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Le nuvole bianche a coprire interamente il cielo non rischiano di minacciare l'inizio del festival di fine ottobre. Non c'è traccia di un temporale in arrivo, solo una macchia simile al cotone ad illuminare questa giornata grigia e silenziosa.
Me ne sto seduta qui sulla soglia di marmo ad osservare il mondo esterno dalla finestra. La tenda bianca, svolazza sfiorandomi di tanto in tanto i piedi nudi. Sono così gelati e intorpiditi da costringermi a muovere le dita per accertarmi di non averli in fase di assideramento.
Tengo stretto il plaid sulle spalle per non prendere troppo freddo. Oggi ne sento più di ieri.
Provo molteplici sensazioni contrastanti, una più forte dell'altra, una più distruttiva dell'altra. È tutto dentro di me si confonde generando il caos mentre fuori mostro solo il sereno.
Finalmente, vedo uscire dalla porta la signora Louis. Indossa un cappotto color cammello sopra un pigiama con i gattini e le pantofole pelose rosa confetto.
Passeggia tenendo al guinzaglio i suoi cani e di tanto in tanto si guarda intorno fino ad alzare lo sguardo.
Apro completamente la finestra e mi vede. Solleva timida la mano per un breve saluto. Sul suo viso la traccia di una scusa.
Ricambio il saluto osservandola mentre raccoglie con un sacchetto e una paletta gli escrementi dei cani gettandoli dentro i bidoni della spazzatura in fondo al quartiere, legati alla recinzione metallica di un muretto.
Fa il giro del quartiere invogliando le sue due bestiole pelose a muoversi ed infine, controllando il suo orologio, rientra in casa senza mai tirare la tenda del soggiorno dietro la quale si è sempre nascosta ma che oggi rimane di lato lasciando intravedere il soggiorno spento e inanimato.
Abbraccio al petto il libro che rileggo quasi sempre quando mi sento di pessimo umore e i cattivi pensieri minacciano di straripare fuori creando scompiglio nella mia vita già piena di drammi e ostacoli.
Ho spento il telefono ignorando i messaggi e le chiamate che avevo già ricevuto e quelle che continuavano ad arrivare.
Mi sono chiusa nella mia stanza con il chiaro intento di rimanere sola a meditare su ogni mia azione, su ogni mio sbaglio, su ogni mio bisogno. Ogni cosa che faccio però, non sembra servire a niente. Non placa questo incendio che sento divamparmi e dilaniarmi le viscere ad ogni respiro. Sto vivendo un momento difficile e sto cercando di uscirne prima di rimanerci secca. Per questa ragione non ho dormito. Non ci sono riuscita. Mi sono limitata a fissare ore e ore il muro di fianco fino a quando da buio pesto, la stanza si è trasformata in un posto luminoso grazie alla luce tenue dell'alba prima dell'arrivo delle nuvole.
Io lo so che al di là di queste c'è un sole caldo e in grado di scaldarmi le membra da questo inverno che continua a gelarmi il cuore ad ogni battito, ad ogni singolo respiro, ad ogni breve pensiero simile all'inferno.
E mi torna in mente la frase del film "Il Corvo" quando il protagonista dice: "non può piovere per sempre".
Già, dentro non può essere sempre inverno perché prima o poi il sole riuscirà a spuntare, a farsi largo tra le nuvole e a riscaldare il cuore facendo rifiorire dentro i semi di ogni istante vissuto e passato.
L'auto di papà non oltrepassa il cancello fermandosi sulla strada, a pochi passi dal marciapiede. Lui, esce fuori guardandosi intorno, come per accertarsi di non avere nessuna visita o nessun ospite in casa prima di aprire il cancello ed avvicinarsi con un sacchetto bianco in mano e lo sguardo chino in direzione del portone.
Non mi muovo dal mio cantuccio comodo. Sento il rumore delle chiavi lasciate sul mobile, la porta principale chiudersi e i suoi passi lenti sulle scale. Infine bussa alla mia porta. Due colpetti innocui che scatenano in me una furia titanica inimmaginabile.
Lui non può andarsene, lasciarmi sola e poi tornare come se niente fosse.
Durante la notte ho avuto modo di riflettere e sono pronta ad affrontare con lui l'argomento. Sappiamo entrambi che questo non va bene e che ho bisogno di trovarmi circondata da una famiglia e non di sentirmi costantemente rifiutata o abbandonata da lui.
«Erin, sono tornato. Ho visto la finestra aperta e te rannicchiata sulla soglia, so che sei sveglia.»
Non rispondo. Attualmente non riuscirei a dire la cosa giusta. Torno a vagare con lo sguardo fuori spingendomi sulle montagne, sulle punte più alte degli alberi, sui tetti delle case in lontananza mentre una lieve folata di vento mi accarezza la pelle.
Bussa di nuovo. «Apri la porta», usa un tono più deciso.
Intuendo che la tranquillità sia appena finita, mi alzo andando ad aprire ma rimango dietro la porta a guardarlo come se fosse un estraneo.
Difronte al mio atteggiamento così schivo, ha un attimo di esitazione. È come se avesse dimenticato il discorso preparato durante il viaggio di ritorno. Ma sa che non esistono parole per guarire una simile ferita, quella della delusione.
«Ti ho portato la colazione», abbozza un sorriso sventolandomi davanti la busta dalla quale proviene l'odore dello zucchero a velo.
Crede di potermi comprare in questo modo?
Gli chiudo la porta in faccia. «Mangiala con il tuo lavoro la colazione e lasciami in pace.»
«Erin, non puoi tenermi il broncio per questo. È il mio lavoro. Sai come funzionano le cose. In fondo era solo una stupita cena. Possiamo recuperare quando vogliamo.»
Infuriata, apro di nuovo la porta guardandolo male. «Una stupida cena? Tua figlia ti prepara qualcosa di non congelato per stare un po' con te e... ed è solo una stupida cena per te? Sai una cosa? Sono stanca di vivere in questa stupida casa. Voglio andarmene e penso proprio che ritornerò dai miei nonni. Almeno lì so di non essere abbandonata a me stessa. Perché al contrario di te, loro ci pensano a chiedermi se sto bene o se sono viva.»
«Non ho usato il termine giusto. Volevo dire...»
«Che sei così impegnato da non trovare il tempo da dedicare a tua figlia che, notiziona per te: non può stare da sola tutto il tempo perché è minorenne. Non ti sei neanche chiesto dove sono stata ieri sera né con chi. Perché tu lavori, mangi e vivi lo stesso anche senza di me. Quindi adesso chiami mamma o chi cazzo ti pare se non vuoi parlare con lei e li informi che me ne ritorno a casa. Non ho più nessuna intenzione di stare ancora qui.»
Incassa le mie parole non commentando il linguaggio scurrile appena usato. Passa la mano sulla nuca massaggiandola. Ha di nuovo quell'espressione da cane bastonato stampata in faccia.
«Sai che non posso farlo.» Appare a disagio non appena pronuncia queste parole.
Assottiglio gli occhi preparandomi mentalmente ad una nuova pugnalata nel petto. «Perché non puoi farlo? Che c'è di così difficile? Devi solo chiamare la tua ex moglie e dirle che rispedisci al mittente il suo pacco con o senza la sua approvazione.»
Sta già negando. «Non posso», sospira. «Vuoi davvero andartene? Ti trovi così male qui? Ha tutta la libertà e...»
«Perché non puoi?», ripeto la domanda non comprendendo dove vuole andare a parare.
«Perché tua madre ha firmato il documento.»
Batto le palpebre frenando ogni genere di risposta velenosa che mi salta in mente. «Quale documento?», balbetto.
Si agita sul posto. «Quello in cui mi viene affidata la tua custodia. Me lo ha inviato per fax e non puoi tornare indietro.»
«Un momento... Che cosa?», alzo il tono di qualche ottava. «E pensavi di dirmelo?»
Distoglie lo sguardo. «Non sono cose che ti riguardano.»
Strabuzzo gli occhi. Li sento uscire proprio fuori dalle orbite. «Non mi riguardano? Quando avevo sette anni però mi riguardavano i vostri fottuti litigi su chi tenermi per il weekend o quando vi faceva più comodo», mi muovo in camera infilando tutto dentro la valigia lasciata aperta dentro l'armadio. «Vi faceva comodo quando dovevate togliermi dai piedi perché tu eri sempre impegnato con il tuo amato lavoro e non potevi lasciare i pazienti e lei a fottersi il vicino di casa o chiunque respirasse perché eri troppo impegnato per darle le attenzioni che una donna esige!» Le corde vocali si tendono e tremo visibilmente presa da un attacco di rabbia che mi invoglia a reagire male, ad odiarlo con tutto il mio essere.
«La verità è che siete due stronzi egoisti!»
«Non parlare così! Sai benissimo che ti vogliamo bene e che non abbiamo mai voluto causarti dei traumi...»
Mi fermo a pochi centimetri dal suo viso. «Hai la minima idea di quante volte ho immaginato di tagliarmi le vene per non sentirmi morta dentro? Sai quante volte non sono riuscita a chiudere occhio perché c'era un maniaco in casa che voleva infilarsi nel mio letto ogni notte? Sai quante volte ho pensato di volere morire per togliermi di dosso il disgusto per una vita che non ho cercato ma che mi avete dato abbandonandomi?», sbraito perdendo la voce. «Ti rendi conto che mi hai rovinato la vita buttandomi fuori quando ero ancora una bambina?»
Posa le mani sulle mie spalle dopo avere portato la valigia dentro l'armadio. «Adesso calmati!»
Me le scrollo di dosso spingendolo. «Non toccarmi! Sei solo uno stronzo! Proprio come tutti del resto. Sei uno stronzo egoista privo di affetto. E io ti odio! Ti odio!», picchio i pugni sul suo petto per allontanarlo.
Cerca ancora di calmarmi. «Erin, torna in te. Tra poco ti sentirai male.»
«Non avete mai pensato al mio bene ma solo ai vostri interessi. Io volevo un po' di amore... solo un briciolo di amore e me lo avete negato.»
Mi stacco da lui recuperando il giubbotto e la borsa. Ho le guance in fiamme e la voce spezzata dall'affanno.
«Dove vai?»
«Che ti importa?»
Scendo le scale di corsa e mi segue bloccandomi. «Erin, devi calmarti. Sei nel panico e non puoi uscire in questo stato. Parliamone.»
«NO!», urlo. «Io non parlo con te. Mi hai tenuta lontana per anni e adesso cerchi di fare il padre? Non sei capace. Non lo sei mai stato. Adesso lasciami andare e tornatene al tuo fottuto lavoro!»
Posa due dita sul naso. «Dove stai andando?»
«Visto che mi toccherà stare ancora in questo fottuto paese contro la mia volontà, esco comportandomi da adolescente. Si, notizia per te: sono ancora una ragazzina mentre tu sei l'adulto.»
«Aspetta...»
Mi scanso. «Non riesco neanche a guardarti in faccia, in questo momento mi fai schifo. E digli pure alla tua ex moglie che può andarsene dritta al diavolo e che spero che Harvey le faccia le corna con una ventenne, perché lo merita davvero come una risposta da parte del karma», detto ciò corro alla porta. Mi volto ancora una volta. «Spero di non trovarti al mio ritorno perché non ho nessuna intenzione di parlare ancora con te e di vederti», sbatto la porta principale alle mie spalle e corro fuori.
Mi chiedo sempre quanto sia difficile affrontare un tradimento. Ma poi, che cos'è esattamente?
Io vedo il tradimento come una macchia d'inchiostro caduta su una pagina bianca. È sporcare quella purezza di un rapporto, di un sentimento che rischia di rimanere intaccato per sempre. E non è facile ripulire una macchia che ha causato un grosso danno. Non è facile tornare indietro. Essere gli stessi.
Nella vita molte sono le persone che mi hanno tradita. Alcune le ho perse perché non meritavano il mio amore, altre le sto lasciando per orgoglio.
Mi incammino in direzione della piazza principale con la mente piena di pensieri che si annidano nel profondo togliendomi il respiro e la capacità di essere razionale.
Sono così distratta e intenta a calmarmi prima di avere un crollo nervoso da non accorgermi di avere attraversato la strada senza guardare e sono così tanto confusa da rischiare di essere investita quando mi fermo di colpo senza preavviso.
Mi ritrovo a pochi centimetri dalla gamba il fianco di un'auto sportiva che frena appena in tempo facendo stridere gli pneumatici sull'asfalto umido. Il suono del clacson riempie il silenzio rimbombando intorno, facendomi sussultare e accorgere di quello che sta effettivamente accadendo.
Scivolo a terra. Le mie gambe non sorreggono il peso del mio corpo. Mi ritrovo in stato confusionale e non riesco a muovermi.
Sento una portiera sbattere e poi qualcuno inginocchiarsi accanto a me.
«Erin, Erin stai bene?»
Batto le palpebre, sento la voce distorta prima del fischio alle orecchie e poi come una fitta improvvisa ad attraversarmi con forza il cranio. Stringo i denti voltandomi di scatto.
«Erin...»
Finalmente torno al presente. Shannon mi stringe per le spalle scuotendomi ed io lo vedo. «Si, sto bene», dico scrollandomi con delicatezza le sue mani di dosso. «Sto a meraviglia», ripeto più per convincere me stessa che sia vero.
Shannon scruta nei miei occhi cercando la verità ma non lascio trasparire niente. Infatti sembra, oltre che allarmato, turbato. «Riesci ad alzarti?»
Annuisco incerta. «Si, si. Non mi sono fatta niente.»
Corruga la fronte. «Erin, sei in stato confusionale. Che cosa ti è successo? Qualcuno ti ha fatto qualcosa?»
Nego poi annuisco e infine nego ancora fissando l'asfalto sulla quale sono ancora seduta con le gambe piegate e una mano sulla striscia bianca sbiadita. Non riesco ancora a muovermi.
«Posso offrirti la colazione? Stavo andando al "Chocolate Shop" a mangiare qualcosa. Ti va?»
Guardo le mie dita arrossate dal freddo. «Si, ok.»
Mi aiuta a sollevarmi. Controllo subito di essere tutta intera. Non ho un graffio.
Shannon mi apre la portiera della sua auto e mi siedo composta sul sedile del passeggero senza pensare alle possibili conseguenze di una simile azione.
Quello che voglio in questo momento è non sentirmi così stanca e così arrabbiata da avere voglia di mettermi a urlare.
Nell'aria qui dentro aleggia il fumo di una sigaretta e l'odore di un dopobarba costoso ma estraneo alle mie narici.
Shannon alza il riscaldamento ma lo spengo velocemente aprendo il finestrino, guardando fuori la fila di case che si susseguono e sono tutte uguali in questa nuova strada che non avevo ancora esplorato. La particolarità del quartiere sono i colori pastello. Variano dall'azzurro al giallo al rosa ma sono tenui, come quelli usati per decorare le uova pasquali.
«Il quartiere dei King», mi tiene aggiornata vedendomi curiosare, ancora non del tutto connessa con il mondo.
«Alcuni vivono qui da anni, altri si sono spostati verso la periferia per avere una villa più ampia e vistosa. Sai come sono...», spiega sprezzante.
Spegne la musica e anche la sigaretta che ha acceso non appena siamo entrati in auto. La tolgo prima ancora che riesca a premerla dentro il posacenere e prendo due lunghe boccate rilassandomi sul sedile, sentendo il bisogno di aspirare qualcos'altro. «Hai solo sigarette?», chiedo con voce afona.
Shannon mi toglie la cicca dalle mani schiacciandola. «Risponderò a questa domanda se mi dirai che cosa ti è successo. Prima però dobbiamo mangiare qualcosa. Scommetto che non hai cenato, hai bevuto tanto e qualcosa ti ha fatto saltare la colazione. Hai una faccia...»
Lecco le labbra sentendo in bocca il gusto della nicotina, del tabacco arrotolato nella cartina. Annuisco. «Probabilmente mi dirai che ci sono cose ben peggiori.»
Si ferma nella piazzola non asfaltata accanto a due grosse moto poi valuta se entrare o meno. «Prendo la colazione e andiamo a mangiarla da qualche altra parte? Preferisci stare in un posto tranquillo?»
Alzo le spalle. «Come vuoi. Solo se non corri il rischio di essere ammazzato per colpa mia.»
Sorride sfiorandomi una guancia. «Nessun rischio, principessa. E poi, ne vale la pena. Scelgo io o hai preferenze?»
«Fai tu. Niente di salato», gli passo la carta ma rifiuta.
«Mio l'invito, mio il conto», dice rifiutandosi con una smorfia, come se anche solo il pensiero lo facesse rabbrividire. «Da dove vieni tu forse si fa a metà, qui funziona così. Quindi sentiti in dovere di ricambiare, prima però dovrai invitarmi», strizzandomi l'occhio esce dall'auto entrando al "Chocolate Shop", uscendone dopo circa cinque minuti con un sorrisetto e una busta di carta abbastanza grande.
«Ha svaligiato la vetrina?», domando priva di entusiasmo ma in parte stupita.
Mette la busta sulle mie gambe avviando il motore dell'auto creando un gran polverone quando, dopo avermi detto di reggermi, facciamo una pericolosa svolta percorrendo un sentiero scosceso che ci conduce in una piccola area attrezzata nel bosco dotata di tavoli e barbecue creati con i mattoni.
Inarco un sopracciglio. «Dove siamo esattamente?»
«Qui è dove festeggiamo i compleanni o portiamo le ragazze per fare colpo su di loro», spiega alzando entrambe le sopracciglia. «Hai capito quello che intendo.»
Sbircio dentro la busta ma lui me la sottrae. «E noi due siamo qui per... un compleanno o perché vuoi... fare qualcosa con me dopo la colazione?»
Ride. «Per quanto mi piacerebbe siamo qui solo per fare colazione», mi incita a seguirlo fuori dall'auto.
Scendo togliendogli il fagotto, tenendolo stretto tra le braccia lasciando che scelga uno dei posti migliori.
Ci sediamo su un tavolo costruito in muratura. Le panche hanno una superficie di legno lucido che odora di colla e resina.
Mi siedo accanto a lui che mette sul tavolo due tovagliette di carta del locale e poi sopra due contenitori di plastica con dentro la colazione e due bicchieri di caffè.
«Hai decisamente svaligiato la vetrina per fare colpo», guardo la fetta di torta al limone, i pancake al cioccolato con un vasetto di miele, la piccola crostata, il muffin le due barrette ai cereali con il miele sopra.
Shannon mi sorride. «Non avevo mai fatto colazione con una ragazza. Ero un po' in difficoltà in effetti, così ho preso un po' di tutto. Spero di avere scelto almeno qualcosa che ti piace. Adesso smettila di pensare troppo, mangia, goditi la tranquillità, la mia compagnia e la colazione.»
Apro il coperchio di plastica del contenitore trasparente poi bevo un sorso di cappuccino. «Sei stato bravo», decido di incoraggiarlo.
Sollevo il viso guardando il ritaglio di cielo che si intravede tra i rami sentendo il battito d'ali di qualche uccello e il suono dell'acqua che scorre da una fontana. Il resto qui è pace, silenzio. Un posto in cui stare bene.
Assaggio la torta al limone e pezzo dopo pezzo riprendo il controllo di me stessa, delle mie azioni. La mente si libera dai cattivi pensieri alleggerendomi il petto dal peso che continua a schiacciarmi da ore.
«Allora, mi spieghi che succede?», mette in bocca un pezzo di muffin bevendo un sorso di caffè. Ha già spazzolato la sua colazione salata e adesso stiamo dividendo il muffin, le barrette e i pancake.
«So che sembra una cosa stupita ma ti assicuro che per me non lo è», dico sentendomi sotto osservazione.
Shannon però mi fa cenno di proseguire rispettando il mio disagio senza fare interventi inutili.
«Ieri mio padre mi ha dato buca. Avevo cucinato le bistecche e tutto il resto mentre parlava con la vicina, ma quando è arrivato mi ha detto che doveva andare in ospedale. Lo fa sempre», sospiro.
Avvicina il muffin alle mie labbra. Do un piccolo morso e lui si concentra sulla mia bocca a cuore abbastanza carnosa.
«Se lo fa sempre dovresti essere abituata, no?»
«Direi di sì, ma pensavo che una volta tanto avrebbe scelto me. Chiedevo solo un paio di minuti da passare con lui.»
Pulisce le labbra. «E poi che altro? So che c'è qualcos'altro!»
Deglutisco a fatica. Bevo concentrandomi per non smarrirmi di nuovo al ricordo negativo di quello che è accaduto dopo essermene andata con Kay dal locale.
«Ho litigato di brutto con Kay mandandolo a quel paese e poi: questa mattina ho saputo che mia madre non mi vuole più tra i piedi e che non posso andarmene da questo posto così... soffocante...», gesticolo.
Si alza andando a gettare i contenitori vuoti dentro i vari bidoni. Pulisce le mani con la salvietta che gli passo e si mette vicino. «Quanto è grave il litigio con Kay?»
«Abbastanza da non volerlo più vedere fino al giorno del matrimonio del fratello.»
Fa una smorfia. «Ah, quello...»
«Tu lo sapevi?»
«Ti avevo detto che non mi sarei schierato ma non avevo detto che già sapevo i piani di quel pazzo squilibrato. Lo avevo avvertito di non farlo. Già che ci siamo... puoi dirmi che ne pensi.»
Rifletto un momento. «Quello che penso sono stupide frasi che non dovrebbero mai uscire dalla bocca di una ragazza. Penso quello che hai detto, che sia uno squilibrato, che lo odio e che non potrò mai fidarmi di lui perché mi usa solo per mandare un messaggio a casa.»
«Vuoi davvero punirlo così tanto?»
«Non credo di riuscire ad accettare quello che ha fatto. Io non ce la faccio. Pensavo di conoscerlo, di poter entrare in sintonia con lui, ma mi ha distrutto quando ho scoperto di non conoscerlo affatto, neanche un po'.»
Shannon passa la mano tra i capelli poi sulla nuca. «Kay è nella merda fino al collo. È da tre anni che lotta per non permettere alla sua famiglia di prendersi quello che al contrario per lui ha una grandissima importanza.»
Mi faccio attenta. «E sarebbe?»
«Il fidanzamento. Non ti sei mai chiesta perché non ha una ragazza? È bello, intelligente e vistosamente attraente. Anche i ragazzi più etero del gruppo spesso fanno a gara per avere un posto a sedere accanto a lui.»
Faccio una smorfia. «Con questo che cosa stai cercando di dire?»
«Kay può essere stronzo, scostante e terribile, ma ha dei valori. Inoltre, non per vantarmi di lui ma... sa sempre quello che vuole. Non è mai insicuro su qualcosa. Non allenta la presa, neanche quando pensi che lo abbia già fatto. Apparentemente non è il tipo da relazioni stabili, questo solo perché ancora non aveva trovato la sua stella, quella in grado di illuminare il suo intero universo.»
Avverto una fitta allo stomaco. «E chi sarebbe?»
Mi guarda intensamente. «Davvero non ti accorgi del modo in cui ti guarda e di come lo fai sentire? Erin, tu gli piaci. E non solo... Non farebbe mai a pugni con qualcuno solo perché ti ha sfiorato se non gli importassi. Ovviamente difenderebbe ogni ragazza a prescindere perché è da lui cacciarsi nei guai ma... quando si tratta di te... cambia tutto per lui.»
Mi agito strofinandosi le mani. «Avete parlato?»
Annuisce. «Mi ha chiamato quando lo hai mandato a quel paese andandotene a piedi. Sul serio, Erin?», mi rimprovera con lo sguardo.
«Avevo bisogno di fare una passeggiata per calmarmi. Quando ho saputo che probabilmente si fidanzerà con una ragazza contro il suo volere e io dovrò fare da "escort" per un giorno mi sono sentita un po' arrabbiata...», sospiro. «Com'era quando l'hai raggiunto?»
Shannon alza un sopracciglio. «Dovevi proprio vedere lo spettacolo pietoso a cui ho dovuto assistere a causa tua», mi guarda male. «Era a pezzi, letteralmente. E adesso capisco il significato delle sue parole perché hai la sua stessa espressione da cane bastonato stampata in faccia.»
Gli mollo un colpetto e mi sorride in modo dolce. «Ha parlato tutto il tempo solo di te. Ha bevuto un bel po' alzando il gomito e questa mattina russava così tanto da farmi scappare ma... è un bravo ragazzo in fondo. Tu lo sai meglio di me. Quindi adesso mi toccherà darti una bella lezione perché hai fatto soffrire il mio amico.»
Mi alzo indietreggiando e lui ride picchiando il pugno sul palmo aperto. Anch'io rido finalmente lasciandomi andare e quando si avvicina, anziché scappare, lo abbraccio.
Passa la mano sulla mia schiena tenendomi stretta. «Va meglio, principessa?»
«Grazie», sussurro sulla sua spalla. «Non era mia intenzione rubare il tuo tempo libero.»
Si stacca leggermente per guardarmi. «Scherzi? Ho fatto colazione con una ragazza che non parla solo ed esclusivamente di social network e like ai post pubblicati. Erin, tu ti sottovaluti. Sei intelligente e davvero bella e non solo fisicamente.»
Arrossisco. «Grazie», ripeto.
«Fai attenzione, ok? Non voglio investirti di nuovo per sapere quello che ti succede.»
Sorrido sciogliendo l'abbraccio. «Ero solo un po' scossa e distratta. Mi dispiace.»
Sorvola sulla questione con un'alzata di spalle.
In auto, mi sento più rilassata. «Adesso racconterai della ragazza che ti sei portata nel bosco?»
Ride. «Non mi piace fare sfoggio delle mie conquiste. Ma tu non rientri tra quelle ragazze. Non sei facile da abbindolare.»
Lo prendo come un complimento abbozzando un sorriso. «Dici? A me sembra invece di essere caduta nella trappola del tuo amico come una stupita.»
Nega. «Nessuna trappola. Kay ti vuole davvero nella sua vita. Altrimenti credi che avrebbe continuato a correrti dietro o a chiamarmi per consolarlo?»
Ci guardiamo un attimo e lui mi dà un buffetto sulla guancia fermandosi nel vicolo più vicino alla piazza. «Sta attenta, ok?»
«Anche tu», lo abbraccio.
Scesa dall'auto, guardo Shannon allontanarsi fino a diventare un puntino lontano sulla strada.
Mi abbraccio camminando tra i vari stand. Compro qualche libro da aggiungere alla mia piccola collezione, un sacchetto di noccioline caramellate da mangiare la sera e proseguo scattando un paio di foto che posterò quasi sicuramente sul mio profilo dopo avere controllato chi mi ha cercato e letto i messaggi ricevuti. Questo però solo quando ne avrò voglia. Nel frattempo il mio telefono rimarrà ancora in modalità aereo.
Supero lo stand dello zucchero filato in cui intravedo Dana mano nella mano con Davis, impegnati nella loro momentanea luna di miele e vado a scontrarmi con qualcuno.
Mi volto ed Ephram scosta il contenitore di plastica per guardarmi e mettermi meglio a fuoco. Posa subito sullo stand quello che ha in mano avvicinandosi. «Ehi, ti ho mandato un paio di messaggi.»
«Ho il telefono spento», replico con distacco.
Non si accorge che non riesco a guardarlo o avvicinarmi come prima a lui. Dentro la testa mi frullano molteplici domande su di lui. Che cosa nasconde?
«Come stai?», mi offre un lecca lecca con una pallina di cioccolato piena di scaglie di cocco.
«Ho passato serate peggiori», replico assaggiando. «È buono, che cos'è?»
«Cake pops», risponde prendendone uno per sé alla fragola e panna. L'odore mi provoca una certa nausea.
«Tieni, assaggia questo», dice con un sorriso.
Sento il cioccolato e poi il peperoncino ma non è invadente. «Le mie labbra sembreranno più gonfie del normale», esclamo.
Ridacchia prendendo i contenitori. «Si, adesso devo portare questi da mia nonna. Vuoi...»
«Faccio prima un giro. Grazie per i cake pops.»
Si mette da parte lasciandomi passare. «Se cambi idea sono allo stand. Pizza e biscotti gratis per la Sirenetta», mi prende in giro. «Inoltre ho saputo che ti piace cucinare e che sei brava.»
«Scriverò il tuo nome nella mia lista nera, Ephram!»
«Death note, ne hai uno? Impressionante.»
Lo lascio alle sue cose gironzolando da sola per un tempo apparentemente lungo. Sono molteplici le attrazioni e troppe le persone che si affollano animando questo paese così spento e freddo.
Guardo il teatro delle marionette standomene appoggiata ad un palo, non ho voglia di mescolarmi tra i bambini seduti a gambe incociate in prima fila o tra la folla di ragazzi che stanno assistendo allo spettacolo: una storia di guerra tra Scorpions e King.
A quanto pare le notizie viaggiano nel mondo e tutti attendono la fine dello spettacolo per sapere chi delle due fazioni vincerà.
«Scommetto che alla fine arriverà qualcuno esterno ai due gruppi e li farà fiori entrambi quei due ridicoli re», mi sussurra una voce all'orecchio facendomi tremare ripetutamente e senza sosta come scossa dal vento. Un vento freddo che non ha motivo di tormentarmi ma che per assurdo mi provoca piacere.
Mi irrigidisco sentendo alle spalle la sua presenza, il suo corpo caldo adagiarsi al mio apparentemente freddo, mentre le braccia si infilano tra le mie circondandomi l'addome.
Il cuore mi si scaglia contro lo sterno e il respiro raggiunge in breve tempo i livelli estremi dell'irregolarità. Mi sento la testa leggera ma dalla bocca non esce altro che affanno, come se il mio cervello continuasse a mandare messaggi, istruzioni, comandi a vuoto.
Vorrei mettermi a urlare, fare una scenata in piena regola qui davanti a tutti ma, con la coda dell'occhio scorgo tra la folla suo nonno, e non posso sottrarmi.
«Secondo me tra pochi istanti perderai le braccia», sibilo tra i denti. «Mi farò prestare quella spada.»
Mi avvicina al petto sfiorandomi la guancia con la sua, una sensazione che mi fa precipitare in una spirale di brividi che non hanno fine. «Se avessi voluto allontanarmi per davvero lo avresti già fatto», soffia sulla mia pelle. «E comunque userò quella spada come stuzzicadenti.»
Chiudo per un instante gli occhi mandando giù il nodo che sento stringermi la gola. «Prendo seriamente il mio compito, per questo non mi sono ancora allontanata. In fondo, sono solo un oggetto», provo a staccarmi mentre parte un applauso dai bambini.
Kay mi trattiene usando una forza diversa ed io faccio appiglio ad ogni briciolo di lucidità che mi è rimasto per non cadere ancora nella sua stupita trappola.
«Non lo sei e non lo sarai mai per me», risponde irrigidito. «Ti ho già detto come sono andate le cose. Se eri un oggetto ti avrei già costretta ad andare da lui per mostrarti come un trofeo, ma non lo faccio perché non è affar suo e perché ti rispetto come persona. Aiutarmi non significa usarti o approfittarmi di te.»
«Credi che lui non abbia capito che stai solo fingendo per non mettere un anello al dito ad una ragazza che sarà ben lieta di prendere il mio posto ma in maniera reale?»
Trattiene il fiato. Spinge con la labbra tra i capelli la mia testa fino a farla piegare leggermente e scende sotto l'orecchio strofinando delicatamente con la punta del naso sulla porzione di pelle più sensibile.
Il mio respiro accelera, stringo i pugni dentro le tasche del giubbotto di pelle.
«Non sto fingendo», sussurra lasciandomi un bacio sulla pelle. «E non mi importa quanto ci vorrà per fartelo capire, ci proverò lo stesso a dimostrarti che sei l'unica», si stacca da me allontanandosi.
Mi volto solo un istante per vedere se era reale, se non sto impazzendo. Lui intercetta il mio sguardo, non sorride, mi fissa trasmettendomi chiaramente il suo messaggio, poi dandomi le spalle prosegue a passo sicuro raggiungendo il pub dove intravedo Shannon e i suoi amici. Si siede con loro e iniziano a parlare come se niente fosse.
Batto le palpebre riprendendo fiato. Voltandomi, cercando di riprendermi, scatto una foto al piccolo teatro in miniatura dove il re degli Scorpions e quello dei King stanno combattendo.
Scivolo via dalla folla recandomi nella zona dove si sta portando avanti una piccola degustazione. Vino, salame, formaggio e tante altre squisitezze vengono servite con le dovute norme igieniche ad un prezzo basso. Le persone si affollano in ognuno degli stand per cui hanno pagato ed io mi intrufolo in quello di Ephram. Ho bisogno di capire che diavolo gli è successo ieri e di distrarmi perché il mio corpo vorrebbe tornare tra le braccia di quel folle dagli occhi color ghiaccio che amano solo un calore devastante.
Il taglio al labbro si vede appena e in ogni caso lui chiude la bocca leccandosi la ferita che sembra solo dovuta ad un piccolo morso.
«Grembiule», me ne lancia uno che allaccio velocemente legando anche i capelli. Lavo le mani infilando i guanti.
«Mi serve proprio un po' di aiuto. Erin, lei è mia nonna, Eufelia», mi presenta alla donnona tutta d'un pezzo che sta servendo vassoi interi di biscotti misti confezionati alla perfezione.
Lei mi sorride mostrando uno spazio sui denti graziosissimo e gli occhi le si stringono quasi a fessura facendo spuntare piccole rughe e segni del tempo che non ha quando rilassa la pelle. È davvero bella. Un filo lieve di trucco, unghie laccate di smalto rosso sotto i guanti e vestiti floreali. «Finalmente ti conosco, tesoro», dice con una voce grossa e decisa.
Sorrido. «Ephram ha parlato di me a quanto pare», inizio a confezionare i dolcetti che mi passa su delle teglie calde.
«Da quando ti ha incontrata», lo guarda con un ghigno mentre lui le fa cenno di non aggiungere altro.
Evito di commentare dando il mio contributo. Quando la folla allo stand si dirada finalmente mi affianco ad Ephram. «Ti sei ripreso?»
Gratta la guancia appoggiandosi al bancone di legno con un bicchiere di succo di frutta e un biscotto con lo zucchero di canna sopra. «Mi sento ancora un po' stordito ma sono vivo.»
Inarco un sopracciglio appoggiandomi accanto a lui. «Ti va di spiegarmi che cosa ti è preso?»
Arrossisce e per non fissarlo prendo un biscotto al cacao con le gocce al fondente che ho infornato prima usando una vecchia ricetta di nonna, dando dimostrazione ai presenti che, sembrano avere apprezzato lo spettacolo.
«Sono davvero deliziosi. Devi darmi la ricetta», dice sua nonna prendendone un altro e spostandosi allo stand vicino per farli assaggiare.
Le sorrido lusingata poi aspetto una risposta da parte di Ephram. Lecca la ferita. «Ho avuto un attacco di ira verso una persona con cui non vado d'accordo. Non c'è molto da spiegare», replica spostandosi quando due ragazze gli porgono il biglietto per le focacce.
Mi affianco offrendogli i biscotti. «Quindi non ha niente a che fare con me?»
Deglutisce. «Domanda di riserva?»
Lo guardo male e lui abbozza un sorriso. «Ok, si. Mi è salita addosso una strana gelosia dopo che sei rimasta con lui nel vicolo. L'alcol ha giocato brutti scherzi.»
«Sai che ci ho litigato a causa tua e dell'alcol che ti ha fatto uno scherzo?»
Abbassa il viso poi in maniera quasi sfrontata annuisce come se fosse soddisfatto. «Meglio, non dovresti stare con lui.»
Incrocio le braccia. «Perché?»
Prende fiato. «Non è il ragazzo adatto a te. Ma questo lo sai già e io non ti farò la paternale.»
«Meglio. Non avevo intenzione di stare a sentire le tue motivazioni sul perché io non debba stare con lui. E comunque, perché tu lo sappia, non mi piace quando ci vado di mezzo.»
Prendo una focaccia allontanandomi da lui quando gli si avvicinano delle ragazze che lo guardano con occhi a cuore. Lui cerca il mio aiuto ma alzo il palmi. «Goditi la popolarità mister affronto il "fenomeno" così divento come lui.»
«Ah, ah, divertente!»
Mangiucchio la focaccia osservando attorno distratta dalla musica di un carillon. Sento come una zaffata di profumo e ne vengo avvolta totalmente quando due braccia mi placcano. «Ho saputo che qui ci sono i biscotti al cacao più buoni tra tutti gli stand di pasticceria», sussurra.
Continuo a mangiare. «Vallo a prendere da solo se vuoi un biscotto. Ho saputo che c'è il tuo amico lì.»
Stringe la presa. «No, quello è solo uno psicopatico. Io sono qui per te.»
Morde la focaccia. «E voglio un biscotto», aggiunge biascicando leggermente.
Evito di voltarmi e farmi male con la visione del suo viso così angelico e dannato allo stesso tempo.
Provo a staccarmi e mi trattiene. «Sto andando a prendere un po' di biscotti», spiego. «Non li volevi assaggiare?»
«Vorrei assaggiare anche te ma sei acida oggi.»
Non rispondo. Non saprei che cosa dire. La sua dannata voce mi ha reso immobile e la sua vicinanza mi ha trasformata in una foglia tremula e sul punto di staccarsi dall'albero per precipitare nel vuoto fino a posarsi inerme al suolo.
Mi lascia andare e raggiungo lo stand prendendo un vassoio. Sistemo ordinatamente i vari biscotti. Faccio persino un fiocco sulla confezione e lui mi aspetta con le braccia appoggiate sul bancone ad osservare come un bambino mentre Ephram lo fissa a distanza di sicurezza con astio.
«Ecco!»
Infila una banconota dentro il barattolo e prima ancora che io possa anche solo muovermi mi stampa un bacio sulle labbra. «Grazie», mostra un sorriso sfrontato allontanandosi.
«A quanto pare avete fatto pace», esclama acido Ephram pulendo il ripiano da una macchia invisibile.
«A quanto pare lo hai tenuto d'occhio per tutto il tempo», replico cantilenando. «Sei un guardone!»
Lancia i guanti scoccandomi un'occhiataccia brutale. «Ok, mettiamo in chiaro che ce l'ho con lui e non con te. Non lo voglio tra i piedi quando sei con me.»
«Accordato, ma stava solo prendendo i biscotti. Infatti si è allontanato.»
Sento ancora sulle labbra la pressione del suo bacio frettoloso.
Passa la mano sulla fronte. «Scusa, è solo che non mi piace averlo intorno. Con quel ghigno e quei modi...»
Tolgo il grembiule. «Credo di avere finito per oggi», replico freddamente.
Prima che possa uscire dallo stand mi ferma per un braccio. «Ti va di venire a casa mia? Con Xavier ci stiamo organizzando. Serie tv, panini, popcorn e birra.»
«Quando?»
«Questa sera?»
Valuto la proposta. Non voglio andare a casa tantomeno vedere mio padre. «Posso invitare Dana?»
«Si, certo», appare a disagio.
«Ok, allora a stasera.»
Prendo il telefono.

Erin: "Questa sera sei libera?"
Dana: "Si, che cosa facciamo?"
Erin: "Siamo invitate per un telefilm, panini e birra. Non voglio tornare a casa. Ti va di accompagnarmi?"
Dana: "Si, certo. A stasera :)"

«Scambio di messaggi... e sorriso. Con chi parli?»
Sussulto. «Devi smetterla!», mi lamento con rimprovero.
«Allora?»
«Io e Dana ci stavamo organizzando per stasera», non so perché mi preme dirglielo.
Kay strizza la palpebra. «Posso sapere dove andrete?»
«Da Ephram e ci sarà anche Xavier. Non mi andava di essere l'unica ragazza.»
Contrae la mascella. «Posso imbucarmi?»
«Decisamente no. Prima devi chiedergli scusa in ginocchio», lo punzecchio.
«Ma neanche morto!»
Vedendolo esitare domando: «Che cosa vuoi?»
«Ho sbagliato e non sono all'altezza. Hai ragione, ma sono egoista e non cedo a nessuno quello che voglio io. Inoltre non sopporto l'idea di poterti lasciare anche solo per un istante a qualcuno che ti meriti più di me», fa un passo indietro. «Goditi la serata, sirenetta. Ma sta molto attenta. Ephram non è chi dice di essere ed io non sono uno che si frena facilmente.»
Rimango di stucco mentre se ne va. Me ne sto lì a fissarlo e lui mi restituisce lo sguardo seppur brevemente prima di sparire.
Forse ci meritiamo tutti una persona. Una destinata a legarsi al nostro filo rosso fino a raggomitolarci completamente il cuore. Meritiamo una persona che ci faccia stare bene, che ci faccia sentire liberi, che ci ridoni un po' di quel respiro quando non riusciamo a prendere fiato.
Forse mi merito anch'io una persona. Una che si prenda cura del mio cuore. Una persona che mi abbracci anche quando non voglio essere toccata e che mi faccia sorridere quando sono imbronciata. Una persona che mi guardi e mi capisca al volo. Una persona che sappia ascoltare i miei silenzi.
Forse ho bisogno anch'io di provare amore.

🖤

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now