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BRADLEY

Non posso credere che ci abbia interrotto proprio sul più bello, quel pallone gonfiato. E non posso neanche credere di essermene andato per non continuare a sentirmi di troppo in mezzo a loro due. Il nuovo arrivato che invade la vita di una ragazza già piena di problemi e di persone che la circondano e vogliono prendersene cura.
Ho come il sospetto che ci sia stato qualcosa tra quei due. Non mi piace come la guarda, come la segue con quegli occhi scuri e come la tratta, seppur con i guanti bianchi. Un po' come se fosse sua.
Erin, d'altra parte, è stata attenta nei miei confronti ma non sono riuscito lo stesso a fare finta di niente e a restare lì con lei, con lui. Non posso tollerare determinate cose quando sto cercando di conquistarmi un posto nella sua vita. E so che ci riuscirò. So che gli dimostrerò davvero chi sono e che quando mi metto qualcosa in questa testa dura non c'è verso di farmi cambiare idea. Non è una scommessa, non l'ho mai pensato. È semplicemente una persona che voglio conoscere sempre più di più perché è riuscita a incuriosirmi, a trascinarmi in un posto che non avevo ancora esplorato. Una persona che oggi mi ha offerto un pezzo della sua routine.
Ho apprezzato molto quello che ha fatto per me pur non confermandolo. Mi ha offerto il pranzo, cucinando nella sua cucina, per dimostrarmi tutta la sua riconoscenza. Ma io non voglio che ricambi o che si senta in debito. Voglio solo che senta quello che sento io.
Non riesco ancora a definire con esattezza quelli che provo. So quello che mi provocano le sue parole, i suoi sguardi, i suoi gesti misurati.
Picchio il pugno sul volante. «Dannazione!», ringhio più che nervoso.
Premo il piede sull'acceleratore e, dopo dieci dei venti minuti previsti a causa del traffico e della distanza, raggiungo il quartiere di nonna Gio' fermandomi davanti il vialetto.
La trovo comodamente seduta in giardino, in compagnia delle sue tre amiche, compagne di una vita. Delle vere pettegole, irriverenti e determinate donne che, una volta in pensione, hanno trovato il modo di sfogare ogni frustrazione gettandosi a capofitto in eventi, attività e nuovi matrimoni vantaggiosi.
Sono solite andare nei club ad incontrare altre donne, giocare a carte nei circoli facendo squadra e divertirsi partecipando ad assurde gare o a riunioni in cui settimanalmente si parla di libri. Amano tutte la bella vita, i viaggi, il cibo esotico, il golf, la moda e i gioielli e sono sempre pronte ad esporre la propria opinione, anche quella non richiesta.
Non appena mi vedono arrivare, iniziano a parlottare tra loro, a gesticolare per richiamare la mia attenzione, mentre nonna Gio', alzandosi dalla sedia, viene ad abbracciarmi.
Profuma di liquore alla ciliegia.
«Tesoro, sei venuto a controllarci?», sorride mostrandomi alle sue amiche che, comodamente stravaccate sulle sdraio, abbassano all'unisono gli occhiali da sole per guardarmi.
Le sorrido, pur sentendomi in forte imbarazzo. «Vedo che stai bene. Anzi, più che bene quindi non ti trattengo oltre. Sono un po' stanco e ho del lavoro da organizzare quindi me ne ritorno a casa.»
Posa le mani sulle mie braccia soppesando il mio sguardo. I suoi occhi chiari mi scrutano attenti leggendo il mio nervosismo, la mia ansia addosso per averla lasciata con quell'idiota.
Non so perché sto giudicando così aspramente quel ragazzo. So solo che ad impatto ho avuto una strana impressione. È come se in qualche modo stia tenendo dentro un segreto che potrebbe fare stare molto male Erin.
«Ma guardati, Brad, sei diventato un bell'uomo. Sei ancora single? Potrei organizzarti un appuntamento con mia nipote. Sono sicura che saprebbe come toglierti quel muso lungo», esclama una delle tre guardandomi famelica. Indossano abiti floreali larghi, cappelli bianchi e stanno bevendo qualcosa, forse margarita.
«Mio nipote non è un pezzo di carne da vendere. Inoltre sta già con una ragazza», replica prontamente mia nonna assumendo il comando. Poi mi guarda ancora in quel modo. «Sei stato con lei?»
«Hai una ragazza?»
«Come si chiama?»
Deglutisco a fatica saettando ovunque con gli occhi. Sento ancora sulle labbra il sapore amaro di quel bacio non dato. La pressione della sua mano sul petto mentre le regalavo il suono dei miei battiti feroci. Avrei dovuto insistere o forse avrei dovuto fare più attenzione. Adesso non so con esattezza quello che penserà di me.
«Si, ma non appena è arrivato quel... ehm, il suo amico, sono andato via.»
Nonna sorride come una che ha già capito l'antifona, e mettendosi a braccetto mi conduce dentro casa.
«Fermati un momento per bere un aperitivo con me. Hai tanto l'aria di averne bisogno.»
Entriamo in casa lasciando le tre che continuano a spettegolare e a guardarmi di traverso mentre le supero ignorandole.
Nonna mi prepara uno dei suoi intrugli analcolici aggiungendoci un goccio di vodka. Per un goccio intendo un bicchierino intero che misura con molta attenzione.
La tiene per i casi di emergenza. E questa: si direbbe proprio l'occasione giusta.
Mi siedo sullo sgabello giocando con i cubetti di ghiaccio in mezzo al liquido rosso e alla fetta di arancia.
«Che cosa avete fatto?», indaga.
«Lavoreremo insieme», la rendo partecipe.
I suoi occhi si accendono come una lampadina in una stanza buia. Ha in mente qualcosa. Una delle tante scene dei film che vede, ci scommetto.
Ma con Erin non posso fare piani o immaginare niente. Posso solo avanzare usando delle opzioni per non spaventarla.
«Lavorerete insieme? Come?», sgranocchia un pezzo di sedano.
Bevo un sorso del liquido che mi ha preparato. Non è dolce. Ha un retrogusto amaro che non mi dispiace.
Fisso il fondo del bicchiere. «Un progetto che con il mio capo e i miei colleghi svolgeremo partendo proprio dalla scuola in cui lavora Erin. Già, è una maestra. Dovevi vederla, nonna. Era così bella, così gentile e attenta con quei bambini...», tracanno il liquido, più che assetato, fino a finirlo e nonna Gio' me ne prepara subito un altro.
«Sarà una mamma fantastica. Non ha neanche mostrato disgusto quando una bambina le ha chiesto di toglierle il moccio dal naso.»
«E poi?»
Massaggio la nuca bevendo il secondo bicchiere. Parlare di lei mi mette sete. E forse mia nonna sta tentando di farmi ubriacare.
«Dopo l'ho invitata a pranzo. Siamo andati a casa sua per lasciare l'auto ma doveva dare da mangiare al gatto, così mi ha fatto entrare perché dovevo cambiarmi e lei ha cucinato per me. L'ha fatto per sdebitarsi. È brava anche in quello, nonna.»
Nonna Gio' si appoggia al bancone con i gomiti. Guarda fuori le sue amiche che stanno ascoltando più che eccitate di poterne parlare dopo che me ne sarò andato da qui, ma ancora una volta le ignoro. Che sentano pure. Non ho niente da nascondere. Non mi vergogno a mostrare interesse per una persona che mi ha letteralmente travolto in un giorno come tanti.
«Che cosa è successo?»
Evito di darle dei dettagli sul non bacio. Almeno questo lo tengo per me.
«Poi è arrivato il suo amico ad interromperci.»
«E te ne sei andato», conclude mia nonna girando intorno al bancone pronta ad abbracciarmi. «Ma lei non ti ha chiesto di restare?»
Adesso che ci penso aveva quello sguardo. Era insicura a lasciarmi andare. Come se la presenza di Shannon la stesse mettendo in difficoltà con me, come se si fosse accorta della mia reazione e volesse trattenermi lì per dimostrarmi che mi stavo sbagliando.
«Si, ma non ce l'ho fatta. Non sono riuscito a restare lì con loro che andavano così d'accordo. Sono geloso di una ragazza che non conosco.»
Mando giù anche il secondo bicchiere alzandomi in fretta prima di essere incastrato dalle tre arpie alle mie spalle e da nonna che vorrebbe i dettagli più intimi.
«Sarà meglio andare», dico dandole un bacio sulla tempia. «Non bere troppo.»
Non posso starmene qui a piagnucolare come un bambino solo perché una ragazza ha fatto entrare in casa il suo amico che ha iniziato a marcare il territorio. Me ne farò una ragione.
«Non rimani a cena? Possiamo mangiare un boccone insieme e venire a capo a questo problema.»
Il pensiero di essere esposto come un trofeo o di essere l'oggetto della discussione a cena non mi entusiasma.
Nego. «No, sono solo entrato un po' in paranoia, tutto qua. Avevo bisogno di allontanarmi e di vedere un volto familiare. Pensavo fosse lei quella a doversi fidare, evidentemente ho lo stesso problema. Non mi fido del suo amico.»
Nonna mia abbraccia intuendo il mio discorso. Lei conosce i miei trascorsi. Sa che non ho nessuna intenzione di subire un'altra delusione. Sa che mi sono tenuto a debita distanza delle relazioni.
«Sono sicura che andrà tutto bene. Devi solo smettere di complicarti la vita. Sai cosa vuoi e sei un Connor, non una persona qualsiasi o un dilettante. Datti una calmata e falle capire che non hai intenzione di giocare.»
Adoro mia nonna. Sa esattamente quando è giunto il momento di uscire gli artigli dandomi una motivazione utile per ricaricarmi, per darmi la forza necessaria ad andare avanti.
In questi anni è stata la mia ancora, il mio porto sicuro. So che ci sarà sempre comunque vada. Per questo le sto già organizzando il nuovo viaggio che farà con le sue amiche. Quelle tre saranno contente di allontanarsi dai mariti per qualche giorno.
Mentre esco fuori, mi chiedo come sia accaduto in così poco tempo di essermi fatto accecare così tanto da una persona. L'impatto che ha avuto su di me Erin, è stato un qualcosa di incredibile, improvviso, forte e decisivo. Non era mai accaduto che una persona attirasse così tanto la mia attenzione. Che una ragazza ribaltasse in un battito di ciglia la mia vita, scombussolando le mie giornate, i miei pensieri.
E non sono paranoico o insicuro. Sono solo realista e ho bisogno di tenere tutto sotto controllo. Cosa che attualmente non mi riesce bene.
«Grazie nonna. Passa una buona serata», supero in fretta il giardino salutando le sue amiche. Sento qualche complimento sul mio fondoschiena e su come ho messo su bene massa muscolare. Mi urlano anche di tornare presto, di presentargli la mia ragazza.
Hanno proprio creduto alle parole di mia nonna. O forse sono solo un po' su di giri per quello che hanno bevuto.
In auto, la tensione non accenna a diminuire. Mi sento in combutta. Da una parte so di dovermi fidare, di non essere tanto stupido da rovinare tutto solo per un po' di gelosia. Dall'altra invece vorrei che fosse lei a darmi almeno una spinta, un segnale, un modo per farmi capire che possiamo camminare insieme verso un'unica direzione.
Il telefono squilla facendomi sussultare. Avevo dimenticato a togliere la suoneria. Controllo brevemente il nome che compare sullo schermo e mi affretto a rispondere inserendo il vivavoce.
«Stan, sono in auto.»
«Amico, ho invitato a cena Sammy. Non so che cosa indossare», dice agitato. «Ho magliette sportive o camice floreali. Non so proprio cosa mettere per fare colpo su di lei, per darle una buona impressione di me. Nei prossimi giorni dobbiamo assolutamente andare al centro commerciale o in un negozio. Devo rivoluzionare il mio armadio.»
«Sei sicuro di essere Stan Lopez? Cazzo, datti una calmata! Sembri una ragazzina eccitata e alla sua prima cotta. Indossa la divisa da pompiere.»
«Brad, smettila di scherzare! Io sono terrorizzato. Tu non capisci: un passo falso e sono fuori. Fuori!»
Dovrebbe essere divertente prenderlo ancora un po' in giro, farlo arrabbiare e andare nel panico, ma non sono dell'umore giusto per farlo.
«Una camicia bianca, niente fiori o disegni e pantaloni scuri, niente jeans strappati o mimetici, andranno bene. Non hai bisogno di agitarti tanto. È solo una cena.»
Lo sento camminare avanti e indietro. Immagino l'espressione agitata e terrorizzata sul suo viso di solito allegro e spensierato.
Non mi piace l'effetto che sta avendo su di noi l'incontro di queste ragazze. Ci stanno trasformando in due codardi.
«Non mi aiuti affatto così!», sbraita con voce stridula. «Non voglio sembrarle disperato o un coglione.»
«Lo so», sospiro massaggiandomi la fronte. Sento una forte emicrania in arrivo mentre finalmente sono nel mio quartiere e posteggio davanti casa trovando per la prima volta uno spazio libero. In questo modo non dovrò girare per cinque minuti alla ricerca di un posto libero e che sia sicuro per la mia auto. Di solito la lascio dove posso controllarla dalla vetrata.
Porto il telefono all'orecchio, chiudo l'auto ed entro dal portone di ferro salendo al terzo piano. C'è un silenzio sinistro.
«Un momento... perché sei così strano? Che diavolo ti succede?»
"Tildo", percependo il mio arrivo, abbaia ed io entro in casa prendendo il collare per fare con lui una passeggiata.
«Non succede niente. Sai già dove porterai Samantha?»
Impreca dopo avere sbattuto contro qualcosa, lamentandosi peggio di un bambino. «Si, la porto in un locale con la vista sull'oceano. Ho prenotato l'altro ieri dopo che l'ho accompagnata a casa.»
Stan spesso sa sorprendermi. È organizzato. Riesce a non cacciarsi in storie complicate. Non è proprio come me, che al contrario sembro avere una propensione per i casi impossibili.
Non è sempre andata bene la mia vita sentimentale e alla fine mi sono gettato a capofitto nel lavoro, nei progetti che ho per il mio futuro, nei miei viaggi per portare nonna in giro per il mondo. Mi sono ripromesso di avere la forza e la capacità di rialzarmi in ogni situazione, ma adesso che ho incontrato Erin, sto rivalutando tutto quanto. E mi sto sentendo un disastro. Come un ragazzino alle prime armi. Ma non lo sono. Ho esperienza in queste cose. Devo solo trovare il modo giusto.
"Tildo", si muove veloce lungo il cortile del palazzo. Proseguiamo sul marciapiede ignorando i cani dei vicini.
«Sta andando bene», gli faccio notare. «E siete già al terzo appuntamento?»
Ritorno a casa. Tolgo le scarpe, salgo sul soppalco dove si trova la mia camera da letto, qui lascio il borsone sulla cassapanca.
Mi stendo sul letto. "Tildo" mi raggiunge rannicchiandosi accanto a me dopo essersi pulito le zampe. Gli accarezzo la testa orgoglioso e quando si mette supino attacco il suo petto.
«Si, le cose stanno andando bene ma ho la costante sensazione di sbagliare qualcosa. Non so, Sammy è davvero impegnativa. Non fraintendermi, mi piace e ci sto mettendo tutto me stesso per fare funzionare le cose, più del solito. Ho capito che quelle che ho avuto prima non erano delle storie ma delle semplici scopate in momenti di noia. Lei è quel qualcosa in più che non ho mai avuto.»
Sorrido e accorgendomi che "Tildo" si è addormentato gli sollevo la coperta addosso per non fargli sentire freddo e per non disturbarlo vado in cucina a prendere un bicchiere d'acqua e una pillola per il mal di testa.
«Quindi ti ha fatto dimenticare delle altre?»
Annuisce con un verso gutturale. «Cazzo, mi ha proprio fritto il cervello. E tu mi conosci bene. Sai che al terzo appuntamento non ci arrivo mai. Sai che non ho bisogno di penare così tanto. Ma con lei non voglio e non posso correre. Non posso bruciarmi un'occasione come questa.»
Bevo un sorso dietro l'altro d'acqua. I due apertivi di nonna mi hanno lasciato non solo il gusto amaro in bocca ma anche una certa nausea che, a causa dei pensieri, aumenta sempre di più.
«Infatti spero che Samantha continui a tenerti così impegnato ed euforico, più del solito.»
«Brad, so che qualcosa non va. Stai evitando l'argomento. Mi spieghi che succede?»
Passo la mano sul viso. «Niente. Hai indossato la camicia bianca?»
«Si. Niente cravatta?», sospira frugando nei cassetti elencando i colori.
So che non mi crede. Mi conosce come conosce ogni cicatrice sulle sue mani, sul suo corpo. Mi conosce meglio di se stesso. Siamo come fratelli.
«Il locale è intimo?»
«Non ne ho idea. Forse.»
Sorrido. «Allora indossala. Metti un pantalone elegante scuro e sistema i capelli, niente gel o capelli abbassati lateralmente come un paggetto. E smettila di sorridere come se fossi il re del mondo. Sembri solo un coglione assuefatto.»
Ride. «Mi conosci bene.»
«Meglio di me stesso.»
«Brad?»
«Si?», ricado sul divano.
Sollevo i piedi sul tavolo da caffè, le caviglie incrociate. Accendo la tv per avere un po' di compagnia.
«Che cosa ti succede? E non dirmi niente perché non ci credo. Quindi non mentirmi o giuro che disdico l'appuntamento e vengo a prenderti a pugni con indosso il mio completo elegante e i miei capelli in ordine.»
Consapevole del fatto che Stan sa fare una cosa del genere solo per il piacere di dare una lezione, mi affretto a spiegare. «Sono solo un po' stanco. Oggi ho anche visto Erin e stavamo bene. Be', questo fino a quando non è arrivato il suo amico, Shannon. Si è appostato in casa sua e ha un po' marcato il territorio.»
«Adesso dove sei?», mi chiede preoccupato.
«A casa. Mia nonna mi ha preparato due aperitivi alcolici e adesso sono sul divano con la nausea. Ho anche preso una pillola per il mal di testa. So che non avrei dovuto ma è insopportabile. Devo ancora fare una doccia e organizzare il lavoro per quel progetto del capo.»
«Quello di cui parlava oggi Preston? Ha già trovato le scuole?»
«Si. Io ne ho trovata una.»
«Fantastico! Da dove iniziamo?»
Sta cercando di distrarmi. Mordo il labbro. «Dall'asilo in cui lavora Erin.»
Rimane un po' in silenzio. Poi strilla. «Quindi lavorerete insieme? Grande!»
Il mio entusiasmo è frenato dall'immagine di lei insieme a quel pallone gonfiato. Dio, perché mi fa imbestialire la sua presenza nella vita di Erin?
«Potrei anche cambiare turno o rifiutare l'incarico.»
Ride come se avessi appena detto una barzelletta o una bestemmia. «Si e io prenderò il tuo posto. Ma dico, ti prendi una bella sbronza e la smetti di essere così paranoico? Samantha, mi ha detto che tu a Erin piaci molto. Quella ragazza ha vissuto quella bruttissima situazione e adesso tocca a te fargli dimenticare o quanto meno accantonare quel passato. Ha solo bisogno di non correre. Mi ha anche detto che la trova più carica, piena di vita, meno chiusa e più sorridente. Anche tu sei così.»
Sorrido rivedendo quegli occhi e quella lingua spigliata, pronta a controbattere.
«Lo so. Dovresti sentire come controbatte o risponde ad ogni mia frase che non le va a genio. Cazzo, non ho mai sentito o conosciuto nessuna ragazza così forte, così testarda.»
Stan ride. «Sei nei guai, amico!»
Sbuffo passandomi la mano sul viso. Lo so che sono nei guai. Lo sono da quando ho lanciato quella bombola in aria per farle da scudo e il suo calore, il suo profumo mi si è attaccato sotto pelle. Ci sono persone che ti si insinuano dentro in un attimo e non te le scrolli più di dosso.
«Già. Anche tu a quanto pare ma stai avendo più successo.»
«Vedremo se sarà così dopo questa cena.»
Guardo lo schermo. «Mi farai sapere domani?»
«Verrò a supportarti. Non credere che ti abbandono solo perché farò tardi. Non posso perdermi lo spettacolo.»
Alzo gli occhi al cielo. «Adesso smettila di chiacchierare con me come se ti mancassi e va dalla tua ragazza. Mi raccomando comportati bene e non saltarle addosso a meno che non sia lei a volerlo e fallo solo se è sobria.»
Ride forte. «Grazie ai tuoi consigli sto imparando le regole del corteggiamento. Vista la tua situazione, forse dovresti evitare di seguirle e fare l'opposto.»
Ci rifletto su. «Non è una cattiva idea. Adesso stacco o continuerai a blaterare attaccandomi addosso la tua ansia. Ho già troppi problemi da risolvere. Ciao Stan, mangia e divertiti. Ah, e non guardare le altre. Samantha ha tanto l'aria di una ragazza che ti spacca un piatto di ostriche costose in testa, in meno di due secondi.»
Ride. «Anche se è una visione sensuale vederla incazzata, eviterò. Lo terrò bene a mente. Ciao Brad.»
Riaggancio prima che possa continuare a blaterare e aumento il volume della tv guardando per un'ora un programma a quiz con cui mi tengo impegnato. Poi vado a fare una doccia cercando di sciogliere i muscoli.
A mezzanotte non riesco ancora a chiudere occhio. Spengo la tv e il portatile, metto in ordine i fogli sparsi sul tavolo insieme a qualche snack, tazza di cioccolata e infine mi occupo del soggiorno.
Lo schermo del telefono si illumina segnando un nuovo messaggio in arrivo.
Sblocco lo schermo controllando, credendo che sia Stan, ma con mia enorme sorpresa trovo un suo messaggio.
Il cuore mi batte picchiando forte sulla gabbia toracica.

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now