occhi a vagare intorno al verde caratteristico della zona. Alberi, foreste e sentieri all'interno che conducono in qualche bellissima radura. Non c'è molto caldo e il calore della giacca addosso non mi dispiace.
A chiamarmi, mio padre. Mi fissa cercando di leggere dentro di me lo sconcerto, elemento che nota immediato mentre indietreggio facendo di no ripetutamente con la testa.
«Non posso...», sussurro più a me stessa. Lo ripeto un po' più forte. «Non posso!», la voce mi esce stridula.
Papà esce dall'auto fermando Bradley che, sta già cercando di raggiungermi. Shannon lo trattiene facendogli cenno di non muoversi e di lasciare fare a mio padre che mi raggiunge, posando cauto una mano sulla mia spalla. In risposta, dopo avere sussultato, mi scanso come se mi avesse bruciato.
«Non posso. Papà io... non posso», ansimo affannata guardandomi ovunque intorno mentre vengo investita da quelle immagini che mi divorano la mente. Rivedo Ephram, risento le sue mani addosso. Scivolo a terra. In ginocchio e senza forza mi tappo le orecchie per non sentire niente.
Mio padre mi afferra anche se non in tempo. Picchietta due dita sulle mie guance più che allarmato quando non rispondo a nessuno stimolo perché sono altrove. Non ci sono.
«Erin...»
Si agita ma non riesco a muovermi e a respirare. La vista mi si appanna. Tremo e il mio cuore batte violento nel petto. Sto per svenire, lo sento.
«Piccola, devi calmarti. So a cosa stai pensando e so che è difficile per te, ma lui non è più a Oakville. Me ne sono assicurato. Non ti avrei mai e poi mai fatto venire qui altrimenti.»
Perché non riesco a crederci? Perché le sue parole mi sembrano solo delle bugie per calmarmi? E se lui è libero?
Dagli occhi iniziano a scendere dapprima lacrime solitarie poi i singhiozzi si fanno forti e mi rannicchio scuotendo la testa sentendo il viso coperto e umido.
«Non posso farlo. Non ci riesco. Voglio tornare a casa mia.»
Bradley non riesce più a trattenersi, e vedendomi soffrire, spinge Shannon e anche Kay quando quest'ultimo scende dall'auto di corsa, urlandogli di fermarsi con prepotenza e di non osare più toccarmi e avvicinandosi, sposta mio padre in maniera brusca, lo sguardo duro rivolto a tutti quelli che mi stanno chiedendo troppo.
«Non vedete che la state facendo soffrire in questo modo?», sbraita adirato, ormai rosso in viso. «Ecco perché se ne è andata!», continua arrabbiato. «Ecco perché vuole stare alla larga da voi.»
Prendendomi in braccio, dandomi un bacio sulla fronte, mi porta lontano da loro, verso un parco qui nelle vicinanze sussurrandomi continuamente che è tutto ok. Si siede poi sulla prima panchina libera all'ombra di un albero, al fresco, e mi tiene stretta al petto ascoltandomi piangere a dirotto.
Non dice niente, mi aspetta, mi conforta con la mano lungo la mia schiena a muoversi lenta e delicata. Le sue carezze non fanno male, alleviano il dolore.
Siamo fatti di imperfezioni, riflessi distorti. Siamo insicuri e pronti a scegliere sempre la cosa sbagliata e nociva per la nostra vita. Eppure, nonostante questo, continuiamo a vagare, ad andare alla ricerca di un incastro imperfetto che possa combaciare al nostro quadro nel modo giusto. Siamo distratti, affascinati dal caos, dal dolore. Siamo dei difetti che agli occhi degli altri diventano pregi. Forse dovremmo aprire gli occhi e accorgerci davvero che la bellezza, la serenità, la felicità si trova nelle piccole cose, nelle imperfezioni.
Io e Bradley non abbiamo molto in comune, spesso i nostri pensieri non combaciano e si scontrano, ma quando stiamo insieme, quando lui mi tiene stretta, tutto intorno si sfuma e ogni cosa allo stesso tempo acquista un senso. E allora, niente ha più importanza. Niente a parte noi.
«È stato orribile, Brad.»
Sussulto rivivendo ogni evento, ogni momento di quell'incubo. Ho la pelle d'oca, tanto mi colpisce questo ricordo così doloroso. Ma, sento di dovermene liberare. E so che posso farlo con la persona che ho trovato dopo anni di solitudine.
«Era buio quando sono arrivata alla radura. Ho posteggiato la mia nuova auto e mi sono incamminata facendo attenzione a non cadere. La linea del telefono andava e veniva, controllavo lo stesso per non perdermi qualche messaggio. Dovevo trovare Dana e tornare a casa. Era semplice o almeno, così mi sembrava. Avevo il telefono in mano quando sono stata afferrata con una certa forza da qualcuno alle mie spalle. Ephram, mi ha tappato la bocca con un fazzoletto pieno di narcotico e mi ha trascinata nella sua auto, poi nella sua stanza, quella costruita in una cantina. C'erano delle scale di legno, la scrivania, un letto, una libreria piena di volumi e la porta era chiusa a chiave. Aveva pensato proprio a tutto. Ho scoperto che era lui solo quando mi sono svegliata dopo giorni», sussurro.
Bradley trattiene il fiato premendomi la testa sul suo petto.
«Quando ho aperto gli occhi, ho avuto tanta paura. Ma non gli ho dato la soddisfazione di vedermi spaventata o in preda al panico. Ho lottato di nuovo contro di lui che continuava a sedarmi per tenermi buona e poi... poi l'ho ritrovato vicino, troppo. Mentre dormivo poteva farmi di tutto, lo sapevo, non dovevo farlo arrabbiare e lui si sarebbe comportato bene con me. Perché in realtà quello che faceva era solo guardarmi, mi disegnava, alimentava le sue fantasie perverse tenendomi lì, imprigionata. Avevo fame, erano giorni che mi teneva in quel posto, ho chiesto del cibo ed era preparato per l'occasione. Mi ha offerto insalata e del pane, qualcosa per rifocillarmi. Ho chiesto di fare una doccia, di poter andare almeno in bagno, ero disposta a tutto pur di trovare una via d'uscita e quando sono riuscita a convincerlo, al piano di sopra, nella sua stanza, ho trovato un cellulare. L'ho nascosto dentro i jeans fino al bagno dove ho inviato un messaggio a Shannon e a mio padre poi ho fatto una doccia fingendomi tranquilla e ho dovuto indossare i suoi vestiti...», singhiozzo. «È stato così disgustoso sentire i suoi occhi costantemente addosso...», stringo i pugni sugli occhi premendomi contro il petto di Bradley che, mi obbliga a sciogliere la presa, per non farmi male.
«Non devi per forza continuare se non te la senti.»
«Ho provato a scappare, è scattato l'allarme in casa, così ho lanciato il mio braccialetto ad elastico fuori dalla finestra. Adesso non ricordo bene che cosa sia successo davvero, perché se ci ripenso sento ancora le mie urla lanciate fuori da quella finestra prima di essere colpita, mi sono difesa ma lui ha avuto la meglio su di me ancora una volta.»
Prendo fiato. «Mi sono ritrovata legata e lui... lui...», mordo il labbro. «Lui ha tentato di violentarmi. Lo stava per fare senza neanche darmi la possibilità di allontanarlo. Era arrabbiato e non si sarebbe fermato, ma qualcuno ha bussato alla porta suonando il campanello e quando è andato via, ho avuto il tempo di slegarmi e picchiare i palmi contro le finestre in alto fino a farmi male. Vedevo un cane e chiedevo aiuto come una pazza. Ephram è tornato... quando si è accorto che mi ero liberata, mi ha attaccata, mi teneva così stretta... ancora una volta mi sono difesa facendogli male, ho corso verso le scale, ho spalancato la porta prima di ritrovarmi a terra, senza fiato, e lui... mi ha abbassato i pantaloncini e...»
Bradley mi stringe così forte da sentire dolore, ma non fa davvero male. Tra le sue braccia ci nascondo tutta la mia sofferenza.
«E sono arrivato io. L'ho picchiato a sangue quel figlio di puttana. Lei era a terra, i vestiti a brandelli e un ago sul collo che ha strappato via prima di svenire. L'avrebbe sedata e violata contro la sua volontà, l'avrebbe torturata ancora a suo piacimento se non fossi arrivato. E quando ho messo al tappeto quel bastardo, lei... non mi rispondeva più. Non ti muovevi, Erin...», la voce gli si inclina. «Eri così spaventata da urlarmi forte di non toccarti e poi quando hai capito che ero io, ti sei lasciata portare via da quella casa.»
Alzo la testa e Shannon stringe i pugni in vita. Non è solo. Con lui c'è anche mio padre che, sta sentendo per la prima volta la verità e poi Kay. Il suo sguardo è indecifrabile. Guarda l'amico poi me e poi di nuovo lui. Nei suoi occhi c'è rimprovero rivolto a se stesso, e anche il senso di colpa. Ma sarebbe successo lo stesso, con o senza di lui, proprio come stava per succedere la prima volta.
«Shannon mi ha salvato. Se sono qui, se sto bene fisicamente... è grazie a lui. A molti sembrerà strana la nostra amicizia ma... lui c'era. C'era quando il mio mondo è crollato», singhiozzo.
Guardo mio padre. «Mi dispiace ma non me la sento di ritrovarmi lì a pochi isolati da quel posto. Verrò a quella stupida lettura del testamento ma... preferisco tenermi lontana da Oakville fino a quel momento. Cercherò subito un hotel qui vicino, mi organizzerò come meglio posso ma... non posso dormire lì.»
Papà, lo sguardo sgomento per avere conosciuto la verità a distanza di nove anni, annuisce e avvicinandosi mi solleva tenendomi in piedi abbracciandomi forte.
«Scusami», sussurra. «Se non sono stato presente, se ho sbagliato tutto. Scusami se non ho capito quello che ti stavamo chiedendo di fare. Scusami, davvero.»
Forse sta chiedendo scusa anche a Bradley, perché guarda alle mie spalle.
«Manderò un'auto...»
Nego interrompendo Kay. È l'ultima persona che voglio sentire al momento. Lui non c'era. Lui non sa che in quei momenti ho pensato e sperato che potesse venire a salvarmi. Invece non l'ha fatto. Mi ha solo mandato dei fiori, un peluche e una lettera. È stato un codardo fino in fondo. Però l'ho capito, tardi, ma l'ho capito che se ne è andato per sempre. Ho capito di averlo perso quando le porte di quell'ascensore si sono chiuse.
Il vero amore quando se ne va non ci lascia solo vuoti, ma in qualche modo ci riempie. Non solo di ricordi positivi e negativi, anche di nostalgia, di amarezza e speranza.
Quando una storia finisce senza una ragione, è proprio la mancanza di spiegazioni a fare più male. In una relazione può succedere di tutto. Nella vita può capitarti di tutto: di essere ferito, di sentirti innamorato, di avvertire forte la mancanza di una persona che hai amato, di perdere, di vincere. E succede. Succede che un giorno ti ritrovi con un enorme buco al centro del petto. E soffri, soffri tanto nel dovere lasciare qualcuno che ti ha fatto battere forte il cuore fino ad avere paura che potesse scoppiare. E soffri, tanto, perché per te non è mai un vero addio, è solo un arrivederci con riserva. Perché un addio è un lasciarsi per sempre. Addio è voltare le spalle e non tornare indietro. Addio è tagliare quel filo che tiene legate due persone.
Succede. È naturale perdere qualcuno. È normale sentire un dolore che ti spacca il petto e ti squarcia lo stomaco. Non è normale sperare che tutto torni come prima. Perché quando un rapporto finisce, con esso finisci anche un po' tu.
Non sai mai quando l'amore svanirà, ma succede. Finisce tutto. E puoi e devi ricominciare. Basta solo volerlo.
«Vi raggiungeremo domani prendendo un taxi», replico con decisione.
Shannon si avvicina circondandomi possessivamente tra le braccia.
«Grazie, Shan.»
«Hai fatto un gran bel passo avanti. Ci vediamo domani, ok? Mio padre spera di vederti, principessa. Quando ha saputo che sei qui è impazzito.»
Abbozzo un sorriso. Il padre di Shannon è stato gentile con me sin dal primo istante. Nutro affetto per lui, e non solo, anche per tutta la sua famiglia. «Passerò a salutarlo. Digli di non bere più birra.»
Sorride avvicinandosi al mio orecchio. «Ti amo, Erin.»
Rimango stordita mentre si allontana da me e non ho il coraggio di fermarlo o di chiedergli perché mi ha detto una cosa così importante in un momento simile. Noto solo che si volta e mi rivolge un breve sorriso. E allora capisco. Anche lui, come me, ha troppi ricordi da digerire, con cui fare i conti.
Gonfio il petto guardando Bradley che è già al mio fianco. Circonda il mio ventre con un certo possesso premendomi al suo petto. «A domani», dice a mio padre.
Kay indugia poi si allontana senza dire niente mentre papà procede passando alle raccomandazioni. «Se non ci riesci, vattene da qui. Ok?»
«Sarà come fare la ceretta dopo un lungo inverno al caldo», dico di getto. «Devo solo prendere coraggio. Mi servivano dei giorni per raccoglierne abbastanza, non ore.»
«Veloce e indolore, si spera», risponde dandomi un bacio sulla tempia prima del colpetto sulla guancia. Guarda poi Bradley. «Prenditi cura di mia figlia.»
«Ne ho tutta l'intenzione, sign... William.»
Papà raggiunge l'auto dove lasciano i nostri bagagli sul marciapiede mentre ci avviciniamo ad essi chiamando un taxi dopo avere trovato un buon hotel nelle vicinanze, stellato e famoso.
Voglio un posto pulito, nuovo, ma allo stesso tempo semplice e confortevole. La scelta non è difficile in queste zone.
Arriviamo nel tardo pomeriggio e ci sistemiamo subito in camera senza troppe cerimonie, proprio come abbiamo chiesto quando abbiamo prenotato per avere una stanza pulita e spaziosa.
Poso le valigie all'angolo aprendo l'ampia finestra, lasciando entrare i raggi del sole che si nasconde dietro gli alberi, quasi sul punto di sparire oltre la montagna.
Bradley, dopo qualche minuto chiuso nel bagno ritorna in camera e notandomi persa, mi abbraccia da dietro.
«Ho controllato il bagno e ho fatto del mio meglio per disinfettare la vasca. Ma era tutto lindo e c'è anche odore di disinfettante, proprio come abbiamo chiesto da bravi maniaci della pulizia. Facciamo un bagno, ti va?»
«Prepara tutto, arrivo subito», dico con voce robotica.
Posa un bacio sulla mia guancia e si allontana chiudendo la porta del bagno alle sue spalle.
Mi appoggio alla soglia della finestra inspirando ed espirando mentre la brezza fresca del tramonto mi sferza addosso. Abbasso le palpebre cercando di non sentire ancora tutte quelle sensazioni orribili e contrastanti. Chiudo poi la finestra e con essa i cattivi ricordi.
La stanza è spaziosa e ariosa in stile moderno con i mobili in legno chiaro e le coperte del letto color crema che profumano tanto di ammorbidente.
Alle pareti, qualche tela colorata e, un salotto all'angolo ben organizzato con il mini bar.
Entro in bagno più che distratta. Mi volto e mi sfugge un sorriso. Bradley, mi aspetta dentro la vasca piena di schiuma che per poco non fuoriesce dal bordo.
A terra, un sentiero fatto con i petali di rosa e, ai piedi della vasca, proprio davanti a me, un cuore.
Mi spoglio avvicinandomi a lui che, non appena sono con i piedi davanti al cuore, si alza dalla vasca. Prendo i petali dal cestino posto sul lavandino. Profumano tantissimo e li lascio cadere in acqua. Entro nella vasca piano. L'acqua, calda al punto giusto, mi regala un lungo brivido su per la schiena.
Bradley, posizionandosi davanti a me, abbassa le spalline del mio reggiseno e così anche le coppe prima di inginocchiarsi, slacciarmi il reggiseno da dietro, lasciarlo cadere sul pavimento insieme ai suoi indumenti e poi iniziare a baciarmi la pelle. Passa dal seno destro al sinistro e poi sul ventre. Le mie dita affondano tra i suoi capelli e quando risale trova le mie labbra pronte al bacio.
Porto le sue mani sui miei slip e me li abbassa sfiorandomi la pelle. Poi si siede ed io mi sistemo tra le sue braccia lasciandomi avvolgere da dietro, dove inizia a baciarmi la spalla e il collo.
«Posso sapere come stai?»
«Tesa e spaventata, lo ammetto.»
Gioca con le mie dita massaggiandomi la pelle. «Grazie per avermi raccontato tutto, so che ti fa stare male ma mi ha fatto piacere che mi hai reso partecipe. Grazie perché ti sei fidata di me e ti sei lasciata abbracciare e portare lontano quando eri nel panico. Grazie...»
Mi volto. La mia mano accarezza il suo viso mentre l'altra si posa sulla sua spalla. Mi sistemo a cavalcioni. Premo la fronte sulla sua chiudendo gli occhi. «Io mi fido di te. Ho capito che devo liberarmi da tutto il male che tengo dentro, perché è come se ne fossi gelosa.»
«Perché lo fai», chiede a bassa voce.
«Forse perché ho paura di liberarmene e stare davvero bene. Perché quando stai bene poi inizi a temere il peggio. Io il peggio lo tengo dentro per non sentirlo nel mio meglio.»
Mi stringe il palmo sulla guancia. «Un po' confusionaria come idea, non credi?»
Annuisco giocando con la collana che ha al collo. «Sono sempre stata così in realtà. Fingo una sicurezza che non ho mai avuto. Questo perché non mi è mai piaciuto apparire fragile e indifesa. Preferisco attaccare anziché farmi ferire, preferisco reagire anziché subire o non fare proprio niente.»
«Tu non ti rendi conto delle potenzialità che hai, piccola. Sei meravigliosa e non hai bisogno di essere forte. Non devi neanche mostrare le tue debolezze. Devi solo essere te stessa.»
Mi sistemo meglio su di lui percependo il suo corpo irrigidirsi. «Mi sopporterai anche se sono così?»
«Ti amo proprio per questo. Adesso non vorrei ripeterlo di continuo per non rovinare l'effetto, ma è così.»
Le sue mani dal mio viso affondano tra i miei capelli quando muovo i fianchi. «Voglio provare a fare una cosa», sussurro insicura tenendo il labbro tra i denti e guardandolo da sotto le ciglia.
Mi avvicina al suo viso. Le nostre labbra si sfiorano. «Lo vuoi davvero?»
«Hai già capito?»
«Forse... ma per esserne certo voglio che sia tu a dirlo apertamente.»
Strofino la punta del naso sul suo. Le mie dita scivolano lungo il suo petto, superano l'addome e poi ritornano su facendolo ansimare. «Chiedimelo!»
Prova a baciarmi. Tiro indietro la testa. «Sei pronta?»
«Voglio averne la certezza. Non ti sto usando che sia chiaro...», arrossisco sentendomi stupida.
Le sue mani scivolano lungo i miei fianchi. «Lo vuoi davvero?»
«Proviamoci», sussurro.
Avvicina le labbra alle mie. «E se succede?»
Sorrido. Non riesco a contenere l'emozione e premo le labbra sulle sue muovendole lentamente. «Ci sarà qualcuno di piccolo e pestifero da proteggere nella nostra vita.»
Boccheggia. «Vuoi davvero provare... adesso?»
«Hai qualche altro impegno?»
Sorride stringendomi il sedere spingendo i suoi fianchi in avanti. «Direi di no, ma dopo l'esperienza in aereo pensavo non volessi più farlo in altri posti sconosciuti o...»
Poso due dita sulle sue labbra. «Pensi che abbia funzionato prima?»
Ride smorzando la tensione che si sta accumulando tra di noi, dentro di noi. «Prenderai la pillola?»
Gonfio il petto. «Non lo so. Secondo te sono pronta ad una delusione?»
Nega. «Facciamo così, quando sarai davvero pronta, smetterai di prendere la pillola. Non devi avvisarmi per forza se ti imbarazza. E ci proveremo tutti i giorni, se sarà necessario. Così, toglierai anche questo dolore dal tuo corpo e ti concentrerai su altro.»
Afferro il suo viso facendogli piegare la testa indietro mentre mi spingo in avanti. Dalle sue labbra sfugge un gemito. «Affare fatto, socio.»
Sorride baciandomi. «Ti voglio tanto, tanto, tanto...», attacca il mio collo e poi il seno.
Gemo.
«Ma siamo entrambi stanchi e prima di fare qualche pazzia o di mangiarti, adesso ci alziamo e ci stendiamo sul letto fino a domani. Sono sfinito e non sarei concentrato al massimo.»
«Grazie, Brad. Per avere capito e per avermi dato un vero consiglio.»
Si strofina tra le mie cosce. Lo abbraccio emettendo uno strillo. «Non vale», mi lamento.
Ghigna. «Andiamo, l'acqua sta iniziando a diventare fredda.»
Mi alzo avvolgendomi nel morbido asciugamano. Lui allaccia il suo in vita e quando lo abbraccio mi tiene avvinghiata come una scimmia fino al letto, dove mi lancia stendendosi accanto a me. Spegne le luci e avvicinandomi al suo petto mi rannicchio.
«Se succede, come lo chiamiamo?»
Mordo un'unghia. «Non ho mai pensato a questo. Ho sempre avuto paura di illudermi. Hai qualche idea in mente?»
«Il nome di mia nonna se è femmina.»
Sorrido guardandolo trasognante. «E se è maschio?»
«Qualcosa di piccolo ma che faccia pensare ad una personalità forte.»
«Mi piace molto Enea.»
Ci riflette. «Si, piace anche a me. Gioia ed Enea.»
«Due? Non stai correndo un po' troppo?»
Alza le spalle. «Al massimo darò il nome di mia nonna ad un altro pesce tropicale.»
Ci guardiamo per un lungo attimo e scoppiamo a ridere. «Be' in quel caso mancano anche i compagni per "Ness" e "Tildo".»
«Mati e Loch», esclama deciso e in fretta.
Rido. «Matildo e Loch Ness, direi che è perfetto!»
Si gongola. «Ci servirà una casa più grande. Altrimenti ci toccherà sterilizzarli.»
«Avremo la casa invasa da cuccioli pelosi e pronti a farci uscire di senno. Che cosa vuoi di più?»
Mi tira su di sé è in automatico mi approprio delle sue labbra senza fretta, senza malizia, senza un doppio fine.
Bradley ricambia. «Possiamo lavorarci su. Prima pensiamo a dove vivere.»
«L'inverno lo passiamo da me e l'estate da te?»
«Si può fare.»
Chiudo gli occhi. «Brad?»
«Si, piccola?»
«Spero funzioni tra di noi. Non voglio deluderti.»
Mi bacia la testa. «Non pensarci proprio adesso. Buona notte, scheggia!»
Mi piace il modo che ha di aiutarmi, di farmi sentire nel posto giusto. Mi piace come mi guarda, come mi stringe, come mi avvicina a sé. Mi piace come mi aiuta, come mi consola.
Siamo nati per non essere soli. Siamo un filo sottile capace di riparare lo strappo nel cuore degli altri.
Adesso che è qui, che è arrivato nella mia vita con la sua sicurezza, con la sua dolcezza e ostinata tenerezza, non riesco ad immaginare di passare una vita senza di lui, senza quelle emozioni profonde che mi fa provare. Perché quando sto con lui, mi sento forte. Perché stare con lui è come stare in una stanza chiusa, senza finestre dove al buio puoi inciampare in qualsiasi cosa. Lui è amore, passione, dolcezza, tenacia, forza... stargli accanto è come sedersi su un tappeto di spine per poi constatare che non fanno neanche male perché sono petali di rose. Lui è talmente tante cose da farmi paura ma, da spingermi al contempo ad abbracciarlo con ogni grammo del mio amore, perché è in grado di farmi capire che a volte il destino ci fa incontrare qualcuno che prima o poi assumerà le sembianze di una casa, di un rifugio, di un porto sicuro. Perché nella vita prima o poi arriva chi ti fa battere forte il cuore senza mai spezzarne un pezzo.

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora