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ERIN

È come il rombo continuo di un tuono dentro la testa il rumore dei miei pensieri che fanno a pugni tra loro da diverso tempo. E poi c'è questa sensazione, come una fitta che mi scava nel petto raggiungendo il cuore. Mi attraversa fino a lasciarmi senza respiro.
Fa male. Troppo, troppo male. È sempre più profondo quel buco che continua ad ingigantirsi. E va peggio, sempre peggio.
Ma non sento niente. Ed è questo a spaventarmi. Non sento un cazzo di niente. Solo vuoto. Solo freddo. Proprio io che ho sempre sentito tanto e troppo, adesso non sento niente.
Ognuno di noi ha un dolore nascosto, da superare ma non da arginare. Ognuno di noi affronta il dolore come vuole. C'è chi si rifiuta, chi lo supera, chi torna indietro, chi va sempre avanti. Poi ci sono io, sono ferma, immobile e al punto di partenza. Non l'ho mai accettato. Non ho mai accettato il mio dolore perché non avevo ancora sbattuto contro la realtà.
E sono stata stupida a pensare di potere superare il mio passato cambiando nel presente. Ma se non cambi da dentro, non serve a niente.
E voglio provare ad aggiustare tutto, ma non riesco ad evitare che quel tutto mi crolli addosso. Non ho evitato che quel tutto mi soffocasse facendomi sprofondare e toccare il fondo.
«Un altro Flaming Doctor Pepper, grazie», passo una banconota al barman con cui ho fatto amicizia nelle ultime due ore.
Prima sono andata a casa. Ho lasciato l'auto, mi sono cambiata. Poi sono andata al parco, in centro a fare un giro e alla fine mi sono ritrovata in questo orribile posto pieno di maniaci il: "Room 74". Non è ancora l'ora giusta per la festa ma ho un mio angolo e nessuno osa rivolgermi la parola. Dopo l'ultima volta nessuno vuole fare un passo falso. Hanno tutti paura che io dia di matto. Ma voglio solo bere, ballare e scaricare tutto quanto prima di tornare fuori e affrontare la realtà.
Il barman, Jim, un uomo pelato, ampie spalle e mani grassocce ma agili con i calici e le bottiglie, mi riempie un bicchierino dandogli fuoco prima di lanciarlo dentro un bicchiere più grande di birra.
Bevo assetata o per meglio dire come un'alcolizzata e lui mi lancia un ammonimento. Prima mi aveva detto di non bere tanto e velocemente perché non vuole portarmi in ospedale in coma etilico, ma conosco i miei limiti e se voglio bere così, berrò così.
«Jim...», inizio ridendo per la "J" pronunciata come una "sg". «Sei sposato?»
Mi mostra un anello. Afferro la sua mano lesta guardando meglio la fede. Un semplice cerchio d'oro. «Da quanto?»
«Tre anni. Ed è un lui», mi dice con un ampio sorriso. «Non fingere di non averlo capito prima.»
Jim ha i denti drittissimi e bianchi. Potrebbe fare la pubblicità del dentifricio.
Mi appoggio con il gomito sul bancone e il polso sulla guancia a reggere la testa pesante. «E come è essere sposati?»
Mi sorride. «È un grosso impegno», dice mettendosi davanti a me piegato sui gomiti con uno strofinaccio pulito tra le mani. «Tu sei mai stata sposata, Erin?»
Nego ridendo. «Credi che io sia una da sposare?», bevo un lungo sorso leccandomi le labbra e indicandomi. Fisso le bollicine dentro il bicchiere. «No, non lo sono. Sono più la testimone dello sposo che bacia quest'ultimo alle sue nozze e in un bagno. Sono l'altra, l'amante. Mai la fidanzata. Mai la sposa. Mai la moglie.»
Sollevo il bicchiere mezzo vuoto mandando giù il resto del liquido.
Jim serve due cocktail a dei ragazzi che mi rivolgono un cenno mentre io li ignoro e torna da me passandomi una ciotola di ceramica bianca con dentro dei pistacchi e delle noccioline che versa davanti a me da una busta. Prova anche con le olive ma arriccio il naso. Non mi vanno.
«E sei ancora l'altra o sei qui per dimenticarlo?»
Alzo le spalle. «Sono qui perché ho avuto una giornata di merda e ho bisogno di bere. So che non è la soluzione migliore ma sono adulta e voglio stordirmi in questo modo prima di affrontare il ragazzo che continua a dirmi che non sono pronta a stare con lui o con qualcuno perché sono ancora legata al passato.»
Jim mi passa un bicchierino di vodka. Solleva il suo e beviamo in un sorso.
«Ed è così?», chiede mentre mangiucchio i pistacchi.
«Ho fatto del mio meglio per andare avanti. A quanto pare non è bastato perché sono stata presa in giro e la ferita continua ad aprirsi.»
Jim inarca un sopracciglio. «Dal tizio che hai baciato per il matrimonio o...»
Scuoto la testa. «Dal tizio che mi ha mentito per un anno per portarmi a letto e poi al matrimonio di suo fratello e presentarmi la sua futura moglie», alzo il bicchierino. «Ai matrimoni felici!»
Jim sembra sconcertato. Non nasconde la sua reazione. Posa una mano sul petto. «Ti è successo davvero?»
Annuisco scuotendo il bicchiere vuoto. «Solo a me possono capitare simili disgrazie», rido forte. «Credo di essere nata sotto il segno sbagliato. Ma chi ci crede a queste stronzate? La verità è che gli uomini sono bastardi, ragionano solo con il cazzo!»
Bevo un altro bicchierino scivolando dallo sgabello. «È meglio se vado a ballare», esclamo barcollando.
In mezzo alla folla mi dimeno, vado al tempo e mi lascio circondare da alcune ragazze che sono qui per un addio al nubilato.
C'è una bella atmosfera. Fa caldo. C'è tanta musica, tanta allegria. È tutto come deve essere. Tutto tranne io che ho solo caos dentro la mia testa.
Non riesco a farmi capire. Non riesco a spiegare a nessuno cosa mi sta succedendo. Non posso. Non ci riesco neanche con me stessa. So solo che a tratti fa male. È un dolore inspiegabile quello che mi investe. Eppure non lo allontano, perché la mia anima si aggrappa ad esso per restare viva.
Conosco bene il dolore. Con il tempo ho imparato a sopportarlo, altre volte a ignorarlo. Poi ci sono state volte in cui non sono riuscita a trattenerlo e allora ho avuto solo due possibilità: andare avanti o fermarmi. Io ho scelto sempre di fermarmi. Perché tanto se crollo i pezzi della mia anima, i resti del mio cuore, li raccolgo solo io.
Torno sudata e assetata al bar, il bancone è quasi tutto pieno, ma Jim, notandomi instabile e impaziente, mi avvicina uno sgabello passandomi una bottiglia di birra fredda.
Arriccio il naso. «Qualcosa di più forte non ce l'hai?»
Sospira passandomi due bicchierini di tequila insieme al sale e al limone. «Sei il migliore», rido come una stupita.
«Non ringraziare me ma quell'uomo davvero bello», indica dall'altra parte del locale con un ampio sorriso.
Vago con gli occhi stretti a fessura cercando di mettere a fuoco l'immagine dell'uomo in questione e alla fine vedo Shannon. Alza la mano e io sollevo il mento in segno di saluto insieme al bicchierino e al dorso della mano che lecco mettendoci sopra il sale mandando tutto il liquido giù in un sorso, quasi a sfidarlo a fermarmi.
So che è qui per me. Non verrebbe mai da solo in un posto del genere. Mi giro a guardare uno dei quadri presenti. Sono nuovi. L'ultima volta non li ho neanche notati. Hanno anche cambiato il colore ai divani. Quelli di pelle neri sono stati sostituiti dal rosso lucido e da tavoli da caffè dal design moderno di colore nero lucido.
Provo a mandare giù anche il secondo bicchierino ma Shannon materializzandosi accanto a me ferma il mio gesto.
«Uno è per me», dice sedendosi sullo sgabello accanto, afferrando il dorso della mia mano lecca il sale deglutendo.
Ritiro subito la mano sentendo la pelle prendermi fuoco.
«Sgiiim... lui è Shannon. Lo sposo che ho baciato nel bagno», rido forte. «Esiste davvero come vedi ed è un bell'uomo. Chiunque non avrebbe resistito quel giorno. Era proprio fantastico!.»
Shannon si volta a guardarmi poi si rivolge al mio barista dandogli una breve occhiata da capo a piedi come se stesse memorizzando tutto di lui.
«Ha parlato tanto?»
«Abbastanza da dirti che è distrutta dentro e non sarà di certo l'alcol ad attutire o ad alleviare il suo dolore», gli dice pulendo dei bicchieri. «E tu sembri riuscire a tenerla calma.»
Lo guardo male. «Eri il mio barista preferito, Jim», gli punto il dito contro. «Adesso sei nella mia lista nera.»
Mi sorride affatto preoccupato posando sul bancone due bicchierini pieni di liquido azzurro. «Lo sono ancora?»
«No, non più! Almeno tu rispetti i patti.»
Sollevo il bicchierino con un ampio e raggiante sorriso.
Shannon fa lo stesso. «Hai intenzione di continuare a bere?», chiede con il suo tipico tono serio e severo.
Annuisco convinta. «Tanto non devo guidare e non devo tornare a casa da mio marito perché non ne ho uno. Sono un'amante», rido. Non riesco a smettere.
Shannon inarca un sopracciglio poi facendo una smorfia butta giù il liquido, sbatte il bicchierino di vetro sulla superficie e afferrandomi per il polso, tirandomi dietro di sé, mi porta in pista.
Solleva le mie braccia lasciandole intrecciare intorno al suo collo e stringe le sue sulla mia schiena tenendomi stretta a sé. Il mio corpo si adagia al suo che emana un piacevolissimo calore.
Potrei rimanere così per sempre.
Ci guardiamo negli occhi senza mai distogliere lo sguardo l'uno dall'altra. Gli faccio una carezza sulla guancia sfiorando con le dita la cicatrice sotto l'occhio dove manca il tatuaggio. Mi sollevo sulle punte dei piedi, rischiando di scivolare, baciando la porzione di pelle ruvida al tatto. «Non lo avrei mai detto ma... mi manca quel tatuaggio.»
Ha dovuto toglierlo per volontà ma anche per sua moglie che non riusciva a sopportarlo. A me invece piaceva vederlo, faceva parte di lui, della sua personalità che tiene dentro ormai da tempo, nascosta dietro la maschera dell'uomo di successo, del medico.
Le sue narici si dilatano. «Sai che stavo ascoltando anch'io oggi?»
«Eravate insieme, certo. Fate comunella adesso. Sarete grandi amici voi due.»
Nega. «Ero di turno. Sai che probabilmente Bradley dovrà operarsi?»
«Come faccio a saperlo? L'ho mandato a quel paese prima di entrare in ospedale. È uno stronzo che crede di sapere tutto di me solo perché tu...», premo l'indice sul suo petto spingendolo senza riuscire a spostarlo. «Hai parlato troppo.»
Mi afferra le dita intrecciandole. Osservo il modo in cui si incastrano e non ho il tempo di fermarlo perché mi fa fare una giravolta mentre la calca di persone intorno a noi urla e tutti, quasi ubriachi fradici, intonano in coro il ritornello di una canzone che viene abbassata di proposito dal DJ per intrattenere il pubblico.
Shannon continua a fissarmi ancora in quel modo. Mi sembra di essere tornata al giorno del suo matrimonio.
«Sei bella. Non ti vesti mai così e quando lo fai mi ricorda tanto il giorno del diploma.»
Mi irrigidisco. So che era lì a guardarmi. È stato il giorno più bello e più brutto della mia vita.
«Perché sei qui?»
«Perché stai bevendo e perché sono preoccupato per te.»
Sbuffo staccandomi o almeno ci provo. Ha una presa salda. «No, tu sei qui per controllarmi. Lo fai sempre, sei peggio di un marito con problemi di fiducia.»
Le sue pupille si dilatano. «Ti sbagli. Voglio solo che non fai cazzate di cui poi ti potresti pentire.»
«Dimostralo allora! Ubriacati con me», tiro la sua mano correndo di nuovo al bar, arrivando incolume sullo sgabello.
Jim mi riempie due bicchierini. Ingurgito il mio attendendo la prossima mossa di Shannon, affatto intimidito dal mio atteggiamento ma comunque attento ad ogni mia mossa.
«Ho avvertito il tuo ragazzo che staremo un po' insieme», passa al contrattacco.
«Non è il mio ragazzo. Non mi ha ancora fatto uno striscione...», mi interrompo. «Che importa! Perché non è qui con te?»
«Avresti reagito male.»
Alzo le spalle. «Con te non l'ho ancora fatto», biascico.
«Si, e la cosa mi preoccupa.»
Sorrido perfida e lui corruga la fronte sedendosi e studiandomi attentamente.
«Jim, come sta andando?»
«Come ogni venerdì sera», replica correndo a servire un gruppo di ragazzi.
«Ti va di spostarci di sopra?»
Guardo il soppalco con il liquido in bocca. Deglutisco. «Mi stai chiedendo di appartarci?», ghigno.
Solleva l'angolo del labbro. «Hai paura?»
Io? Paura? Pfff, per chi mi ha preso?
La mia testa oscilla e qualche ciuffo sfugge dallo chignon. «Che cosa potresti farmi? Al massimo finiamo a letto insieme e domani ci pentiamo come due cretini stabilendo che non accadrà più.»
Prende due cocktail. «Ne sei sicura? Sei sicura che finiremo a letto insieme prima o poi?»
Mi avvicino dispettosa. «Non berresti insieme a me altrimenti», gli sussurro all'orecchio picchiando il palmo sul suo petto, dirigendomi verso le scale.
Shannon mi segue e facendo cenno al ragazzo della sicurezza, mostrandogli un badge, questo ci lascia passare. Saliamo di sopra sedendoci nel divano all'angolo, in quello più appartato.
Tolgo i tacchi. Non so neanche perché li ho indossati insieme al tubino nero. Porto i piedi sotto il sedere e prendendo il bicchiere assaggio un sorso.
Il liquido scivola giù tranquillamente poi la mia bocca diventa lava e tossicchio sventolandomi. «Sembra benzina», esco la lingua.
Sorride soddisfatto. «Dilettante!», mi provoca bevendo senza fare la minima espressione. «È buono.»
«Spaccone!»
Mi sfiora la guancia. «Perché stai bevendo?», chiede avvicinandomi.
«Perché voglio divertirmi. Lo stavo facendo da sola e senza nessuno a disturbarmi. Poi sei arrivato tu con il tuo muso lungo e l'aria da padre apprensivo. Quando sei cresciuto così tanto? Non hai ancora trent'anni e sei già maturo come mio padre.»
«Vuoi che me ne vada perché sono responsabile?»
Riprovo a bere il cocktail. Un piccolo sorso mi scatena meno calore in gola. «Vuoi andare e lasciarmi sola?»
Lecca le labbra. Mi è impossibile non guardarlo. «No, voglio stare qui con te.»
«Allora dovrai ballare di nuovo», mi sollevo come una molla.
Lui fa lo stesso e mi avvicina muovendo i fianchi. «Balliamo qui», mi sussurra all'orecchio quando provo a scendere di sotto.
Le mie mani risalgono lungo il suo petto. «Mi stai chiedendo un balletto privato?»
Ghigna e intuendo lo spingo. Cade indietro ridacchiando, e comodamente stravaccato con una gamba sull'altra, mi guarda tenendo il bicchiere con una mano e il braccio sul bordo del divano. Salgo sul tavolo che è un semplice cubo e inizio a ballare intorno al palo ridendo e facendolo ridere.
«Non mi raggiungi?», lo sfido mettendo anche il finto broncio, uso persino gli occhi da cerbiatta.
Sono euforica, sudata e ubriaca. Il dolore lo sento appena. Se ne sta sotto la superficie ed è una sensazione strana quella che pervade il mio corpo.
Shannon si alza, mi fa scendere dal cubo e tenendomi stretta a sé balliamo a stretto contatto mentre i gruppi seduti ai tavoli qui vicino ci guardano continuando a giocare a carte e a fumare sigarette elettroniche piene di chissà che cosa dentro.
Ben presto sul soppalco inizia ad esserci una gran folla. Molteplici sono le ragazze che salgono per ballare come delle pazze divertendosi un mondo per il giorno di festa della loro amica che si sposerà. Nell'euforia del momento, mi regalano persino un cerchietto con il velo e i fiori mentre a Shannon i ragazzi fanno indossare una fascia.
Inizio a sentire caldo ma continuo a ballare con la persona che non ha mai smesso di reggermi, di aiutarmi. Il suo corpo rimane per tutto il tempo attaccato al mio. Le sue braccia mi reggono quando qualcuno mi spinge facendomi oscillare troppo. Sfioro gli avambracci sentendo sotto i polpastrelli la lieve peluria e tocco quelle vene da capogiro.
Il tempo passa e ad un certo punto, Shannon si siede sfinito togliendosi la fascia. Gli lancio il cerchietto che osserva quasi assorto. Dalla ringhiera faccio cenno a Jim di portare qualcosa di fresco.
Durante l'attesa mi siedo accanto al mio amico e lui, quando un ragazzo prova ad avvicinarsi, sistema le mie gambe sulle sue ginocchia guardandolo male.
«Da quanto state insieme voi due?», chiede una delle damigelle divorando Shannon con gli occhi, mandandogli molteplici segnali inequivocabili.
Lui non sembra accorgersi del dettaglio, mi guarda e mi sorride avvicinandomi con un braccio intorno alla schiena, lo fa con possesso. «Dieci anni», risponde con una sicurezza che mi fa ripensare alla prima volta in cui l'ho visto.
La ragazza apre e richiude la bocca sgranando gli occhi. Batte un paio di volte le palpebre e le ciglia finte sembrano le ali di una falena sul punto di morire. «Sono tanti anni», fa notare.
«Quando sei l'amante passano in fretta», rispondo di getto dando una gomitata a Shannon. «Non è vero, tesoro?»
La ragazza dai capelli ricci lunghi mi guarda maggiormente sorpresa. «Mi stai prendendo per il culo?», ride rigirando la cannuccia rosa dentro il liquido. «Siete davvero spassosi», biascica. «Ma sembrate davvero una coppia», continua cercando di riprendersi.
Dopo un momento asciuga gli angoli degli occhi. Lo guarda intensamente. «Se ti serve un'altra amante...», ammicca.
Shannon si irrigidisce ma non risponde e quando Jim ci mette davanti un vassoio di shottini ne prende subito uno.
«Andateci piano con questi», ci avverte scendendo di sotto.
Sto già mandando giù il primo senza neanche assaggiarlo prima. È fortissimo. «Due di questi è sarò finalmente K.O.», alzo le braccia urlando come se fossi allo stadio.
Shannon assaggia. «Cazzo, no. Non berne uno in più. Sono troppo forti. Ti faranno perdere i sensi e ti voglio lucida.»
Alzo il secondo bicchierino guardandolo da dietro il vetro.
Intuendo che sto per sfidarlo ancora, mi guarda male. «Erin, non farlo!»
«Agli amici, amanti a cui tengo tanto», dico mandando giù il secondo.
Picchio il bicchierino sul vassoio scuotendo la testa come un cane per riprendermi dal gusto e dalla vampata di calore che mi arriva sul corpo. Soffio sentendo la lingua intorpidita.
Shannon si piega in avanti. «Tutto ok?»
A lui non sembra fare effetto l'alcol. Ed è sempre il mio Shannon. Non ha perso il controllo neanche un secondo. Che cosa mi nasconde?
Inspiro ed espiro. «Si, a meraviglia. Usciamo da qui? Inizia a fare molto caldo.»
Annuisce e alzandosi mi segue di sotto tenendo le mie scarpe in una mano. Saluto Jim e una volta fuori indosso i tacchi barcollando verso il vicolo dove si trova la paninoteca. Vedo la terra girare come se fossi appena salita sulle giostre.
Shannon mi sorregge. «Ho la macchina qui vicino. Possiamo prendere da mangiare, che ne dici?»
Pur essendo ubriaca comprendo tutto, perché c'è una parte di me che è rimasta lucida e vigile. Mi sta suggerendo che Shannon non può guidare al momento. La sua proposta mi sembra allettante. Ora che ci penso ho una gran fame. Sono a stomaco vuoto da stamattina.
«Patatine fritte?»
Mi sorride. «Vada per la frittura!»
Attendiamo pazienti il nostro turno e alla fine lo seguo in auto dove tira indietro il sedile fino ad abbassare del tutto lo schienale e aprendo il sacchetto pieno di patatine fritte mi passa il panino piastrato.
Mangio voracemente appoggiando la testa al sedile. Tolgo i tacchi mugolando di piacere.
Giro il viso e Shannon sembra altrove. Smetto di masticare. «Che succede? So che non è solo perché sono sparita per qualche ora. Hai quella ruga...», la sfioro con il dito.
«Hai corso un grosso rischio, lo sai?»
«Ti riferisci a te?»
Finisco il panino passando alle patatine. Ho una gran fame. Shannon fa lo stesso. Le nostre dita di tanto in tanto si sfiorano ma a nessuno dei due sembra importare. Abbiamo avuto tante volte un incontro simile prima che lui scappasse dalla moglie.
«Soprattutto a me. Sai, prima di venirti a cercare ho chiesto in anticipo scusa a Bradley. Mi conosco e so che commetterò una cazzata. Perché quando si tratta di te non ragiono. Prima, mentre ballavamo è stata una gran fatica non saltarti addosso.»
Pulisco le dita mettendole in bocca e mi ferma come se afferrasse una mosca. Avvicino allora la mano alle sue labbra lasciando su di esse un po' di sale.
Le sue pupille si dilatano. Chiude gli occhi inspirando di scatto.
«Non devi chiedere scusa a nessuno. Sono l'unica responsabile delle mie azioni. Non sei la mia guardia o il mio baby-sitter.»
Accartoccia la stagnola passandomi il flacone con il disinfettante. Massaggio le mani e mi rilasso ad occhi chiusi per fare cessare il senso di vertigine.
Sento le sue dita sulla guancia e mi giro aprendo le palpebre.
«Non sopporto quando stai male», mormora.
«Lo so. Attualmente non sto male ma neanche bene. Sto fluttuando.»
Rido e lui mi rivolge un breve sorriso. Non è lo stesso di sempre. È preoccupato per qualcosa.
Scatto a metà busto. «Che cosa c'è che non va?»
«Niente, sai che farei tutto per te?»
«Questo mi spaventa. Hai fatto fuori Bradley e io sono il tuo alibi?»
Ride negando. «No, no...», sospira continuando ad accarezzarmi la guancia. «Niente del genere.»
È così bella la sensazione che mi ritrovo ad avvicinarmi a lui fino a passare dall'altro lato, sul suo sedile, dove lui se ne sta steso su un fianco.
La sua mano passa dalla guancia affondando tra i miei capelli e mi avvicina. Preme forte la fronte sulla mia.
Il mio cuore sta battendo all'impazzata. L'alcol non aiuta affatto i miei sensi tutti in disordine.
«Mi hai fatto bere tanto, lo sai?»
«Non ti ho mica obbligato a farlo», sussurro. «Non ti ho messo io in mano un bicchiere dietro l'altro. Potevi fermarti in qualsiasi momento. Ma la verità è che lo hai voluto.»
Scuote la testa. «No, ti ho fatto compagnia. Ma sono alticcio e non voglio lasciare andare ogni istinto che cerco di trattenere da qualche ora ormai.»
Mi massaggia dietro l'orecchio con i polpastrelli. Sollevo il viso mugolando. «Perché? Che cosa vuoi fare?», deglutisco quando abbassa la testa.
«Stiamo sbagliando di nuovo tutto, lo sai?»
«Non stiamo facendo niente», sussurro.
È una follia totale, ma soffoco ogni pensiero, ogni paranoia. Allontano tutto quanto spingendolo all'angolo e per una volta, faccio quello che sento.
Scivolo ritrovandomi sotto il suo peso. Trattengo il fiato. Non so che diavolo sto facendo ma è una sensazione che mi scarica addosso una forte adrenalina.
«Ah no?», la sua mano scende lungo la mia vita, sulla coscia, sollevandola e premendola contro i suoi fianchi.
Dico di no con la testa e il mio naso si strofina contro il suo. Ci fissiamo intensamente trattenendo il fiato per i brividi che ci stiamo scambiando. Nessuno dei due si muove. Il silenzio dentro l'abitacolo si spezza con il nostro respiro, sempre più affannato.
«Erin...»
Ho le guance in fiamme. «Shan...»
Mugola piano quando sollevo l'altro ginocchio incastrandolo al mio corpo ed è costretto a spingersi in su, a tenermi ferma.
«Stiamo facendo una grossa cazzata!»
«Forse. Ma che importa?»
Preme la fronte sulla mia spalla. «Te ne pentirai tra qualche ora. Quando mi guarderai in faccia ti sentirai in colpa. Ti conosco. Sei troppo ubriaca per capirlo.»
«E tu sei abbastanza sobrio da non volermi?», le mie dita hanno già sbottonato parte della sua camicia. «Perché è così, vero? Non mi vuoi neanche un po'...»
Alza di scatto la testa sentendo le mie dita fredde sulla sua pelle quando tocco quei marchi neri intricati. I suoi occhi lucidi, spietati, mi trasmettono la risposta. Prima che io possa muovermi le sue labbra si abbattono sulle mie. Ansimiamo e mentre le sue mani sollevano il mio vestito sulle cosce le mie sbottonano i suoi pantaloni.
Geme affondando il viso sul mio collo mordendolo, facendomi ansimare. «Ti ricordi quello che ti ho detto quella notte», sussurra.
Stringo le cosce aggrappandomi alle sue spalle. «Quando mi hai detto: "Perché non ho sposato te"?»
Cerca le mie labbra. «No... a parte quello», risponde.
«Ripetimelo», ricambio il suo bacio mentre sento le sue mani dapprima sfiorarmi tra le cosce e poi abbassare le mie mutandine avvicinandosi sempre di più.
Di colpo si ferma. «No», sussurra mordendomi forte le labbra, tirandosi indietro accaldato e senza fiato. Passa la mano sul viso. «NO!»
Mi sfioro le guance cercando di riprendermi, di ricompormi. Sento girare tutto. Il mio cuore che va a schiantarsi impazzito contro il petto.
Merda!
Shan si stende scuotendo ripetutamente la testa con le mani sul viso. «Cazzo, Erin!»
Mi guarda e siamo entrambi sconvolti. Lui un po' infuriato e io stravolta. «Dio, scusami tanto è colpa mia», dico tornando sul sedile del passeggero. Abbasso il vestitino sulle cosce cercando di mettermi in ordine ma le mie mani stanno tremando e la mia pelle sta formicolando e scottando.
«Scusa», balbetto.
Abbottona i jeans con una smorfia poi fa lo stesso con la camicia aprendo il finestrino. Picchia il palmo sul volante stringendo il pugno. «Tu ami Bradley, non è così?»
Slego i capelli passandoci in mezzo le dita, li scompiglio poi tolgo i nodi e non sapendo più che altro farci, senza forza, torno a legarli malamente.
«Ma finisco sempre per ubriacarmi e baciare te», balbetto con voce impastata e con finto sarcasmo.
«Perché?»
«Per la stessa ragione per cui l'hai fatto tu la prima volta.»
Chiude il pugno sul labbro. «Cazzo!»
Bevo un lungo sorso d'acqua per placare l'incendio che continua a divamparmi dentro. Sento di doverlo rassicurare. «Non è colpa tua. È colpa mia. Sono una persona orribile! Una vera stronza egoista. Bradley merita di meglio e non una che lo manda a quel paese perché non riesce ad affrontare la realtà e poi va ad ubriacarsi in un locale pieno di maniaci finendo nell'auto del suo amico.»
Sbuffa. Mi avvicina e mi abbraccia tenendomi forte e stretta al suo petto. Nascondo il viso più che stanca.
«Non dirlo mai più.»
Mi sistemo a cavalcioni su di lui. «Mi fido tanto di te. Forse sei l'unica persona di cui mi fiderò sempre ciecamente», biascico. «Sapevo che non ti saresti mai approfittato di me.»
Mi accarezza il viso comprendendo. «Non farlo più. Non mettermi mai più alla prova, Erin. La prossima volta non sarà una cintura di castità a fermarmi o il fatto di essere un medico e non avere a portata di mano una protezione. Non ascolterò i miei sensi di colpa e tutto il resto.»
Nascondo il viso nell'incavo del suo collo inspirando il suo profumo. «Mi dispiace. In ogni caso non ti avrei fermato», dico sincera. «E non me ne sarei mai pentita come credi.»
Mi solleva il mento. «Davvero?»
Premo le labbra sulle sue lasciandolo inebetito con un bacio. «Ho bisogno di sentire qualcosa, Shan. Ho bisogno di non pensarci più, di non tornare con la mente di continuo a quel giorno. Tutti invece sembrano volere sapere a tutti i costi quello che mi è successo», massaggio la fronte passando la mano sulla testa. Tiro su con il naso. «Ma non importa. Sappi solo che lo volevo anch'io. Adesso mi porti a casa? Gira tutto e voglio stendermi.»
Strizza il rigonfiamento tra le gambe mettendosi comodo sul sedile. «Dammi un momento per riprendermi, principessa.»
Chiudo gli occhi. Non riesco a tenere le palpebre alzate. «È stato brutto dire a Sammy la verità. Ancora più brutto sapere che senza il mio permesso lo stava facendo ascoltare anche a voi due.»
«Ha chiamato Bradley mentre stavamo parlando. Non essere arrabbiata con lei, ha solo fatto quello che avresti fatto anche tu.»
Mi abbraccio sentendo freddo. Lui mi sistema addosso la sua giacca. Inspiro il suo profumo. Nicotina, profumo costoso e Shannon.
«Eravamo preoccupati per te», aggiunge avviando il motore. Guida piano, con attenzione.
«Sono adulta, so che cosa fare.»
Stringe le labbra. «Sai anche come reagirai davanti a Bradley?»
Su questo non avevo ancora riflettuto. Pertanto nego. «No, questo no. È arrabbiato?»
«Si. Gli dirai quello che stava succedendo?»
«Sicuramente dirò qualcosa e andrà su tutte le furie. Mi tratterà come una ragazzina e io scapperò di nuovo perché non so affrontarlo. Io non ero preparata a questo, a lui. Mi piace, è un uomo così buono e io... non lo merito.»
Si ferma ad un semaforo. «Sai che non puoi scappare per sempre? Digli che lo ami, Erin.»
«Ti amo, Shan.»
Si volta di scatto. Lo sguardo indecifrabile. Mi è sembrato di sentire il suo cuore fermarsi insieme al mio.
Dapprima non mi muovo. Lascio che sia il silenzio a parlare. Poi sorrido e infine rido forte. «Dovresti vedere la tua faccia», tappo la bocca. Torno immediatamente seria. Sto alternando così tanto il mio umore da non capire più come mi sento.
«Non l'ho mai detto a nessuno. Neanche al tuo amico. Non apertamente. Mi spaventa farlo perché quando lo fai diventa tutto reale.»
Guarda la strada. «Con me l'hai appena fatto, senza difficoltà.»
Arrossisco. «Ho detto a te il mio primo ti amo, sono contenta di averlo fatto. Così so che non verrà rovinato questo momento e sarà un bel ricordo.»
Sorride in modo dolce abbassando le spalle. Picchietta le dita a tempo di una musica che sente solo lui. Forse sta andando a tempo con il suo cuore. Il mio sta seguendo lo stesso ritmo.
«Be', allora... ti amo anch'io, Erin.»
Gli mollo un pugno sul braccio. «Non prendermi in giro. Sono seria. Sei il custode del mio primo "ti amo".»
«Guarda che ho solo ricambiato, così sei custode del mio. Abbiamo un ricordo in comune adesso.»
Sorrido come una stupida. La nausea però arriva presto e alzo il viso inspirando ed espirando.
«Sai, non devi restarmi accanto solo perché ti faccio pena. Io non sono sola. Non lo sarò finché avrò questo cuore che batte a tenermi compagnia.»
«Che diavolo stai blaterando?»
«Tu sei arrabbiato perché stavi per cedere alla tentazione e adesso nel tuo solito modo pacato stai cercando di convincerti di avere fatto la cosa giusta fermandoti. Smettila di pensarci e di sentieri in colpa. Le cose succedono, soprattutto quando si è in due. Bisogna andare avanti. Non me lo dite spesso tu e papà?»
Shannon strizza una palpebra. Chiaro segno del fatto che sta cercando di trattenersi. «Si, lo dico spesso ma tu non lo fai mai. Non ho ancora capito che cosa vuoi. Hai una vita, hai tutto, non ti serve davvero nient'altro.»
Mordo il labbro che sento gonfio per il bacio di prima. Se ci ripenso mi regala un forte brivido che va a depositarsi sul basso ventre. «Cosa voglio? Non sentirmi così. Ecco cosa voglio. Io odio essere sempre distante. Voglio qualcuno che non abbia una seconda vita. Voglio... non avere più paura di essere presa in giro. Voglio dimenticare... Shan.»
«Se dimentichi rifai gli stessi errori. Ecco perché sbagliamo e archiviamo.»
Fermandosi mi fa una carezza. Non ha smesso un momento. È il suo modo, lo so.
«Come fai?»
Cerca di capire a cosa mi sto riferendo.
«Come sopporti tutto questo? Sono anni che non fai altro che vedere con quanta facilità altri ottengono quello che vuoi tu. Non sei stanco? Non vuoi trovare un'altra?»
«La gelosia non è un sentimento è un'arma, Erin.»
Corrugo la fronte. «Non credo di avere afferrato il concetto. Io non sono riuscita a starmene buona quando ti sei sposato. O meglio, l'ho accettato perché era una tua decisione e volevo vederti felice ma ero gelosa.»
«Erin, tu e io ci apparteniamo anche se non dovessimo vederci mai più.»
Ripete le parole che mi ha sussurrato all'orecchio quella sera nel bagno. Quelle che voleva sapere prima di interrompere tutto.
«Allora non sei arrabbiato con me?»
«No. Non lo sono.»
«Che cosa c'è che non va? Che cosa mi nascondi?»
Sbianco. Sento forte la nausea e inizio a prendere piccole boccate d'aria, a sventolarmi.
Shannon, quando nota che siamo quasi arrivati, aumenta la velocità fermandosi davanti casa mia. Esco di corsa dall'auto spalancando la porta. Barcollo e perdendo l'equilibrio cado a terra. Scoppio a ridere guardando il tetto. Tolgo i tacchi scalciandoli via, lasciandoli all'entrata.
Shannon entra in casa allarmato e accorgendosi che sono a terra, mi prende in braccio portandomi nella mia stanza. Qui trovo la luce accesa. Sbircio e Bradley spalanca gli occhi. Si avvicina svelto. «Sta bene?»
«A meraviglia!», replico biascicando. «Ho fatto una cazzata dietro l'altra stasera ma è stato bello!», rido. «È sempre così che dovrei vivere.»
Shannon mi fa sdraiare sul letto. «Prendo dell'acqua», dice chiedendo a Bradley di seguirlo.
Corrugo la fronte. «Che cosa mi nascondete voi due?», alzo il tono.
Una forte nausea mi investe e corro in bagno. Chiudo la porta e arrivo in tempo sul water per vomitare.
Continuo per un paio di minuti fino a non avere niente dentro lo stomaco. Mi alzo, raccolgo i capelli e sciacquo il viso lavando i denti.
Sento bussare e giro la chiave della porta ma prima ancora che questa si apra del tutto, corro di nuovo a vomitare.
Bradley si inginocchia accanto aiutandomi. «Com'è che diceva Shrek? Meglio fuori che dentro?»
Rido e poi vomito. Tossisco premendo il pulsante del getto dello scarico. «Non hai detto davvero una cosa del genere in un momento simile.»
Mi abbasso di nuovo. «Shannon te lo ha detto, vero?», sputo disgustata dal gusto amaro che ho in bocca.
Indurisce i lineamenti guardando dapprima il polso fasciato e poi il pugno chiuso dove ha un nuovo livido. «Che avete bevuto e stavate per farlo in auto ma vi siete fermati in tempo?»
Appoggio la testa contro le piastrelle. «Mi dispiace. Anzi no, non mi dispiace affatto. Sono anni che non lo faccio con nessuno, non pensare che io sia una di quelle che ogni sabato sera rimorchia qualcuno. Non sono nemmeno quella che salta addosso al suo amico di venerdì.»
«Lo so che non sei così. Non hai bisogno di spiegarmelo. Ma ho dato un pugno in faccia a Shannon per pareggiare i conti.»
Mi passa lo spazzolino e lavo di nuovo i denti. «Sul serio? E non mi dici niente? Non ti arrabbi con me? Nessuna scenata?»
La sua testa va da una parte all'altra per negare. «Devi essere sobria per parlarmi e affrontarmi come si deve. Ma stavolta non scapperai più.»
Esco dal bagno tornando in camera. Shannon entra con un bicchiere di succo di frutta e due pillole. Sotto l'occhio sta comparendo già il segno del pugno di Bradley. Lo guardo con rimprovero ma i due non sembrano sul punto di azzuffarsi.
Qualcosa non torna.
Prendo il bicchiere. «Perché glielo hai detto?»
«Perché tu non lo avresti fatto. Il primo passo per andare avanti è essere sinceri.»
Sfilo il vestitino dalla testa stendendomi sotto le coperte. «Il primo passo è farsi una bella dormita», mugugno. «Adesso andatevene!»

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Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now