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«Erin...»
Lo guardo. A separarci solo una stupida strada. Lui se ne sta in piedi su quel dannato marciapiede, io sull'altro, alcune auto sfrecciano, ma sono solo puntini sfuocati ai miei occhi che vedono solo e soltanto lui. E quando inizia a camminare, senza neanche controllare prima di attraversare, io inizio a sentirmi stanca mentre lui si avvicina sempre più, fino a ritrovarlo a pochi centimetri da me.
Respiro velocemente, le gambe mi tremano come le fiamme di un camino mosse dal vento arrivato da una finestra aperta all'improvviso. Barcollo e crollo. Non mi importa della rabbia, della delusione. Non mi importa se andrò contro ogni mio principio o quella parte che mi frena. Con le ultime forze dimezzo la distanza tra di noi nascondendomi tra le sue braccia in cui mi rannicchio come una bambina, aggrappandomi al suo calore sulla mia pelle fredda e rigida, al suo odore come una coperta per l'inverno che ho dentro a percuotermi l'anima.
«Erin... Erin, che cosa ti è successo?»
La sua voce trattiene la preoccupazione e a stento anche la rabbia.
Stringo la presa sulla sua giacca di pelle affondano il viso sul suo petto imbrattandogli la maglietta bianca a maniche corte che indossa sotto.
Non può sentire freddo uno che ha la pelle così calda. Chissà perché, affondo in questi dettagli mentre la mia mente rischia di scivolare giù, in un mare di incertezze e paure.
Vorrei tanto scusarmi con lui per questo, per come sono ridotta. Passo subito la mano sopra il tessuto di cotone rovinandolo ulteriormente. E mi viene da piangere ma non ci riesco. Non so più come si fa. Non riesco neanche a parlare. Non riesco a capacitarmi. Mi sento solo una stupida. Una ingenua che crede di potere tenere tutto sotto controllo. E annaspo in cerca d'aria, in cerca di una via d'uscita, di una luce che possa illuminare il buio in cui mi sono appena ritrovata.
Sono stata quella principessa che non si lascia abbattere dal cattivo ma alla fine sono crollata lo stesso sotto un maleficio più grande, quello dei suoi occhi. Mi hanno rapita e trascinata in un posto sconosciuto e apparentemente lontano.
«Erin...»
La verità è che non posso. Non posso parlare. Se solo aprissi la bocca in questo istante tutto diventerebbe reale e lui si farebbe male un'altra volta a causa mia. Lo vedo nei suoi occhi che sta tremendo dalla voglia di proteggermi e fare piazza pulita contro chiunque abbia osato toccarmi.
«Erin, dimmi chi è stato», mi allontana quel tanto che basta da sé per guardarmi. Segue i miei occhi rendendosi conto della macchia di sangue sulla sua maglietta, ritorna sul mio viso sgranando gli occhi con orrore.
Tremo come la fiamma di una candela nel vento alla vista del suo sguardo che si indurisce come la pietra.
Ha già capito tutto. Non abbiamo bisogno di parole noi due.
«Perché cazzo non mi ascolti mai?», chiede, il tono di voce frustrato e forte. «Che cazzo ti ha fatto?»
"Niente", grido mentalmente, stordita dal suo odore inebriante. Dalla bocca non esce alcun suono. Sono ancora terrorizzata.
Si sentono dei passi e mi nascondo.
«Che succede?»
Sbircio e accorgendomi della persona alle mie spalle mi sento meno in pericolo. Shannon spalanca gli occhi indurendo i lineamenti. «Cristo Santo!», urla. «Erin... che cazzo... che cosa è successo?»
La testa mi gira e per un attimo diventa tutto nero davanti a me, tutto distante intorno. Come quando metti le cuffie per tornare a respirare e non c'è più niente a circondarti, solo il suono della musica. Adesso alle mie orecchie però c'è solo un lungo ed ininterrotto fischio.
Ci raggiungono Lenny e Dexter. Anche loro hanno la stessa reazione. Inizio a sentirmi osservata e stringo la presa sulla schiena di Kay alla quale sono abbracciata per farglielo capire.
«Chi è stato?»
«Quel figlio di puttana di Ephram», sibila a denti stretti arrivando da solo alla conclusione. «Dannazione!», ringhia abbastanza forte da trasmettermi il terremoto che si scatena nel suo petto sul mio, tenendomi stretta. «Ti avevo detto di...», ringhia scuotendo la testa.
«Ok, non è il momento di fare scenate. Non vedi che è sotto shock?», interviene Shannon pur controllando a stento la rabbia. Kay lo guarda subito male tirandomi a sé come un bambino geloso.
Shannon non osa avvicinarsi, piuttosto guarda gli altri due e qualche curioso del loro gruppo che si è avvicinato. «Non c'è niente da vedere. Andate e fate attenzione. Se vedete Ephram trascinatelo anche con la forza da me.»
Si volta poi verso Kay. «Porta Erin a casa. Qui ci penso io. Tu... intanto portala al sicuro e fammi sapere come sta», gli ordina con voce che si spezza dalla collera.
Kay nega fremendo e fumando di rabbia. «No, io lo ammazzo quel bastardo. Io... adesso lo trovo e lo faccio fuori.»
Ho un attimo di lucidità, come quando accendi la luce di colpo e i tuoi occhi si stringono a fessura prima di abituarsi e mi stringo a lui negando suggerendogli di non farlo.
«Ti ha fatto del male e non può passarla liscia», sibila.
Le mie mani tremano cercando qualcosa dentro la giacca. Tiro fuori il disegno. Frugo anche dentro la borsa prendendo il resto, passandoli a Shannon che me li strappa dalle mani.
Li guarda tenendoli a distanza da Kay, sul punto di esplodere.
Shannon ha come uno spasmo. «Cazzo!», urla mettendosi le mani sulla testa girandosi, camminando rigidamente e nervosamente da destra verso sinistra e viceversa. Dopo un istante ripiega i fogli. «Tienili tu. A questo penseremo dopo.»
Quando me li passa li nascondo da Kay che adesso mi solleva il viso tenendolo con una mano. Lo tiene abbastanza forte da spaventarmi. Vedendo nei miei occhi il terrone non accenna ad allentare la presa anzi, sembra sul punto di scoppiare.
Non credo di averlo mai visto sotto questa luce, così adirato con se stesso per non avermi fermata prima. Ma non è colpa sua. È solo colpa mia, della mia imprudenza.
«Rispondi solo ad una domanda, Erin: ti ha toccata?», fatica a parlare. Sta già immaginando qualcosa di orribile, lo so.
Tremo. Lui trattiene il fiato. «Ti prego... dimmi che... che non ti ha toccata», sibila a denti stretti.
Lo abbraccio negando, cercando di spazzare via dalla sua mente qualsiasi tipo di immagine o vendetta.
Lui si rilassa anche se non del tutto poi prendendomi in braccio scambia un breve sguardo con Shannon che sparisce, portandomi in auto dove mi sistema come una bambina facendo attenzione a non toccarmi, a non farmi male.
Aggancia la cintura avvicinando lentamente il volto al mio. Profuma di bagnoschiuma al cocco e birra. Stavano bevendo e lui stava tornando a casa?
Lo sguardo duro scava nei miei occhi una voragine profonda. Trattengo il respiro e quando si stacca finalmente lo lascio andare voltandomi fuori dal finestrino che apro immediatamente per sentire sulla mia pelle la brezza fredda e non più il calore della rabbia che continua ad incendiarmi dentro. Per non essere stata forte. Per non essere riuscita a prevedere prima tutto quanto.
Kay mette in moto l'Audi nera facendo rombare il motore, poi parte a tutta velocità creando un certo scompiglio tra le stradine piene di gente impegnata a rientrare a casa o a passeggiare per smaltire la sbronza.
È così infuriato che a stento riesce a frenare o a sterzare senza fare scivolare di fianco l'auto. Forse per un attimo è attraversato dal pensiero di portarmi altrove e io in quel caso gliene sarei anche grata. Ora come ora non sono in grado di affrontare una ramanzina da parte di mio padre, un litigio con lui, un'esperienza che mi segnerà notevolmente perché non ho ragionato lucidamente.
Sento freddo e mi stringo ingobbendomi lievemente. La testa mi pulsa e sfioro la ferita facendo una smorfia.
Notandolo frena e togliendosi il giubbotto me lo sistema sulle spalle. «Va meglio?»
Mi riscaldo immediatamente, grata per il tepore emanato dal tessuto che cerco subito di mantenere sulla pelle, appoggio la fronte sul vetro freddo ma questo non allevia il dolore che sento diramarsi dalla ferita e lui riprende a guidare concentrato come un falco pronto all'attacco, la vena del collo in evidenza insieme ai segni del fulmine.
«Non mi ascolti mai!», urla picchiando il palmo sul volante. «Sei un'irresponsabile!», stringe il pugno sulle labbra ringhiando. «Che cazzo ti dice il cervello? Perché non ci pensi? Perché a me non ci pensi?»
Sussulto visibilmente. La prima reazione spontanea che riesco ad avere seguita da un breve verso simile ad un gemito di dolore.
Serra la mascella. «Cazzo! Cazzo! Cazzo!», urla incapace di trattenersi.
Guardo il cielo cercando disperatamente di evitare che la mia forza si disintegri. Questi sono giorni duri, a dir poco estenuanti. Vorrei spegnere tutto. Vorrei che finisse presto. Le luci del paesino si confondono ai miei occhi appannati e li chiudo allontanandomi dal mondo per un lungo istante.
Quando li riapro siamo fermi. Kay apre la portiera sganciando la cintura, mettendo un braccio intorno alle sue spalle per prendermi e stringermi a sé. Mi rannicchio con la mano sullo sterno dove sento feroce il suo battito cardiaco. Mi sussurra tutto quello che sta sentendo.
La porta si apre prima che arriviamo ai gradini. Mio padre si ferma di colpo sulla soglia. «Dove...», la sua faccia, che all'inizio è quella di un uomo preoccupato, diventa di pietra. «Che cosa le è successo?»
Prova a strapparmi dalle braccia di Kay ma riesco ad aggrapparmi a lui con tutta me stessa, emetto un verso stridulo simile ad un urlo attutito, nascondendo il viso. Kay freme intuendo il mio bisogno di tenermi a distanza da mio padre per non urlargli quello che penso con il rischio di ferirlo ancora.
Forse Shannon gli ha detto tutto. Certo, tra loro non ci sono segreti. Saprà che ho fatto colazione con lui in quel posto, che ero in stato confusionale a causa di mio padre. Adesso mi sta proteggendo da lui facendomi scudo con il suo corpo.
Spalanca la porta superandolo e a passo sicuro, mi porta in camera lasciandomi scivolare delicatamente sul letto, ma non stacco le braccia dal suo collo sentendo sotto i polpastrelli il pulsare della sua vena. Un ritmo che aiuta attualmente il mio respiro.
«Che cosa è successo?», mio padre entra in camera chiedendo spiegazioni.
Sta già passando a conclusioni affrettate.
Notando il sangue sulla maglietta di Kay e il mio sulla fronte si immobilizza, fa un passo indietro. «Vado a prendere la valigetta», dice con la tipica freddezza di un medico.
Kay prova a scrollarsi di dosso le mie braccia ma rimango avvinghiata a lui come un corallo sullo scoglio, come un animale smarrito sul suo albero durante un incendio. Scuoto la testa e lui freme.
La mano calda si posa aperta sulla guancia sollevandomi il viso. Ha appena assunto un altro atteggiamento, direi quasi professionale. È come se avesse calmato il bollore per essere vigile e attento.
«Vuole solo aiutarti», sussurra in tono tra il dolce e l'irato. «Se non vuoi o non riesci a parlare con lui, glielo spiego io come sono andate le cose, ok? Ma lascia che ti disinfetti la ferita. Ci vogliono dei punti, tre per la precisione.»
Nego avvicinandolo come se i nostri corpi si dovessero fondere.
Preme delicatamente la fronte sulla mia facendo attenzione a non farmi male. «Vuoi che lo faccia io?»
Annuisco mentre mio padre entra in camera portando con sé la valigetta piena di flaconi, garze, fili e aghi sterili.
«Ci vogliono dei punti», mi dice.
«Non la tocchi, lo farò io», Kay si frappone guardandolo minaccioso.
Papà in risposta lo guarda male, come un moccioso prepotente. «Non sei un medico...»
«Mi mancano solo pochi esami. So come si mettono dei punti», detto ciò, dandogli le spalle, si siede accanto a me infilando i guanti.
Sono attratta dai suoi gesti. Delicato disinfetta la mia fronte pulendomi il viso dopo che mio padre, per rendersi utile, recupera una bacinella piena di acqua che, in breve diventa rossa. Va a cambiarla per tenermi impegnato e forse anche per non buttare a calci nel culo fuori Kay che gli ha appena tolto la possibilità di aiutare sua figlia.
Papà odia non potersi rendere utile e forse sta odiando anche me perché non riesco a guardarlo, a parlarci, a spiegare che non è stato Kay.
«Mi spieghi che cosa diavolo è successo?», controlla i movimenti di Kay come un supervisore. Le braccia conserte e la testa leggermente inclinata.
«Sentirai come un pizzicotto», mi avverte Kay in tono dolce.
Non sento niente anche grazie alla pomata che serve da anestetico. Non piango neanche adesso che ne ho tutto il diritto. Me ne sto ferma a guardare i suoi occhi mentre scorrono attenti sulla ferita che in breve richiude. Le sue dita non tremano, sono ferme e sicure. «Ecco fatto. Sei stata brava», dice dandomi un buffetto come una bambina.
«È stata con Ephram», toglie i guanti gettandoli dentro il cestino, aprendo un cerotto. «Stai attenta a non bagnarlo. Tra pochi giorni li togliamo.»
Guardo la sua maglietta imbrattata e mi sento in colpa. Corrugo la fronte ma non ci riesco, mi fa male.
«Era con lui? Ma che è successo?», mio padre è confuso.
Kay digrigna i denti voltandosi. «Si, tua figlia era con il suo vecchio amichetto d'infanzia. Non lo sapevi? E sai che cosa è successo? Che sua figlia ha rischiato di farsi molto male in casa di uno psicopatico solo perché non voleva tornare a casa!», urla addosso a mio padre. «Non vuole parlarti quindi non continuare a stare qui impalato. Quando si sentirà pronta ti spiegherà tutto», usa di proposito un tono provocatorio per fargli capire meglio il concetto.
«Quello che succede tra me e mia figlia non è affar tuo», risponde con una punta di veleno mio padre. «Erin, non posso credere che gliel'hai detto!»
L'ammirazione mentre Kay mi metteva i punti prendendosi cura di me sembra essere svanita.
«Lei non mi ha detto un bel niente. Ma è affar mio se incontro Erin in questo stato, spaventata per strada, priva di voglia di tornare a casa da te e con una ferita sulla fronte dopo essere stata aggredita. È affar mio se mi chiede di non lasciarla sola. Se chiede di stare con me e non con te.»
Papà mi guarda. «Mi dispiace», dice provando ad avvicinarsi, a giustificarsi.
Distolgo lo sguardo abbracciandomi sotto il giubbotto di Kay che adesso sento pesante sulle spalle. Calcio le scarpe tirando le ginocchia al petto, guardandomi le mani insanguinate con disgusto.
Il telefono di papà squilla ripetutamente. Lui rifiuta la chiamata controllando di sfuggita lo schermo. Alza il viso aprendo e chiudendo la bocca. Io sospiro rannicchiandomi, dandogli le spalle. Non sono in grado di reggere un'altra delusione o di discutere proprio adesso. Che vada al diavolo!
«Starò io con lei. Mi assicurerò che non esca.»
«E va bene!», si arrende mio padre. «Ma quando torno voglio sapere ogni cosa. E per favore, non approfittarti di mia figlia proprio quando è in questo stato!», alza il tono.
«Credi che io sia capace di fare una cosa del genere? Avrei potuto portarla via da te sin dal primo istante in cui ho saputo che l'hai pugnalata alle spalle, non l'ho fatto perché tengo a lei e perché so che in fondo lei tiene anche a te. Perché anche se non lo capisci... sei sempre suo padre.»
Vedo l'uomo sulla soglia vacillare al suono così sincero di queste parole. Batte le palpebre ricomponendosi quando il telefono torna a squillargli. «È una emergenza ma sarò qui per l'ora di pranzo», mi avvisa. «Per qualsiasi cosa chiamatemi.»
Kay chiude la porta non appena se ne è andato avvicinandosi cautamente.
Si siede sul bordo del letto e io mi sollevo abbracciandolo, lasciando cadere sul piumone il suo giubbotto. Voglio stare così, tra le sue braccia. Ne ho bisogno. Ho un maledetto bisogno di lui.
Strofina la punta del naso sul mio, questo gesto, per un breve istante, allevia il dolore. «Tecnicamente non dovresti dormire e se vomiterai mi toccherà portarti subito in ospedale.»
Poso il polpastrello sulle sue labbra ridisegnando i contorni.
«Ti prego parla», sussurra roco. Sospira subito intuendo che non ho la forza al momento. «Vuoi fare un bagno?»
Annuisco, lasciandomi prendere in braccio e portare in bagno, dentro la vasca.
Mi spoglio senza imbarazzo davanti a lui che mi aiuta, rimanendo in intimo.
Apre il rubinetto miscelando l'acqua sedendosi accanto mentre inizio a pulirmi, a togliermi dalla pelle il sangue e l'orribile sensazione che percepisco ormai da parecchi minuti.
È come se avessi avuto un bruttissimo incubo. Mi sento frastornata.
Kay affonda la mano dentro l'acqua lasciando cadere sul mio naso due gocce, passandoci subito sopra l'indice.
Mi adagio al bordo della vasca, rapita dai suoi movimenti. Vago con lo sguardo sul suo corpo troppo coperto, assorbendo ogni dettaglio, anche quello apparentemente irrilevante.
Porto la sua mano sulla mia guancia poi guardo la sua maglietta che ho rovinato.
«È solo sporca, un lavaggio in lavatrice e la macchia non ci sarà più», mi rassicura. «Non è la prima volta che mi succede. Per questo non tengo mai indumenti bianchi.»
La vista mi fa ribrezzo e sporgendomi facendo cadere a terra tanta acqua, gliela tolgo di dosso. Appallottolo il tessuto immergendolo, iniziando a strofinarlo fino a pulirlo del tutto dalla macchia rossa.
Kay me la toglie dalle mani stendendola sull'asta dopo avere tolto l'asciugamano.
«Ehi, ehi», sussurra stringendomi i polsi, vedendomi sul punto di avere una crisi di panico. Scossa dal tremore lascio sfuggire un singhiozzo, il mio corpo ha uno spasmo.
Lui invece, ha un attimo di esitazione. Vedo le sue pupille dilatarsi e mi fa uscire dalla vasca avvolgendomi sotto il tessuto del morbido accappatoio bianco. «Va tutto bene», mi abbraccia.
Appoggio la guancia sul suo petto. Mi bacia la testa accarezzandomi piano e circolarmente la schiena.
Ci guardiamo negli occhi avvolti dalla colonna sonora dei nostri battiti e quando prova a baciarmi, mi ritraggo scusandomi. Ho un flash di quel momento, Ephram che prova a baciarmi e io che gli mordo la carne facendogli male, che mi fa scappare e in breve sono in camera a rannicchiata sotto le coperte.
Sento il suo sospiro, spegne la luce del bagno poi si avvicina. «Posso intrufolarmi nel tuo letto?»
Ovviamente non aspetta una mia risposta. Scosta la coperta mettendosi alle mie spalle circondandomi con un braccio la vita dopo essersi tolto i pantaloni. Mi adagio a lui ma c'è troppa distanza a causa dell'accappatoio ingombrante, così lo tolgo.
Chiudo gli occhi un momento godendomi pienamente il suo respiro caldo sulla nuca, il suo calore sulla pelle, il suo odore dentro le ossa. Il silenzio. La calma.
«Non dovresti dormire per qualche ora», mi sussurra all'orecchio facendomi tremare.
Mi volto alzando lentamente gli occhi, incastrandoli nei suoi così forti come una tormenta. Le mie dita si posano sulle sue labbra. Sono morbide al tatto e mi bacia uno ad uno i polpastrelli. Poi blocca il mio polso delicatamente. Notando che mi irrigidisco allontana la mano lasciandomi fare.
«Voglio sentire la tua voce. È dura da ammettere, ma sento la mancanza della tua lingua lunga.»
Mi concentro su di lui, su ognuna di quelle sensazioni che mi trasmette anche quando sono ad occhi aperti per potere sognare. Nonostante la paura continui ad avvilupparsi nella mente, trovo il modo di scacciarla via, abbandono ogni pensiero lasciandolo andare. Mi avvicino piano posando le labbra sulle sue cercando di non pensare a quelle di Ephram così invadenti. Così, mi scuso con Kay per prima, per essere scappata.
Ancora una volta però rivedo quella scena. Strizzo le palpebre lasciando uscire un breve verso e lui mi abbraccia. «Che cazzo ti ha fatto quel... maniaco? Dimmelo!», soffia dalle narici come un toro. Mi bacia la testa poi le guance quasi con disperazione fino a fermarsi sulle mie labbra più che affannato e livido in volto. Lo sono anch'io, affannata. L'aria sembra essere stata risucchiata via dai miei polmoni.
«Ha provato a baciarti?»
Annuisco.
Chiude gli occhi concentrandosi, i polpastrelli premono sulla mia schiena. Non nasconde la gelosia e il disgusto.
«Ti ha toccata contro la tua volontà?»
Nego tremando.
«Ti ha bloccata o costretta a fare qualcosa?»
Confermo la prima e lui stringe i denti. Il suo corpo emana un calore maggiormente percepibile che fa bruciare la mia pelle. Mi scotto al suo tocco.
«Dammi un solo motivo per non andare da lui e farlo fuori...», mi sussurra a fatica digrignando i denti, passando la mano tra i capelli scompigliati.
Decido di affrontare una paura alla volta partendo dalla più pericolosa: i sentimenti che provo per lui.
È inutile tenerli nascosto o mantenerlo a distanza Non è più possibile farlo.
«Ti voglio», lascio uscire dopo essermi avvicinata alle sue labbra.
Preme la fronte sulla mia. «Allora parli...», sorride in modo dolce lasciando uscire il fiato trattenuto.
Circondo il suo collo con le braccia e mi sotterra baciandomi la spalla, la gola, il mento ripetutamente. «Pace per qualche minuto?»
«Pace», sussurro con un filo di voce.
Sollevo le ginocchia sui suoi fianchi stringendo le cosce, incastrandolo al mio corpo. Lui trattiene il fiato chiedendomi silenziosamente quello che voglio.
Avvicino il suo viso ma nega. «Non mi approfitterò di te. Ti voglio lucida. Ti voglio decisa. Ti voglio tutta mia anima e corpo.»
Lo avvicino e freme. Le sue mani sulle mie cosce stringono la presa. «Sai cosa voglio davvero? Uno dei tuoi baci, tipo adesso!»
Si avvicina alla mia bocca prendendola come se gli appartenesse. Mi bacia con passione, senza fretta, facendo crescere in me una piacevolissima voglia di perdermi.
Abbandono ogni brutto ricordo ricambiando il suo bacio disperato. Non smettiamo fino a quando non abbiamo le labbra consumare dai morsi.
Schiocca un ultimo bacio sul viso, sul collo, sul petto e risale piano lungo la gola. Mettendosi supino, comodo, fissa il tetto.
Mi rannicchio tra le sue braccia. «Grazie», sussurro creando ghirigori sulla sua pelle.
«Perché?»
Ho cercato di allontanare ogni pensiero su di lui. Non è bastato. Io ci tengo. Troppo. Forse è il momento di dimostrarglielo.
«Perché esisti», sussurro la cosa più ovvia ma non me ne pento. Mi giro su un fianco per non fargli vedere che sono appena arrossita e che sto sorridendo come una stupita invaghita.
Sento il suo sorriso. «Era una cosa dolce quella che hai detto?», si gongola.
«Se lo dici a qualcuno...»
Mi bacia la nuca stringendomi. «Sarà il nostro segreto.»
Mi addormento più che stanca lasciandomi alle spalle ogni singola sensazione provata.
Il ticchettio dell'orologio, il fruscio delle foglie ancora attaccate ai rami degli alberi, l'abbaiare di un cane e un movimento nella stanza seguito da un suono, come una bassa imprecazione, mi fa riaprire gli occhi e quando mi tiro a sedere sul materasso, vagando con gli occhi intorno alla stanza, trovo Kay seduto nella penombra. Se ne sta sulla sedia girevole, la scrivania alle spalle, lo sguardo vitreo, piegato sulle ginocchia e i pugni stretti sulla bocca. I fogli sparsi sul pavimento. Li osserva uno ad uno.
Mi manca il fiato appena mi accorgo che cosa sta guardando. Ha frugato nella mia borsetta?
Mi alzo in fretta avvicinandomi a lui. Tolgo i fogli posandoli sulla scrivania e mi siedo sulle sue ginocchia afferrandogli il viso. Tira la testa indietro accarezzando lentamente il mio. «Che ci fai sveglia?», chiede con voce roca, profonda.
«Vieni a dormire», sussurro.
«Con te?», mi mette alla prova.
«Con me», gli accarezzo la guancia.
«Arrivo. Lasciami... solo un momento», mormora facendomi capire che ha bisogno di qualche minuto per calmarsi.
Torno a letto aspettandolo quasi con impazienza.
Lo sguardo distante, la posa plastica e poi finalmente si muove verso di me scivolando sotto le coperte. Prova ad abbracciarmi da dietro, mi volto impedendoglielo. Ho bisogno di parlare con lui.
«Avevi ragione. Mi dispiace», dico giocando con una vena che si dirama come la radice di un albero scendendo verso il suo petto. Non ferma la mia mano che con impudenza tocca una ferita mai rimarginata.
Dilata le narici. «Come hai fatto a scoprirlo?», indica i disegni in cui ci sono io ritratta in vari momenti, persino insieme a lui e a Shannon.
Ephram ci ha spiato. Ci ha seguito. Ha invaso la mia privacy nascondendosi chissà dove.
«Mi ha mostrato lo scantinato in cui passa il tempo. È andato a prendere dell'acqua perché voleva parlarmi e ho iniziato a curiosare. Per errore ho messo le mani dove non dovevo. Quei fogli erano dentro una cartella nella sua libreria. Ho le foto e...», chiudo gli occhi rabbrividendo. «Lui mi ha scoperta e ha reagito male. La ferita me la sono procurata quando ho lottato con lui e sono caduta dalle scale andando a sbattere contro lo spigolo della scrivania. Penso di avergli rotto il polso e due dita prima di riuscire a scappare.»
Kay non parla. Rimane per un attimo a controllare il respiro. Lo vedo dal modo in cui riempie i polmoni e poi lascia uscire il fiato. «Sai che sono furioso con te?»
«Si... mi dispiace.»
Stringe con entrambe le mani le mie guance. «E sai che ammazzerei chiunque per te?»
«Non devi. Sto bene. Sono solo un po'... scossa.»
Nega. «No, tu sei spaventata. Ho notato, sai? Quando mi avvicino, quando ti bacio. Tu tremi, hai il terrore. Spiegami perché?»
«Perché mi ha tappato la bocca immobilizzandomi contro la parete. Perché era... fuori di sé e io... io volevo solo scappare. Volevo solo te... io... pensavo solo a te. Non volevo neanche andarci ma non volevo pensare e... ho sbagliato. Ho sbagliato perché volevo solo non pensarti perché tu riempi ogni cosa dentro di me. Sei ingombrante e io...»
Mi abbraccia. «Quando ti ho vista sapevo già la risposta ma è stato comunque orribile. Non farmi mai più una cosa del genere!», ringhia alzando il tono di qualche ottava.
«E tu inizia a dirmi la verità», strillo quasi. «Studi medicina e non me lo hai detto e sei anche bravo.»
Annuisce avvicinandosi. Ricambio il suo bacio quando la sua bocca si abbatte disperata sulla mia. Poi mi sfiora delicatamente la spalla spostandosi lungo il collo facendo scorrere brividi di piacere verso il mio ventre. Emetto un gemito abbastanza forte, tengo gli occhi chiusi, mentre lui continua a mordermi la pelle nuda, esposta alla sua aggressione fatta di baci e morsi. Le mani scivolano lungo la mia vita spostandosi dietro la schiena, fino a raggiungere le mie natiche prendendomi a sé.
Una forte scarica attraversa entrambi. Ci guardiamo senza fiato.
E lo so che avrei solo dovuto resistergli un po' di più. Ma il desiderio di averlo sta prevalendo su ogni briciola di razionalità.
Sto cadendo in un buco nero di desiderio e, sebbene sappia di dovere uscire, temo che non sarò in grado di attenuare la voglia che ho di perdermi in lui. Temo di essere diventata dipendente. La sua vicinanza mi basta a far crollare ogni muro, ogni barricata costruita per tenerlo alla larga.
Fa un respiro profondo. È in conflitto con se stesso. Abbassa gli occhi, facendoli scivolare lungo il mio corpo come carboni ardenti, deglutendo. Esita e per un attimo ho paura che la voglia di avermi non sia abbastanza. Ho il timore di essermi immaginata tutto quanto, di averlo solo spinto a volermi così tanto che adesso l'ho deluso, perché mi sto lasciando andare tanto in fretta, forse anche mossa da un disperato bisogno di attenzioni.
«Non mi vuoi?»
Strabuzza gli occhi. «Stai scherzando?»
Le mie dita sfiorano i suoi pettorali. «Allora perché ti stai frenando?»
Piega leggermente il capo abbassandolo per essere all'altezza del mio. «Perché se solo inizio... poi non so se riuscirò a fermarmi», sussurra affaticato.
Non posso resistergli. Ho provato con tutte le mie forze a tenerlo lontano da me. Purtroppo stavo solo mentendo a me stessa. Lo voglio. Ho bisogno di lui.
«Allora non farlo!», rispondo con voce stridula.
So che vogliamo entrambi la stessa cosa. Nessuno dei due è pronto a rinunciare, a rifiutare. Tutta questa attesa, tutti questi eventi, non hanno fatto altro che intensificare quello che sentiamo l'uno per l'altra.
Serra i denti. «Dimmi di fermarmi... ti prego», sussurra. «Dimmi che non posso toccarti», ansima. «Dimmi che non vuoi», freme. «Dimmi di staccarmi da te.»
Mi agito tenendo la sua bocca vicina. Affondo le dita sulla sua nuca che tengo ferma. «Fermati ma solo se vuoi», sfioro le sue labbra, lasciando un piccolo bacio. «Io lo voglio. Lo voglio così tanto. Non staccarti neanche per un istante da me», dico senza fiato.
Il suo petto si alza ed abbassa in fretta. Persino il suo calore aumenta. «Erin... non sarò in grado fermarmi.»
Faccio qualcosa che sorprende entrambi, abbasso i suoi boxer premendo le labbra sulle sue. «E allora non fermarti», rispondo.
Si stacca accaldato, boccheggia. «Sei ancora scossa», prova a tirarsi su i boxer.
«Non credo di essere mai stata tanto lucida, Kay. Ti voglio!»
Freme. «Stai giocando con il fuoco, piccola.»
«Voglio solo scaldarmi un po', proprio come te», sussurro piano.
Nasconde la fronte sulla mia spalla. «Cazzo!»
Lascio scorrere le sue mani lungo il mio corpo. «Voglio che sia tu il primo, l'unico. Non voglio che qualcuno mi tocchi al posto tuo. Non voglio che qualcuno... mi sfiori come fai tu.»
Stringe i denti affondando la mano sulla mia nuca. «Sai almeno quello che mi stai chiedendo?»
Le nostre labbra si sfiorano e lui si eccita quando annuisco muovendo un po' i fianchi. Le sue dita risalgono lungo la mia schiena sganciando il reggiseno con un gesto secco, togliendolo piano prima di abbassarsi e baciarmi i seni coperti dai brividi. Quando ne succhia uno gemo inarcando la schiena e le sue spalle si irrigidiscono. «Dimmi di no.»
«Si», sussurro. «Ti voglio. Adesso!»
Scuote la testa baciandomi con maggiore vigore e le sue mani tirano giù gli slip insieme ai baci che inizia a darmi partendo dalla caviglia fino all'interno coscia dove mi provoca un gemito che lascio scappare senza vergogna.
Risale sulla pancia, l'addome, lo sterno e poi torna a baciarmi con trasporto sollevandomi una coscia. Attacca il collo mordendolo. «Mi metterai nei guai», soffia accaldato, lo sguardo famelico, febbricitante.
Tiro giù i suoi boxer e non resiste togliendoli prima di lasciare uscire un sospiro di sollievo, sentendosi finalmente libero. Avvolgo le gambe intorno al suo corpo spingendolo verso di me.
Mi sento sopraffatta. Affondo il naso sul suo collo stringendogli le braccia attorno alle spalle, aggrappandomi a lui, preparandomi ad abbandonarmi a lui, affondando le unghie sulla carne.
«Dimmi che non sono quello adatto, che non mi vuoi dentro di te. Dimmi che hai cambiato idea, che non sei pronta o che hai paura di provare dolore. Che non ci sono protezioni, che...»
Cerco dentro il cassetto passandogliene una. «Non sei adatto a me, dottorino», dico senza fiato.
I suoi occhi chiarissimi adesso brillano di luce e desiderio, la voglia che diventa incontenibile. Ansima avvicinandosi tra le mie gambe dopo avere strappato con i denti la bustina per indossare la protezione. Mi agito mugolando, fremendo impaziente. Si struscia un po' e mi stringo fino a quando non resistendo più mi si insinua dentro con un colpo di reni fermandosi, facendomi adattare all'invadenza e poi muove i fianchi lentamente.
Gemiamo entrambi attraversati da scariche fredde e da vampate di calore. Il sudore inizia ad attaccare i nostri corpi tra una spinta e l'altra. Lui fatica a contenersi, a non farmi male, usando maggiore forza pur facendo attenzione.
Mi aggrappo a lui. Bacio la sua bocca lentamente mentre lui esplora la mia con avidità, irrigidendosi perché vorrebbe lasciarsi andare e invece si preoccupa che possa farmi male.
Ci guardiamo negli occhi e mi spunta un lieve sorriso in grado di farmi ansimare e mugolare. Nasconde il viso tra il collo e la spalla. «Così mi ammazzi», sussurra afono.
Le mie dita massaggiano la sua nuca e le sue mani si stringono sulle mie natiche premendomi forte a sé. Divarico le gambe e si spinge più a fondo. Lascio uscire un breve grido attutito dal suo bacio, un modo per chiedermi scusa.
Mi spinge su di sé e mi aggrappo con una mano alla testiera del letto, tenendo l'altra sul suo petto mentre lui mi guida ad occhi chiusi prendendosi tutto di me. Si solleva ed intreccio le gambe intorno alla sua schiena. Gemo sentendolo tutto dentro di me e mordo le sue labbra mentre continua a spingere, poi mi fa scivolare giù e tenendomi i fianchi si impossessa di me con passione. Rallenta solo quando nota che sto cedendo a qualcosa di mai provato prima e buttandomisi addosso spinge a fondo lentamente così lentamente da farmi perdere. Poi accelera ancora il ritmo con affondi vigorosi. I nostri movimenti si fanno sempre più frenetici. «Erin...», si regge con un pugno stretto sopra la mia testa ottenendo maggiore forza per le spinte.
«Continua», lo rassicuro avvicinandolo.
Ha il viso arrossato sulle guance e coperto di sudore sulla fronte e gli occhi, incredibili pozzi trasparenti in cui tuffarsi a capofitto e senza paura. Mi fissa facendo pressione sulle mie labbra.
Dio, è così bello!
Diventa tutto improvvisamente forte e mugolo sotto i suoi colpi così insistenti.
Fa un movimento secco, segue un gemito basso, virile. Prende un respiro profondo e dopo essersi fermato torna a muoversi lentamente come un'onda del mare, senza mai farmi abituare.
Allargo le gambe ansimando e lui grugnisce irrigidendosi. Rimane fermo lasciando che i miei spasmi si plachino insieme ai suoi. Mi ricade addosso tempestandomi il collo. Mugola in estasi, rilassandosi come me.
Ci guardiamo per un lungo quanto interminabile istante ma senza il coraggio di muovere un muscolo. Il mio cuore batte all'impazzata per lui, per quello che abbiamo appena fatto.
Sfiora sotto la mia palpebra con il polpastrello e lo guardo stordita, ancora scossa dall'affanno e rilassata sul materasso. Raccoglie la lacrima rivolgendomi un dolcissimo sorriso.
Ci vedo il mio sole. Ci vedo il mio mare. Ci vedo la mia tempesta. Ci vedo il riflesso di me, felice. Ci vedo tutto l'amore, ma anche una forte paura. Ma non ho alcun dubbio che sia lui, l'unico.
Ed io lo so, non posso più girarci intorno. Mi sono innamorata perdutamente. Ed io lo so, ad un certo punto bisogna smettere di guardare il cielo puntando sempre all'universo quando hai già una stella ad illuminare il buio che hai dentro.
Kay è la mia piccola grande stella in questo immenso universo senza luce.

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Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now