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Ogni attimo passato e vissuto accanto alla persona a cui tieni particolarmente, ridona sempre un barlume di speranza nel tuo cuore macchiato dalle innumerevoli delusioni. Quando incontri qualcuno in grado di farti sentire bene, inizi ad avere paura. Paura di fallire. Paura di sbagliare. Paura di non essere pronto o all'altezza.
Perché le cose non vanno sempre come ci aspettiamo. Siamo brividi che rimangono sulla pelle, emozioni che fanno paura quando si tramutano in ricordo. Siamo corrente elettrica, attimi infelici trasformati in lacrime. Siamo sogni infranti, rinunce e dolore. Siamo sorrisi nascosti, mani che si cercano nel buio. Siamo abbracci stretti che ci fanno sentire al sicuro, a casa. Nonostante gli ostacoli insormontabili, siamo anche forti, alla ricerca del nostro incastro imperfetto, quello in grado di renderci liberi.
Io il mio, penso di averlo trovato, anzi di averlo avuto da sempre nella mia vita. Ma sono così tanto codarda da non riuscire ad ammetterlo.
Non ho dormito poi così tanto. Qualcosa continua a tornare alla mente disturbandomi, distraendomi. Sono così piena di insicurezze che rischio di sbagliare, di allontanare quel qualcuno che sta provando ad avvicinarsi al mio cuore.
La mia mano scivola accanto per assicurarsi di non avere sognato ogni cosa. Ma quando le mie dita incontrano il tessuto del lenzuolo freddo, la mia testa scatta in alto e i pensieri tornano ad affollarsi dandomi un certo sconforto.
I miei occhi si abituano alla penombra e grazie alla luce del lampione, noto che accanto a me non c'è più nessuno. Sono sola. Il silenzio non è mai stato tanto assordante.
Accendo la luce tirandomi a metà busto. Sbadiglio grattandomi la testa, continuando a controllare la stanza come se dovessi trovare un indizio, qualcosa per non sentirmi così pazza. Vago ovunque fino a posare lo sguardo sul comodino. Rilasso le spalle. Il girasole è dentro il bicchiere. Lo tiro fuori annusandolo.
E capisco di dovergli parlare. Devo fare qualcosa per non perderlo. Per non ferirlo.
Rimesso al posto il girasole, scendo dal letto.
In un primo momento non muovo un passo. Alla fine controllo in bagno dove spero di trovarlo. Ma non c'è nessuno. Una strana sensazione di solitudine mista a vuoto mi investe. Mi abbraccio strofinando i palmi sulla pelle per riscaldarla e prendendo una giacca dall'armadio la indosso, scendendo al piano di sotto.
Non accendo neanche la luce. Non c'è bisogno. Quella della lampada del soggiorno riesce ad illuminare parte dell'entrata e della scala impedendomi di ruzzolare giù e farmi male.
Avanzo come un gratto verso di lui. Se ne sta seduto sul divano, piegato sui gomiti, le mani strette in un unico pugno premuto sulle labbra.
Sembra così assorto da non accorgersi della mia presenza a pochi metri di distanza.
È piuttosto altrove. I suoi occhi sono persi in qualche ricordo o pensiero. Il suo respiro è regolare. Osservo le spalle che si alzano e abbassano al ritmo del mio cuore che sta rallentando. Proseguo per raggiungerlo e lui si volta.
«Non volevo svegliarti», anticipa rispondendo alla mia domanda inespressa con un tono di voce basso. Strofina i palmi soffiandoci sopra poi alzandosi accende il camino, regolando anche l'impianto di riscaldamento. Si ferma davanti alla finestra scostando di poco la tenda, guardando con attenzione fuori.
Sta piovendo. Le gocce di pioggia picchiettano contro i vetri e il vento provoca qualche ululato passando tra gli spifferi.
Mi avvicino ulteriormente a lui in punta di piedi. «Come mai sei sveglio?»
Fissa le fiamme appoggiando il braccio sul bordo superiore del camino. «In realtà non ho neanche dormito. Non riesco a chiudere occhio. Non abbiamo terminato il discorso», dice guardandomi.
Nei suoi occhi c'è qualcosa che mi distrae. Sono distanti e nascondono un messaggio diverso dal solito a cui non sono abituata.
Corrugo la fronte. «Ti avevo detto che avevo bisogno di dormire», dico massaggiandomi la fronte. «Ultimamente mi sento proprio sfinita.»
Annuisce. «È colpa mia.»
«No. Cioè un po' si, ma è colpa della mia straordinaria tendenza ad attirare guai.»
Abbozza un lieve sorriso. «Già. Sei come una calamita», replica.
Passo le dita sul collo. Accorgendosi della mia smorfia mi fa cenno di voltarmi. Non rifiuto e non mi allontano. Tolgo la giacca e quando le sue dita si posano dapprima sulle mie spalle, drizzo la schiena sentendomi pervasa da una forte sensazione oltre ai brividi che in breve gli mostrano quello che mi sta facendo provare.
Kay si avvicina alle mie spalle mentre continua a passare le dita nei punti giusti. Tengo per me quei versi di piacere quando scioglie, anche se di poco, la sensazione di tensione che ormai mi si mantiene addosso da diverse ore. Ha un tocco così piacevole da farmi dimenticare di tutto il resto.
Sono scesa per dirgli che anch'io ci tengo a lui, anche se non riesco a dimostrarlo. Sono scesa per dirgli che mi dispiace se a volte ho delle brusche reazioni ma è qualcosa che non so gestire. Sono scesa per spiegargli che anche se fingo indifferenza, sento battere forte il cuore quando so di averlo accanto.
«Va meglio?», interrompe con la sua bella voce ogni mio pensiero o intenzione.
«Si, grazie», replico staccandomi, indossando di nuovo la giacca.
Mi avvicina per i fianchi. Ancora una volta non riesco ad oppormi. Non posso farlo. In realtà non voglio tenermi a distanza. Voglio solo che lui sappia che siamo in due in questa stranissima storia.
«Non riesco a non ripensare a quello che mi hai urlato addosso», ammette.
«Ero e sono tuttora arrabbiata. In parte anche delusa. Però se ho usato un tono brusco, sappi che mi dispiace. A volte replico d'impulso, senza ragionare.»
Stringe le labbra mostrando una breve smorfia. «Erin, io... per me sei diventata importante e non riesco più a immaginare altri anni da passare senza di te.»
Mordo l'interno guancia. Ormai ho perso il conto di quante volte l'ho fatto. Sento in bocca il sapore del sangue e smetto di farmi male, di divorarmi pur di non esplodere. Quello che faccio è staccarmi da lui e adagiarmi sul divano con i piedi nudi sotto il sedere, un cuscino stretto al petto.
Siamo in soggiorno. Ci troviamo in una zona neutrale. Ecco perché è sceso qui al piano di sotto a pensare. Ecco perché stiamo affrontando ancora l'argomento che con ogni probabilità ci farà litigare.
Guarda di nuovo le fiamme dandomi le spalle. «Non ti fidi di me, lo capisco», inizia voltandosi, avvicinandosi.
Prende posto accanto a me provando a tirarmi via il cuscino. Mi ci aggrappo e alla fine smette stringendo l'altro con i piedi sul tavolo basso. Tira la testa indietro sul bordo del divano.
«Il problema non è che non mi fido. Qui il problema è che tu hai una ragazza dall'altra parte del pianeta che non vedi da quando sei scappato e non mi hai detto che la conosci. E so già che non posso competere con lei. Non voglio neanche farlo.»
«Perché non sei interessata così tanto a me?»
«NO!», urlo. «Perché sarà pronta a tutto pur di averti. La tua famiglia avrà programmato ogni singola cosa minuziosamente per quel giorno, per farti accettare. E io ho paura che tu alla fine sceglierai loro... lei.»
Prendo un respiro. «Sceglierai la tua vera ragazza e io non sarò altro che una storiella. Come l'amante da tenere dentro l'armadio durante il ricevimento.»
Sbuffa scrollando la testa da una parte all'altra, passando le mani sul viso. «Non è la mia ragazza», replica con frustrazione, alzando il tono. «Ripeterò fino a quando non lo avrai capito che per me non conta niente. Non la conosco, non mi lascerò mai abbindolare dai suoi soldi o dal piano che i miei attueranno per farmi accettare un simile compromesso. Non mi farò convincere dalla mia famiglia o da chiunque altro voglia anche solo provarci per i loro stupidi affari. Non starò con una persona che non amo. Mi rifiuto. Piuttosto mi chiudo in un convento anziché rinunciare a te.»
Mi guarda ma sono distratta per rendermi davvero conto di quello che ha appena detto. «E che cosa pensi di fare?», chiedo, lasciando uscire una delle tantissime domande che ormai ho sulla punta della lingua.
«Anch'io preparerò un piano. Andremo al matrimonio. Staremo in compagnia di quei ricconi da strapazzo e torneremo qui, insieme.»
Mordo il labbro lasciandolo andare prima che i denti recidano un'altra parte di carne delicata. «Quindi sei intenzionato a portare avanti il copione?», chiedo dubbiosa.
Mi guarda male. «Copione? Io non voglio stare con te per finta, Erin. Dannazione! Davvero non riesci ancora a capirlo?»
Stringo il cuscino. «Vorrei proprio vedere te al posto mio. Vorrei vedere come reagiresti nel vedermi con un ragazzo, sul punto di sposarmi!»
Chiude la mano a pugno e le mie parole sembrano colpirlo come un proiettile nel petto. «Non resisterei ad una simile situazione. Il pensiero mi annebbia la ragione anche adesso che sei qui con me.»
«Ecco! Questo dovrebbe già darti la risposta che cerchi. Io non metto in dubbio i tuoi sentimenti, anche se dopo che ho saputo che mi hai mentito un paio di domande sono saltate dentro la mia testa e continuano a confondermi come un tarlo. Ma non so come reagirò davanti alla ragazza che tutti vogliono vedere al tuo fianco. Non riesco neanche a togliermi dalla testa le parole di tuo nonno. Era così convinto...»
Scansa il cuscino e si avvicina. «È uno stronzo!», appoggia la testa sul cuscino che tengo in grembo, mettendosi comodo sul divano. Una mano sull'addome, l'altra cerca la mia prima di afferrarla e portarsela sul petto dopo averla baciata. «Non hanno mai pensato alla mia felicità. Mi hanno sempre considerato un ribelle che deve essere messo in riga. Non ho mai dato loro quello che volevano, è questo il problema.»
«A cosa ti riferisci?»
«Nessuna soddisfazione nonostante i bei voti a scuola, nessuna festa di compleanno sfarzosa, nessuna partita da festeggiare nonostante le continue vittorie, niente di niente. Alla fine se ne sono usciti con un: "tu non ci hai mai dato niente in cambio del nostro aiuto finanziario per farti avere un tetto sulla testa, adesso noi ti intrappoliamo costringendoti a stare con una ragazza perché suo padre è importante per i nostri affari di famiglia e non puoi dirci di no".»
Sento un groppo alla gola. «E non puoi dirgli no», ripeto piano.
«Invece posso. L'ho fatto. Non avevano considerato che me ne sarei andato. Non avevano immaginato che avrei rivisto una persona e mi sarei interessato a tal punto da perdermi. L'ho fatto, Erin. Ho detto di no. Ho scelto.»
Alza la testa guardandomi. «Adesso non sanno come spiegare il mio rifiuto. Si trovano nella merda fino al collo. Ma sono stati loro ad iniziare. Io non gli ho mai chiesto niente. Mi sono solo impegnato per ottenere quello che volevo e ho continuato a farlo, sempre.»
«Ed io ci sono caduta dentro insieme a te nella merda. Le belle notizie non finiscono mai», dico con finto sarcasmo. «Quante probabilità c'erano?»
Afferra anche l'altra mia mano portandola alle labbra. Mi bacia una ad una le dita soffiando sul palmo per farmi il solletico.
«Direi infinite e poche allo stesso tempo, di incontrarci. Avere te qui mi sta salvando da una vita di infelicità.»
Diventa pensieroso. Ancora una volta lo vedo distante. Si precipita in fretta in una mare di illusioni e fragili incertezze, rifletto osservandolo di nascosto.
«Perché sei sceso qui al piano di sotto? Potevi dormire. Potevi stare lì con me...»
«Perché la voglia di averti è troppa e non voglio approfittarmi di te. Voglio comportarmi come si deve, anche a costo di litigare con te e poi cercare di trovare il modo di chiedere perdono.»
Si solleva. «Non ho mai provato questa attrazione così forte. Sei la prima che mi manda totalmente fuori controllo. La prima che ho voglia di rivedere. E mi elettrizza quello che provo per te. Mi eccita il pensiero di guardarti e dovere resistere per non sentirmi così maledettamente instabile.»
Mi toglie il cuscino dal grembo. «Adesso possiamo accantonare per qualche minuto la nostra guerra facendo una breve pausa?»
Lo guardo fisso e tremo. Capisco in fretta quello che gli serve. «Hai fame?»
Balza in piedi stiracchiandosi. Ammiro il suo corpo che si allunga. Ogni muscolo che si muove sinuosamente. «Si, parecchia», strofina il palmo sulla pancia.
Mi alzo. «Abbiamo cosce di pollo marinate con del vino che sarà evaporato da ore e carote arrostite. Ci sono anche le patate al forno e un dolce. Ti vanno bene queste cose o vuoi che ti prepari una omelette o verdure?»
«Era la cena?»
Annuisco abbassando lo sguardo dal suo corpo che continua ad attrarmi. «La prima cena di famiglia con il mio ragazzo e ci ho litigato. Mio padre si è impegnato tanto a cucinare queste cose, te lo rinfaccerà a lungo», dico aprendo il frigo. «Specie quando saprà che hai un'altra», lo stuzzico dove fa male.
Si avvicina. «Lascia, faccio io», mi toglie il contenitore dalle mani sfiorandomi di proposito le dita e mette tutto dentro il microonde. «Mi farò perdonare.»
Non so se si sta riferendo alla cena quindi a mio padre o a me. Non che tenga particolarmente a certe dimostrazioni.
Mi siedo sullo sgabello sporgendomi con i gomiti sul ripiano mentre lui mette la cena sui piatti. Me ne passa uno sedendosi accanto a me.
Mangiucchio con le mani guardando fuori dalla finestra per un tempo apparentemente lungo. Ma nel nostro silenzioso pasto, non c'è imbarazzo.
«Credi che continuerà a disegnarmi?»
Sa a chi mi sto riferendo. Pulisce gli angoli della bocca poi prende le mie mani leccandomi un dito pieno di olio e salsa. Stringo le gambe sentendo un certo formicolio depositarsi sul basso ventre.
Osservo i suoi movimenti più che attratta.
«Lo rivedrai a scuola?», lecca le labbra.
«Non mi avvicinerò a lui», il pensiero di vedere Ephram e avere un contatto con lui: mi allarma.
Annuisce accorgendosi della mia reazione. «Ti avevo detto di non dargli corda. Sei... così testarda!»
«Concedo sempre a tutti una possibilità. Solo che poi le persone o mi feriscono o mi deludono», dico tirando indietro le mani, pulendole.
Abbiamo spazzolato la cena in meno di dieci minuti. Siamo affamati e non solo di cibo. Stiamo concentrando ogni nostra frustrazione su qualcos'altro anziché saltarci addosso o azzannarci.
Mi alzo per prendere due birre e dopo avere messo i piatti sporchi e vuoti dentro la lavastoviglie ci spostiamo di nuovo in soggiorno.
Bevo un sorso appoggiando la bottiglia sul tavolo. Kay guarda fuori dalla finestra poi si siede giocando con l'etichetta. La gratta fino a tirarne una striscia. «Io ti ho ferita e delusa», non è una domanda. Sta riflettendo sulla mia ultima risposta. Ecco perché era così silenzioso e attento mentre parlavo.
Annuisco. «Paragonabile al moderno: "mi hai spezzato il cuore, stronzo!".»
Contrae la mascella. «E non c'è modo di ripararlo?»
Alzo le spalle. «Hai una colla resistente?»
Posa la bottiglia avvicinandomi a sé. Mi bacia la fronte, regalandomi un lievissimo brivido più che piacevole.
«Scusami.»
«Attento. Potrei anche crederci.»
Sbuffa stringendomi al petto. «Smettila di fare la stronza con me. So che non vuoi.»
«Considerando quello che dovrò sopportare al matrimonio di tuo fratello è il minimo. Te lo meriti.»
Alza gli occhi al cielo. «Non dovrai per forza conversare con i presenti.»
«Sai a cosa o a chi mi riferisco.»
«Se la conoscerai la ignorerai. Faremo il nostro dovere e poi ce ne andremo. Prenoterò un hotel e passeremo lì qualche ora prima di tornare. Ok? Ti va bene come programma? Possiamo anche vedere la cerimonia e poi scappare da qualche parte.»
«Forse...»
Sbuffa provando a mordermi. Mi sfugge un urlo poi una risatina quando continua provocandomi il solletico.
«Sei una testona!»
Si alza tirandomi in piedi. «Torniamo in camera. Stai prendendo freddo e ti voglio in forma.»
Getta le bottiglie e mi accompagna al piano di sopra. Entra in camera stendendosi subito sotto la coperta.
Su un fianco, nascosta fin sopra il mento dal lenzuolo, lo guardo. Gli provoca uno scossa. Si agita.
La sua mano sfiora il mio naso, le palpebre, le labbra. «Adesso dormi», sussurra mettendosi supino. Fissa il tetto massaggiandosi la fronte.
Appoggio la guancia sul suo petto ascoltando i battiti del suo cuore. La gamba piegata e sollevata sulla sua vita e un braccio intorno all'addome.
Posa la mano sulla mia coscia, l'altra sulla schiena. «Sei in una posizione comoda?», chiede in tono dolce, basso e roco.
Nascondo il viso nell'incavo del suo collo. Inspira di scatto colpito dal mio gesto avventato.
«Adesso si», mugugno.
Sorride. «Ah, non ne dubito!»
Notando che continua a ghignare sotto i baffi, sollevo la testa. «Che c'è?»
Strofina il naso sulla mia guancia annusandomi la pelle. «Finché non ti muovi, e spero che non lo farai, non risveglierai ulteriormente quello che c'è tra le mie gambe.»
Lo guardo da sotto le ciglia senza muovermi e lui boccheggia. «Erin», mi rimprovera.
«Non sto facendo niente», dico con finta innocenza.
Inarca un sopracciglio. «No? Ti credi furba?»
«Lo sono.»
Ride.
I secondi sembrano durare in eterno e sudo freddo intuendo che ha qualcosa in mente. Ma è troppo tardi. Con una mossa scivola su di me tenendomi il ginocchio piegato e ben alzato premuto sul suo fianco. Muove il corpo facendo contatto, avventandosi sulla mia gola.
Lascio scappare un gemito. Mi agito cercando di fermarlo con una mano sull'addome.
«Così adesso ti va bene?», continua a torturarmi.
Ansimo agitandomi. «Kay...»
Succhia sotto l'orecchio abbastanza forte da lasciarmi il segno della sua aggressione così sensuale. «Mi implorerai», soffia accaldato, mettendosi comodo e al posto di partenza.
Torno a rannicchiarmi su di lui. «Scordalo. Sarai tu quello a non resistere.»
Solleva l'angolo del labbro. «Non sfidarmi, ragazzina.»
«Perché sai che questa la perdi in partenza», replico prontamente con un sorrisetto, alzando il mento.
Il momento di prima sembra passato. Ci sono così tante cose ancora da discutere ma non voglio rovinare questo attimo sereno tra di noi. Una breve tregua prima della prossima tempesta.
Mi bacia la fronte chiudendo gli occhi. «Notte», sussurra.
«Notte.»
Notando che dopo circa tre minuti non ha ancora osato chiudere gli occhi, alzo la testa. «Kay...», inizio, insicura giocando con le linee scure sul suo petto.
Non so proprio che cosa aggiungere. Ci sono talmente tante cose da dire, da sistemare. Il pensiero di lasciare uscire quello che provo come un fiume in piena, mi fa sentire agitata. Mi frenano inoltre le possibili reazioni da parte sua.
«Si?»
«Hai fatto davvero l'amore con me?»
Mi guarda sorpreso ma non si scompone. «Che cosa vedi?»
Batto le palpebre per capire. Sfiora subito la ruga che mi si forma tra le sopracciglia. «Vedo te, che cosa c'entra?»
«Non vedi come ti guardo?», mormora affondando le dita sulla mia nuca. «Non senti che facciamo l'amore ogni volta che ci guardiamo negli occhi?», mi avvicina. «Erin, tu mi spogli l'anima e continui a prendere pezzo dopo pezzo il mio cuore.»
Guardo le sue labbra sempre più vicine. Sono come il frutto proibito.
Mi costringo però a non pensare di non meritarle, di non poterle avere perché appartengono ad un'altra.
«So cosa vuoi adesso. Non ti accontenterò, ma solo perché non voglio che pensi che sia l'unico modo per fare pace, per placarmi. L'hai già fatto. Riesci a calmarmi con poco.»
Lo abbraccio e lui si rilassa sotto il mio peso. «Mi accontenterò di un abbraccio», rispondo sulla sua spalla. «Non mi approfitterò di te.»
Mi accarezza la schiena. «Non dovresti accontentarti, mai. Io ti sto offrendo tutto me stesso.»
«Nel tuo abbraccio c'è già tutto», mormoro abbassando gli occhi.
Preme il mento sulla mia fronte. «Adesso proviamo a dormire?», propone. «Notte, amore.»
Sorrido aggrappandomi più forte a lui. «Mi piace quando lo dici. Notte.»
Mi bacia la tempia. «A me piace dirtelo», sussurra all'orecchio. «Amore», ripete piano.
Questa parola mi accompagna nel sonno in cui trovo accoglienza nell'immediato.

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now