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Ogni tempesta prima o poi ha una sua fine. Il vento si calma. Dal cielo smettono di cadere lacrime. Le nuvole se ne vanno spazzate via da una folata leggera di vento lasciando al cielo la possibilità di mostrare la sua bellezza.
Dentro sono impetuosa, distruttiva ma in grado di acquietarmi fino a mostrare il sole, un po' come una tempesta improvvisa. Ma so anche nascondere un maremoto di emozioni e sensazioni, essere calma come le onde del mare in una giornata di sole.
È grazie alle grandi tempeste che attraversiamo nella vita che capiamo se siamo realmente e abbastanza forti da sopravvivere. Io sono una sopravvissuta. Conosco bene le cicatrici del mio passato, so quello che tengo dentro, so che cosa è stato a farmi cambiare così tanto. Perché la gente nasconde cicatrici inimmaginabili in posti impensabili nella propria mente, nel cuore e nell'anima. Alcune lasciano solo una sensazione, altre te le porti ovunque e anche se si sono rimarginate del tutto, il dolore causato ti resta dentro, lo percepisci come un arto mancante.
Mi sento in ansia e sotto osservazione in questo momento. È come se fossi tornata bambina in una di quelle feste di compleanno in cui ci si agghindava per apparire perfette. Io non lo sono mai stata. Ho sempre avuto qualcosa fuori posto: i capelli, gli indumenti, le calze strappate poco prima di scendere dall'auto, la testa, il cuore. Non sono mai stata perfetta e mai ho cercato di esserlo. Ma, in qualche modo in questo paesino certe cose restano immutate.
Ed eccomi di nuovo qui, sotto l'occhio vigile di molti che stanno già alimentando il pettegolezzo del momento.
Non è difficile immaginare quello che sta circolando dalle loro bocche. "Kay Mikaelson con la stramba. Chi? Come chi, quella che da piccola rincorreva con una radice piena di formiche e tormentava continuamente", oppure "Ma li hai visti, quei due sono proprio un casino. Mi stupisce di vederli ancora interi, se non si sono ancora ammazzati ci sarà un motivo". E poi tanti altri dialoghi immaginari che aleggiano dentro la mia testa rendendomi nervosa.
Attacco a grattarmi il polso, un tic che non riesco a fermare. Per un attimo sono persino attraversata dall'idea di staccarmi dalla presa ferrea di Kay e andarmi a nascondere da qualche parte. Magari ubriacarmi o fumare qualcosa di forte per dimenticare il peso del pregiudizio. Ma ciò non allevierebbe un briciolo del mio animo in tormento.
Non ho mai chiesto di essere popolare o conosciuta. Non ho mai voluto ritrovarmi al centro dell'attenzione. Mi sono sempre tenuta ben lontana da situazioni simili e imbarazzanti, anche se i problemi mi hanno sempre raggiunta. Il problema in questo caso mi sembra più che evidente: sto tenendo la mano del mio acerrimo nemico.
«Perché sei così nervosa?»
Mi fermo troppo tardi, andando a sbattere contro il petto di Kay coperto dal giubbotto di pelle. Un bellissimo chiodo pesante che sa di nuovo.
Alzo insicura gli occhi per scusarmi per essermi distratta e i suoi sono accecanti, accesi come non mai di curiosità e preoccupazione per il mio strano ed improvviso mutismo, nonché comportamento distaccato. Sono tesa. Non riesco proprio a fare finta di niente.
Abbasso però le spalle che tengo ormai da diversi minuti rigide, mostrando un sorriso tirato e abbastanza finto a cui lui non crede minimamente. Infatti, mi guarda contrariato. «Che cosa succede? Non vuoi stare qui?»
Nego. Intuendo il fraintendimento mi affretto a spiegare. «No, non è questo...», saetto ovunque con gli occhi stringendomi sotto il parka affondando il mento nel tessuto morbido della sciarpa.
Kay, guarda dapprima a destra poi sinistra, infine stringe le mani sulle mie guance. «Non vuoi stare qui con me perché ti imbarazzo?»
Sorrido o almeno ci provo. «Non mi imbarazzi», replico deglutendo a fatica mentre abbassa il viso.
Che diavolo sta facendo?
Inarca un sopracciglio ed è così sensuale quando lo fa. Inoltre ha le guance arrossate e quel berretto che lascia uscire un ciuffo scuro di capelli sulla fronte, lo rende ribelle. Mi fa ripensare a quando era bambino, odiava quando qualcuno lo sfiorava per fargli anche solo una carezza sulla testa.
Per non parlare delle labbra, sono rosee e si sollevano in un sorriso sghembo. «Ah no? Allora perché indietreggi?»
Lo sto facendo senza volerlo, allarmata da ogni suo movimento. Tolgo le sue mani dal viso. Oppone resistenza rendendo le cose non solo pericolose ma difficili, più di prima.
«Non è vero. Sono solo un po' sopraffatta da tutto quanto», spiego, girando il viso in direzione di uno stand pieno di quadri per distrarmi. «Non è niente», provo a convincere me stessa.
Kay riporta la mia attenzione su di sé. «Se non te la senti possiamo scappare. Posso portarti da un'altra parte», dice facendo cenno a Shannon che si è appena fermato dopo essersi accorto che siamo indietro.
«No, posso farcela.»
Fa una smorfia. Preme la fronte sulla mia. «Dimmi la verità o ti giuro che...», non mi lascia neanche il tempo, inspira di scatto e poi mi bacia. Lo fa davanti a tutti. Non si preoccupa dei pregiudizi, degli sguardi curiosi e attenti. Chiude gli occhi e mi bacia senza fretta, prendendosi il suo tempo per farmi sciogliere come un cubetto di ghiaccio lasciato su una superficie in una giornata torrida.
Sento alle spalle qualche espressione e le mie gambe per poco non crollano. Non sono mai stata tanto instabile.
Ci stacchiamo lentamente. Molto lentamente. I nostri occhi adesso aperti, imprigionati come le tessere di un gioco ad incastro, le labbra a distanza di un bacio, il suo fiato caldo che si mescola con il mio. Il tutto accompagnato dall'atmosfera carica di allegria che ci gravita intorno. Per noi non esiste nient'altro al momento.
«Vuoi altre dimostrazioni davanti a tutti o vuoi togliere dalla tua lista qualche altra voce? Io ho qualcosa di meglio in mente: possiamo raggiungere gli altri e provare a divertirci, che ne dici?»
Inumidisco le labbra sentendo in bocca il suo sapore e lui, vedendomi distratta, mi ruba un altro bacio prima di stringermi la mano e trascinarmi lì, dai suoi amici che lo stanno guardando come se fosse impazzito o come se avessero davanti a loro un'altra persona. Anch'io lo sto facendo, rimanendo un po' indietro a guardarlo e a guardarmi intorno.
Le persone, quelle estranee camminano, si fermano tra gli stand a comprare o ad assaggiare qualcosa per farsi un'idea. Invece i ragazzi del paese se ne stanno come sempre in gruppi, a distanza tra loro, immersi in una chiacchierata o ridere, a giocare con la neve che sembra avere smesso per qualche ora di cadere da un cielo non interamente coperto dalle nuvole.
Ci avviciniamo all'entrata del parco superando il banco dei depliant dove dei volontari si stanno scaldando con qualcosa da bere.
I miei occhi vagano incuriositi per catturare altri dettagli. Quando però mi volto indietro, poso lo sguardo su una persona. Se ne sta lì dietro lo stand come se niente fosse. La mano fasciata, due dita steccate e l'occhio nero. Sta pulendo il ripiano e quando ha finito posa lo strofinaccio sulla spalla prendendo un sacchetto di carta in mano, ma non sa che cosa fare perché, come se avesse percepito il mio sguardo alza il viso sollevando gli occhi su di me e spalanca la bocca. Diventa bianco dal terrore mentre io mi irrigidisco come una statua. Sento come un colpo di frusta di freddo lungo la schiena e dentro di me si susseguono i flash di quello che ho vissuto. Barcollo in avanti ma ogni cosa si arresta come quando spegni l'interruttore.
«Che figlio di...», sento la voce aggressiva di Kay alle mie spalle. Si è appena accorto di lui e fa un passo avanti.
«Amico, non è il momento», lo avverte Shannon, notandolo più che pronto a raggiungerlo e a farlo a pezzi. «C'è troppa gente. Daresti solo spettacolo.»
Stringo la presa sulla mano di Kay. Il guanto attutisce tutto, sembra infatti non sentire minimamente la mia presa.
«Prendiamo lo zucchero filato?», oso avanzare una richiesta. «Andiamo», guardo Shannon per riuscire a convincere Kay, il suo braccio destro adesso teso, ad ascoltarmi.
«Si, prendete anche per noi qualcosa», gli stringe una spalla.
«Kay», ripeto il suo nome tre volte prima che riesca a sentirmi.
Lui distoglie lo sguardo battendo le palpebre poi scuotendo la testa si allontana scrollando via la mia presa con un "fanculo", dirigendosi verso la zona delle panchine, dietro le siepi del labirinto.
Shannon mi fa cenno di seguirlo. «Non perderlo di vista neanche per un secondo. Potrebbe essere pericoloso. Va! Qui ci penso io.»
Annuisco seguendo Kay. Quando provo a sfiorargli la mano si volta di scatto contraendo la mascella, il petto scosso.
Uno dei suoi difetti è proprio questo: è una testa calda. Non ha mai contato fino a dieci. Non gli è mai importato di ciò che potrebbe causare.
«Perché mi hai fermato? Perché non mi permetti di proteggerti?», gesticola ampiamente, alzando il tono della voce. «Che c'è, forse ti piace quello lì?»
Per fortuna siamo soli in questo piccolo angolino e posso finalmente essere me stessa.
«Perché tu stavi andando da lui e so che cosa sarebbe successo. Ecco perché ti ho fermato. Io non voglio che mi proteggi se rischi di farti del male», alzo il tono a mia volta. «Ti conosco. Ho visto chiaramente nei tuoi occhi quello che ti stava balenando dentro la testa e non voglio che ti fai male per me. Voglio solo...»
«Che cosa vuoi?», se ne sta fermo con le mani sui fianchi. «Vuoi lui? Vattelo a prendere!»
Apro e richiudo la bocca. Abbiamo lo stesso problema io e lui. Non riflettiamo. Siamo impulsivi. Prendo un lungo respiro.
«Sai cosa voglio? Passare un momento tranquillo con te. Senza drammi. Senza problemi. Anche per me è stato un trauma trovarlo lì come se niente fosse. Forse è il suo modo di fare. O forse ha solo paura... proprio come quella che ho io, perché ho scoperto da mio padre una cosa su di lui che mi ha fatto ribrezzo.»
Si fa attento, calmandosi quel tanto che basta per ragionare e soprattutto per ascoltare. «Cioè?»
«Ephram è finito per davvero in una clinica. Questa era vicino alla costa, il paese da cui vengo. In qualche modo lui ha saputo che io ero lì e...», la voce mi si inclina. Alzo il viso inspirando, ricomponendomi. Non è il momento di essere fragile. «Non so come abbia fatto, ma era lì... mi seguiva e disegnava. Dio, che stupida!», scuoto la testa. «Dovevo accorgermi che la sua era solo una finta a scuola quando è apparso sorpreso di rivedermi. Per non parlare di quel disegno che mi ha passato durante la lezione e che quando non l'ho restituito ha avuto una brusca reazione.»
Kay sembra sul punto di scappare, andare da lui e riempirlo di botte. Ma non lo fa. Piuttosto circonda il mio polso con una mano attirandomi tra le sue braccia, tenendomi forte. Lo fa per un lungo tempo ed io mi lascio avvolgere dal suo calore.
Non mi sono mai sentita tanto fragile quanto invincibile. Ci sono abbracci che hanno la capacità di trasformarsi in rifugio, in casa.
«Abbiamo due opzioni: andarcene o restare. Se restiamo ci sarà lui o qualcun altro e... potrebbero rovinare questa giornata, se ce ne andiamo possiamo raggiungere un posto talmente lontano da non tornare più.»
Strofina il naso sul mio. «Decidi», sussurra fremendo. «Vuoi restare o ce ne andiamo?»
Alzandomi sulle punte reclamo il bacio impedendo a me stessa di crollare come una stupita ragazzina. «L'opzione sarebbe: siamo codardi e quindi scappiamo non ritornando più indietro, rischiando tu una denuncia io un'altra punizione o... siamo capaci di evitare le risse o i problemi per un giorno?»
Schiocca piccoli baci sulle mie labbra a ripetizione. «Perché non mi hai detto questa cosa di Ephram?»
«Perché mi distrai. Sei una tentazione continua. Inoltre, hai già tante cose a cui pensare e si sta già occupando mio padre di lui. Non so in quale misura.»
Fa una smorfia premendo le labbra all'angolo del mio. «Come ci riesci?»
Appoggio il mento sul suo petto tenendo alzato il viso, le braccia intorno alla sua schiena possente dentro il giubbotto di pelle. «A fare che cosa?»
«A mantenere il controllo. Ad essere sempre così decisa e forte. A tenere a bada ogni istinto, ad essere così calma e... paziente con me», sussurra.
«I nemici, quelli veri, fanno questo», dico la prima cosa che mi salta in mente. «Hanno pazienza, premeditano la vendetta e tengono al loro acerrimo nemico.»
Sorride. «Nemici di letto, prossimamente al cinema», mi strizza una guancia.
Lo spingo. «Voglio lo zucchero filato. Me lo merito», tengo alzato il mento, nascondendo un sorrisetto.
«È sulla tua lista?», sfiora con le dita le labbra. Osservo il movimento inumidendo le mie.
«Ho già messo le spunte su: bacio in pubblico e una passeggiata mano nella mano con il mio nemico. Prima della fine di questa lunga giornata avrò completato la lista», tengo il conto sulle dita.
Sorride. «Sei sicura?»
Mi incammino. «Non avrei programmato di finire la lista altrimenti», strizzandogli l'occhio mi incammino verso lo stand dello zucchero filato dove ne prendo uno bianco e scelgo anche dei semi, nocciole, pistacchi e mandorle per i ragazzi che attendono ancora il nostro ritorno.
Kay mi raggiunge. Gli passo la busta. «Vedi? Prendo anch'io quello che voglio», dico mettendo in bocca un pezzo di zucchero filato.
«Che sapore ha?»
Lecco le labbra. «Non immagini», lo provoco.
Mi guarda male provando a prenderne un pezzo però mi scanso. «Ah, ah, ci hai provato. È tutto mio!»
Shannon ci aspetta seduto fuori dal bar, sotto la tettoia.
La neve rende l'aria frizzante. È assurdo vederne così tanta nel mese di ottobre. Nuvole di condensa salgono in alto ad ogni breve respiro e la gente si affolla nei locali per una cioccolata calda o un vasetto di brodo dopo la gara di palle di neve. In fondo alla strada stanno anche facendo quella dei pupazzi. Alcuni si stanno cimentando nella creazione di statue davvero belle che, a quanto pare resteranno esposte fino a quando non si scioglieranno.
Tiro fuori dalla tasca il telefono scattando delle foto. Allo zucchero filato, ai pupazzi di neve, alla strada affollata, a Kay di spalle. Sorrido poco prima di aprire la galleria e trovare le foto scattate dentro quella stanza solo poche ore prima.
Vedendomi immobile, Shannon mi molla una leggera spallata. Non reagisco e insospettito, mentre Kay chiacchiera con gli altri, si affianca togliendomi il telefono dalle mani. Non ho il tempo di impedirgli di vedere quello che c'era in quei fogli d'album.
Dilata le narici. Il viso da solare si tramuta in un cupo sguardo che rivolge proprio in direzione dello stand. La vena del collo gli pulsa visibilmente e la mano si stringe a pugno su una gamba. Digrigna i denti.
«Avrei dovuto raggiungerlo direttamente in casa quando ti ho vista in quello stato», ringhia. «Erin, devi tenerti lontana da lui.»
Riprendo il telefono infilandolo dentro la tasca del parka. «Kay non le ha ancora viste quindi non... non riprendiamo questo discorso proprio ora che sono riuscita a calmarlo. Potrebbe andare lì e fare una strage.»
Sono preoccupata al pensiero che possa fare davvero una cosa simile. Infatti lo tengo d'occhio.
Anche Shannon lo guarda. «Vuoi tenerglielo nascosto?»
Per un attimo non rispondo. Kay sorride e scherza, completamente a suo agio. «Lo riempirà di botte», concludo. «O lo ammazzerà senza rendersene conto». Il pensiero mi fa irrigidire le membra.
«E non ti sembra la cosa giusta?»
«Non è la soluzione al problema. Ephram ha bisogno di aiuto e io... di togliermi tutto dalla testa per qualche ora. Penso di avere subito abbastanza», gesticolo.
Shannon non è convinto. «Erin, diglielo. Rendilo partecipe perché se viene a scoprirlo in un altro modo, reagirà ancora peggio. Capisco che vuoi proteggerlo, che non vuoi che si faccia male, ma non tenerti dentro le cose quando le puoi condividere alleviando un po' di quel peso», mi sfiora la guancia pronto a darmi una strizzata.
Scaccio la sua mano e mi sorride in modo tenero. Non mi lascio abbindolare. Mi scanso prima che possa rifarlo.
Fisso le punte degli anfibi. «A volte è così tranquillo da spaventarmi», ammetto fissandolo, stringendomi sotto il cappotto. «Non era così che lo ricordavo.»
Shannon ridacchia. «Già, all'inizio faceva paura anche a me.»
«Davvero?»
«Si, era sempre cupo. Ci vedevamo per un paio di giorni all'anno poi lui spariva ma aveva quella brutta espressione. Sempre sulle sue, un po' paranoico e diffidente. Dopo l'incidente non è più tornato per un po' di tempo ma ci siamo tenuti in contatto e infine è scappato da Londra per trasferirsi qui vicino. L'ho incoraggiato io a farlo. Vedevo che non stava bene. Si è rimesso in piedi da solo ma era davvero un relitto. Brontolone e musone. Per non parlare degli attacchi di ira, delle risse a cui partecipava volentieri e tanto altro...»
Mi faccio attenta, più che incuriosita dalle sue parole. «Che cosa lo ha fatto cambiare?»
«All'inizio niente. Per due anni l'ho sopportato in quello stato. Fidati, ci ritrovavamo sempre nei guai. Lui era come una pentola a pressione.»
Corrugo la fronte. «Non ti seguo...»
«Quando sei arrivata, lui è cambiato. In qualche modo è stato come vederlo respirare per la prima volta.»
Soffio sulle mani riscaldando i guanti. «Non ci riusciva?»
Annuisce. «La sua famiglia lo stava distruggendo dall'interno. Fidati, per me è stato davvero strano vederlo sorridere per più di cinque minuti e tuttora mi provoca un certo effetto. L'ho sempre visto pericoloso ma in qualche modo rigido a causa dell'ambiente in cui era obbligato a vivere. E vederlo combattere per qualcosa che lo fa sentire bene, così tanto, mi ha fatto ben sperare. E non mi stupisce», mi guarda. «Sei stata come una boccata d'aria fresca dopo mesi, se non anni, di caldo afoso. Ha vissuto all'inferno e tu sei per lui quel pezzo di paradiso che lo aiuta a non lanciarsi totalmente in mezzo alle fiamme.»
Le parole di Shannon mi trasmettono un calore confortevole. Sorrido. «Sembra strano da dire ma è così anche per me.»
Per un po' non parliamo. Ci godiamo il vocio, il via vai, i bisbigli, le strilla, la musica e poi ancora gli odori, la neve. Mangiamo qualcosa di caldo come la zuppa di zucca con dei crostini, assaggiamo i biscotti alle mandorle.
«Prima ho pensato un po' a quando eravamo piccoli. Lui era una peste. Non posso credere che sia cambiato così tanto. So però che ci sarà sempre quella parte del suo carattere nascosta e pronta ad uscire da un momento all'altro.»
Shannon guarda il cielo allungando le gambe prima di prendere una boccata di fumo. «Le persone cambiano, fidati.»
Faccio una smorfia. «Non capisco perché io...»
«Ci sono persone che quando incontrano la loro anima gemella e non possono averla, sanno aspettare tutta la vita senza mai legarsi a nessuno.»
Drizzo la schiena. «Intendi dire che lui mi ha aspettato per tutto questo tempo?»
Annuisce guardandomi come se fosse ovvio. «Vi odiavate ma eravate solo dei bambini e fidati, lui non ti ha mai dimenticata. Quello di Kay non è di certo lo sguardo di uno che si è lasciato tutto alle spalle. In realtà una volta mi ha parlato di te, era così ubriaco da non riuscire a smettere di blaterare», ride al ricordo continuando a fumare per qualche istante.
«Sai meglio di me quanto sia raro che lui si apra o non si comporti da bastardo. Eravamo soli, nel nostro appartamento quella notte e chissà come mi ha parlato di una ragazza che aveva visto, anzi per citarti le sue parole: che aveva "stalkerato come un maniaco" su Instagram. Era arrabbiato e allo stesso tempo così fuori da non rendersi conto di avermi confessato di te, della bambina che non ha mai odiato o dimenticato ma che ha fatto soffrire. Probabilmente si pentirà per tutta la vita di quello che ti ha fatto passare. Ed erano solo dei piccoli screzi. Questo dovrebbe farti capire che tipo di persona è davvero quel ragazzo.»
Sono a bocca aperta. Non mi aspettavo una confessione simile. Vedere Kay da un altro punto di vista mi spiazza.
Sono sorpresa. Era vero. Quello che mi aveva detto sulla ricerca che aveva fatto su di me.
«Quindi ti ha parlato molto di me?»
«Chi?», si intromette Kay avvicinandosi con un bicchiere di cioccolata. «Fondente, senza zucchero», dice abbassando il viso alla mia altezza.
Non posso smettere di sorridere mentre prendo il bicchiere. «Questo vale al posto dei cioccolatini», bevo un sorso scaldandomi, emettendo un verso di apprezzamento. «Ho appena spuntato la terza voce che c'è sulla lista. Siamo a buon punto.»
Shannon ci osserva con un sorrisetto. Noto come lo tiene d'occhio. Quei due sembrano fratelli.
«Quale lista?», chiede curioso.
«Quella che mi farà perdere la reputazione a fine giornata», dice a denti stretti all'amico.
Rido. «Non sei l'unico ad ottenere sempre quello che vuole, dovresti saperlo», mi alzo e lanciando uno sguardo a Shannon, mi sposto verso lo stand qui vicino. Sfioro i tessuti delle sciarpe.
«Ti stai divertendo a punzecchiarmi?»
Bevo. «Si, decisamente!»
Scuote la testa. «Che cosa manca?»
«Peluche, fiori...»
Un lampo attraversa le sue iridi. «Orso o unicorno?», domanda. «Lascia, scelgo io!»
Non capisco e lo seguo quando si muove verso le giostre dove c'è una sorta di teca con il macchinario collegato ad un joystick che serve ad afferrare i peluche. Sono giganti e tra questi molti altri più piccoli.
«Amico, nessuno riesce a prendere quelli grandi. Se vuoi un consiglio cerca di afferrare quelli piccoli», esclama Lenny con la sua ragazza che sembra in estasi. Tiene abbracciato un piccolo coniglietto che accarezza come se fosse vero. Mi sorride facendomi un cenno di saluto.
Kay schiocca le ossa del collo e quelle delle mani con fare teatrale. «Al primo colpo?», scommette.
«Se non ci riesci?»
«Ci riesco!»
Infila una moneta iniziando a muovere la manopola verso i peluche più grandi. Si concentra tenendo la lingua di lato e gli occhi leggermente strizzati e in breve aggancia l'enorme peluche all'angolo tirandolo su e poi lasciandolo cadere nello spazio per poterlo prendere.
Quando lo tira fuori dal cassettone, lo solleva vittorioso. «Dovrai accontentarti di Nemo», esclama porgendomi l'enorme orso caffellatte con il fiocco azzurro. «E comunque ho vinto la scommessa».
Apro e richiudo la bocca tenendo sottobraccio l'orso di peluche. «Nemo?»
«Non è un nome adatto ad un peluche?»
Trattengo una risatina. «È un orso», gli faccio notare assumendo un'espressione da bambina dolce. «Non puoi dare un nome del genere ad un orso!»
Si ferma. «Fiori?»
Provo a fermarlo ma è già partito per la tangente. Sembra impazzito. Non mi ascolta.
«Adesso giocate alla coppia felice? Un patetico tentativo di far parlare ancora di voi? Siete già sulla bocca di tutti. Lasciate un po' di popolarità anche agli altri.»
Mi volto irrigidita nel sentire la voce stridula alle mie spalle.
Harper mi guarda dall'alto in basso ma non con la solita arroganza. È il suo modo di approcciare dopo quello che è successo. La conosco ancora un po' e su questo non è cambiata.
Da quanto mi evita? Non poteva continuare a farlo?
«Almeno io non devo fingere di amare qualcuno per popolarità e al contempo fottermi l'amico per amore», replico di rimando senza filtri. «E quella che si mette in mostra e che farebbe di tutto per un po' di successo, in mezzo a questa gente petulante e bigotta, come farsi vedere con me, sei tu.»
Guarda ovunque. «È un colpo basso questo», sibila a denti stretti.
«No, invece è la verità. E poi sei solo invidiosa perché a me hanno regalato l'orso più bello della fiera. Al primo colpo Harper», facendole una linguaccia e l'occhiolino, mi allontano soddisfatta.
Non so perché mi sono comportata in questo modo. Forse ho solo paura di perdere di vista Kay o che qualcuno come Harper me lo strappi via da questa monotonia fatta di pericolo e dolore in cui lui è una piacevolissima incertezza piena di sorprese. O forse sto solo evitando di trattarla male.
Sento i suoi passi dietro. Ovviamente non demorde. Deve sempre avere l'ultima parola.
Posa la mano sulla mia spalla facendomi voltare. «Non è vero che sono invidiosa. Voi due siete perfetti insieme. Due squilibrati», sorride perfida. «Da piccoli combinavate solo guai. Per fortuna c'ero io a placare gli animi, altrimenti chissà che cosa avreste fatto.»
So che è sincera e che questo è solo un suo vano tentativo di farmi un complimento.
«Grazie», la guardo male.
Sorride come una smorfiosa. «Sei ancora arrabbiata con me per tutto?»
Non ha proprio capito la gravità. Si può essere tanto stupidi?
«Non ti perdonerò mai, se è questo quello che vuoi sapere. Adesso puoi anche toglierti dalle palle. Non ti voglio vicino.»
Incrocia le braccia battendo un piede che le affonda nella neve.
Oggi indossa un giubbotto fucsia a risaltare i capelli ossigenati nascosti sotto un berretto dello stesso colore del giubbotto. Le manca solo la scritta "Barbie" sulla fronte. E poi ci sono i due cerchi argentati a spuntare dalle orecchie e un trucco vistoso che rischia di sciogliersi a causa della neve che sta iniziando a scendere lenta. Questo però non sembra essere un problema per la gente. Tutto prosegue incessante.
«Perché?»
«Perché non sei la persona con cui voglio avere a che fare. Non hai tentato di fermarlo mentre mi pestava, te ne stavi lì a piangere e io l'ho stuzzicato per farvi allontanare e poi, volevi persino lasciarmi appoggiata al muro. Un bel ringraziamento da parte tua, non credi? Sei una cattiva persona, Harper. Andrai all'inferno insieme ai tuoi simili.»
Arrossisce. «Sai bene quello che voglio!»
«Oh, ma davvero? E sentiamo che cosa vuoi da me?»
«Dana...»
Il sangue mi arriva al cervello. «Non è una bambola. Sa decidere da sola. E tu non la cerchi quindi lei non cerca te. Non avevi già trovato una sostituta?»
Contrae il viso livido stringendo i guanti che tiene in mano. Vorrebbe urlarmi addosso ma sa che sono l'unica a farla ragionare e a trattarla come merita. Per questo si è avvicinata.
«Dana è mia amica...»
«Se era davvero tua amica non la trattavi come un oggetto o una delle tue bambole. Ti do un consiglio: inizia a comportarti meglio con le persone, magari prima o poi ti vorranno bene veramente. Sei rimasta sola, Harper.»
Kay si ferma a metà strada, insicuro se avvicinarsi o meno. Lo raggiungo lasciando Harper immobile, la bocca spalancata e gli occhi pieni di lacrime.
«Possiamo andare?»
«Si, certo. Non ho trovato i fiori», risponde. «Tutto bene?»
Annuisco. In parte mento. Non so se va davvero tutto bene. E mentre lui ha uno sguardo concentrato, io sono decisa a creare una certa distanza tra me e gli altri, e questo paese.
Stiamo uscendo dalla piazza dirigendoci verso il parcheggio. Si stanno già accumulando parecchi centimetri di neve e le persone iniziano a rincasare prima di rimanere bloccate. Osservo i tetti, i ghiaccioli, la neve depositata ovunque. Stringo il peluche e Kay si ferma. «Perché sento che qualcosa non va?»
«Perché niente di quello che facciamo va bene?»
Fa una smorfia. Sollevo il braccio morbido dell'orso. «Nemo vuole la tua mano», dico con una voce da bambina.
Lui mi guarda stranito e rido. «Prendi la zampa», spiego.
Sospira eseguendo. Teniamo il peluche come un bambino e non posso fare a meno di sorridere.
Kay si volta. «Se lo dici a qualcuno... ammazzo Nemo!»
Rido. «Vale anche per te, ma ti righerò la moto», alzo il mento.
Mi guarda male. «Non oseresti», dice tirando a sé Nemo.
Barcollo in avanti lasciando la presa e lui sistema il peluche sul sedile anteriore allacciandogli la cintura.
Inarco un sopracciglio trattenendo una risata. «Sei consapevole del fatto che "Nemo" non è altro che un peluche?»
Gratta la guancia chiudendo lo sportello. «Si, ma arriverà nella tua stanza incolume», dice appoggiandosi allo sportello, attirandomi a sé dopo avermi afferrata per i fianchi.
Le mie mani si posano sul suo petto, intrecciandosi dietro la nuca. Mi alzo sulle punte e lui mi avvicina per le natiche fremendo, ansimando contro la mia bocca senza baciarmi quando i nostri corpi si scontrano.
«E dimmi...», inizio con la gola secca. «Anch'io arriverò a casa incolume?»
Solleva il labbro mostrando un sorriso sghembo. Mi sento in alto mare.
Strofina la punta del naso sul mio. «Se vuoi...», risponde roco.
Chiudo gli occhi protendendo le labbra ma il bacio non arriva.
Lo guardo e lui si è appena irrigidito così tanto da spaventarmi. Mi volto seguendo i suoi occhi improvvisamente foschi e a poca distanza c'è Ephram. Tiene delle buste in mano. Le posa sul tettuccio della sua auto rimanendo impalato. Non ha intenzione di entrare in auto o di evitarci.
Kay abbassa il viso all'altezza del mio orecchio. «Ti fidi di me?»
Il cuore sta battendo oltre le due linee. «Non farlo a pezzi.»
«Entra in auto e non uscire per nessuna ragione. Intesi?»
Si stacca da me passandomi la chiave. Non mi guarda, raggiungendolo in fretta.
Chiusa in auto non sento quello che si dicono e non me ne curo perché per un attimo mi ritrovo a pensare ad altro.
Sento solo un urlo, un ringhio e poi la portiera sbattere. Kay mette in moto facendo retromarcia senza neanche guardare dallo specchietto retrovisore. Preme sull'acceleratore e ci allontaniamo sempre più da Oakville. Solo quando siamo abbastanza lontani e in una zona isolata, tranquilla, accosta fermandosi in una piazzola abbandonata scendendo un momento dall'auto.
Fa un paio di volte avanti e indietro scrollandosi le mani dalla testa, stringendo e rilassando i pugni, parlando da solo e urlando.
La neve intanto continua a cadere e a depositarsi sul tergicristallo che la spinge via perché Kay ha lasciato il quadro acceso di proposito.
Quando entra in auto, infreddolito, con il fiato corto e i pugni serrati, non oso muovermi. Solo quando picchia un pugno sul volante urlando abbastanza forte da traumatizzarmi, scatto verso di lui sistemandomi a cavalcioni e afferrandogli le guance lo avvicino premendo la fronte contro la mia.
Respira a fatica e ha la pelle caldissima.
«Non mi hai detto il tuo colore preferito», sussurro. «Non so neanche il tuo cibo preferito.»
Dilata le narici. «Che cazzo c'entra questo adesso?»
«Non hai risposto», uso un tono pieno di arroganza. «Che hai da nascondere? Ti piace il rosa?»
Chiude per un nano secondo gli occhi. Mantengo il contatto fisico. «Il bianco anche se si sporca facilmente. Mi piace perché è un colore puro, rende tutti gli altri colori più tenui. E il nero che è l'opposto.»
Sorrido notando che ha abbassato le spalle. «Va meglio?»
Batte le palpebre. «Come...»
Alzo le spalle. «Non sei l'unico ad avere attacchi di panico simili», rispondo.
Ci guardiamo intensamente. Le sue dita mi sfiorano una guancia in modo rude. «Sai che sei importante per me?»
«E tu lo sei per me.»
Toglie il berretto scompigliandosi i capelli.
«Io provo per te cose che non avrei mai immaginato di provare.»
Sento il martellare incessante del cuore in petto. «Ma tu pensi davvero di volere una come me? Una che non sai mai cosa vuole o se lo vuole. Una così insicura da mandare al diavolo tutto quanto. Una che si arrabbia per qualsiasi cosa. Una che ha paura del futuro perché nel passato non ha avuto alcuna certezza. Una maniaca dell'ordine. Una che ti urla in faccia prima di sbattere quella porta e mandarti per ore o forse anche giorni a quel paese. Una che ti rifiuta. Vuoi davvero una così? Una che non toglie mai il broncio. Una che rimane in silenzio. Una che resiste. Una che si nasconde dietro una maschera di indifferenza?», alzo il tono della voce. «No, tu non la vuoi una come me. Non vuoi una che ha più vuoti dentro del buco nero. Una che non riesce a piangere o a dimostrare amore. Una che tiene sempre tutto lì incastrato nel cuore. Non la vuoi davvero una come me, così fragile e piena di ferite mai rimarginate.»
Non ha un attimo di esitazione. Mi tiene stretta. «Tu non te ne accorgi ma hai buttato giù i muri che avevo eretto. Ho cercato di toglierti dalla testa, a dire a me stesso che sei pericolosa e che non posso averti, che non sei roba mia. Che non sei per me. Ma non è bastato. Perché con i tuoi sorrisi hai inciso poesie sulla mia anima. Con i tuoi sguardi hai marchiato a fuoco la mia pelle. Con i tuoi silenzi hai riempito i miei vuoti. Con uno dei tuoi abbracci hai ridato aria ai miei polmoni. Tu, hai ricucito ferite profonde che nessuno mai era stato in grado di chiudere. Non hai lasciato spazio. Mi hai riempito con i tuoi respiri, con i tuoi gesti, con la tua sola vicinanza e mi hai fatto sentire vivo. Io mi sento vivo con te. Mi sento forte. Mi sento una persona che può finalmente perdonare se stessa. Per te ho iniziato a mettere da parte persino l'orgoglio.»
Sento il rumore feroce del mio cuore nelle orecchie e la mia pelle sudare freddo. Il respiro che si spezza e le mani che tremano. «Perché, perché l'hai fatto?»
«Perché voglio un posto nel tuo cuore. L'ho sempre voluto.»
In giorni come questi mi chiedo come abbiamo fatto a sfiorarci senza farci tanto male. Ci siamo legati sin dall'inizio, in un modo che nessuno può comprendere. Lo abbiamo fatto in silenzio fino a perderci, perché troppo impegnati a giocare al più forte, anziché afferrare ogni attimo. Ci siamo detti addio una volta, forse lo faremo ancora, ma non saremo mai in grado di lasciarci veramente.

🖤

Come crepe sull'asfaltoDonde viven las historias. Descúbrelo ahora