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BRADLEY

Rivederla è stato come prendere una boccata d'aria fresca dopo giorni di caldo afoso e appiccicoso. Come una goccia di pioggia sulla pelle in una giornata torrida.
Purtroppo tutto è andato a puttane quando l'ho vista con quel medico palestrato. Un uomo alto, possente, pieno di tatuaggi intravisti sotto il camice che la guardava come si guarda la cosa più preziosa della propria vita.
Li ho osservati abbastanza da capire che tra i due ci fosse un legame profondo, anche se lei non ha ricambiato l'abbraccio quando ha provato ad avvolgerla e ad attirarla a sé. In qualche modo la mia presenza l'ha frenata. Si è accorta di me. Forse si è accorta della mia improvvisa gelosia perché mi ha guardato in un modo che non riesco proprio a spiegare e mi è piaciuto così tanto quando ha ignorato la persona con cui era per parlarmi. Ha persino abbozzato un sorriso. È stato davvero magico vedere quelle labbra trasformarsi in qualcosa di divino.
«Tesoro, hai sbagliato strada!»
Merda!
Per poco non sbando. Rallento guardando di sbieco mia nonna che sorride raggiante bevendo dell'acqua con ghiaccio standosene con il braccio sul finestrino aperto e gli occhiali da sole a coprire dalla luce i suoi occhi accesi.
Prendo una traversa per dimostrarle che ho tutto sotto controllo. In realtà non è così. Mi sento distratto da quando sono uscito dall'ospedale. Quella ragazza mi ha fritto il cervello con uno solo dei suoi sguardi, per non parlare di quel sorriso sincero, vero e puro.
Nonna posa una mano sulla mia spalla e per poco non urlo dallo spavento. «Che cosa ti succede?»
Abbiamo mangiato pesce, il suo piatto preferito, in un ristorante del posto. Poi abbiamo preso un gelato camminando lungo il ponte, sotto il sole, avvolti dalla calma e dal rumore dell'acqua. Ma ciò non è bastato a placare il mio animo in tormento. Ho parlato poco e mi sono limitato ad annuire. Non sono mai stato così con lei.
«Niente, perché me lo chiedi?»
Cerco di modulare la voce ma esce comunque un tono stridulo.
Ride. «Non sono stupida e sono nata prima di te. Hai sbagliato due volte strada, non hai ascoltato i miei discorsi e ti sei come eclissato altrove. Hai persino mangiato poco. Devo preoccuparmi?»
Passo la mano sulla bocca prima di grattarmi il mento facendo attenzione alla strada. «No, sto bene nonna. Ho solo avuto uno strano incontro stamattina che mi ha un po' destabilizzato.»
Nonna Gio' si fa subito attenta girandosi nella mia direzione. Posa il bicchiere dentro la borsa capiente e abbassando gli occhiali mi fissa mettendosi comoda, in attesa di una mia spiegazione.
Con lei ho sempre parlato di tutto. Be', quasi di tutto. Ho evitato i dettagli di ogni mia relazione e non le ho mai presentato nessuno. Ma so che posso confidarmi con lei. So che non mi giudicherà mai.
Cambio marcia. «Ho incontrato di nuovo quella ragazza che ho salvato.»
Attendo una sua reazione. Arriva immediata. Sorride raggiante trattenendo uno strillo. «Sai il suo nome?»
Annuisco. «Si chiama Erin Wilson, è la figlia del direttore dell'ospedale William Wilson.»
Nonna apre e richiude la bocca prima di continuare a sorridere. Vedo che si agita sul posto. «Ma guarda che coincidenza! Hai salvato la figlia del direttore dell'ospedale. Quella è gente che conta!», batte le mani e tenendole unite scuote la testa incredula. «Avete parlato?»
Mordo la lingua. «Praticamente le sono finito addosso senza neanche scusarmi. L'ha fatto lei al posto mio. Me ne sono uscito con una pessima battuta. Io... è complicato, nonna. Non so come comportarmi con le ragazze.»
«Con le ragazze o con lei?»
Sento le orecchie prendermi fuoco. È proprio questo il problema. «Già, a quanto pare è lei a farmi uno stranissimo effetto. Ad ogni modo l'ho anche vista con un altro medico. Un certo Shannon.»
Lei riflette un momento. «Quel ragazzone tatuato?»
Annuisco fermandomi davanti casa sua, corrugo la fronte. «L'hai conosciuto?»
«Mi ha fatto il prelievo. Un ragazzo gentile e spiritoso. Era di ottimo umore adesso che mi ci fai riflettere.»
Arriccio il naso. «Lo stai dicendo di proposito?»
Ride e quando scendo aprendole la portiera mi abbraccia affettuosamente. «Non essere geloso. E poi se lei ti ha riconosciuto e ti ha parlato dovrà pur significare qualcosa», mi dà uno schiaffo sulla guancia avviandosi alla porta. «Esci questa sera e divertiti, Brad.»
Saluto nonna Gio' con la mano. «Anche tu con quelle vecchie pettegole e non bere troppo.»
Alza il dito medio e rido entrando in auto.
Le parole di nonna hanno un po' alleviato tutto, come un cerotto a coprire una ferita.
Chiusa la portiera, mi dirigo a casa.
Trovo "Tildo" davanti la porta, scodinzola seguendomi in soggiorno. Mi salta subito addosso, poco prima di portarmi la pallina per giocare con lui. Lo accontento facendolo sfrecciare per la casa mentre do da mangiare a "Lady black". Dopo un paio di minuti gli servo la cena e vado a farmi una doccia.
Mentre sto per entrare dentro il box doccia rettangolare di ceramica scura, ampio, circondato dalle piastrelle nere e dai vetri trasparenti con la parte bassa satinata, sento squillare il mio telefono.
Stan non chiama mai senza una buona ragione e di sabato. Soprattutto quando sa che ho bisogno di riposare.
Apro il getto dell'acqua per fare arrivare quella calda. «Stan, che succede?»
«Amico, ho bisogno del tuo aiuto», dice agitato.
Mi viene da ridere. Un uomo della sua stazza non dovrebbe avere paura di niente, soprattutto di una donna intelligente e spiritosa. Perché qualcosa mi dice che sia proprio lei il problema.
«Dimmi il piano», passo al dunque, evito di prenderlo in giro, anche se mi piacerebbe.
«Le ho chiesto se era libera e andrà con la sua amica al "Room 74". Amico, lì è pieno di gente ricca e uomini alcolizzati. Col cazzo che la lascio andare in quel posto. Sei con me?»
Il pensiero di Erin in quel locale mi fa irrigidire e non poco. Non so, chiamala sensazione. «Si», non ho bisogno di aggiungere altro. Andrò con lui e faremo attenzione.
«Passo a prenderti dopo cena», riaggancia ed io poso il telefono rilassandomi sotto la doccia.
Lasciando scorrere l'acqua sul mio corpo, cerco di non pensare troppo a lei, a come reagirà quando saprà che Stan e la sua amica hanno organizzato tutto quanto. Non oso neanche immaginare la sua espressione non appena ci vedrà arrivare o mi troverà a pochi passi da lei. Darò l'impressione di uno stalker? Non è quello che voglio. Ecco perché le starò alla larga. Ho notato come ha reagito di nuovo oggi quando le nostre mani si sono strette. Ha sussultato. Mi chiedo per quale ragione abbia questo genere di reazione.
L'acqua calda finisce di colpo e picchio il pugno contro le piastrelle uscendo dalla doccia insoddisfatto.
Dannato scaldabagno. A quanto pare mi toccherà aggiustarlo da solo quando avrò tempo.
Indosso una camicia bianca arrotolando le maniche sugli avambracci, pantaloni blu e scarpe sportive. Aggiusto un po' la barba e metto due gocce di profumo. Mi guardo allo specchio. Mi sento troppo in tiro e sbottono i primi due passanti.
«Che cazzo, Brad!»
Mi do un ceffone sulla guancia per riprendermi e tornando in soggiorno gioco con il mio cane fino a quando non arriva Stan suonando il clacson della sua auto sportiva di un blu elettrico.
Non appena salgo picchia i palmi sul volante ridendo e urlando come un pazzo. «Serata a quattro, amico!»
Chiudo la portiera guardandolo con freddezza. «Odio il tuo entusiasmo.»
Mette in moto. «E io amo il tuo pessimismo. Magari sta sera finalmente ritroverai il sorriso. Ho notato, sai...»
Lo guardo pieno di domande. «Non ti seguo.»
Aumenta la velocità facendo rombare il motore. Dentro l'abitacolo c'è odore di menta. «Ti è successo qualcosa e so che sono poche le volte in cui sembri preso così tanto da essere distratto. Potrei contarle persino sulle dita della mano. Sputa il rospo vecchia volpe!»
Si ferma ad un semaforo agitandosi sul sedile. Stan ha molti difetti. Ad esempio: è un tipo ansioso. Questo però non ha mai influito sul nostro lavoro. Facciamo sempre squadra e il fatto che stia andando a sbattere dritto contro un muro a causa sua, per fargli conquistare quella ragazza, ritrovandomi davanti un'altra che ammetto mi attrae e non poco, la dice lunga sulla nostra amicizia. Farei di tutto per lui. Per me è come un fratello.
«Oggi l'ho rivista, ok? Adesso possiamo sbrigarci?»
Frena di colpo. «Cosa? NO!», urla così forte da perforarmi i timpani. «Mi devi dire che cosa è successo.»
Gratto la testa. «L'ho incontrata in ospedale ed era con un uomo.»
Stan non sa che cosa dire. Dopo un breve istante chiude la bocca rimuginando su qualcosa. «E credi che questo basterà a fermare le nostre indagini? Non ha un cazzo di anello, te lo faccio notare anch'io. Quindi per te vale lo stesso principio. Niente anello, niente fidanzamento. Sei ancora in pista.»
Riprende a guidare e io fisso fuori dal finestrino le insegne dei locali, i pedoni che attraversano le strisce, le luci della città caotica in cui ho sempre vissuto. Per un momento mi chiedo se sarà mai tutto rose e fiori per me. Non ho avuto molta fortuna in fatto di donne e qualcosa mi dice che non sarà una passeggiata neanche stavolta. Ma non intendo correre. Voglio solo conoscere questa persona che mi ha incuriosito sin dal primo istante.
«La mia è solo curiosità.»
Sorride perfido. «Certo e io non voglio portarmi a letto quella bella rossa.»
Alzo gli occhi al cielo. «Sei così disperato?»
«Tu no?», mi guarda sconvolto.
«No. Non c'è solo quello. Se vuoi conquistarla davvero non sarà portartela subito a letto a farla davvero tua. Domani si sarà già pentita di avere corso troppo e magari tu non sarai bravo come credi e la deluderai.»
Stan riflette sulle mie parole fermandosi nel parcheggio sotterraneo dove vi sono tantissime auto e persone pronte a godersi il sabato sera dopo una lunga settimana di lavoro.
Stan appare improvvisamente a disagio. Uscendo dall'auto mi cammina accanto allargandosi la cravatta. «Hai ragione», dice così a bassa voce che per un attimo penso di avere sognato tutto.
«Che cosa hai detto?»
«Che hai ragione. Come faccio a comportarmi bene?»
«Parla con lei, ascoltala, chiedile dei suoi interessi oltre la pasticceria. So che sembra noioso ma potresti stupirti di quante cose puoi imparare da una persona che pensi di conoscere solo perché hai fatto delle ricerche su di lei. Magari nasconde che ha la passione per le figurine dei calciatori o che tiene sotto il letto una pistola.»
Mi posa una mano sulla spalla. «Pensi che ci riuscirò?»
«Ne sono sicuro. Stan, noi non siamo come quegli stronzi che si approfittano delle ragazze prendendole in giro per portarsele a letto. Noi rispettiamo le donne e diamo loro il tempo che vogliono per lasciarsi andare.»
«In caso contrario, preparati ad una lunga settimana di piagnistei da parte mia. E comunque grazie, Brad.»
Infilo i pugni dentro le tasche trattenendo una risata. «Dovere!»
Mi guarda storto e rido forte quando mi dà un pugno sulla spalla. «Sto scherzando. Andiamo e divertiamoci, ok? Se sbaglierai qualcosa te lo farò notare.»
Annuisce. Dopo qualche istante arriviamo al "Room 74". Il buttafuori, un ragazzo alto quanto Stan ma meno muscoloso, ci lascia subito entrare quando il mio amico gli mostra l'invito inoltrato da Samantha.
Il locale è un posto esclusivo ma la sicurezza non è mai abbastanza e, nonostante i controlli qui dentro si verificano quasi sempre risse e altre spiacevoli situazioni. Ma è comunque il posto più frequentato dalle persone per la buona musica, per l'alcol e per il rimorchio.
«Non è proprio il posto in cui mi aspettavo di trovarmi», dico guardandomi intorno e domandandomi perché piaccia così tanto a quelle due ragazze.
Poi però raggiungendo il centro della sala, mi rendo conto di essermi sbagliato. I miei occhi vagano per un breve lasso di tempo ovunque prima di fermarsi più che attratti. La vedo immediatamente. Attira il mio sguardo come il ferro con la calamita.
Stan, mi fa cenno di recarci al bar fermandoci al bancone dove ci sediamo sugli alti sgabelli con il cuscino di pelle scuro ordinando qualcosa da bere.
L'aria è un miscuglio di profumi. Dal bar arriva una zaffata di odore di frutta appena tagliata e lime.
La vedo avvicinarsi alla zona bar e prima che possa ordinare qualcosa, faccio un cenno al barista offrendole un giro di tequila. Lei beve guardandosi smarrita intorno, dice qualcosa al ragazzo che ha tatuato sul viso delle stelle poi torna in mezzo alla folla mentre Samantha ci raggiunge con un ampio sorriso.
Stan solleva gli occhi dallo schermo divorandola con lo sguardo in meno di pochi istanti. «Ehi», la saluta allegramente dandole una strizzata sulla guancia.
«Ciao», risponde cantilenante, un po' ubriaca appoggiandosi con una mano sul ripiano in onice del bancone. «Come va?», sorride guardandoci entrambi.
«Bene, tu? Ti stai divertendo?»
Fa una smorfia. «Credo di avere perso Erin. È andata a prendere da bere e non è tornata in pista», ridacchia. «Scusatemi un attimo, vado a prenderla, vi raggiungiamo subito», guarda intensamente Stan e si dilegua tra la folla.
Stan sospira passandomi una mano sul viso prima di bere avidamente.
«Secondo te è andata bene?», prende un altro bicchierino di liquore.
«Le hai detto solo "ehi". Rilassati, Stan. Sei un ammasso di nervi e si nota. È solo Samantha Young, una pasticciera che ti riempirà di panna e ti leccherà tutto se ti comporterai da galantuomo», lo provoco.
Ride rilassandosi. «Sai come calmarmi», ordina un altro giro per entrambi.
Brindiamo poi i miei occhi vagano verso la pista da ballo. Rimango senza fiato, con il bicchiere sulle labbra.
La vedo. Un fascio di luce sulla sua testa che si muove facendo sollevare i capelli che ha piegato in morbide onde. Sta ballando con la sua amica senza lasciarsi andare del tutto.
E mi accorgo delle differenze tra lei e Samantha. Erin è più riservata, attenta, impacciata nonostante abbia bevuto e sia leggermente su di giri; Samantha invece è disinibita, provocatrice, sbadata e un po' troppo diretta. Non che mi dispiaccia un carattere così, ma sono attratto più dalla freddezza della sua amica. Quel suo strano modo di tenersi a debita distanza come se avesse paura di infettarsi.
Poi è di una bellezza senza confronto. Soprattutto quando si morde il labbro ondeggiando in quel modo.
Cazzo, è come un faro nella notte. Ed è così bella con quegli indumenti così semplici addosso e quei tacchi che porta come se non avesse fatto altro nella sua vita. Scommetto che li odia e che ad un certo punto della serata li toglierà.
Di colpo si ferma ascoltando la sua amica.
Samantha le sta dicendo qualcosa all'orecchio ed entrambe si spostano di nuovo verso il bancone.
Un uomo in giacca e cravatta dai capelli lunghi e dalla barba ispida, staccandosi dal gruppo le si avvicina dicendole qualcosa ma lei taglia corto ignorandolo mentre Samantha messaggia con Stan a distanza di qualche metro.
Non appena mi rendo conto di questo, tolgo il telefono dalle sue mani costringendolo a girarsi, indicandola. «Ti rendi conto che la tua futura ragazza si trova a pochi passi da te e un tizio gli si è avvicinato e forse ci sta provando?»
Lui fissa la scena. Quando il tizio si fa di nuovo vicino a Erin però scatto in piedi senza neanche riflettere su quello che voglio fare. Stan è in breve tempo al mio fianco, pronto ad appoggiarmi.
«Pensi quello che penso io?», lo chiede per avere conferma da me.
Ho gli occhi fissi sullo stronzo che a breve riceverà una brutta sorpresa da parte mia e sono troppo occupato per potergli rispondere. Quando poi le tocca il culo non ci vedo più dalla rabbia. Dentro di me esplode come un vulcano una gelosia mai provata per una persona che non conosco affatto. Attraverso in fretta la fila di ragazzi chiassosi a pugni chiusi, pronto ad attaccare quel bastardo ma sono costretto a fermarmi. Lei, si difende immediatamente. Non cerca aiuto. Lo fa da sola. Afferra il polso dell'uomo torcendolo e con una mossa degna di un poliziotto glielo porta dietro la schiena sbattendogli la guancia sul bancone del bar ringhiandogli all'orecchio qualcosa prima di lasciarlo andare.
Sorrido sbalordito da tanta forza. Incrocio le braccia guardandola con maggiore ammirazione. Non credo di avere mai visto niente di simile. Da una ragazza certe cose non te le aspetti. Ecco perché adesso ha stuzzicato dentro di me una maggiore attenzione.
Mi piace.
Lo ammetto a me stesso. Non posso negarlo neanche volendo. Il suo carattere non solo mi attira, mi scatena dentro strane onde elettriche. Mi fa sentire pieno di adrenalina e vita.
Samantha le getta le braccia al collo più che contenta della sua reazione avuta nei confronti di quel porco, ma lei, sguardo freddo, nervoso e occhi sfuggenti, le risponde dicendole qualcosa, che non riesco proprio a sentire a causa della distanza in cui mi trovo, spingendola verso il bagno quasi aggressivamente.
Erin sembra improvvisamente agitata.
Qualcosa non va in lei, me lo sento.
Dentro di me si sprigiona di nuovo quella curiosità che mi spinge a fare qualche altro passo avanti. Però non ho il tempo di raggiungerla perché succede tutto in un nano secondo. Il tizio, torna all'attacco. Samantha, lancia un grido abbastanza alto per la sua amica quando viene sbattuta contro la parete. In molti si fanno avanti provando a difenderla. Persino io, pronto a fare fuori quel troglodita di merda.
Ancora una volta lei mi stupisce facendo un gesto estremo. Molla una ginocchiata sulle palle a quel bastardo facendolo piegare in due dal dolore e mentre è occupato a tenere le mani in mezzo alle gambe, lei guarda verso il bancone. Si avvicina rapida a questo afferrando una bottiglia vuota, la spacca e tenendo ben impugnato il coccio di vetro, punta alla gola del bastardo con una forza che non ci si aspetta di certo da uno scricciolo come lei.
Gli urla addosso controllandosi a stento. Da questo, solo da questo gesto comprendo che deve avere vissuto qualcosa di spaventoso e distruttivo per la sua psiche. I suoi occhi sono ciechi. Le trema la mano ma mantiene ugualmente il suo sguardo sul suo obbiettivo. Non indietreggia, non ha paura di ferirlo, anzi, schiaccia all'angolo quel verme dando a tutti una fortissima lezione sbraitandogli addosso come una comandante, come una eroina pronta a lottare per le donne.
La musica si interrompe, i respiri vengono trattenuti mentre il bastardo alza le mani atterrito e poco dopo le chiede scusa in ginocchio prima di essere sbattuto fuori a calci insieme ai suoi amici, più che indignati dal suo comportamento e da quello che potrebbe fare Erin se mai dovesse sporgere denuncia.
I miei occhi però, non seguono quel maiale. Avrei voglia di rincorrerlo e farlo fuori, ma non riesco a muovermi. Neanche lei all'inizio lo fa. Poi ha come un momento di lucidità, sussulta visibilmente, trema lasciando cadere a terra il pezzo della bottiglia, guardandolo con disgusto.
Si volta di scatto accorgendosi che la sua amica sta tenendo stretto il braccio di Stan mentre io sono accanto a loro senza sapere come ci sono arrivato.
Ci fissiamo per un lunghissimo istante. Il mio cuore rallenta e non appena lei respira a fatica indietreggiando, guardandosi intorno smarrita, mentre tutti iniziano a complimentarsi, ad applaudire, scappa fuori.
«Erin...»
Samantha non riesce a parlarle. Non riesce neanche a seguirla. Sembra atterrita quanto lei. Tappandosi la bocca si volta trovando scudo sul petto di Stan che impacciato le avvolge delicatamente le braccia intorno, senza stringerla troppo, per proteggerla. Non sento neanche quello che le sussurra il mio amico per farla calmare. Riesco solo a percepire la sua voce spezzata da un pianto improvviso e distorta ancora dell'alcol che va scemando dal suo corpo coperto dai brividi.
«Avrei dovuto proteggerla e non portarla in questo posto», piagnucola. «Avrei dovuto ascoltarla e invece ancora una volta mi sono comportata da egoista. Lei è sempre stata buona con me, accondiscendente e io... io le ho provocato tutto questo.»
«Non è colpa tua», prova a dirle Stan. «Non potevi prevedere che quel porco le si sarebbe gettato addosso e che lei avrebbe reagito in quel modo per difendersi.»
Samantha nega con occhi colmi di lacrime che iniziano a rigarle le guance lasciando dei solchi e una linea scura in mezzo allo strato di fondotinta che porta sul viso.
«Tu non capisci», inizia con voce spezzata.
Stan prova a parlare ma lei continua. «Erin ha vissuto l'inferno. Quando aveva solo diciassette anni, è stata quasi violentata da un suo amico. L'ha tenuta per giorni segregata in una cantina, l'ha torturata, le ha lasciato addosso dei segni inimmaginabili e indelebili», smette di parlare come se si fosse appena accorta di avere detto troppo.
Tira su con il naso. «Scusa, non avrei dovuto. Che razza di amica sono? Io...», staccandosi da Stan, corre fuori.
Io e il mio amico ci guardiamo per un lungo istante più che sconvolti e frastornati. Leggo il mio sgomento nei suoi occhi confusi e scossi da una notizia così forte.
Alla fine gonfia il petto. Mi posa una mano sulla spalla stringendo un po' la presa, incoraggiandomi. «Andiamo», dice distratto, balbetta quasi.
Non sappiamo che cosa dire. Non sappiamo se discuterne. Non ci sono parole per certe cose e non si è mai preparati abbastanza alla verità, neanche se detta da una persona esterna e non direttamente da chi ha sofferto.
Usciti fuori, ci guardiamo intorno. Samantha torna agitata. «Non la trovo», dice con una mano sul petto. «È qui da qualche parte. Non si allontana senza di me quando siamo insieme. È la nostra regola.»
Stan l'avvolge di nuovo in un abbraccio. «Ok, calmati.»
«Rimani con lei, vado io», prendo in mano la situazione. Una delle cose che mi riescono meglio in situazioni come queste.
Dentro di me scatta uno strano istinto di protezione per la bellissima ragazza dagli occhi tristi e distanti che è scappata. So perché l'ha fatto. E adesso che in parte ho saputo quello che le è successo comprendo molte cose sul suo strano comportamento nei confronti delle persone. I suoi sguardi diffidenti, schivi. Quel suo modo di trattenere il fiato quando qualcuno le si avvicina e poi quel terrore che ho letto prima di vederla inferocita.
Non c'è niente che cambierei di tutto questo. È come un insieme di dettagli forti e deboli allo stesso tempo. È come un tramonto dai colori sgargianti e poi una tempesta improvvisa.
«Bradley?»
Mi volto prima di sparire nel vicolo. Samantha si morde il labbro. «Non dirle che te l'ho detto. Lei non ne parla mai con nessuno. Sono otto anni che cerca di andare avanti. Mi aveva fatto promettere che avrei custodito il suo segreto.»
Annuisco spostandomi dietro il locale. Qui non c'è nessuno ma tendendo l'orecchio, sento come un sussurro ripetuto.
«Non si muore.»
Mi sporgo e la vedo. Se ne sta appoggiata al muro, le mani sul viso e continua a ripetere quella frase. È in uno stato di agitazione, di panico.
Mi avvicino con le mani dentro le tasche. Si accorge appena di me poi però smette drizzando la schiena. Voltandosi, dandomi le spalle, prova a ricomporsi. Non è una persona a cui piace farsi vedere distrutta. Ammiro questo suo carattere ogni secondo che passa. Fuori è come il sole mentre dentro ha una tempesta forte e distruttiva.
«Bella trovata quella della bottiglia. L'hai vista in qualche film western?»
Si volta mostrandomi un sorriso tirato. Il mio cuore sprofonda in un posto sconosciuto.
«Può darsi. Mi dispiace», la voce le trema.
«A me no», dico sincero. «Ho capito che sai difenderti da sola e hai dimostrato di essere coraggiosa in un momento in cui il panico avrebbe preso il sopravvento su chiunque.»
Alza il viso curiosa. Io mi sento sotto osservazione adesso. «Stavo per tagliare la gola ad un uomo che mi ha palpato il sedere e poi spinta contro il muro.»
«Una psicopatica in un bar, mi piace», la prendo un po' in giro avvicinandomi ancora ma con molta cautela.
Solleva la testa guardando il cielo. I suoi occhi si perdono nell'immenso spazio pieno di stelle in cui lei sembra l'unica che si è spenta e sta fluttuando senza meta.
«Una volta ho spaccato il naso ad un giornalista solo perché stava per fare esplodere un quartiere e ferire una ragazza. Non è la stessa cosa ma è stato un gesto impulsivo e in qualche modo liberatorio. Questo fa di me un pericolo pubblico.»
Sorride. Adesso mi appoggio al muro accanto a lei. Emana un odore gradevolissimo alle mie narici sensibili. Ha un po' di mascara sbavato e le labbra gonfie a causa dei morsi ma è comunque bellissima. In disordine e bella.
«Solo questo? Sei un dilettante!»
Eccola!
«Davvero?», gratto la guancia. «Ok, ti confesso un altro motivo che mi ha fatto ottenere un richiamo. Una volta ho stretto per il collo un ragazzo che aveva appiccato un incendio dentro la sua stanza per protestare contro i genitori che gli avevano sequestrato la sua scorta da fumare con gli amici. L'ho tenuto sospeso, fuori dalla finestra, al secondo piano. Dovevi vedere come urlava e si agitava mentre i miei colleghi con la rete attendevano che lo lasciassi andare.»
Ride. «Non l'hai fatto davvero.»
La guardo intensamente e smette di ridere. Spalanca gli occhi. «Ho rotto le dita e il polso ad una persona. Ho messo K.O. un ragazzo in una piazza pubblica.»
Parlarne le fa un certo effetto. In qualche modo la libera da quelle catene che lei stessa si è legata intorno al cuore per proteggerlo.
Mi stacco dal muro. «Sono sempre in vantaggio nella classifica mondiale del pericolo pubblico.»
Guarda a terra. Si perde per un istante giocando con il tacco delle scarpe sull'asfalto. «Non sono sempre così aggressiva. In realtà non mi è mai piaciuto fare a botte o reagire. Avere la risposta sempre pronta, quello sì.»
«Mi stai dicendo che dovrei lasciarti qui perché altrimenti rischio l'amputazione di due dita della mano? Cara, non sai con chi hai a che fare. Sei un'illusa se credi di liberarti di me tanto facilmente.»
Nega. «No», sussurra.
Vedendola giù di tono lancio uno sguardo oltre il vicolo. Concentro di nuovo l'attenzione su di lei. «Ho fame, ti va un panino... patatine fritte?»
«Dovrei tornare da Samantha. Sarà spaventata e non voglio rovinarti la serata», strofina le braccia sulle spalle.
Le faccio cenno di seguirmi. «La tua amica è con Stan», prendo il telefono avvisandolo. «Gli ho appena detto che sei con me e che stai bene. Per la cronaca non hai rovinato la mia serata, anzi, l'hai resa interessante. Odio trovarmi nei locali pieni di maniaci. Mi sale l'istinto di picchiarli uno ad uno. Allora, ti va uno spuntino?»
Assottiglia una palpebra facendo un passo avanti. «Mi stai invitando a prendere un panino?»
Non ci penso un secondo per risponderle. «Si», cammino ancora. «Nessun secondo fine, se è questo di cui ti preoccupi.»
Sentendo il ticchettio dei suoi tacchi capisco che mi sta seguendo. «Perché lo fai?»
Alzo le spalle. «Deve esserci un motivo?»
Arrossisce ed è dolcissima. «Direi di no ma... prima mi offri un dolce poi qui al locale da bere, adesso un panino. Poi che cosa succede? In che modo dovrei ricambiare?»
Sorrido. È attenta e paranoica. «Le opzioni sono due in ogni caso. Come quando devi scegliere se prendere o lasciare. Se lanciarti o restare ferma. Tutto dipende da te, non da me.»
Si incuriosisce mentre raggiungiamo un furgoncino affollato ad un isolato di distanza dal "Room 74".
Attendiamo dietro la fila di ubriachi e bisognosi di cibo a causa della fame chimica. Qualcuno ci supera ma ad Erin non sembra importare. Non è una ragazza senza pazienza. Questo l'ho capito ascoltando Samantha mentre si incolpava della sua cattiva condotta da amica.
«Quali sono le opzioni dopo il panino?»
«Te le elenco dopo. Tu prendi da bere e io da mangiare?»
Annuisce in fretta mettendosi in fila. Ci guardiamo complici e non so spiegare la sensazione che mi provoca addosso, soprattutto dentro, il suo sguardo.
Prendo due panini al pollo, una vaschetta di patatine e una di crocchette facendomi dare anche delle salse.
Erin si avvicina tenendo tra le braccia due bottiglie di birra e due di acqua. «Non sapevo se avevi preferenze, così ho scelto io. Avendo solo due opzioni, non mi bastavano.»
Infilo tutto dentro il sacchetto di carta. «Andiamo, scricciolo!»
Non appena pronuncio queste parole mi sento stupido ma sorrido tra me e me quando osservandola con la coda dell'occhio, noto che sta trattenendo anche lei un sorriso. Direi quasi che sia più rilassata rispetto a prima. Allontanarsi da quel posto l'ha fatta calmare.
Stan mi invia un messaggio dicendomi che è riuscito a confortare Samantha e che i due stanno andando in laboratorio a mangiare qualcosa di dolce. Mi chiede anche se vogliamo unirci a loro.
Col cazzo che rinuncio a quello che ho ottenuto dopo avere affrontato una ragazza estremamente fragile ma con una forza interiore degna di un gladiatore.
Declino l'offerta dicendogli che ho tutto sotto controllo. Gli auguro una buona serata godendomi la mia, del tutto inaspettata, con la ragazza che credevo di non rivedere.
Ci sediamo sul prato di un parco vicino. Con il sacchetto di carta creo una tovaglia e lei apparecchia divertita distribuendo le pietanze in modo tale da averle entrambi a portata di mano. È anche organizzata.
Toglie le scarpe mettendosi comoda. «Spero sia al pollo», dice indicando il panino avvolto nella stagnola. «Senza cetriolini», scarta lentamente l'involucro annusando il pane.
Mi godo la sua sorpresa quando dando un morso si accorge che ho indovinato. Dalla sua bocca esce un verso di pura estasi. Non credo di avere mai visto una ragazza mangiare così, con gusto, a piccoli bocconi.
Sorrido soddisfatto mentre qualcosa si risveglia in mezzo alle gambe. Sarà dura tenere a bada l'eccitazione se continuerà così.
«Mi devi elencare ancora le due opzioni.»
«Opzione uno: finisce tutto dopo lo spuntino. Opzione due: rischi un altro invito per scoprire dove possiamo arrivare.»
Pulisce l'angolo della bocca. «Che cosa è esattamente? Una sorta di gioco interattivo?»
Nego. «Non siamo su Netflix e non puoi scegliere con un telecomando per poi rifare tutto da capo per conoscere che cosa sarebbe successo se avessi scelto A al posto di B. Vedila come un modo per chiederti di conoscerci meglio. Hai due opzioni in fondo. Io ho già fatto la mia scelta e sono sempre più convinto di non volere cambiare idea.»
«Sei sempre così sicuro di te?»
Scrollo la testa. «Con te mi risulta difficile.»
Corruga la fronte e le si forma una graziosa ruga tra le sopracciglia. Mi piacerebbe toccarla, conoscere ogni angolo del suo corpo. Tengo a bada le mani, i gesti e mi concentro sul cibo.
«Spiegami», prende una patatina.
Le passo il ketchup e lei mi porge a sua volta la maionese che ha già distribuito sulla sua parte di patatine che ha diviso in partenza. Lecca un dito pieno di maionese.
Continuo a ripetere a me stesso di non perdere la concentrazione.
Spalmo la maionese anche sulla mia parte e lei aggiunge il ketchup intuendo che possiamo andare d'accordo su questo insignificante dettaglio.
«Tu mi freni in qualche modo.»
Smette di masticare. «Non pensavo di avere così tanto potere e su uno come te», biascica.
Scuoto la testa. «No, non è questione di potere. In qualche modo hai una strana influenza su di me. Il mio naturale autocontrollo va a farsi fottere. E poi, uno come me? Sono una persona come tante, non sono poi così irraggiungibile, Erin.»
Nasconde ancora quel sorriso dolce passandomi le crocchette. «Strano ma vero anche tu mi fai uno strano effetto. E smettila di guardarmi in quel modo», mi punta una crocchetta di patate contro per ammonirmi.
Rido facendola imbambolare. Ha bisogno di un momento per riprendersi e distoglie lo sguardo battendo le palpebre freneticamente.
«Dico davvero!»
«Come ti guardo?»
Sulle sue guance si forma ancora quel rossore. Quanto la rende sensuale?
«Non te ne accorgi? Strizzi la palpebra leggermente poi mi fissi. Odio quando mi fissano, mi sento a disagio e mi chiedo se ho qualcosa sulla faccia o sui vestiti.»
«Così?»
«Bradley!»
Mi spinge. Il primo contatto che ha con me per suo volere e rido sentendomi sereno e a mio agio in sua compagnia. Mi piace soprattutto quando pronuncia il mio nome.
«Ok, non lo farò più ma solo se continuerai a pronunciare il mio nome.»
«Bradley. Dimmi, la tua risposta implica la seconda opzione?»
«Io sceglierò sempre la seconda opzione. A meno che...»
Inarca un sopracciglio. «A meno che?»
«Sei fidanzata con quel tizio?»
Appare stupita dalla mia domanda diretta. «Shannon? No, è un mio vecchio amico», torna seria e comprendo di avere toccato un tasto dolente.
«Bene, allora perché non scegliere la seconda opzione insieme a me? Se non sono il tuo "tipo" basta dirlo e dopo questo spuntino sparirò dalla tua vista.»
Mi guarda da sotto le ciglia e... oh mio Dio. Ho bisogno di riprendermi. Bevo un po' di birra per placare l'incendio che mi ustiona dentro.
«Perché sarebbe un azzardo?»
Risponde alla mia domanda con un'altra domanda. Ha un non so che ti irritante ed eccitante allo stesso tempo, perché mi permette in questo modo di stuzzicarla.
«Ti spaventa uscire con me per mangiare qualcosa? Non mi sto comportando bene o come si deve?»
«Hai scelto bene il cibo, lo ammetto. Anche il posto. Ma non credo di essere la persona giusta», si intristisce. «Non sono una ragazza da rose, fiori, cuori e da appuntamenti. Come hai visto ho qualche problema.»
Mi metto comodo con le braccia dietro la nuca. Guardo il cielo anche se i miei occhi vorrebbero girarsi e ammirarla. «Ho molta pazienza. Tanto alla fine a chiunque fa piacere ricevere un invito a cena o a pranzo. Anche a te.»
Il mio sorriso la confonde, la disarma. Così anche la mia schiettezza e sicurezza. Non la spaventa però anzi, le dà una ragione in più per controbattere argomentando ogni sua risposta, spiegandomi quello che pensa davvero senza nascondersi dietro una facciata. Non è una che si comporta come vogliono gli altri per farsi piacere. È spontanea, seppur chiusa ermeticamente nel suo mondo.
«Potrebbe essere un vero inferno per te.»
Mi sollevo tenendomi sul gomito. Adesso ha stuzzicato la mia curiosità e ho bisogno di sapere. «Perché? Credi che questo possa spaventarmi? Ci vuole ben altro, fidati.»
Gioca con un filo dei jeans. «Potrei avere un passato difficile che mi impedisce di fidarmi delle persone e avere qualche problema a farmi toccare. Non so se hai notato ma stavo per ammazzare uno che mi ha palpato il sedere.»
«Non sarà difficile mantenersi a debita distanza. Farò finta che puzzi. Scegli tu quanto.»
Mi guarda per capire se sto dicendo sul serio, se so in cosa mi sto cacciando. Non sono mai stato tanto sicuro in vita mia.
Avvicino la mano. «Fino a qui?»
Lei non si ritrae. «Farai davvero finta che puzzo?»
Mi sollevo avvicinando il viso al suo. «O fino a qui?»
Si scansa. «A circa un metro di stanza va più che bene. Niente gesti improvvisi alle spalle, niente gesti in generale.»
Mi sta mettendo alla prova. Alzandomi vado a buttare i contenitori dentro un cestino. Lei mi aiuta tenendo la vaschetta ancora piena di patatine in mano mentre passeggiamo lungo il sentiero in silenzio, condividendo ancora un pasto.
«Non hai molte opzioni da offrire.»
«Sono le mie condizioni. Prendere o lasciare.»
«Ti sembra strana la mia proposta?»
Pulisce le dita gettando la vaschetta vuota. Condividere con lei il cibo mi è piaciuto. «Quale proposta?», chiede con malizia.
Adesso gioca pure con i doppi sensi?
«Di rivederti per mangiare insieme una pizza.»
«Perché non lo dicevi prima?», sorride.
«È un si?»
«Forse», dice vaga, divertita.
Il momento di prima è passato in secondo piano come il sole che spunta fuori dalle nuvole dopo una giornata di pioggia.
«Lo prendo per un sì visto che le opzioni erano due.»
Mi dà una leggera spallata tenendo le braccia incrociate. «Distanza prego», la prendo in giro.
Ride facendo un passo verso sinistra. «Così?», mi guarda di sbieco continuando a spostarsi da me. «O così?»
Infilo le mani dentro le tasche. «Potrei avvicinarti a me ma hai detto niente gesti improvvisi quindi te lo lascerò immaginare fino a quando non ti avvicinerai da sola.»
Non smette di sorridere mentre mimo la creazione di un laccio agganciandola e tirandola. Quando si avvicina di un passo mi fa sentire in perfetta sintonia.
«Allenta la stretta», fa la mossa delle forbici tagliando la corda invisibile.
Passeggiamo per un po' in silenzio. Avvolti dai rumori della città. Non è affatto imbarazzante. Quando guarda il telefono digitando una risposta ad un messaggio, mi ricompongo intuendo di doverla portare a casa perché si sta facendo tardi.
«Ho promesso a Stan che ti avrei accompagnata a casa. Mi assicurerò che entri sana e salva. Non ti dispiace farmi sapere dove abiti, spero.»
Nega, non rifiuta. «Stan è interessato a Sammy?»
Perché ha cambiato argomento? Che cosa le ha inviato la sua amica?
«Da uno a dieci o da uno a si è folgorato vedendola?»
Lei rimane un po' spiazzata dalla mia domanda sarcastica. Ha una strana reazione, un'emozione si fa strada nei suoi occhi, è come un lampo improvviso prima del gelo che la fa ricomporre. «Sarà meglio per lui che non la faccia soffrire», dice minacciosa camminando in direzione del suo quartiere. «E comunque l'ho chiesto perché Sammy non mi ha mandato un messaggio per chiedermi di andarla a salvare ma che lui sta facendo colpo su di lei. Quindi da questo deduco stia andando bene il suo appuntamento con il tuo amico.»
«Vale lo stesso per la tua amica. Non voglio che lui soffra. Stan non è il tipo che insiste tanto su qualcosa. Se lo ha fatto con lei ha davvero un interesse. E si comporta bene perché l'ho bacchettato in auto prima di raggiungervi.»
Sembra soddisfatta e meno rigida rispetto a prima, ride persino. «Hai davvero rimproverato quell'armadio del tuo amico?»
«Si. Anche se sembra un cascamorto ed è forte come un toro incazzato, non lasciarti abbindolare dalle apparenze. Stan non ha più avuto una relazione seria a causa della ragazza che lo ha tradito in passato. Per lui è un gran traguardo non essere scappato a gambe levate e non essersi arreso. In realtà è un gran fifone.»
Si ferma davanti un cancello di una villetta. «Sono arrivata.»
I suoi occhi mi stanno suggerendo qualcosa. Non farò niente di azzardato però, anche se la voglia di avvicinarmi a lei è tanta. Rispetterò il suo confine. Quel muro che la protegge.
«Non ancora.»
Apre il cancello lasciandosi accompagnare fino alla porta. «Adesso sei arrivata», la correggo. «E quando sarai a letto pensa alla mia proposta.»
«Devo farlo proprio mentre sono sotto le coperte?»
Sorride intuendo il percorso che stanno intraprendendo i miei pensieri. «Grazie per lo spuntino, per il drink e per la comprensione.»
Scendo i primi gradini. «Te l'ho detto, scelgo sempre la seconda opzione. Ed è la più piacevole.»
«Quali avevi a disposizione stasera?»
Mi volto e le sorrido. «Scappare a gambe levate o affrontarti.»
Scuote la testa. «Buona notte, Bradley», saluta tenendo una mano sul pomello del portone, pronta a spingerlo per entrare in casa.
«Notte, Erin», ricambio il saluto incamminandomi senza voltarmi indietro.

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Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now