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ERIN

Il weekend è passato troppo in fretta con eventi che mi hanno un po' scossa e che hanno anche cambiato il mio umore. Ci sono cose che arrivano di colpo, senza darti il tempo necessario per prepararti ad ogni tipo di sorpresa o cosa che potrebbe distruggerti.
La scorsa notte non sono riuscita a prendere sonno. Non so perché, ho continuato per ore a rigirarmi nel letto senza mai trovare una posizione comoda. "Ness", ad un certo punto, più che irritato, con un balzo fuori dal letto mi ha lasciata sola sotto le coperte ed è stato allora che ho compreso quello che mi tormentava e mi tormenta tuttora senza controllo.
Da quando sono tornata a casa, dopo avere salutato Bradley, sentendomi una stupita per non essermi avvicinata a lui o per non avergli chiesto di entrare e continuare a parlare fino all'alba, ho riflettuto a lungo su quello che mi ha fatto provare dopo anni di chiusura e distacco.
Non ho neanche negato a me stessa di essermi sentita viva in quelle poche ore che in otto anni di ricerca di un equilibrio. È stato come quell'attimo che ti cambia la vita. A me quelle ore sono servite per comprendere ogni piccolo errore.
Stavo bene lì, sul quel prato, immersa nella natura, nella cacofonia lontana della città, attraversata dal calore dei suoi occhi freddi e dal suo profumo in grado di farmi sentire meno spenta, più emozionata e attenta. È stato come una miccia. Come quella scintilla che toglie il fiato prima di vedere esplodere i colori di un fuoco d'artificio.
Per la confusione che mi ha generato, sono rimasta in casa per gran parte del giorno, ieri. Ho rifiutato l'invito di Sammy per andare in pasticceria. Mi sono anche scusata un mucchio di volte per il comportamento avuto al "Room 74" e le ho spiegato che non me la sentivo di uscire, che avevo bisogno di riposare perché avevo preso una brutta sbronza.
In realtà mi sono tenuta impegnata. Non ero affatto ubriaca anzi, non ero mai stata tanto lucida in vita mia.
Ogni volta che mi fermavo però, venivo sommersa dai pensieri. Non tutti negativi. Non solo su Bradley, sulla sua gentilezza, sui suoi gesti misurati, sulla sua capacità di trascinarmi in un posto tranquillo e di farmi sentire a mio agio, ma anche su Shannon che mi ha contattata ieri chiedendomi di vederci. Ho declinato l'invito avanzando la stessa scusa usata con Sammy. Non so se ha creduto a questa storia della sbronza, spero di essere stata brava a mentire. Una delle poche cose che non so fare perché mi si legge chiaramente in faccia quando ho qualcosa che non va, che mi turba e mi tortura l'anima, la mente, il cuore.
In realtà ieri non avevo voglia di vedere nessuno. Le cose sabato sono andate letteralmente in fumo e forse si sono spinte in un territorio che non esploro più da anni. L'intimità, l'essere complici, il sentirsi desiderati.
Di pessimo umore, mi ritrovo in classe, con addosso un vestito da principessa rosa, rosa mica azzurro, i capelli intrecciati lateralmente e una corona sulla testa piena di pietre luminose. Cammino avanti e indietro controllando i disegni dei bambini presenti, con le illustrazioni da colorare della fiaba che abbiamo scelto di leggere insieme per questa giornata.
Fuori il tempo è meraviglioso. Una bella giornata di sole, di caldo. Gli uccelli cinguettano allegramente e dalla classe accanto proviene il suono della musica di un cartone animato che stanno guardando.
«Ecco, bravo!»
Aiuto il più piccolo a tenere in mano il colore a legno. Mi sorride facendomi vedere quanto sia bravo a colorare. Non va fuori dai bordi ed è ordinato. Al contrario del suo compagno di banco che sta facendo un enorme pasticcio sul suo foglio.
«Maestra», cantilena una bambina.
Mi avvicino a lei. «Si?»
«Ho finito», mi mostra il disegno colorato.
Le sorrido. «Brava, puoi andare a giocare insieme alle tue compagne.»
In fondo all'aula, delle bambine stanno giocando con le Barbie. Sono così unite, così dolci tra loro.
Spesso mi ritrovo a pensare al mio passato, a quegli anni che sono volati in un attimo e rimpiango di non essere stata una bambina come loro. Poi però i miei pensieri deragliano verso una direzione e mi conducono ad una persona e trattengo il fiato. Rimprovero me stessa per essere tanto stupida da non riuscire a dimenticare. Perché quello che perdiamo non viene cancellato. Rimane tutto lì, in un angolo nascosto del cuore dove inconsciamente conservi tutte quelle emozioni irripetibili, preziose; tutte le cose importanti, quelle che ti hanno fatto sentire vivo, importante, speciale. In quel posto tieni anche tutto quello che ti ha fatto male, che ti ha tolto il respiro e ti ha distrutto. Ed è difficile giostrarsi tra i ricordi piacevoli e quelli che ti hanno fatto sentire insicuro, indifeso, annientato. Perché basta una svista, un gesto, una parola a fare ripiombare tutto nel presente e a ferirti, a farti sentire un po' di quella mancanza, di quel vuoto lasciato da qualcosa o da qualcuno.
I ricordi hanno molte capacità. Alcuni ti scaldano il cuore. Altri, allo stesso tempo te lo pugnalano al centro.
Sento bussare alla porta. «Come va?»
Grant sbuca con la testa sbriciando prima per assicurarsi di non averci interrotto e poi entra del tutto in classe.
Ha la fronte imperlata di sudore ed è vestito da principe azzurro. Ma a lui, al contrario di me, non sembra importare. È quasi a suo agio sotto quella veste.
Ho notato durante la breve pausa come Maddie, la nostra collega, se lo divorava con gli occhi. Fremeva anche dalla voglia di avvicinarsi a lui così, ad un certo punto, li ho lasciati soli portando tutti i bambini in aula comune per giocare.
Non siamo ancora arrivati all'ultima ora ma per me oggi è come se ne fossero passate dodici. Inoltre fa caldo qui dentro e non posso aprire le finestre perché qualcuno potrebbe raffreddarsi per lo sbalzo di temperatura. Il cambiamento per loro deve essere graduale.
I bambini in ogni caso non sembrano volere collaborare. Causa: l'assunzione di troppo zucchero nell'ora della merenda per una festa di compleanno che si è svolta tra la seconda e la terza ora. Per fortuna è tutto andato liscio e nessuno ha litigato o si è fatto male. I genitori del bambino erano super entusiasti.
«Stiamo lavorando a dei disegni che devono essere completati entro la fine dell'ora. Tu che cosa ci fai già libero?»
Sospira. «Li ho trascinati in aula comune, così staranno tutti insieme ed io potrò riposarmi un momento. Oggi quelli più grandi stanno dando qualche problema sia a me che a Maddie. Quella festa di compleanno con tutto quello zucchero non ci voleva proprio.»
«Non per giudicarti ma dovresti essere con loro. Potrebbero combinare qualcosa o farsi male», gli faccio notare.
Gratta la tempia annuendo. «Già, è vero! È solo che volevo chiederti velocemente se dopo la scuola ti piacerebbe venire a pranzo con noi.»
Cerco una delle tante bugie per declinare l'invito. Oggi devo assolutamente dedicarmi alle pulizie di casa. Ho anche tutta l'intenzione di stravaccarmi sul divano e ingozzarmi di popcorn davanti un film.
«Per oggi passo. Facciamo un altro giorno.»
Grant annuisce. «Fammi sapere quando sei libera», tira sul naso gli occhiali.
Quel gesto. Mi irrigidisco.
Non se ne andrà più la sensazione di precipitare in quei giorni bui. Il tocco non voluto delle sue mani sulla mia pelle, la sua rabbia e poi quel gesto impulsivo.
Il mio collega annuisce girando sui tacchi poi, come se si fosse appena ricordato qualcosa, si volta tornando indietro. «Sai per caso perché nell'ufficio del preside c'è un pompiere?», sorride divertito.
Il mio stomaco ha un vuoto prima della contrazione. «Che cosa? Un pompiere?», la voce mi esce stridula. Sento la gola seccarsi, le mani iniziare a sudarmi.
«Si, un uomo alto, sulla trentina e muscoloso. È entrato chiedendo di parlare con il preside.»
Mi agito. Non può essere una coincidenza, no?
«È ancora lì dentro?»
«Controllo e ti faccio sapere», si allontana.
Mordo il labbro. Dentro di me aumenta la tensione durante l'attesa.
No, lui non può avermi trovata. Non può essere qui, nella mia scuola. Lui... non può vedermi così.
Oh porca bestia, no!
Sfioro il vestito, tocco la corona che ho sulla testa spalancando gli occhi quando Grant torna in classe. «È ancora qui e la cosa strana è che il preside ha chiesto di te, adesso.»
Guardo i bambini avanzando subito una scusa. «Non posso allontanarmi dalla classe.»
Riflette un momento e sembra alquanto turbato. «Sapeva che lo avresti detto e... stanno venendo qui. Sai il perché?»
Spalanco gli occhi guardandomi intorno come una ricercata. Valuto ogni possibile via di fuga. Ma non posso andare da nessuna parte. Sono braccata.
Mordo il labbro quando sento dei passi lungo il corridoio, la voce del preside e poi quella bassa, calda e pacata della persona che non può e non deve vedermi in questo posto, in questo stato.
Mi volto lasciando Grant interdetto e pieno di domande. Concentrandomi, facendo finta di niente, torno alla mia lezione seguendo i bambini che intanto, ignari della tempesta che mi sta attraversando il corpo coprendolo di brividi freddi, continuano a disegnare.
«Maestra, il naso», piagnucola la piccola della classe.
Mi avvicino subito a lei prendendo un fazzoletto. «Pronta? Facciamo uscire questo fantasmino. Al mio tre soffia con il naso. Uno, due, tre...»
La bimba soffia ridendo. Le pulisco il naso e anche la bocca piena di saliva. Mi accarezza una guancia. «Sei proprio una principessa», mi dice nel suo modo distorto.
«Tu lo sei di più.»
Sorrido alzandomi e quando mi volto ho come un sussulto. Bradley se ne sta appoggiato allo stipite della porta, fermo sulla soglia. Indossa la divisa da pompiere ed è illegale trovarlo lì, in quel modo. Tiene in mano dei fogli e non smette di fissarmi.
Getto il fazzoletto recuperando una salvietta imbevuta e un po' di dignità persa.
Perché mi deve fare questo effetto?
Lui mi sorride come se avesse intuito mentre mi avvicino timida e un po' in imbarazzo. «Non sono vestita come si deve per accoglierti nella mia classe», sollevo un po' il vestito.
«Ha ragione quella bambina. Sembri una principessa», imita la sua voce.
Rido. «Lo prenderò come un complimento e non come un modo per prendermi in giro.»
Si fa serio. «Il mio era un complimento», dice guardando alle sue spalle.
Il preside sta chiacchierando con uno dei genitori. La discussione sembra abbastanza importante quindi sono in trappola.
«Grazie. Anche tu nel tuo costume da pompiere non sei male.»
«Ehi, è la mia divisa da eroe, che cosa ha che non va?»
«Ha una macchia li», lo prendo in giro.
Si guarda e io rido. Appena alza il viso, appare sorpreso. «Chi lo avrebbe mai detto che "Miss pietra fredda" ha anche senso dell'umorismo.»
«Uhhh, ci vai giù pesante.»
Sorride. «Non vuoi sapere che cosa ci faccio qui?», chiede andando dritto al dunque.
«No.»
Ci rimane male e mi scappa un'altra risata. «È divertente, ammettilo.»
Stringe le labbra. «No, non lo è. Non sono abituato al contrattacco.»
Alzo le spalle. «C'è sempre la prima volta. Non puoi sempre avere tutto e subito. E non puoi vincere su qualsiasi cosa. Prima o poi doveva arrivare un degno avversario.»
Gratta la tempia. «A quanto pare si. E non mi dispiace.»
La più piccola mi si avvicina mostrandomi il disegno. Mi abbasso inginocchiandomi davanti a lei. «È bellissimo! Sei stata davvero brava. Mettilo nel tuo cubo con gli altri disegni e poi vai a giocare dopo avere ordinato il tuo banco e le tue cose.»
La piccola corre sorridente e mentre mi alzo Bradley non perde un movimento. «Ti offendi se dico che sei sensuale anche vestita da principessa mentre lavori?»
Arrossisco. «Ci stai provando?»
Mi guarda intensamente. Lo fa di nuovo e distolgo lo sguardo. «Non farlo!», lo ammonisco.
Sorride. «È divertente», lancia uno sguardo al preside che si sta avvicinando. Si ricompone in fretta.
Mi piace questa sua accortezza.
«Signorina Wilson, vedo che sta parlando con il nostro signor Connor. Abbiamo un importante progetto per la scuola da proporre a lei e tutti i suoi colleghi.»
«Davvero? Che tipo di progetto?»
Il preside prende il telefono dalla tasca. «Sono certo che il signor Connor sarà ben lieto di esporle il tutto. Adesso devo andare ad una riunione. Buona giornata e grazie», gli stringe la mano. «Signorina Wilson», mi saluta con un cenno andandosene.
Mordo il labbro. Adesso? Che cosa succede?
Alcuni genitori passano a prendere i bambini, altri sono soliti tornare a casa prelevati dai loro autisti o dalle tate che, ad uno ad uno, arrivano con ampi sorrisi facendo strillare i bambini di gioia.
«Hai due opzioni: venire a pranzo con me e conoscere il progetto o declinare l'invito e rischiare di non sapere niente da quell'uomo troppo impegnato.»
Assottiglio gli occhi. «Mi stai mettendo alle strette, vero?»
Lascia passare gli ultimi bambini che mi salutano e salutano anche lui con una certa curiosità. «Ti sto chiedendo se ti va di pranzare con me e parlare di lavoro. Mi sembra semplice. Non c'è un doppio fine, Erin.»
Mi piace come muove le labbra, l'accento che usa e il suo sguardo acceso e deciso posarsi su di me.
«Non ti arrenderai», faccio una smorfia.
«Direi di no. Allora?»
«Non sei di turno?», chiedo tirando la sua tuta.
Il gesto sorprende anche me. Non siamo amici e io non posso farmi abbindolare o comportarmi come se lo conoscessi da sempre. Non adesso che ho un lavoro e una vita serena.
Si accorge del mio cambiamento e corruga la fronte. «No, ho finito circa un'ora fa e sono venuto qui. È stato un caso, anche se ho indagato un po' e diciamo che c'è anche il mio zampino sulla scelta della scuola in cui fare questo progetto. Sapere che sei una maestra mi ha incuriosito parecchio. Ti facevo più una ragazza da ufficio, da scartoffie.»
«Sei come uno squalo», recupero le mie cose uscendo dalla classe. Mi dirigo verso il bagno privato.
Sento i passi di Bradley alle mie spalle. «Lo prendo come un complimento o un modo per dirmi che adoro il sangue.»
Nascondo un sorriso. È anche spiritoso e comprende al volo le mie battute.
Dovrà pur avere qualche difetto, no?
Entro nel bagno e prima che possa seguirmi lo fermo. «Non qui dentro», gli faccio notare.
Mette le mani avanti. «Pensavo di aprirti il vestito.»
Arrossisco e lui sorride. «Niente malizia. Solo un aiuto.»
Mi volto. Di solito mi aiuta Maddie o fatico da sola. Ma non voglio sfregare la ferita. «Va bene. Ma non toccarmi e poi vattene dal bagno.»
Fa un passo avanti e io uno indietro. «Dammi un momento per fidarmi di te. Non attaccarmi così in fretta. Frena l'entusiasmo.»
«L'hai già fatto. Ti sei fidata. Sono già qui dentro e potrebbe vederci qualcuno se non la smetti di agitarti e di perdere tempo in inutili pensieri pieni di complotti», replica.
Come fa ad essere così? Ha sempre la risposta pronta.
Gli do le spalle. «C'è un bottone prima da togliere dall'asola poi tira giù la cerniera.»
Si avvicina mantenendosi ad una certa distanza. In questo modo mi sta dimostrando di non avere brutte intenzioni. Sento però il suo fiato caldo sulla nuca e tremo stringendo il pugno.
Le sue dita aprono il bottone poi tirano giù la cerniera e quando lo sento indietreggiare riprendo a respirare. Mi appoggio persino al lavandino.
Guardo verso la porta da dove lui è appena uscito mantenendo la parola.
Tolgo in fretta il vestito. Indosso una maglietta color senape, jeans a vita alta e stivali dello stesso colore della maglietta.
Infilo il vestito dentro una borsa poi metto in spalla lo zainetto e guardandomi un momento allo specchio, raccogliendo le forze, esco dal bagno.
Lui mi aspetta appoggiato alla parete. Ha abbassato la giacca legandola in vita, lasciando la maglietta bianca a maniche corte in bella mostra.
Non riesco a non guardare i suoi avambracci, quei muscoli e quelle vene in evidenza sulla sua pelle che sembrano scolpiti.
Solleva il palmo. «Posso tenerla io la borsa e la corona?»
Tocco la testa e tolgo in fretta la corona.
«Posso lasciare tutto in macchina», replico.
«Posso tenere tutto fino alla tua auto?»
Glieli porgo. «Custodiscilo. È un pezzo unico per la mia collezione quel vestito.»
Mi guarda curioso. Ha sempre quell'aria attenta ad ogni mia parola o azione. Non è inquietante, anzi, mi fa capire che è interessato.
«Hai una collezione privata?»
Cammino indietro con le mani dietro la schiena. «Non posso dirlo. Sapresti troppe cose di me. Inoltre non siamo amici. E so che Sammy si è lasciata scappare qualche dettaglio sul mio passato sabato sera. Io e lei non abbiamo molti segreti e si è sentita in colpa. Quindi non devi più fare finta che non sai niente.»
Lui appare un po' a disagio. «Non volevo essere invadente. E per la cronaca non siamo amici perché non lo saremo mai io e te.»
«Lo so. Per questo mi hai chiesto di andare a mangiare e poi ti sei limitato a non fare domande su di me o sul mio passato quanto ti ho detto che odio essere toccata e che non sono la persona adatta. Sapevi già perché. Ti faccio pena?»
«No», ringhia piano ridandomi il sacchetto con l'abito che infilo dentro la mia auto. Non comprendo la sua reazione improvvisamente distaccata.
«Che ne dici di andare a lasciare la tua auto e poi venire con me in un bel posto?»
«E la seconda opzione?»
Solleva l'angolo del labbro. «Ti seguo con l'auto», dice senza darmi possibilità di replicare.
In auto, allaccio la cintura. Non riesco a credere di essere così interessata.
Merda!
Avvio la chiamata. «Indovina chi è venuto a trovarmi», brontolo.
Sammy ride. «Colpa mia. È venuto per un caffè e mi ha chiesto dove poteva trovarti perché non aveva il tuo numero. Quando gli ho detto dove lavori e che sei una maestra lui ha contattato qualcuno poi se ne è andato.»
Cambio marcia. «Non potevi semplicemente stare zitta? Hai solo complicato le cose. Ha persino detto che non saremo mai amici. Sai che cosa significa?»
Emette un verso di diniego. «Ma non ci pensavo proprio! Quel ragazzo è interessato, Erin. Anche tu lo sei ed è arrivato il momento di uscire un po' da quel bozzolo confortevole che hai arredato per otto anni, dando la possibilità a qualcuno di entrarci. So che vuoi farlo ma non capisco che cosa ti frena. Il fatto che lui sia tanto diretto e sincero con te oltre che spontaneo? Shannon?»
Sto già negando. «No, mi piace il fatto che sia così deciso e no, non è per Shannon. Ecco... è complicato...»
La sento sbattere qualcosa. Sta impastando. È sola in cucina. «Non mi hai mai parlato di un certo argomento e so che mi nascondi qualcosa di doloroso ma non permettere al tuo passato, a quello che hai vissuto e che ti ha ferito di farti ancora male. Dà una possibilità a te stessa, alla tua vita. Dà una possibilità a quel ragazzo.»
Le lacrime mi bruciano gli occhi. Chiedono di poter uscire di nuovo ma le ricaccio in fondo, in un posto lontano.
La gente non comprende cosa significa restare al punto di partenza quando perdi tutto quello in cui credevi e non avere la forza di andare avanti. Non sa cosa significa restare fermi mentre ogni cosa intorno cambia in fretta, mentre tutto è già stato strappato via. E tu sei rimasto solo. E ti senti perso. E ti senti vuoto.
«È il migliore consiglio che sei riuscita a darmi in otto anni», esclamo modulando la voce.
«Erin, lo meriti. Meriti di stare bene. Meriti di vivere le tue esperienze. Hai venticinque anni, non ne hai novanta e una scorreggia di vita. Nella vita purtroppo capitano cose orribili ma quando arriva una speranza, un pezzo di felicità, bisogna afferrarlo. Non ti sto dicendo di lanciarti a capofitto o di andarci a letto e toglierti il pensiero ma di non essere troppo dura con lui e con te stessa. Non puoi punirti per sempre. Hai sbagliato e da quell'errore hai imparato. Adesso metti in pratica quello che sai.»
Mi scappa un sorriso. «Questo vale anche per te. Quando rivedi Stan?»
«Stasera», la immagino sventolarsi. «Secondo te corro troppo se dico che mi piace? È stato davvero rispettoso sabato. Non si è approfittato di me, abbiamo parlato tanto. Ieri poi è venuto a trovarmi con la scusa di un caffè e mi ha portato una rosa.»
Nego come se potesse vedermi. «Fai quello che senti, senza rimpianti», le rigido il suo consiglio.
«Adesso devo andare. C'è una coppia che chiede udienza per la torta nuziale e oggi sono sola. Ti mando i dettagli stasera. E se ti chiamo per raggiungermi...»
«Sarò li immediatamente», concludo.
«Ti voglio bene, piccola.»
«Anch'io.»
Arrivo a casa posteggiando sul vialetto. La conversazione con la mia amica mi ha dato un po' di sicurezza. E visto che sono nel mio ambiente, nel mio territorio, posso fare le cose a modo mio.
Esco dall'auto avvicinandomi alla sua. Busso sul vetro e lui abbassa il finestrino togliendo gli occhiali da sole.
Vuole ammazzarmi, non c'è altra motivazione al suo essere così sensuale.
«Ti dispiace se mi occupo un secondo del mio gatto?»
Solleva un borsone. «Ti dispiace se uso un momento il tuo bagno?»
La sua richiesta mi coglie alla sprovvista. Guardo la porta poi lui. Ripenso alle parole di Sammy. «Si, entra pure.»
Mi segue in casa e non appena entra, guarda subito intorno ma con cautela, senza giudicare la disposizione degli interni o quelle poche cose che tengo sulle mensole. Vedendo che ho appena tolto i tacchi, toglie i suoi scarponi.
"Ness" arriva spedito, lo sguardo gelido e perfido. Quando penso che attaccherà Bradley si ferma davanti a lui sbadigliando poi gli gira intorno annusandolo e in breve se ne va.
«Questa si che è una grossa novità», esclamo. «Il bagno lo trovi lì», glielo indico.
«Che cosa è una grossa novità?»
«Il mio gatto. Non ti ha attaccato. Qualcosa non va in lui.»
Sorride. «Io piaccio a tutti», dice lasciandomi come una stupita.
Per non deconcentrarmi immaginandolo mentre si spoglia nel mio bagno, nel mio ambiente, metto i croccantini dentro la ciotola di "Ness" e aggiungo anche dell'acqua nell'altra. Cambio la sabbia e metto in ordine il suo spazio e il soggiorno mentre mi gira intorno. Lo prendo in braccio coccolandolo. Di colpo però decide di divincolarsi, scende con uno slancio e corre verso qualcuno che è appena uscito dal bagno.
I due si fissano negli occhi per un lungo istante poi "Ness" soffia e lui inginocchiandosi le fa un grattino sotto il collo facendolo allungare.
Che gatto traditore! Dovrebbe aiutarmi, non familiarizzare o flirtare con il nemico!
«Hai finito di corrompere il mio gatto?»
Ride. «Te l'ho detto, piaccio a tutti. Non ho bisogno di corrompere nessuno, tanto meno un gatto così bello per conquistare la sua padrona.»
Alzo gli occhi al cielo. Lavo le mani prendendo subito due birre dal frigo, offrendogliene una.
Beve un sorso. «Nel bagno ho notato la tua collezione di profumi. Narciso, eh?»
Mando giù un lungo sorso di birra. «Non dovevi solo cambiarti? Hai anche visto che tipo di crema porto addosso o lo shampoo che uso?»
«Avena, cocco, miele, vaniglia... ne hai poche di quelle. Sei molto selettiva sulle cose che ti piacciono.»
Arrossisco. «E ne hai provata qualcuna per avere il mio profumo sulla tua pelle?»
Sorride in modo furbo. «Forse. Spero non sia un problema se ho usato anche il tuo spazzolino azzurro», mostra i denti portando la bottiglia sulle labbra. «Com'è andata la giornata?»
La sua domanda mi coglie impreparata. Sto evitando di pensare a lui che si lava i denti con il mio spazzolino. E quel sorriso poi?
«A volte è un po' dura. Devi avere gli occhi dappertutto ed evitare incidenti ma è gratificante», dico. «La tua?»
Non voglio che scelga lui per me le opzioni. Così non gli do modo di portarmi a pranzo. In qualche modo devo ancora ricambiare tutti i suoi gesti e conosco un solo modo per farlo.
Apro il freezer recuperando due filetti di pescespada. Recupero una padella iniziando a soffriggere la cipolla con un po' d'olio.
Bradley si siede sullo sgabello ad osservarmi. Il gomito sulla superficie liscia, il polso sulla guancia. «Solito. Oggi una vecchietta ha dimenticato le chiavi sul mobile quando è uscita per prendere la posta e aveva la pentola accesa sul gas. Non puoi immaginare che caos abbiamo trovato quando siamo riusciti ad entrare e a spegnere le fiamme che avevano bruciato dapprima il manico del mestolo di legno e anche la tenda sul lavandino e stavano per avanzare. Per il resto non è stata una giornata torrida a parte quando ti ho incontrato con quel vestito e quella corona addosso», mi guarda dalla testa ai piedi. «Però mi hai permesso di tirare giù quella cerniera. La prendo come una vittoria personale e un buon inizio.»
Aggiungo un goccio di vino bianco, olive nere e le due fette di pescespada facendole abbrustolire. Apro la finestra per lasciare uscire fuori l'odore e inizio a tagliare due fette di limone recuperando le spezie.
«Ah Ah, spiritoso.»
Si alza. «Se mi dici dove posso trovare i piatti, le posate e tutto il resto, apparecchio. Non mi hai dato le due opzioni e non sai se mi piace il pesce.»
«Il primo cassetto di fianco al frigo, lì trovi le posate. Sportello in alto sopra il livello, i piatti e i bicchieri. I tovaglioli sono lì all'angolo. Le tovagliette invece le trovi nel cassetto sotto a quello delle posate. E per rispondere alla tua domanda, penso che adorerai quello che sto cucinando.»
Mi guarda un momento. «E poi sono io quello convinto?»
In breve ricorda le mie indicazioni trovando quello che serve e apparecchia il ripiano della cucina ad isola. Servo il pranzo leggero a cui ho aggiunto un po' di insalata di riso precedentemente preparata sedendomi accanto a lui.
Assaggia un pezzetto di tutto rendendo il momento pieno di aspettativa e ansia per il suo responso.
«Hai un ristorante o cosa?»
Caccio in bocca un pezzo di pane più che soddisfatta. «Mia nonna.»
Sorride. «Lo sapevo», dice a bassa voce, divertito. «Sai, andresti d'accordo con la mia. A lei piace mangiare il pesce e fa dei gamberi fritti che sono la fine del mondo.»
«Non hai assaggiato i miei», lo provoco.
Rimane a fissarmi. «Cosa?»
«Hai della salsa», indica un punto imprecisato.
«Dove?», mi agito.
Sorride. Avvicina la mano. Indugia poi toglie con il pollice un po' di salsa rosa dall'angolo delle mie labbra.
È solo un attimo che riesce a provocarmi dentro di tutto.
Non mi ritraggo, sono in apnea. La sua mano è calda e delicata sulla mia pelle impreparata al gesto. Mi regala un brivido dietro l'altro in una frazione di secondo.
Ci guardiamo, troppo. Mi alzo rischiando di cadere. Ho le guance in fiamme. «Allora, cos'è questo progetto?», domando stordita dall'intenso momento appena vissuto e che mi ha lasciato un certo formicolio sul basso ventre.
Bradley si ricompone. «Il nostro capo vorrebbe promuovere dei corsi di formazione su come proteggersi dagli incendi o da imprevisti che possono causare dei danni, per le scuole. Partiremo dai bambini più piccoli ovviamente e visto che ho saputo che lavori in una scuola ho fatto il nome di questa al mio capo che ha subito contattato il preside, ben lieto di essere riuscito ad inserirsi nel progetto.»
Mi appoggio al bancone. «E...?»
«Daremo delle tute su misura ai nostri alunni, dei caschi. Li forniremo dell'attrezzatura necessaria. Ci sarà il nostro capo a spiegare il mestiere che facciamo e ci saranno delle dimostrazioni pratiche a cui potranno anche partecipare. Ovviamente tutto finto ed equipaggiato per ogni evenienza.»
«Ci sarai anche tu?»
«Non tutti i giorni. Amo il mio lavoro e non vorrei distrarti troppo.»
Scuoto la testa. «Sempre convinto, eh?»
Alzandosi porta il piatto vuoto dentro il lavandino. Mi affretto a mettere in ordine la cucina e a lavare il tutto.
«Hai preso una decisione?»
Mordo il labbro. «Si.»
Mettendosi a braccia conserte attende con molta pazienza.
Mi appoggio al lato opposto. «Non sono una codarda e non mi piacciono le scappatoie. Ma voglio essere sincera. Non ho una relazione da anni e non ho intenzione di essere un gioco o una sfida da vincere. Quello che voglio dire è che non voglio correre e preferisco fare le cose secondo i miei tempi. Per me non è facile.»
Si stacca lentamente dal ripiano. «Ok, ma non mi hai ancora detto una cosa importante.»
Non posso indietreggiare e non voglio farlo. Forse è arrivato il momento di affrontare tutto. Di non avere paura. Perché se dai alla paura potere, non sarai mai in grado di superare niente. «Quale sarebbe?»
Mi inchioda all'angolo senza toccarmi. Con molta attenzione sui gesti che compie. Posa le braccia ai lati dei miei fianchi abbassando il viso per avere il mio davanti. «Che ti piaccio.»
Sorrido abbassando un po' le spalle. «Forse.»
«Mi darai tanto filo da torcere, non è vero?»
Faccio qualcosa di inaspettato. Poso la mano sulla sua maglietta nera sportiva. Apro bene il palmo percependo il suo cuore che sembra impazzito.
I miei occhi risalgono lenti dalla mia mano superando la gola, fino a raggiungere i suoi occhi.
Sulle mie labbra spunta un sorriso che non riesco proprio a frenare. Da quando ci siamo incontrati non posso farne a meno. Mi provoca una strana reazione, una sensazione così piacevole da volerne ancora e ancora, senza smettere mai.
«Perché ho come la sensazione che non sembri affatto deluso dalla cosa?»
Non riesco a togliere la mano dal punto in cui il suo cuore rischia di fare aumentare i battiti al mio.
Non si muove. Rimane impalato, mi dà una possibilità di non irrigidirmi o allontanarmi a casa di un suo gesto improvviso e spontaneo. Quello che fa dopo pochi attimi, è avvicinare il viso, le labbra al mio orecchio. Il gesto mi riversa sulla pelle molteplici brividi e le dita iniziano a formicolarmi.
«Perché ti avevo detto che la scelta era tua e non voglio metterti fretta o fare qualcosa che possa anche solo farti scappare da me.»
Quando si allontana dal mio orecchio ci guardiamo rimanendo a pochi centimetri di distanza. Il mio respiro si riduce mentre il suo profumo misto a quello della mia crema al cocco arriva alle mie narici con una certa potenza in grado di farmi tremare le ginocchia.
I suoi occhi hanno il colore del mare calmo in una giornata di caldo e di sole. Riesco a sentire l'odore, la consistenza della sabbia. Il tutto grazie al suo sguardo.
«Dammi adesso due opzioni così posso farti capire anch'io che in qualche modo sei riuscito a raggiungere quel muro, a crearci una piccola crepa...»
Agisce spontaneamente mostrandomi quello che intende fare. Mi accarezza delicatamente una guancia. «Non hai bisogno di opzioni con me. Ma se ti aiuteranno a farti aprire un po' di più, lo farò. Opzione uno: lasciami continuare a sfiorarti la guancia e, opzione due...»
Trattengo il fiato per non respirare e per imprimere nel cuore la sensazione che mi provoca quando avvicina le labbra sulle mie.
È un attimo, un brevissimo secondo in grado di scagliarmi al petto una serie di fitte così fredde da farmi tremare.
Qualcuno bussa alla porta interrompendoci. Ci stacchiamo ed io sguscio in fretta dall'angolo per andare ad aprire.
Raggiunto il corridoio provo a riprendermi come meglio posso.
È assurdo! Stavo per ricambiare quel bacio che presto sarebbe arrivato e qualcosa o per meglio dire qualcuno ha interrotto lo scambio.
Apro la porta con un lieve sorriso e faccio subito una smorfia. «Shannon, che ci fai qui?»
Mi porge una margherita raccolta dal prato. «Tuo padre mi ha detto dove trovarti. Ma... vedo che non sei sola.»
Prendo la margherita annusandola. Per istinto guardo alle mie spalle ma non mi sento in colpa. «Oh, ricordi Bradley?»
Shannon lo fissa in cagnesco assottigliando una palpebra. «Come no. Sei venuto a trovare anche tu Erin?», entra senza troppo indugio.
Bradley tiene le spalle dritte e rigide. «Si, stavamo parlando di lavoro visto che passeremo i prossimi giorni insieme.»
Sgancia proprio una bomba che si abbatte su Shannon facendolo innervosire. «Be', chi non vuole passare del tempo con Erin? Io sono qui perché ieri mi hai dato buca. Hai superato la sbronza magnificamente a quanto vedo.»
Sono rosso peperone in faccia. «Si, sono rimasta per tutto il giorno in casa.»
Di colpo sento come qualcosa che atterra davanti a me. Vedo la palla di pelo grigia, "Ness", soffiare aggressivamente prima di alzare una zampa e scattare con gli artigli sulla gamba di Shannon.
Metto una mano sul viso. «Ness!», lo rimprovero prendendolo in braccio.
Shannon ride. «Hai ancora questa bestia di satana in casa?»
Lo guardo male coccolando il gatto che sta perdendo i sensi.
«A quanto pare ha davvero sette vite», guardo Shannon che in breve entra in soggiorno mentre Bradley sembra improvvisamente altrove.
Mi avvicino a lui. «Va tutto bene?»
Alza gli occhi. «Si, a meraviglia! Anche se avrei lasciato che il tuo gatto lo sgonfiasse. È un pallone gonfiato!»
Rido. «Geloso?»
«Oh non sai quanto adesso che è qui a casa tua e conosce ogni cosa di te.»
La sua sincerità è disarmante. Non nega come avrebbe fatto chiunque dileguandosi con una scusa ma affronta la realtà.
«È solo passato per un saluto. Non conosce tutto. Ad esempio non sa che stavi per baciarmi prima.»
Mi guarda male. «Sai essere una stronza.»
Gli faccio una linguaccia. «Lo so.»
Lascio libero "Ness", raggiungendo il soggiorno dove Shannon si è appena seduto sul divano. «È bello qui. Ci credo che non hai scelto un altro posto.»
Sta chiaramente marcando un territorio che non gli appartiene. Quanto vorrei che con me ci fosse anche Sammy. Lei saprebbe come gestire la situazione di emergenza. Ma è un problema mio, quindi dovrò risolverlo da sola.
«Non avrei mai potuto. Mi sono innamorata di questa casa non appena ci ho messo un piede dentro per vedere com'era.»
I due mi ascoltano con attenzione. Soprattutto Bradley, sempre più nervoso.
«Vi va una birra?»
«Io passo, devo andare a trovare mia nonna», recupera in fretta il borsone.
«Io mi servo da solo, principessa.»
Guardo male Shannon. Vedendo Bradley diretto verso l'uscita, lo raggiungo fermandomi all'entrata valutando cosa dirgli per farlo rimanere.
«Te ne vai?»
«Non darmi una seconda opzione perché in questo caso scelgo la prima. Poi devo davvero andare a trovare mia nonna.»
Annuisco porgendogli la giacca. «Grazie per il pranzo e per avermi fatto usare il tuo bagno», dice un po' troppo ad alta voce.
Stringo le labbra per non ridere. È adorabile vederlo geloso.
«Ciao "Ness"», saluta il gatto già alla porta.
Il mio gatto risponde miagolando prima di sparire. Alzo lentamente gli occhi incastrandoli nei suoi. «Quindi ci vedremo a scuola?»
«Contaci. Col cazzo che rinuncio ad un'ora da passare con te per qualche altra cosa. Hai il mio numero. Te l'ho scritto in un post-it prima. Se ti serve qualcosa o ti liberi del pallone gonfiato contattami.»
Avvampo. Mi piace questo suo essere così deciso e diretto. «Allora preparerò un bel vestito per i prossimi giorni, sempre se non hai anche per me una tuta», lo provoco.
Non mi vergogno minimamente di quello che sto facendo mentre in soggiorno c'è Shannon.
Mi guarda da capo a piedi e poi di nuovo. «Vedrò quello che posso fare. Potrei anche accidentalmente bagnarti i vestiti usando l'idrante del camion.»
Rido. «Porterò un cambio per ogni evenienza.»
Apre la porta poi riflette su qualcosa e lasciando cadere il braccio con cui tiene il borsone in spalla mi si avvicina. Mi fa una carezza poi mi posa un bacio sulla guancia. «Ciao, Erin», mi saluta con voce flebile, roca.
Il mio cuore è già partito per la tangente. È come se stesse facendo delle capriole.
«Ciao, Bradley.»
Chiusa la porta abbasso le spalle e mi volto con occhi trasognanti. Mi accorgo di Shannon appoggiato alla soglia e mi ricompongo. Ha visto e sentito tutto, non ne ho alcun dubbio.
«Ci crede davvero», esclama con finto sarcasmo e una nota di irritazione.
Mordo il labbro sentendo ancora sulla guancia la pressione di quelle labbra che hanno sfiorato le mie.
«E mi piace proprio per questo», dico sincera.
Shannon guarda fuori dalla finestra riflettendo su qualcosa. «Sembra un bravo ragazzo.»
«Lo è. Lo sei anche tu, gelosone. Credi che non me ne sia accorta della gara a chi faceva pipì più lontano tra di voi?»
Sorride sardonico lasciandosi cadere sul divano. "Ness", accoccolato sul plaid all'angolo, si mantiene a debita distanza da lui poi però annusa l'aria e gli si avvicina fino a lasciarsi accarezzare.
Passo una birra a Shannon sedendomi accanto a lui.
«Non volevo interrompere il momento. Mi sto solo assicurando che tu stia bene.»
Accendo la tv ignorando l'irritante sensazione dell'essere stata interrotta in una prova importante per la mia psiche.
«Hai programmi per stasera?»
Nega. «No. Domani però devo alzarmi presto.»
«Film e popcorn?»
Mi dà conferma con un cenno della testa. «Ho trovato un appartamento niente male nelle vicinanze dell'ospedale. Un quartiere tranquillo.»
«E non hai ancora un posto dove dormire, vero? Per questo sei qui? Ti annoiavi in hotel?»
Annuisce ancora con un sorrisetto. «Posso dormire sul divano, non necessariamente su un letto. Ho già organizzato il trasloco dei mobili che ho acquistato ed entro qualche giorno tutto sarà pronto.»
Mi siedo accanto passandogli la ciotola piena di popcorn dicendo addio alla mia idea di passare il pomeriggio a fare le pulizie. Ormai siamo quasi al tramonto e dalla finestra entra la bellissima luce rosa. Mentalmente mi organizzo per domani.
«Non è un problema per me. C'è un'altra stanza se vuoi usarla e un letto comodo su cui dormire. Il divano a volte è occupato da "Ness". Quindi non te lo consiglio. Potrebbe farti male.»
Ride grattando il collo della bottiglia. «Che sia chiaro, non voglio invadere la tua privacy.»
«Lo so», appoggio la testa sulla sua spalla.
«Ti piace quel tipo?»
«Si.»
«Allora smettila di tenerti a distanza da lui.»
Sorrido.
Mi bacia la tempia circondandomi le spalle con un braccio.
«Grazie, Shan.»
«Figurati, principessa.»
Qualche volta il destino ha la capacità di trascinarti via come una tempesta in mezzo all'oceano che muta in base al vento facendoti cambiare la rotta. E non sempre puoi evitare gli scogli. Non sempre puoi evitare una nuova onda pronta a travolgerti. Non sempre puoi scappare. Non sempre puoi correre controcorrente. Perché quel vento sarà sempre lì, sarà sempre dentro di te, pronto a far cambiare le onde, il cielo, la tua vita. E sarai tu quel vento. Sarai pronto a decidere da che parte andare.

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Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now