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Non so se mi sento davvero pronta ad uscire con Dana. Spero non abbia un piano o una trappola o una motivazione in particolare per trascinarmi al "RedBlood" di domenica sera.
Grazie ad una breve ricerca fatta sul motore di ricerca del telefono, so che si tratta di un vecchio magazzino ristrutturato e trasformato in un locale che si trova nelle vicinanze della piazza, a pochi passi dalla chiesa ormai prossima alla riapertura dopo che il tetto è crollato durante una tempesta.
La cosa che più mi turba e il non avere niente in programma, il dovere passare questa serata piena di incognite insieme a lei che non ha parlato di Davis o dell'avere un'altra compagnia. È stata molto diretta e decisa a trascinarmi con lei. Non ha menzionato nessuno, neanche Harper.
Quello che attualmente posso fare è aspettare e sperare di non ricevere delle brutte sorprese o l'ennesima pugnalata alle spalle.
Ciò di cui attualmente ho bisogno è il non sentirmi sola, il non percepire ancora quella voglia impellente di scappare e di mettermi ad urlare fino a perdere la voce.
Dana fa la sua comparsa su una piccola auto rossa, una Smart. Suona persino il clacson di proposito facendomi cenno con un ampio sorriso di farmi avanti, di raggiungerla.
Prima di entrare guardo verso la finestra della vicina che, non sembra neanche in casa. Apro la portiera e lei toglie subito la borsa lanciandola dietro dove c'è solo un bagagliaio ristretto.
«Sono in ritardo?»
«No, sono io che avevo bisogno di uscire di casa e prendere un po' d'aria. Passeggiavo in giardino con la voglia matta di fumare qualcosa prima che arrivassi», rispondo aprendo il finestrino per non inalare il quantitativo di profumo allo zucchero filato che aleggia dentro l'abitacolo abbastanza ristretto come una scatola di scarpe.
Guardo il cielo. Le nuvole hanno lasciato spazio alle stelle smettendo di ammassarsi tra loro provocando solo pioggia. I punti luminosi adesso coprono tutto rendendo luminoso il buio pesto. Mi concentro poi su Dana che nel frattempo fa inversione di marcia.
«Come va?», chiede forse per riempire il silenzio che aleggia tra di noi, interrotto dalla musica che si sprigiona ad un volume basso dalle casse poste agli angoli del cruscotto. Stanno passando in stazione una vecchia canzone dei Coldplay.
«Potrebbe andare meglio se riuscissi a convincere mia madre a chiamarmi per avere un confronto con lei, anche acceso, e a tornare a casa», stringo la presa sulla borsetta.
Non pensavo che mi potesse mancare così tanto quel posto: la spiaggia, il sole, le persone sempre allegre, il ristorante e i miei nonni. Sento persino la mancanza di mia madre ma, a quanto pare, lei non sente la mia. È come se mi avesse cancellata dopo avermi sbattuta fuori dalla porta. Per lei sono diventata un brutto ricordo da seppellire.
Mi piacerebbe chiamarle e urlarle contro però so già che perderei in partenza. Parlare con lei non è mai facile.
Dana mette la freccia facendo bene attenzione prima di posteggiare in un parcheggio affollato dopo avere trovato un posto vicino al marciapiede, sotto un lampione e in una delle zone più illuminate.
Previdente, penso.
Si volta prendendo la borsa dal retro pescando un rossetto rosso acceso.
In questo paese non sono poi tanto coerenti. Passano da un estremo all'altro. Di giorno si comportano tutti come bambini in un convento e di notte si scatenano come i figli di satana. Altro che purezza. I genitori dovrebbero proprio assistere a quello che vedono i miei occhi quando metto piede tra di loro. Ma la colpa non è dei ragazzi o dei genitori. La colpa è del sistema che li ha fatti crescere così pieni di pregiudizi e barriere mentali.
«Vuoi ancora andare via?»
Faccio una smorfia. «Dopo quello che ho vissuto oggi direi proprio di sì. Mio padre me lo impedirà ma ho già fatto la valigia», ammetto.
Chiude il rossetto di scatto togliendosi una macchiolina dal bordo delle labbra carnose. «Davvero?», domanda con voce stridula controllando un'altra volta allo specchio che sia in ordine e poi torna a guardarmi. «Secondo me hai solo bisogno di rilassarti e di comportarti come una normalissima adolescente. Non so se lo sai o se te ne accorgi ma sei molto matura e a volte tendi a chiuderti troppo nel tuo mondo scegliendo di essere razionale. In questo modo però non vivi le cose come dovresti.»
«E che cosa mi consigli di fare?»
«Per una sera liberatene e non pensare a niente.»
«Non è facile», apro la portiera. «Posso farti una domanda prima di scendere e affrontare questa serata?»
Annuisce rimanendo in attesa. Sembra serena. Nessun segno rivelatore. Niente di niente. Solo la voglia di divertirsi.
«Saremo noi due o hai invitato qualcuno?»
«Attualmente solo noi due. Davis a quanto pare sarà impegnato e ci raggiungerà molto tardi. Avremo tutto il tempo magari per parlare o semplicemente per ballare.»
Inarco un sopracciglio. «Ma con il coprifuoco come si fa?»
«È la settimana del festival. Ad ogni angolo ci saranno delle volanti per controllare ma siamo liberi», spiega con un ampio sorriso.
Evito di fare altre domande. Mio padre nella fretta non mi ha neanche avvisata.
Uscite dall'auto raggiungiamo il "RedBlood".
Dall'esterno non sembra neanche un locale conosciuto. Solo un magazzino di mattoni rossi con il portone nero lucido. Una grossa insegna luminosa con una freccia che indica proprio l'entrata.
Un buttafuori, un ragazzo alto e massiccio quanto un albero di quercia, ci chiede il documento poi ci timbra il polso lasciandoci entrare.
«Buon divertimento!», ci augura fermando un gruppo che sta per superarci.
Scesi dei gradini di ferro battuto della scala laterale, mi ritrovo in una sala ampia, piena di gente, musica, odori e suoni.
Un enorme bancone pieno di sgabelli sovrasta quasi tutta la parete piena di specchi con mensole a forma di cubo sulla quale sono appoggiate tantissime bottiglie e bicchieri dalle svariate forme e dimensioni. Due ragazzi creano i cocktail in breve tempo facendo delle acrobazie che suscitano parecchia eccitazione da parte delle ragazze. Queste strillano ad ogni sguardo, ad ogni sorriso agitandosi come galline in un pollaio.
Dana, vedendomi curiosa come una bambina appena entrata al Luna Park, mettendosi a braccetto, mi guida verso i divani in una zona appartata.
Sono ben organizzati. A forma di cavallo, con il rivestimento in pelle di un nero lucido con al centro un pouf basso bianco. Sopra ad ognuno di questi un lampadario in stile moderno la cui luce è soffusa.
Le pareti sono tutte costituite da pannelli rossi e neri in alternanza. In fondo alla sala un palco nella quale si sta esibendo una band. Intravedo anche il DJ pronto a fare esplodere la folla di ragazzine con gli ormoni alle stelle.
La gente infatti, affolla la pista ballando, urlando, battendo le mani e i piedi a tempo di musica, dimenandosi mentre altre persone sostano al bar per prendere da bere o da mangiare spostandosi sulla destra o dietro un pannello dove si trova la sala giochi. Quella, a quanto pare è lo spazio dei ragazzi.
Dana continua a sorridere. «Ti piace?»
L'aria odora di tabacco, di alcol e profumi che si mescolano a tratti con il sudore. Per fortuna le finestre in alto sono aperte e permettono all'aria di cambiare. Di tanto in tanto mi arriva persino un soffio fresco più che piacevole.
«Un po' troppo affollato», dico cercando le uscite di emergenza che sono aperte. «Però ha il suo fascino.»
«Qui è sempre così durante il festival. Non so se lo sai ma per una settimana non andremo a scuola. Saremo occupati ad aiutare alla fiera nei vari stand. È facoltativo.»
«Almeno tu me lo hai detto. Mio padre a momenti non si ricorda di avere una figlia. Pensa che spesso dimentica che esisto. Un po' come mia madre. Ma i genitori non si scelgono.»
«Perché dici questo?», chiama il barman facendogli cenno. Torna a guardarmi e appare preoccupata per me.
«Lui è abituato a non avere nessuno in casa e adesso prendere un ritmo diverso a distanza di anni gli... sembra strano se non difficile.»
Il ragazzo chiamato da Dana è Xavier. Si avvicina a noi con un sorriso smagliante. Non appena si accorge di me i suoi occhi si illuminano e si siede subito tra di noi mettendoci le braccia intorno alle spalle per avvicinarci a sé in modo affettuoso.
Odora di succo alla pesca e vodka. Ha la fronte leggermente imperlata di sudore, la camicia bianca sbottonata sui primi passanti, il gilet nero a coprirgli i pettorali e l'eccitazione alle stelle. «Ehi, non ti avevo ancora notata con tutta quella folla di ragazze assatanate. Questa sera sei dei nostri, eh? Dove sei stata?»
«Ho avuto qualche imprevisto. Tu invece? Adesso lavori qui?»
«Durante le feste ne approfitto guadagnando qualcosa. Lo faccio per togliermi qualche sfizio. Non mi piace chiedere ai miei.»
«Giudizioso», replica Dana.
Lui la guarda un momento di troppo, come se la vedesse solo ora e senza dirle niente si alza. «Allora, che cosa vi porto?», batte le mani strofinandole.
«Non saprei, che ci consigli?»
«Faccio io?»
«Niente di forte», minaccio.
Ride. «Ok, arrivo subito!»
Dana vaga con gli occhi intorno alla sala. «Non per guastarci la festa ma c'è Harper. È appena entrata», fa una smorfia indicandola.
Xavier intanto lascia al nostro tavolo due bicchieri con un liquido rosso con ghiaccio e una fetta di arancia sul bordo del bicchiere di plastica trasparente con due cannucce e un sacchetto chiuso di patatine al gusto piccante.
«Ti preoccupa la sua presenza o hai solo voglia di avvicinarti a lei?»
Nega bevendo un sorso del liquido emettendo un verso di apprezzamento, infatti ne prende subito un altro. «No, ultimamente non ci sentiamo più come prima. Da quando non faccio più parte del gruppo lei preferisce trovarsi altre ragazze da trattare come le sue bambole e ad elevarla reginetta», replica leccandosi le labbra.
Assaggio anch'io il cocktail percependo il sapore amaro e poi dolce dell'arancia insieme a quello dell'alcolico di cui non conosco il nome ma che sento infiammarmi il petto. Tossicchio mangiando subito una patatina.
Xavier aveva previsto che ne avrei avuto bisogno?
Sollevo il bicchiere nella sua direzione e lui sorride radioso pulendo il ripiano, servendo altre ragazze con la sua simpatia. Noto però che spalanca gli occhi sbuffando quando non viene notato e lo fa nella mia direzione facendomi sorridere.
«Pensi che si avvicinerà?», domando più per fare conversazione e per non lasciarmi distrarre.
Non ho ancora avuto modo di affrontare Harper dal giorno dell'aggressione. Lei mi sta evitando come la peste forse per la storia di Damon. Sa bene che non parlo se non ho un buon motivo per farlo.
Dana mastica lentamente accavallando le gambe. Indossa un paio di pantaloncini in tartan grigi, un top rosso sotto una giacca dello stesso tessuto dei pantaloncini e stivali ai piedi con il tacco. Io al contrario ho indossato un paio di pantaloni a sigaretta neri, scarpe basse simil Dr. Martens e una maglietta di velo che ha un corpetto con scollo a cuore nero. Ho legato i capelli e mi sono truccata leggermente. Sopra ovviamente non ho rinunciato al giubbotto di pelle, anche se adesso l'ho legato alla borsetta. Qui dentro fa caldo.
«No, sta solo cercando l'occasione giusta per avvicinarsi», la osserva studiandola attentamente ed io non posso non fare lo stesso, rendendomi conto di quanto siano cambiate le cose dal mio arrivo.
Una piccola parte di me prova dispiacere per Dana. Deve essere difficile per lei ritrovarsi dall'oggi al domani senza più un gruppo, una compagnia sulla quale contare. Però ha scelto lei di non farne più parte e io non posso giudicarla visto che non ho mai preso in considerazione di entrarci.
In realtà sono sempre stata una persona che si dissocia dai gruppi che molto spesso si creano. Non trovandomi a mio agio con le persone tendo sempre a distaccarmi, a non invischiarmi troppo nella vita degli altri e a farmi i fatti miei. In questo posto però non è possibile. Perché essere solitari viene visto come un difetto, un peccato da espiare. Essere "diversi" o come preferisco dire io "unici" e "originali", viene visto come una malformazione, come un qualcosa di orribile nonché difficile da accettare.
«Tipo cosa?», bevo un altro sorso del liquido che inizia a scivolare giù un po' troppo facilmente.
«Di trovarci davanti a lei. Scommetto che farà la sorpresa e poi tramerà alle mie spalle...», alza il mento scuotendo la testa con un sospiro. «È sempre così con lei. Quando le togli la corona e lo scettro o ti ignora o ti mette al centro del suo bersaglio.»
Conosco bene le reazioni di Harper. Da piccola aveva la tendenza a fare i capricci usando molteplici tecniche per ottenere quello che voleva, soprattutto l'approvazione delle persone che fossero adulte o della nostra età. Quando notava che qualcuno le si allontanava un momento perché attratto da qualcos'altro, faceva di tutto per riportarlo nella sua cerchia.
A quanto pare su questo non è cambiata poi così tanto.
Ad Harper succede tutto senza il minimo sforzo. Come se fosse nata sotto la costellazione giusta, nel momento giusto. Tutto gravita intorno a lei mentre agli altri tocca raccogliere le briciole dei suoi avanzi. Ha bisogno di sentirsi importante, di ostentare una ricchezza interiore che scarseggia in quanto potrebbe essere paragonata ad un pozzo coperto di pietre e abbandonato. Tutto quello che mette in mostra dopo averlo ottenuto, è per non mostrare la sua scarsa intelligenza. In ogni caso: è una stronza con la "S" maiuscola.
«Ti spaventa?», mando giù il boccone dopo che Xavier ci porta dei piccoli sandwich davvero gustosi e altri due cocktail.
«Non li abbiamo ordinati noi», dico.
Lui mi indica subito dei ragazzi al bancone che alzano i bicchieri nella nostra direzione.
Impacciata ricambio senza però attaccare bottone con loro. Non credo sia il momento di fare nuove amicizie. Ho ben altro a cui pensare.
«Posso essere sincera con te?»
«Mi sembra ovvio. Devi!»
«Mi terrorizza quello che potrebbe farmi. Io non sono come te. Non so reagire e... ritrovarmi sola faccia a faccia con lei mi spaventa a morte», ammette finendo il primo drink, assaggiando i sandwich e salutando i ragazzi. «Universitari», spiega.
Pulisco le dita vagando con lo sguardo verso la sala giochi. Alcuni ragazzi stanno giocando a freccette, altri a calcio balilla, altri ancora a biliardo. Da lì, si vede la calotta di fumo che aleggia sulle loro teste. È la zona fumatori quella.
«Devi solo saper usare i suoi punti deboli sfruttandoli a tuo vantaggio. Harper ne ha tanti. È semplice intuire su quale fare leva. Tu la conosci meglio di me adesso e hai un grosso vantaggio.»
Ci pensa su. «Hai proprio ragione», ghigna perfidamente.
La guardo inarcando un sopracciglio. «A cosa stai pensando?»
Ride. «Se te lo dico poi non avrò il vantaggio su di lei quindi lo terrò per me. Mi sa che il cocktail era abbastanza forte, inizio a sentirmi rilassata», ammette sistemandosi comoda sul divano.
Dopo un momento scatta in piedi trascinandomi in pista dove iniziamo a ballare a stretto contatto, completamente disinibite.
Per qualche minuto dimentico dei problemi, delle regole, della delusione provata e anche di Kay. Non mi chiedo più dove sia o cosa stia facendo. Per pochi istanti mi diverto insieme a Dana che sembra averne bisogno.
Con i bicchieri in mano, ci spostiamo verso la sala giochi per curiosare e perché Dana sta cercando Davis che le ha mandato un messaggio.
Superiamo il biliardo e mi blocco impallidendo alla vista di Kay impegnato a giocare ad un tavolo con Shannon, Dexter e Lenny. Insieme a loro altri ragazzi degli Scorpions allegri, da un primo acchito anche ubriachi.
Sono così impegnati da non accorgersi di nient'altro. Ridono di tanto in tanto per qualche battuta, bevono e giocano a carte come uomini di affari in una serata libera. Con loro ci sono anche delle ragazze. Gli ronzano intorno come api attaccare al miele.
Giro subito sui tacchi sentendo il cuore uscirmi dal petto. «Possiamo tornare a ballare?», le chiedo.
Dana guarda alle mie spalle annuendo e senza fare domande, prima ancora che io possa essere avvistata, per fortuna ci dileguiamo.
In pista ci imbattiamo nei gemelli Damon e Davis che si avvicinano non appena notano la chioma ribelle e il sorriso smagliante di Dana. Davis l'abbraccia guardandola con un amore che non ha niente a che vedere con l'alcol che inizia ad appannare tutto e tutti. Mi rivolge anche un brevissimo abbraccio chiedendomi se mi sono ripresa. Damon invece non sa se avvicinarsi. Alla fine mi rivolge un veloce cenno del capo guardandomi corrucciato e si dilegua tra la folla.
Notando il mio bicchiere vuoto e sentendomi di troppo, avvicinandomi all'orecchio di Dana, mentre Davis la stringe a sé facendola ridere, le urlo che vado a prenderne un altro. Lei mi chiede di non perdermi poi torna a dedicare tutta la sua attenzione a Davis.
Così, mi sposto verso il bancone dove mi siedo tenendomi appoggiata sul gomito.
Xavier si posiziona davanti a me tenendo d'occhio i due tizi universitari che mi hanno offerto il cocktail prima. «Qualcosa non va, qualcuno ci ha provato con te?», mi chiede guardandoli minaccioso.
Mi viene da ridere perché sembra un cucciolo arrabbiato ma contenendomi nego.
«No, sono rimasta sola. Posso rimanere qui o devo lasciare libero lo sgabello?», indico prima Dana impegnata in un ballo sensuale con Davis e poi lo sgabello.
Mi sento una persona triste in questo momento e la cosa mi dispiace parecchio. Questo mi fa percepire anche una forte rabbia verso me stessa.
Dandomi una scrollata decido di smetterla di autocommiserarmi o di intristirmi. In fondo, non ho mai avuto bisogno di nessuno. So di potermela cavare anche da sola.
«Rimani quanto vuoi», mi rassicura mettendomi sotto il naso un piattino con un pasticcino alla crema al limone.
«Premio di consolazione?»
Xavier mi strizza l'occhio. «Mangia.»
«Erin, anche tu qui?»
Pulisco le labbra pronta a rispondere.
«Sei arrivato finalmente. Dove diavolo eri?», Xavier interviene interrompendomi prima ancora che io possa aprire la bocca con Ephram che non ha occhi che per me.
Mi guarda proprio come se avesse davanti l'apparizione divina in persona. Tamburella con la mano sul ripiano in onice lucido guardando ovunque, aspettandosi di vedere arrivare qualcuno alle nostre spalle.
«Mi serve da bere», gli dice. «Non puoi capire che strazio dovere accompagnare mia nonna in chiesa. Sono scappato non appena l'ho lasciata a casa», dice sbuffando, guardandosi intorno. «Ho ancora in testa le parole del parroco», arriccia il naso.
Xavier gli passa un liquido verde con le foglie di menta dentro e tanto ghiaccio. Alle narici mi arriva l'odore di sciroppo alla fragola.
«Sei sola?»
«Da qualche minuto», dico indicando Dana ad una certa distanza. Adesso attaccata alle labbra di Davis.
Ephram annuisce come se gli avessi appena dato il via libera sedendosi accanto a me. «Come va?»
Prendo fiato. «Chiedimelo quando sarò ubriaca e con scarso equilibrio», dico con un sorriso. «Dovresti capirlo dal mio modo di parlare e perché solitamente comincio a ridere senza controllo e senza una ragione ben precisa.»
Xavier mi mette sotto il naso un altro di quei cocktail. «Vacci piano con questo, è più forte», mi avvisa.
Bevo un sorso. «Chi me lo ha mandato?»
«Un tizio palestrato con dei tatuaggi dappertutto», mostra i denti. «Bevilo piano e non farmi dire il suo nome.»
«Ricevuto!»
«Ti stai almeno divertendo?», chiede Ephram vedendomi a disagio mentre rigiro il liquido con la cannuccia facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio.
Perché mai Shannon dovrebbe offrirmi da bere? Si è accorto di me?
«Si, non si nota?»
Sorride e prima ancora che possa farlo lui, spingo al posto suo gli occhiali sul naso.
Lui ride. «È un vizio ormai», si giustifica.
«Fai venire anche a me il tic nervoso», esclamo.
«Allora... domani in quale stand posso trovarti? Caramelle, popcorn, libri... Partecipi alle attività o preferisci stare in disparte, in casa...»
Sta sondando il campo, lo so. «Va dritto al dunque», lo punzecchio.
Arrossisce leggermente. «Possiamo provare a vendere biscotti insieme o le focacce?»
«Sarà uno spasso riempirti la faccia di farina. Le anziane del paese non aspettano di vedere altro», lo prendo in giro.
Mi guarda male prima di ridere. «Non avevo pensato a questa cosa. In effetti mia nonna non sarebbe contenta visto che lo stand è proprio il suo.»
Poso il bicchiere sentendo la testa improvvisamente leggera.
Dalla pista arrivano Dana e Davis. Lei mi abbraccia forte. «Scusa se ti ho lasciata sola», mi sussurra all'orecchio. «Con Davis stiamo cercando di mettere da parte tutto e forse siamo pronti per...», mi confessa facendo intendere il resto.
Stacco dal mio corpo le sue braccia. «Allora goditi il tuo ragazzo e usa le precauzioni», la spingo verso di lui mentre beve dal mio bicchiere.
Ridacchia quando glielo strappo via dalle mani. «Sai che sei una brava persona? Meriti il meglio. Non meriti di soffrire, Erin».
Le sue parole mi spiazzano, mi colpiscono al cuore. Mi limito a sorriderle e a mandarle un bacio volante guardandola perdersi tra la folla sperando che Davis non sia così folle da spingerla a fare qualcosa mentre sono ubriachi.
«Sono tornati insieme?», mi interrompe Ephram.
«A quanto pare si», gioco con il tovagliolo per non alzare lo sguardo e rendermi conto di avere bevuto abbastanza da vedere Kay ovunque.
Non ho imparato proprio niente da quella notte in cui ho mandato al diavolo la mia vita. Puntualmente ricado in uno stupido errore, in un cliché che non riesco ad evitare.
Sono ore che provo a mentire a me stessa dicendo che non mi importa niente, che va tutto bene, che ho superato cose peggiori. In realtà sto solo cercando convincermi che a volte è così che deve andare. Ma lui sta già diventando un pensiero fisso come una di quelle canzoni che ascolteresti continuamente senza mai stancarti e non importa quante canzoni usciranno, tu tornerai sempre a cercare in quelle parole il significato del tuo amore, quello che senti dentro e che il tuo corpo ha bisogno di ascoltare per non sentirsi male.
Sospiro. Ephram mi sfiora una guancia e per istinto porto la mano sul punto che ha toccato notando che sono calda.
«Hai le guance rosse. Stai bene?»
«Si, è solo l'alcol. Xavier mi aveva avvisato che era forte l'ultimo», indico il bicchiere scendendo dallo sgabello rischiando di cadere quando barcollo all'indietro.
Ephram mi afferra in tempo tenendomi per le braccia. «Quanti ne hai bevuti di questi?»
«Tre... credo», mi esce una risatina stupida mentre riporto i suoi occhiali all'attaccatura del naso. «Mettici un po' di nastro adesivo, cambia montatura...», rido.
Ephram ricorda quello che gli avevo detto. «Ok, adesso so che cosa intendevi prima.»
Scanso le sue mani di dosso ripetendomi che non sono quelle di Kay. Sono le sue che voglio addosso. «Adesso però devo andare in bagno», cerco l'indicazione mettendomi in fila dietro un pannello che conduce ad una porta.
Ephram mi segue. Lo fermo. «Che fai?»
«Ti accompagno. Non sai mai chi trovi fuori dalla porta del bagno.»
«Magari dentro il bagno c'è una trappola e tu non lo sai», biascico.
Gratta la tempia. «Punto per te!»
Sorrido e per puro istinto lo abbraccio per pochi istanti. «Sei tenero, ma non preoccuparti. Nessuno mi farà niente».
Annuisce allontanandosi, camminando indietro, le mani dentro le tasche dei jeans.
«Che fai adesso?» rido.
Inizia a ballare come un robot a tempo di musica. «Ti intrattengo», esclama con un sorriso idiota. «Non ti ho neanche fatto un complimento. Sei bellissima!»
Continuo a ridere. «Se continui a farmi ridere così mi farò la pipì addosso! È grazie per il complimento.»
Si ferma. «Allora continuo dopo...»
Annuisco aprendo la porta. Quando è il mio turno corro finalmente dentro il bagno superando il corridoio e le persone che stanno uscendo a gruppi di quattro entrando nel rettangolo piastrellato e ben pulito grazie ad una donna che ad ogni persona che entra si muove verso i vari box per pulire i water. C'è odore di disinfettante e vaniglia. Una ragazza sta mettendo la matita sulle palpebre sfumandola con l'indice. Canticchia un motivetto innervosendomi.
Mi fermo davanti allo specchio evitando di guardare il mio riflesso. Bagno i polsi e il collo rinfrescandomi.
Non vado mai nei bagni pubblici se non in caso di urgenza estrema, mi fanno un po' impressione.
Esco dal bagno quasi di corsa andando a sbattere contro qualcuno. Alzo il viso per scusarmi bloccandomi. La porta del bagno conduce ad un corridoio che si dirama in altre due porte una di queste è quella dei maschi.
Lui è davanti a me. Trattiene il fiato gonfiando il petto.
Il suo silenzio mi congela l'anima facendo risalire in superficie tutte le lacrime che ho dovuto ingoiare per non lasciarle scorrere, per non mostrare a nessuno il mare di delusione e dolore in cui continuo a sguazzare.
I suoi occhi mi bloccano. Sono così distanti ma brillano come le fredde stelle in mezzo all'universo prima di bruciarsi sotto un desiderio tenuto nascosto.
Non posso toccarlo. Un divieto visto dalla mia mente come una pugnalata nel petto. Non posso sfiorarlo. Non posso neanche parlargli.
Inizialmente nessuno dei due si muove. Io lo osservo perdendomi nelle sue iridi che questa sera sono accese e le orbite arrossate dall'alcol e dal fumo. Improvvisamente sembra avere un attimo di lucidità e mettendosi da parte mi lascia uscire senza dire o fare niente quindi mi allontano più in fretta che posso con il cuore trapassato dagli spilli e la mente in subbuglio.
Barcollo pericolosamente perché le mie gambe tremano non reggendo il mio peso e quando due ragazze urlanti e sorridenti vengono a finirmi addosso, per poco non cado a terra facendomi male.
Vengo afferrata al volo e rimessa in piedi. Mi giro per ringraziare e davanti a me c'è Shannon.
Indietreggio confusa. La mano sulla tempia che massaggio. «Perché mi hai offerto quel cocktail?»
«Tutto ok principessa?»
«Cosa? Io... si. Scusa, devo andare», balbetto allontanandomi anche da lui.
Raggiungo il bancone ma non vedo più Dana tantomeno Ephram. Avrebbe dovuto aspettarmi fuori dal bagno.
Mordo il labbro guardandomi intorno. Xavier mi fa cenno di non sapere dove sia finito quando glielo chiedo urlando, così mi sposto in pista sgomitando, ritrovandomi chissà come al centro esatto. La gente si muove ed io me ne sto ferma a beccarmi le spinte, a farmi trapassare i timpani dalle urla. Le luci stroboscopiche mi feriscono gli occhi facendo apparire le persone a tratti vicine a tratti lontane, confondendomi.
Poso una mano sulla fronte iniziando a respirare a fatica. Sento il fiato accorciarsi sempre più e un senso di nausea salire e scendere ad ondate.
Stringo il pugno cercando di calmarmi e quando mi sento un po' meglio e smetto di tremare mi sposto in una zona meno affollata. Da qui vedo tutto. I miei occhi vagano alla ricerca disperata della persona che mi ha fatto sentire persa e non lo trovo.
Una mano mi si posa sulla spalla e per istinto ritraendomi mi volto di scatto. Shannon alza le mani in segno di resa quando mi vede spaventata. «Sono, io», dice.
«Che c'è?», la voce mi esce stridula.
«Abbiamo un problema, nel retro del locale...»
Corrugo la fronte. «Cioè?»
Mi fa cenno di seguirlo e mi accodo. Quando mi porge la mano la stringo lasciandomi guidare verso la porta secondaria dalla quale usciamo dopo avere superato molteplici ragazzi.
Aggiusto il giubbotto e la borsetta riprendendo finalmente aria. Riempio proprio i polmoni lasciando uscire un sospiro di sollievo.
Scendiamo la scala e cerco una risposta. «Che succede?»
«Guarda con i tuoi occhi», mi dice indicando il vicolo, lasciando la mia mano.
Insicura avanzo nella semioscurità. Noto Ephram discutere animatamente con qualcuno che se ne sta di spalle. Con lui c'è anche Xavier a tenerlo a bada, a tirarlo indietro di continuo chiedendogli di stare calmo.
Non capisco con chi sta discutendo così animatamente e faccio un altro passo avanti fermandomi non appena vedo Kay.
«Per quale motivo quei due stanno discutendo?»
«Dimmelo tu», replica Shannon mettendo i pugni dentro le tasche dei jeans.
«Spiegami», alzo il tono.
«Non ti sei accorta che da quando sei entrata Kay ha continuato a tenerti d'occhio, vero?»
Nego. «No, l'ho visto giocare, lui non...»
«Invece si, ha visto tutto, anche quando hai abbracciato lo psicopatico.»
Mordo il labbro sentendomi in colpa. «Che succede adesso?»
«Stiamo per scoprirlo.»
«Non sei d'aiuto così. Dimmi che cosa devo fare», replico tenendo d'occhio quei due. L'alcol appanna tutto, sto cercando di reggermi in piedi anche se a fatica.
«Vuoi davvero un mio consiglio? Secondo me sai già che cosa fare quindi metti da parte l'orgoglio.»
Faccio una smorfia e mollandogli un pugno sul braccio privo di forza mi avvicino ai due. Shannon mi segue ad ogni passo come una guardia.
«Ti avevo avvertito», biascica Kay mettendosi ad un centimetro dal viso di Ephram che, non sembra affatto spaventato. «Ed io ti sto dicendo che non mi importa. Lei non è tua!»
«Amico...», Xavier mi nota e tenta di spostare Ephram.
«Ah no? Vediamo se ti importerà quando ti ritroverai privo di sensi dentro un cassonetto, psicopatico», ringhia minaccioso.
Sto già avanzando con il cuore che accelera e lo stomaco che si stringe come una maglietta strizzata dopo il bucato a mano.
Mi infilo nel mezzo dopo avere tirato indietro Ephram intuendo quello che Kay ha intenzione di fargli quando quest'ultimo prova a colpirlo.
«Perché non te la prendi con qualcuno che sa come metterti al tappeto?», lo provoco senza riflettere e perché mi va di litigare con lui.
Batte le palpebre un paio di volte. «Tu...», balbetta.
Shannon tira indietro Ephram e Xavier spingendoli dentro il locale. Si ferma solo un momento a guardarmi ma gli faccio cenno che è tutto ok, che posso farcela da sola.
Incrocio le braccia. «Io», ripeto. «Mi spieghi che fai?»
Prova ad andarsene ma lo fermo posando la mano sul suo petto. Il contatto brucia entrambi. Lui ha come un sussulto.
«Affrontami!», gli urlo spingendolo. «Non sei di certo un codardo quando si tratta di affrontare le questioni o di discutere.»
Mostra i denti. «Perché dovrei?»
«Perché stavi litigando con Ephram?»
«Perché quell'idiota si stava approfittando di te», ringhia a pochi centimetri dal mio viso.
Deglutisco a fatica. «Mi ha solo fatto compagnia quando sono rimasta sola e poi mi ha accompagnata in bagno perché rischiavo di imbattermi in persone che qui non conosco e che...»
Posa l'indice sulle mie labbra fermandomi. Preme il polpastrello sulla carne facendomi traballare il cuore, il corpo, tutto quanto. «Era lui quella persona, stupida ragazzina!»
«Sei solo ubriaco. Non sai quello che dici...»
Passa una mano sul viso tenendo l'altra sul fianco. «Ah no? Tu lo sai? Sai sempre tutto? Notizia in tempo reale per te: non sai un cazzo di niente!»
Rimango composta anche se sento la testa girare. «Io non so niente, è vero! Ma tu non puoi trattarmi in questo modo. Non puoi usarmi, non puoi scaricarmi e poi minacciare chi mi sta intorno solo perché pensi di averne il diritto.»
Sta scrollando la testa. «No, non ti sta solo intorno, lui vuole starti dentro», urla. «Come fai a non capirlo?»
Sussulto incredula. «Ephram non ha cattive intenzioni.»
Solleva il labbro guardandomi come se avessi detto una cosa assurda. «Continua pure a credere a questa bugia», esclama superandomi. «Quando ti ritroverai a letto con lui senza sapere come ci sei finita perché ti ha fatto perdere i sensi... sai una cosa? Non mi importa!»
Poso la mano sul suo braccio. Si volta di scatto. Il suo respiro si spezza. «Lasciami andare», prova a scansarsi dalla mia presa.
«Kay... io...»
«Mi fai stare male», biascica ferendomi di proposito.
Ricevo come un colpo secco. Allento la presa immobilizzandomi all'istante. Scrolla via con rabbia le mie dita ancora attaccare al suo braccio e come se niente fosse dandomi le spalle si allontana da me.
Le sue parole riducono il mio cuore in mille pezzi. Ad ogni palpito mi riduco in frantumi. Divento polvere. In un attimo tutto si trasforma ai miei occhi spazzando via ogni speranza e vorrei che finisse subito. Chiudere gli occhi e ritrovarmi altrove. Vorrei che questa sensazione di stordimento abbandonasse il mio corpo, la mia mente, la mia anima.
Vorrei tanto potermi riaggiustare dentro, strapparmi di dosso questa tossina che continua a bruciarmi le viscere ma non funziona. Me ne sto impalata, mentre l'unica persona che mi ha fatto male e quella che potrebbe aggiustare tutto.
Chiudo gli occhi voltandomi. Inspiro ed espiro lentamente, molto lentamente e quando mi volto lui è già sui gradini, pronto ad entrare.
Lo lascio andare incamminandomi fuori dal vicolo. Trovo una panchina libera e mi siedo mettendo le mani sul viso.
Non riuscendo a stare ferma, cammino avanti e indietro ricacciando dentro la nausea.
In momenti come questo mi manca tanto Ryan e i suoi assurdi giri di parole per consolarmi. Mi manca persino la sua roba.
Ad un certo punto sento delle urla fuori dal locale. In breve si crea una piccola folla di curiosi. Qualcuno parla di una zuffa correndo a vedere.
Mi faccio avanti anch'io e noto Shannon tenere a stento Kay mentre Ephram lo affronta leccandosi il labbro imbrattato di sangue.
«Andate via, non c'è niente da vedere!», urla Shannon.
Corro da Ephram che mi fa capire che è tutto ok. «Portalo lontano e dagliele di santa ragione a quel maledetto», consiglia a Shannon.
«Forse dovrei darle prima a te. In fondo, sei venuto tu al nostro tavolo...»
«Stai bene?»
«Si, sto bene», dice rigidamente quando lo aiuto con una salvietta a pulirsi il labbro dove ha un piccolo taglio.
Kay si stacca dalla presa di Shannon avvicinandosi ancora a lui. Lo fermo con tutta la mia forza. «Andiamo!»
Inizialmente non mi risponde. «Kay, ho detto andiamo!»
Shannon mi lancia la chiave della sua auto che prendo al volo trascinandoci dentro Kay. Non so come riuscirò a fermarlo ma so dove portarlo.

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Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now