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ERIN

C'erano giorni in cui andavo nella casetta di campagna, la sua. Altri in cui vagavo per i boschi o mi sedevo ai piedi del ruscello. Me ne stavo lì, seduta sul portico, a riva, le gambe strette al petto, le labbra serrate tra i denti e screpolate a causa dei mille morsi dati per calmare il dolore, la nostalgia. Aspettavo e aspettavo per ore, con un discorso già pronto dentro la testa, parole piene di rabbia, delusione, dolore ma mai odio. Quello lo riservavo solo per me stessa, un po' come ho sempre fatto in tutta la mia vita. Aspettavo che tornasse e mi ascoltasse standosene in silenzio. Aspettavo delle scuse, anche se non sempre servono a qualcosa. Ma aspettavo. Lo facevo con la voglia di vederlo. Lontana da lui non ci volevo stare ma con un dardo ben piantato nel cuore non potevo fare altro che tenere dentro tutto il dolore senza mai lasciarlo uscire, senza mai lasciarmi andare alla disperazione. E il dolore lentamente mi ha fatto impazzire, perché lo sapevo. Lo sapevo che non c'era più niente da fare eppure andare in quei luoghi pieni di ricordi, pieni di amore, mi faceva tornare a respirare.
Poi, ho capito che non c'era più niente da fare. A poco a poco mi sono rialzata e ho smesso. Ho chiuso. Mi sono allontanata. Ho trovato la mia strada e mi sono salvata da sola, dalla distruzione che lenta mi stava spegnendo come una fiammella minacciata da un colpo secco di vento.
Sono andata avanti per la mia strada cercando sempre di tenere sepolto il passato, ogni momento vissuto, lui.
Adesso sento forte la fitta che mi raggiunge il cuore spaccandomelo in tanti pezzi, mentre me ne sto qui, ferma, immobile, a guardarlo e non so che cosa fare. Per anni mi sono preparata a questo momento ma non avevo previsto che mi sarei bloccata e distrutta completamente.
Barcollo indietro perché le mie gambe non riescono più a sostenere il mio peso, la quantità di emozioni forti che mi colpiscono in ripetizione da un lungo ed interminabile attimo in cui lui, alza la testa e mi vede, mi guarda, spalanca la bocca e gli occhi. Dio, quegli occhi freddi che hanno accompagnato ogni mia notte, ogni mio incubo fino a svanire, adesso ritornano e mi trafiggono al petto.
Nessuno dei due osa muoversi poi Bradley mi posa una mano sulla schiena. Mi volto di scatto, spaventata, scrollo via il suo gesto scuotendo la testa indietreggiando, iniziando ad incastrare tutti i pezzi.
Lui sapeva. Sapeva che era qui. Ecco perché doveva parlarmi. Ecco perché controllava il telefono.
I miei occhi si posano su Shannon. Anche lui lo sapeva. Adesso però è impegnato a salvare una vita e non posso correre da lui e urlargli che mi sento tradita.
Evito di guardare di nuovo la persona che sento mi sta studiando, mentre i miei occhi pizzicano, bruciano e poi si riempiono di lacrime.
La verità è che vorrei mettermi a urlare. Lasciare uscire tutto quanto quello che ho provato dopo anni di accumulo. Ma lui ha una vita, ha deciso subito da che parte stare, e io non lo posso fare. Non ho più alcun diritto su di lui. Non ne ho mai avuto. Era tutto un gioco, una scommessa, una bugia che mi ha fatto capitolare nell'ombra e poi cambiare. Allora richiudo dentro ogni istante che tenta di riaffiorare nella memoria, ogni emozione folle e incontrollabile provata, ripetendomi che è passato, che sto bene, che non mi fa soffrire, che non provo dolore, che merito di meglio e ho già di meglio accanto. Mi ripeto che sono guarita da quella ferita mortale e che niente sarà paragonato alla mia indifferenza. Perché sarà la mia unica arma utile.
«Erin, stai bene?»
Annaspo in cerca d'aria poi sento il pianto isterico della bambina e ritorno in questa strada dove le persone si stanno raccogliendo in silenzio e in attesa di un miracolo senza fare niente, se non assistere parlando tra loro, agitandosi.
«Dobbiamo fare qualcosa», dico in uno stato di incoscienza. E senza perdere altro tempo, non facendomi cogliere dal panico, prendendo in mano la situazione, corro verso la bambina.
Bradley mi raggiunge svelto. «Non posso fare molto con la fasciatura. Io ti dico cosa controllare prima di prenderla in braccio e tu esegui, ok?»
Avevo dimenticato questo dettaglio. Bradley è anche un paramedico. Ricordo come ha curato la mia ferita alla spalla, il suo tocco delicato sulla pelle.
«Conosco le manovre, tu pensa alla folla. Io mi occupo della bambina.»
Mi guarda un momento di troppo, come se potessi cadere in tanti piccoli pezzi da un momento all'altro e sparpagliarmi nel mondo svanendo sotto i suoi stessi occhi. Ma c'è anche dell'altro, forse ammirazione e questo mi aiuta, mi dà la carica. Averlo conosciuto mi dà la forza di andare avanti, di credere nel futuro.
«Ok», rialzandosi, valuta in fretta la situazione. Shannon urla qualcosa nella nostra direzione e lui si rivolge alle persone che tentano di scattare foto e tanto altro facendole allontanare dalla scena. Infine, con una calma che me lo fa amare maggiormente, chiama un'ambulanza e ancora con fare pratico, si avvicina alla donna valutando i danni. Parla con Shannon e al telefono per qualche istante informando che sul posto ci sono già due medici, prima di raggiungermi.
La bambina piange, prendo forte un respiro e con molta delicatezza controllo che non sia ferita o che non abbia subito traumi e liberandola dal passeggino la prendo in braccio dando le spalle alla scena, cullando la piccola che in breve smette di piangere disperata e mi si aggrappa con la manina paffuta al seno. Le sfioro il viso sussurrandole che andrà tutto bene.
Nel frattempo arriva l'ambulanza. I minuti passano nel silenzio in questa strada, adesso sgombra da sguardi curiosi. Caricano la donna, dopo averle fatto il massaggio cardiaco per ben venti minuti, a turno, fino a riportarla in vita, nell'ambulanza.
Shannon mi guarda ma ancora una volta mi ritrovo colpita da quello sguardo freddo che in un attimo sta stravolgendo la mia giornata e ogni mio tentativo di tirare avanti senza più cadere nell'errore.
Per fortuna arriva anche la polizia a distrarmi. Bradley mi si avvicina dandomi un bacio sulla tempia con tanto amore e tanta protezione. Lo fa poco prima che le porte dell'ambulanza si richiudano e capisco, in parte, la ragione. Qualcuno mi stava osservando.
«Sta bene?», chiede indicando il piccolo esserino che tengo in maniera protettiva tra le braccia.
«Si, non ha niente. Ma possiamo farle fare una visita, voglio accertarmi che non abbia traumi», dico scostando la copertina.
Bradley mette in piedi la carrozzina guardando dentro la borsa della donna per leggere il nome della bimba che ha un documento di riconoscimento. «Si chiama Harmony», dice.
Una poliziotta si avvicina dopo avere arrestato l'uomo ubriaco che le ha investite. «E lei la bambina?»
«Si. Dobbiamo portarla in ospedale per una visita. Mio padre è un medico...», mi agito.
«Per prassi dobbiamo prendere in custodia noi la bambina, ma visto che è stata lei a salvarla e al momento la piccola sembra calma tra le sue braccia, può sempre seguirci in ospedale dove hanno trasportato la madre. Ci servono delle testimonianze e dobbiamo avvisare la famiglia. Avete visto qualcosa?»
Mi indica la volante dove ci incamminiamo.
«Non abbiamo visto niente. Eravamo seduti nel locale oltre il vicolo. C'è stato un rumore assordante e quando siamo venuti a vedere abbiamo trovato la donna riversa a terra e la bambina sul marciapiede in lacrime.»
L'agente scrive tutto. «Adesso andiamo, vediamo se questa piccolina sta bene», mi dice con un breve sorriso.
Insieme a Bradley, che recupera il borsone, entriamo sulla volante. Tengo la bimba in braccio cullandola quando si agita muovendo le gambe e le maniche. È davvero bella. La carnagione scura, i capelli neri ricci. I suoi occhietti come la pece mi fissano prima del sorriso che si apre sulle sue labbra grandi con due soli denti a spuntarle dalle gengive.
«Tutto bene?», chiede ancora una volta Bradley.
Nego. «Starò meglio quando saprò che lei sta bene.»
Scosta la copertina rosa guardandola, non commentando il modo in cui ho appena sviato la sua domanda. «Starà bene e anche sua madre, vedrai.»
Arrivati in ospedale trovo mio padre ad accoglierci all'entrata con preoccupazione malcelata.
«Lei è Harmony, papà.»
«Sono stato informato», replica guardandomi in tralice. So cosa sta pensando, ma non darò di matto e non avrò una delle mie solite reazioni. Devo essere forte. Devo comportarmi da adulta.
«Puoi dirmi se sta bene? La madre ha spinto la carrozzina verso il marciapiede prima di essere investita. Era a terra quando ho controllato che non fosse ferita e l'ho presa.»
Lo seguo verso il secondo piano, insieme agli agenti, che rimangono fuori dal suo ambulatorio. Papà la prende in braccio e la sistema sul lettino controllandola con una delicatezza unica.
«Ha solo un livido sulla schiena che passerà. È una bimba forte», dice. «E la madre le ha salvato la vita.»
Sussulto e singhiozzo tappandomi la bocca dal sollievo che provo. «Davvero? Starà bene?»
Papà soppesa il mio sguardo. «Si, adesso chiamo l'infermiera e la faccio sistemare in pediatria, nella sala insieme ai bambini. Appena sua madre si sveglia la portiamo subito da lei», esce dall'ambulatorio con uno sguardo strano, informando i poliziotti rimasti fuori e poi chiama l'infermiera che ci raggiunge in breve. È così gentile da lasciarci salutare Harmony.
Rimasti soli dentro la stanza, le mie gambe cedono e vedo tutto nero. Per poco non mi ritrovo a terra. Bradley agisce in fretta e mi sorregge. Premo la fronte contro il suo petto. Il suo odore tenue mi aiuta a non perdermi del tutto.
«Erin», mi scuote un po'.
«Sto bene. È solo stata la pressione per tutta quanta questa storia dell'incidente», balbetto gesticolando.
In realtà è stato uno sguardo a mettermi al tappeto, ma questo non posso dirlo. E non per orgoglio ma perché provo rispetto nei miei confronti e nei confronti della persona che mi sta tenendo tra le braccia.
Bradley corruga la fronte e sollevandomi per le ginocchia, rischiando di farsi male al braccio e alla spalla ancora in via di guarigione, mi fa stendere sul lettino. «Mi dispiace», sussurra.
So a cosa si sta riferendo. Non è stupido. Ha capito che ci sto male. Ha capito che mi sto sentendo uno schifo, in trappola e in un incubo reale.
Cerco qualcosa da dire per rassicurarlo ma non trovo niente di corretto, di utile.
Fisso il tetto vedendo girare tutto e sono costretta a chiudere gli occhi. «Lo so.»
Si siede sul bordo del lettino e io sollevandomi a metà busto lo abbraccio stringendomi forte a lui. «Portami via da qui», sussurro. «Per favore.»
Soppesa il mio sguardo notando la fragilità che gli sto mostrando, poi annuisce e aiutandomi a scendere, a reggermi in piedi, apre la porta.
Papà entra nella stanza scrutando ancora nei miei occhi. Cerca di scavare a fondo e di tirare fuori la verità. «State già andando via? Sei pallida, pulce.»
«Si, ho bisogno di riposare. Non ho avuto una gran bella nottata.»
Bradley glielo conferma incupendosi. Non so esattamente cosa pensa o cosa prova davanti a questa mia reazione. So solo che posso e devo farcela, se non per me, per lui. Devo dimostrargli che è passato e che lui è il mio presente.
«Papà, non continuare a guardarmi in quel modo. Ormai è inutile tenerlo nascosto. L'ho visto, ho viso chi è qui a Seattle e va bene così. Adesso me ne ritorno a casa mia, con il mio ragazzo che è ancora in convalescenza», sporgendomi gli bacio la guancia per rassicurarlo ulteriormente, visto che non è poi così tanto convinto. «Tienimi informata sulla bambina e fammi sapere come sta quando si sveglia la madre.»
Guardo Bradley. «Andiamo?»
Annuisce scoccando un'occhiata a mio padre che ricambia come per dirgli: "Tienila d'occhio è instabile!".
Il fatto che non abbia ancora dato di matto lo insospettisce, ma non lo farò. A volte bisogna rispettare la propria persona, la propria vita e chi ci sta accanto perché ci ama davvero. Non possiamo rincorrere all'infinito qualcuno che non ha voluto il nostro amore. Kay ha avuto la sua occasione e ha scelto un'altra strada. Adesso tocca a me andare avanti. Me lo merito.
«E riposati», aggiungo prima di uscire.
Camminiamo in silenzio lungo il corridoio. Prima di raggiungere l'incrocio per svoltare verso le scale, mi fermo nel reparto di pediatria per vedere Harmony. L'hanno sistemata dentro una culla e sta dormendo beatamente.
Bradley mi abbraccia da dietro. Mi appoggio al suo petto premendo la guancia contro la sua. «È così piccola e indifesa...»
«Sei stata coraggiosa oggi. Prendere in mano la situazione in un momento così difficile... sei sicura di essere umana?»
Mi sfugge un sorriso. Mi volto circondandogli il collo con le braccia. «Prendere medicina era la mia prima scelta. Ho studiato ma ho fatto tutt'altro per un buon motivo e non me ne pento», confesso.
Inarca un sopracciglio. «Davvero?»
«Si, ho iniziato a studiare poi ho partecipato al corso di primo soccorso ma non era il mio reale sogno e ho cambiato rotta. In realtà non ho mai saputo che cosa fare, mi piacciono troppe cose e mi applico su tutto.»
Mi rivolge un breve sorriso, non fa nessuna mossa azzardata. Io invece fremo dalla voglia di essere stretta in un suo abbraccio e rassicurata dal suo calore.
«Se non sbaglio devo accompagnarti dalla tua amica per una fetta di torta. Ce la meritiamo, no?»
«Si», saltello baciandogli la guancia.
Poggio i piedi sul pavimento arrossendo. «Scusa», sciolgo la presa e guardando ancora Harmony mi allontano.
Bradley mi affianca svelto. La sua mano sfiora dapprima il mio braccio scivolando sul dorso e poi intreccia le nostre dita.
«Ho anche bisogno di una doccia.»
«Erin?»
Mi irrigidisco.
Fa che non sia con lui. Fa che non sia con lui. Continuo a ripeterlo mentre mi volto incapace di guardare il mio amico. Appena mi accorgo che è solo abbasso in maniera palese le spalle.
Shannon si avvicina e Bradley drizza le spalle come un lupo pronto all'attacco per difendere il suo cucciolo. Non lascio la sua mano.
«Ti sei ripresa?»
«Si, grazie per essertene andato senza avvisare e per non avermi detto che il tuo caro amico è tornato», sbotto ma con una freddezza impressionante. Persino io mi spavento da me stessa.
Shannon arretra di un passo. «Te lo avrei detto. Dovevo prima trovare un modo. Con te non è facile.»
«Dicendolo a Bradley? Lui ha avuto più palle di te e la decenza di non ferirmi», sbraito.
Shannon massaggia la nuca. «Lo so, mi dispiace tanto.»
«Se posso permettermi, Shannon voleva dirtelo ma ha immaginato la tua reazione. Neanche io ero d'accordo. Non dopo quello che stavi affrontando.»
Batto le palpebre. «Quindi che cosa pensavate di fare? Tenermi a debita distanza? Voi due siete proprio...», sospiro allontanandomi a pugni stretti. Mi fermo e mi volto. «Troverà sempre il modo di vedermi e rovinarmi.»
Sento che mi seguono fino all'uscita dove Shannon mi ferma e con uno strattone mi avvicina a sé abbracciandomi forte. Mi aggrappo a lui che ha capito, che sa quello che mi occorre in questo momento. Al resto penserò dopo, mi dico.
«È stato un duro colpo anche per me, credimi. Ed è stata una giornata infernale dopo la bella serata. Volevo tanto dirtelo ma le cose ci sono sfuggite di mano.»
Arrossisco. «Mi dispiace per come mi sono comportata ieri. Perdonami.»
Mi accarezza la guancia poi la bacia. «Sta attenta ok?»
«Non mi aiuti affatto così!», piagnucolo spingendolo.
Shannon mi sorride. «Posso sempre aiutarti in qualche altro modo ma niente più alcol.»
Sentiamo Bradley schiarire la voce. Indica qualcuno fuori dalle porte dell'ospedale ma io staccandomi da Shannon, stringo i pugni in vita avviandomi verso la strada. «Buon lavoro Shan.»
Chiamo subito un taxi alzando la mano e per fortuna questo si ferma prima di sentire dei passi frenetici dietro e una voce, la sua. Forte, profonda, roca. Quella della persona che mi ha massacrato di pugnalate il cuore.
«Erin, aspetta!»
Il mio cuore batte così forte da avere paura che si possa sentire tutta la sofferenza che ho addosso. Dico al tassista la mia destinazione chiedendogli di fare presto a partire e quando siamo abbastanza lontani dall'ospedale, mi metto comoda.
«Non chiedermi come sto», appoggio la testa sulla spalla di Bradley che stava per aprire la bocca e fare la domanda sbagliata. Non voglio mentire e non voglio avere una reazione brusca.
Fisso le nostre dita intrecciate e mi rilasso ulteriormente quando lui, in risposta, mi bacia la testa.
Il taxi si ferma davanti alla pasticceria, qui, ho quasi voglia di chiedergli di lasciarmi a casa e mandare all'aria il piano di affrontare la mia amica. Non so se sono pronta anche a questo.
Pago però la corsa ignorando le proteste di Bradley, uscendo dalla vettura e mi avvicino alla porta. Inspiro ed espiro entrando con disinvoltura, facendo tintinnare il campanello sulla porta.
La mia amica mi vede arrivare dallo schermo posto in laboratorio grazie al collegamento con la telecamera che si trova all'entrata del negozio e all'interno. Esce dal laboratorio pulendosi le mani poi apre le braccia e, succede.
Scoppio in lacrime. Me ne sto in piedi e piango. Piango come una ragazzina e singhiozzo così forte da spaventare lei, Bradley e persino Stan che esce dal laboratorio di corsa.
Non lo sai il momento in cui ti sentirai così stanco da non avere più la forza di essere coraggioso. E allora ti ritrovi a terra. In un attimo sei privo di forze, sei assente.
La mia amica cerca di capire che cosa fare, non mi ha mai visto piangere. Non ho mai permesso a nessuno di vedermi in questo stato perché mi sono sempre nascosta dietro la facciata della stronza egoista.
Guarda Bradley per avere un suggerimento ma anche lui sembra smarrito e stordito quanto lei. Allora si avvicina cautamente e mi abbraccia. «Che succede?», mi chiede all'orecchio.
«È qui! Lui è qui», riesco solo a dire questo.
Sammy capisce al volo e mi stringe più forte. Ma si è irrigidita. «Cazzo!», ringhia. «Vuoi che lo faccia fuori con un pasticcino?»
Mi scappa un sorriso insieme alle lacrime che non ne vogliono proprio sapere di smettere di uscire e bruciare i miei occhi stanchi. «No, per rispetto del pasticcino che andrebbe sprecato. Non devi fare niente di niente. Proprio come non farò niente io.»
Passa il palmo sulla mia schiena. «Vuoi che mi accampi da te?»
Nego. «C'è Bradley, con lui starò bene e sarò al sicuro», lo guardo e lui me lo conferma, prima di fare un passo avanti e avvicinarmi a sé strappandomi gelosamente dalla mia amica che protesta guardandolo male perché vorrebbe continuare a consolarmi. So anche che vorrebbe i dettagli. So che vorrebbe vederlo. Ma ho eliminato ogni traccia della sua presenza nella mia vita proprio per non avere la certezza di essere stata distrutta per davvero.
Se solo provo a chiudere gli occhi non vedo altro che quei due pozzi come il ghiaccio. È cambiato un po' dall'ultima volta che l'ho visto ma quello che ho provato non sarei mai riuscita ad immaginarlo o a programmarlo di certo.
La mia amica gratta la fronte. «A proposito, ti devo delle scuse. Sono davvero dispiaciuta, Erin.»
«È acqua passata. Ho capito perché l'hai fatto e adesso voglio ringraziarti», piagnucolo con voce tremula tirando su con il naso. «Dio, sono così patetica. Odio piangere.»
«Sai che cosa ti ci vuole?», cerca di farmi riprendere. Odia vedermi così triste. Proprio io che sono stata la sua roccia adesso mi sto sgretolando sotto i suoi occhi e non sa come fermare la frana imminente.
«Dimmi che è un concentrato di rum e zuccheri, ti prego.»
Sorride complice e tirandomi per una mano, costringendo Bradley a seguirci in laboratorio, ci mette davanti una bella fetta di torta a tre strati e da dividere.
«Io e Stan andiamo a chiudere un momento il negozio. Vieni amore.»
Rimasti soli avvicino la forchetta con la torta alle sue labbra e lui si lascia imboccare. Assaggio voracemente e mugolo di piacere.
Bradley passa il pollice all'angolo del mio labbro riflettendo su qualcosa. «Devo preoccuparmi? Attualmente mi sembri come un meccanismo ad orologeria e aggiungerei un po' instabile. Negli ultimi minuti hai alternato così tanti stati d'animo da fare paura persino ad una persona bipolare.»
Mi siedo sulle sue ginocchia fregandomene della reazione che potrebbe avere e lo abbraccio nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. «No, ho solo bisogno di mangiare la torta e tornare a casa, insieme a te.»
Mi avvicina la forchetta alle labbra e quando provo ad afferrare il pezzetto di torta al cioccolato con mousse e uno strato di fondente sopra, lo mette in bocca con un ghigno.
Metto il broncio e si abbassa. «È una torta da dividere, ingorda.»
Chiudo gli occhi baciandogli il collo. «Dividi gli ultimi due pezzi e non essere tirchio», mormoro.
Sammy e Stan tornano. «Posso portarvi altro? Torta, pasticcini... preservativi?»
Guardo male la mia amica e lei mi sorride. Alla fine lo faccio anch'io anche se in modo triste. «No, abbiamo accettato la "fetta della pace" e adesso andiamo dritti a casa.»
Mi sollevo e lui fa lo stesso. «Anche se un'altra "fetta della pace" la porto volentieri dietro. Non si sa mai, potrebbe servirmi.»
Mollo una gomitata all'uomo che si trova alle mie spalle. So che è nervoso. Vedermi piangere per un altro non deve essere il massimo. Lo amo soprattutto per questo, perché riesce a capirmi anche quando non dovrebbe.
Sammy non se lo fa ripetere ed è già all'opera. «Pasticcini?»
«Certo.»
«Protezioni?»
«Non sono uno sprovveduto come il tuo uomo. Ti ha mai raccontato di quando mi ha chiamato nel cuore della notte, disperato perché andassi a comprarglieli?»
«E l'hai fatto?»
«Ovvio che no! Non poteva andare a letto con chiunque per sedare il suo bisogno di attenzioni.»
Sammy appare meno tesa rispetto a prima e guarda Stan che, si avvicina a Bradley mollandogli un pugno sul braccio facendo attenzione a non colpirgli l'altro. «Peccato che sei ancora malconcio, altrimenti ti avrei fatto a pezzi. Non puoi raccontare queste cose alla mia donna. Sai quello che mi farà adesso?»
Ridiamo.
Saluto la mia amica mentre quei due si punzecchiano a vicenda.
«Torna quando vuoi per una chiacchierata o se ripensi alla mia offerta di farmi da aiutante.»
«Si, ho molte cose da raccontarti», ammetto ripercorrendo le ultime ventiquattro ore con la mente. «Sappi solo che ho fatto un casino ubriacandomi e che ho scoperto che lui è qui perché c'è stato un incidente e ho salvato una bambina pur essendo nel panico.»
Sammy ascolta con attenzione e curiosità. «Fammi indovinare... per caso hai bevuto insieme a Shannon?»
Faccio una smorfia. Mi conosce. Sono così prevedibile?
«Stavamo andando troppo oltre questa volta. Ho fatto un gran casino.»
Spalanca gli occhi. «Come puoi fare una cosa del genere? No, te lo proibisco! Tu da adesso sarai sotto stretta sorveglianza.»
Sorrido abbracciandola. «Ti voglio bene.»
Mi stringe. «Non fare più cazzate e sta con il tuo uomo che farebbe di tutto per te, anche accettare che stavi per tradirlo. Nessun uomo reggerebbe mai niente del genere, neanche il ritorno a casa di un bastardo che ti ha fatto soffrire. Deve amarti davvero tanto.»
Annuisco. «Cercherò di farmi perdonare da lui anche se è difficile. Non ho molte possibilità e a volte è dura farlo sciogliere.»
La mia amica mi guarda complice, con quel ghigno malizioso che non promette nulla di buono. «Sai già che cosa fare. Devi solo indossare qualcosa di meno castigato e...», si sporge guardando i due impegnati in una conversazione seria. «Aprire le gambe», mi punzecchia per farmi arrossire. «Deve essere messo bene lì sotto e non ti farà poi così male togliere le ragnatele dalla tua cassaforte.»
«E tu non punire Stan. Non troverai più uno come lui», replico.
Esco fuori dalla pasticceria promettendole che ci vedremo da sole per parlare.
Una pioggerella leggera inizia a precipitare senza preavviso. Chiamo subito un taxi prima che arrivi un violento acquazzone e Bradley mi segue con un sacchetto in mano.
Il viaggio dura meno del previsto e ci ritroviamo fuori dal cancello a distanza di sicurezza l'uno dall'altra. Cerco le chiavi, mi agito notando che sta per dare di matto.
«Dimmi che cosa c'è che non va?»
Cammino lungo il sentiero di corsa raggiungendo il portico. Bradley non risponde, continua ad avere quello sguardo distante e perso. Ho fatto qualcosa di sbagliato?
Apro la porta principale. "Tildo" viene ad accoglierci insieme a "Ness" che miagola strusciandosi tra le mie gambe per ricevere una carezza.
Guardo ancora Bradley nervosa dal suo strano e improvviso mutismo.
Posa il sacchetto sul ripiano della cucina prima di mettere tutto in frigo ed io do da mangiare ai cuccioli coccolandoli per qualche minuto. Quando lo vedo entrare nella camera degli ospiti, mi irrigidisco, specie sentendo la porta chiudersi con uno scatto abbastanza forte. Da questo capisco che è arrabbiato.
Sospiro entrando nella mia stanza dove cercherò di stare per tutta la notte per lasciargli tutto lo spazio di cui ha bisogno.
In bagno, mi spoglio e mi infilo dentro la doccia scrollando di dosso, sotto il getto caldo, tutto quanto: pensieri, paranoie, sentimenti e sensazioni. Provo a non pensare a quegli occhi, ad allontanarli.
In accappatoio e con un turbante in testa, mi siedo sul bordo del letto. Rimango a guardarmi intorno per un tempo lungo. I miei capelli si asciugano e i miei occhi si fanno sempre più colmi di lacrime.
Incapace di sostenere tutto questo oltre, mi alzo, lascio cadere l'asciugamano a terra e indosso un paio di slip neri con il bordo in pizzo e una canottiera di seta con i dettagli in pizzo sul davanti, simili alle mutandine.
Non riuscendo a stare ferma, mi sposto in cucina. Qui mi preparo una tazza di te' verde con limone e zenzero e prendo i biscotti per inzupparli mentre me ne sto seduta sul bancone dell'isola con le gambe accavallate, i capelli legati in alto sulla testa e le dita strette intorno alla tazza.
I minuti passano, me ne sto avvolta nel silenzio della mia casa che non ho mai visto così estranea prima di adesso.
Sospiro guardando i cuccioli addormentati sotto le loro copertine. La luce della cucina si accende ferendomi gli occhi, adattati alla penombra e alla luce accesa posta sul piano cottura. Il mio stomaco si contrae ed evito di fare notare che ho appena sussultato.
Bradley si avvicina a passo lento. È solo in boxer e fatico a non guardarlo, perché è molto sensuale. Il suo fisico non ha niente da invidiare a certi ragazzi che si allenano ogni giorno per mettere su un po' di muscoli e massa. Ha la pelle liscia, una V perfetta e quelle due fossette sul fondoschiena mi fanno perdere concentrazione per un istante in cui accantono proprio tutto.
Apre il frigo prendendo il contenitore con la torta. Solleva il coperchio e appoggiandosi accanto a me, mangia in silenzio la torta.
Di tanto in tanto ci guardiamo senza dire niente poi però qualcosa cambia. C'è un lungo momento di tensione in cui ci guardiamo senza mai distogliere lo sguardo. Io con la tazza tra le mani e lui con la torta infilzata tra i denti della forchetta a metà strada. Deglutisco a fatica. Il cuore prende a battermi forte, un continuo picchiare contro lo sterno. Le orecchie mi prendono fuoco insieme alle guance e poi a tutto il corpo quando lancia la forchetta dentro il contenitore, mi toglie quello che ho in mano e afferrandomi per il viso, mi bacia con possesso.
Intreccio le gambe dietro il suo fondoschiena ricambiando il bacio, spingendomi verso di lui. Affonda il viso sul mio collo baciandolo, mordendolo e tirando la pelle provocandomi un gemito che esce dalle mie labbra abbastanza alto. Sto ansimando e fremendo dalla voglia di toccarlo e sentirlo vicino. Le mie mani si posano sul suo petto, sulle sue braccia e poi sul suo suo viso avvicinandolo. Ma non mi bacia. Tira indietro la testa opponendo resistenza.
«Sono incazzato. Ma... non ti dividerò con nessuno e non permetterò ad un altro di farti soffrire», dice a denti stretti. «Dio, sto impazzendo!»
Scendo dal ripiano scivolandogli addosso e mi schiaccia contro il bancone chiedendo accesso alla mia bocca, giocando con la mia lingua. Mi morde il labbro e mi solleva una gamba muovendo un po' i fianchi.
Mi reggo sulle sue spalle gemendo contro le sue labbra. «So che sembra inutile da dire dopo quello che hai visto e dopo il torto che stavi per farti, ma voglio te, Brad. Ti voglio sin dal primo istante in cui ti ho incontrato. È solo che ho avuto paura. Ma adesso lo so. So come sei e ti voglio esattamente così. Io... non sono degna di averti nella mia vita ma proverò a farmi perdonare da te.»
Trattengo il suo viso e le sue dita si stringono sull'elastico degli slip. Lo abbassa e ansimo inarcando la schiena, premendomi a lui.
«Smettila di avere paura. Togli tutto dalla testa e vivi insieme a me!»
Chiudo gli occhi. La sua mano lascia l'elastico spostandosi tra le mie gambe, dentro gli slip.
«Non puoi capire quello che ho sentito addosso quando ho saputo che stavi per andare con un altro uomo!», ansima lasciando uscire un tono severo, duro.
«Non puoi capire che rabbia e quanta frustrazione nel vederti schiacciata dal dolore per un bastardo.»
Gemo muovendo i fianchi insieme alle sue dita sempre più insistenti.
«Non puoi capire...», non riesce a parlare.
Cerco le sue labbra. Tolgo la sua mano e scivolando via dalla sua presa, indietreggio verso la mia stanza guardandolo fisso negli occhi. Chiudo la porta alle nostre spalle e avvicinandomi a lui mi alzo sulle punte. «Facciamo pace», sussurro.
Preme la fronte sulla mia. «Non risolveremo così le cose, lo sai?»
«Lo so. Sto solo togliendo tutto dalla testa per qualche ora. Voglio sentirti mio.»
Queste parole bastano a convincerlo. Mi tira a sé muovendo i fianchi, facendomi sentire quanto è eccitato.
Mi fa indietreggiare fino a spingermi sul letto. Lo guardo timida e lui, dopo ore, mi rivolge il suo più dolce e sincero dei sorrisi. Mi solleva le ginocchia e mi tira giù trascinandomi sotto di sé.
Sfioro le sue labbra. Afferra la mia mano baciandomi il palmo prima di tirare sulla testa il mio braccio intrecciando le nostre dita. Si abbassa giocando con le mie labbra e questo suo prendere tempo, crea un momento di pura tensione che si sprigiona nell'aria andandosi a mescolare ai nostri respiri spezzati dall'affanno.
«Sai che non si torna più indietro?»
Premo forte le labbra sulle sue. «Si», rispondo a bassa voce.
Freme. «E sai che non ti lascio più andare?»
Sorrido. «Prima devi prendermi», rispondo spingendolo, spostandomi su di lui. Afferro il suo viso e tirandomi in su gli offro le mie labbra, la mia bocca, tutto il mio corpo.
Stringe con una mano la mia natica facendomi ansimare sulla sua bocca e con una mossa veloce mi riporta sotto il suo peso. Mi sfila la canottiera lanciandola a terra. Mi guarda negli occhi con desiderio abbassandosi, avventandosi sul mio petto, sul mio seno.
Mi agito mentre scende con la bocca fino a posare le labbra sul basso ventre e poi con un sorriso malizioso, in grado di farmi tremare dentro, aggancia l'elastico con i denti tirandolo giù lentamente, così lento da farmi urlare di frustrazione e piacere allo stesso tempo, perché lo voglio davvero.
«Bradley!»
Lascia andare l'elastico colpendomi la pelle e gemo sempre più accaldata. «Hai fretta», la sua non è una domanda. «Da quanto ti trattieni?»
«Troppo tempo», replico con voce stridula quando torna ad addentare il bordo delle mutandine. «E che cosa aspettavi? Vuoi che le tiri giù?»
Annuisco come una bambina inarcando la schiena, muovendo il bacino quando le tira giù prima di sollevarsi e strapparle via.
Si ferma a guardarmi con sguardo da rapace, non si muove, passa la mano tra i miei seni e poi giù, supera l'ombelico. Lo fermo. «Ti ricordi quello che ti avevo detto?»
«Che vuoi che sia con me e non le mie dita?», chiede abbassando il bacino.
Le mie mani percorrono le linee che formano il suo petto scolpito e vanno ad intrecciarsi sulla sua nuca. «Si», sussurro distraendolo e gli tiro giù i boxer.
Preme la fronte sulla mia spalla prima di morderla. «E lo vuoi adesso?»
«Ora», rispondo mentre si toglie del tutto i boxer tornando su di me.
Abbassa il viso a distanza di un bacio. «Così?», chiede.
«Si», sussurro.
Si muove tra le mie gambe. «Senza barriere?»
Abbasso il suo viso sollevando le ginocchia, poi muovo i fianchi e sulle sue guance noto quel rossore così potente da farmi eccitare maggiormente. «Senza barriere», confermo.
Si strofina ancora contro la mia intimità rendendo tutto più eccitante. «Mi vuoi?»
«Si», mordo le sue labbra mugolando.
Le sue pupille si dilatano, le narici hanno un guizzo. Avvicina le labbra all'orecchio poi posa un bacio sotto questo, sulla porzione delicata prima di morderla e con un colpo di reni si fa strada dentro di me.
Mi sfugge un urlo e stringo le dita sulla sua schiena lasciando fuggire via anche una lacrima ma la sensazione che mi trasmette è di pura estasi. Si ferma facendomi abituare all'invadenza. Ansimo guardandolo negli occhi per dargli la spinta, mentre mi fa sua con una forza e una delicatezza allo stesso tempo distruttiva.
Seguiamo un ritmo lento, in grado di farci perdere il controllo. Infatti, mi tiene ferma impedendomi di provocarlo e si insinua dentro con maggiore forza godendosi il mio sussulto, il mio gemito e le mie unghie affondante sulla sua carne.
Tira indietro i fianchi e mi agito trattenendolo. Mi sorride strofinando la punta del naso sul mio. «Hai paura di andare oltre? Mi fermo?»
Sento l'urgenza nella sua voce. Nego. «Continua...»
Preme le mani intorno ai miei fianchi e sento dolore quando con uno scatto raggiunge un punto abbastanza delicato e intimo. Tiro indietro la testa, increspo il lenzuolo con la mia presa e si ferma mentre un forte calore inizia a raggiungermi, a farmi tremare sotto il suo tocco. Allora si muove veloce continuando a baciarmi senza darmi tregua. Le mie gambe ben presto tremano e lui si ferma ancora, mi fa calmare, non mi soddisfa e poi mi tortura di nuovo rendendo tutti pericolosamente snervante ma eccitante.
«Brad!», non ci riesco più. Non posso resistere.
Muove forte i fianchi fino a gemere e fermarsi ed io mi lascio andare con la pelle in fiamme mentre lui mi riempie della sua essenza. Sento il suo seme dentro, caldo. Sento lui, il suo respiro, affannato, sulla pelle umida.
Lo trattengo quando prova ad allontanarsi e mi bacia muovendo di nuovo i fianchi regalandomi un altro attimo di puro piacere facendomi tornare in quel posto pieno di pace. Le mie ginocchia si abbassano e lui scivola via mettendosi supino, attirandomi tra le sue braccia ansimando sudato e appagato. Sento la sua mancanza dentro di me. Non pensavo mi sarebbe piaciuto così tanto. Non avevo aspettative. Mi aspettavo solo che la paura invadesse ogni parte del mio corpo, soprattutto la mia mente, facendomi smettere. Ma non è successo.
«Se sapevo che sarebbe stato così forte e intenso, lo avrei fatto molto prima. Ma è stato utile aspettare.»
Sorrido sentendomi molle ma incredibilmente a mio agio, appagata. Accarezzo il suo petto sudato, lo bacio risalendo verso le sue labbra e poi chiudo gli occhi.
«Sei bella», mi scosta una ciocca dietro l'orecchio. «Non dimenticare la pillola tra qualche ora», mormora.
«No, tengo sempre la sveglia. Ma...», sollevo il viso e il busto guardandolo negli occhi.
«Ma? Ti ho fatto male?»
Scrollo la testa. «No, è stato fantastico.»
«Allora?», corruga la fronte.
«Non devi preoccuparti se non prendo la pillola perché c'è la possibilità che non rimanga incinta. Con ogni probabilità... non posso avere bambini.»
Si solleva a metà busto. «Non dirmi...»
«Una volta qualcuno mi ha picchiato così forte da distruggermi dentro», abbasso gli occhi. «Non sono riuscita a proteggermi in tempo.»
Non ho mai parlato a nessuno di questo. Perché sono fatta così, parlo poco mentre trattengo troppo dolore dentro.
Sono tornata alla mia vita dopo quella brutta aggressione da parte di Mason. Nessuno si è accorto di niente. Solo io sapevo di essere diversa, arida e incapace.
Bradley mi stringe forte in un abbraccio. Non osa dire niente. Mentre io vorrei solo liberarmi da tutto quanto. Ho così tante cose da raccontagli da non trovare il modo giusto per farlo.
Sollevo il viso. Lui abbassa il suo dandomi un bacio carico di dolcezza e amore.
«Ti voglio, tanto, Brad.»

🖤

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now