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La prima cosa che impongo a me stessa, dopo l'improvviso attacco di furia misto ad egoismo e gelosia di Kay: è costringere i miei piedi ad avanzare, a seguirlo senza troppe storie.
In fondo, lui mi ha dato una mano, anzi più di una, e questo sembra il momento giusto per ricambiare senza però sentirmi usata da lui. So che non pensa davvero quello che mi ha urlato addosso con tanta rabbia da potermi uccidere dentro. Non so però di preciso che cosa sia stato a convincerlo a tornare indietro e ad affrontare la persona che si trova in questa stanza, ma so perfettamente come si sta sentendo perché con me non lo nasconde. Non solo è arrabbiato e sul punto di scoppiare, al contempo appare deciso, pronto a fare piazza pulita a chiunque gli si metta davanti. Vedo anche un po' di incertezza ben nascosta nel suo sguardo duro, di pietra lavica.
Kay ha questa capacità di tenere dentro quello che generalmente fa parecchio male. Riesce a tollerare il dolore, soprattutto quello intenso.
Ma non può nasconderlo a me. Riesco a vedere attraverso quella crepa, il modo in cui sta annaspando cercando di ritornare a galla. Forse perché come lui ho imparato ad implodere, a tenermi addosso quello che può fare male fuori. Ho imparato a difendere me stessa costruendo muri. Come me, Kay sta nascondendo le sue fragilità dietro una facciata di bronzo.
Non ho ancora avuto il coraggio di aprire bocca e dubito di volerlo fare, visto che in questo rettangolo ristretto si trovano troppe persone e quasi tutte sedute, ben vestite e agitate.
Al nostro arrivo ognuno si volta a guardarci come se fossimo gli imbucati ad una festa.
La prima cosa che mi viene da pensare è che non siamo i benvenuti poi però mio padre si accorge di me quando spunto da dietro le spalle di Kay e in un lampo, alzandosi dalla sua poltrona girevole mi raggiunge mettendomi le mani sulle braccia come per accertarsi che io sia tutta intera.
Devo avere l'aria di una che è appena sopravvissuta a qualcosa di doloroso perché non smette un secondo di guardarmi negli occhi, mentre i miei sfuggono facendomi vergognare di tutte le volte che l'ho trattato male e l'ho odiato.
In questo momento, mi piacerebbe comportarmi come una ragazzina di diciassette anni viziata, che non sa niente della vita ma che pretende tutto, magari un lungo abbraccio in cui nascondersi. Mi piacerebbe scoppiare a piangere e fare i capricci, invece quando mi chiede se sto bene e che cosa ci faccio qui rispondo come un robot con voce strozzata.
«Sto bene. La vicina ha quasi fatto irruzione in casa e non mi sentivo al sicuro. Volevo solo informarti e non mi andava di farlo per telefono.»
In parte è anche vero. Non posso di certo dire a mio padre che Kay mi ha appena sbattuto in faccia che dovrò sottostare al suo volere solo perché mi ha dato un passaggio e ho accettato di essere la sua ragazza. Mi prenderebbe per stupida e mi manderebbe in un centro di riabilitazione. In questo istante credo proprio di averne bisogno. In realtà pensò che non mi dispiacerebbe affatto ritornare in terapia per un giorno. Sedermi su quella poltrona e fissare il muro mentre lo psicologo cerca di estorcermi qualsiasi cosa utile ad aiutarmi.
Papà crede alla mia bugia spalancando gli occhi pur contenendosi davanti ai presenti che non hanno smesso di discutere tra loro.
«La signora Louis... ha fatto che cosa?»
Apro la bocca per rispondere. Kay è più veloce. «Io e sua figlia eravamo seduti sul divano a guardare la tv e quella donna ci stava spiando dalla finestra quindi ha superato il cancello senza permesso, ha anche bussato un paio di volte alla porta. Mi scusi se mi sono permesso di fare ciò ma l'ho cacciata via usando una minaccia. Se parla con la signora potrà confermarglielo.»
Perché è così formale con mio padre? A casa non gli parlava di certo in questo modo. Che cosa sta succedendo qui?
Mi ritrovo ad osservarlo stupita, piena di domande. Attualmente Kay sembra ingessato, proprio come tutti questi uomini di mezza età presenti.
Qui dentro non si respira solamente l'aria tesa, c'è anche odore di colonia, di caffè e dopobarba costoso. Una miscela maschile raffinata e al contempo nauseante.
Mi piacerebbe aprire la finestra lasciando cambiare l'aria, facendo entrare un po' di freschezza in questo ambiente un po' troppo chiuso e caldo grazie ai termosifoni accesi al massimo.
I miei occhi vagano per la sala. Le pareti di questa stanza sono di un comunissimo giallo sole un po' scolorito con qualche infiltrazione di pioggia che scende dalle travi di legno scuro del tetto. Non c'è molto a parte il tavolo circolare e una libreria antica piena di grossi volumi e uno strato vistoso di polvere.
Papà non sa più che pesci pigliare. Guarda gli altri in attesa della sua opinione su qualcosa per cui stavano discutendo poi di nuovo me. «Grazie Kay. Me ne occuperò io quando tornerò a casa. Adesso però devo dirti di uscire, Erin. Soprattutto se non vuoi vedere Mason che a momenti sarà qui. Abbiamo richiesto la sua presenza per evitare che la situazione ci sfugga di mano.»
Ed è qui che entra in gioco Kay, soprattutto quando nota Shannon entrare nella stanza e sedersi sulla poltrona vacante davanti ad un uomo apparentemente giovane dai capelli brizzolati e dagli occhi affilati come lame proprio per il colore che hanno le sue iridi.
L'uomo nel suo completo di sartoria grigio antracite, ci fissa con attenzione massaggiandosi il mento.
Che sia lui?
Kay fa un passo indietro sorprendendo tutti quando mi circonda la vita con un braccio. «Io e Erin speravamo proprio di vederlo per chiarire delle cose con lui, davanti a tutti voi sarà meglio e ci farà evitare l'uso della forza. Non è vero?», cerca una mia conferma avvicinandomi al suo fianco.
Vorrei dire di no, che è tutto così sbagliato. Alla fine però non ce la faccio. Non riesco a parlare e con un breve cenno di assenso evito di guardare mio padre mentre sento la presa di Kay farsi insistente e per istinto mi ritrovo ad appoggiare la mano sulla sua per fargli capire che sto reggendo il suo gioco.
«Sei sicura?»
«Si», la voce mi esce spezzata.
Papà contrae la mandibola poi voltandosi annuncia che ci saremo anche noi facendo preparare altre due sedie.
«Accomodatevi pure», dice un uomo dalla carnagione scura e dagli occhi vispi.
Kay mi spinge a seguirlo sibilandomi all'orecchio. «Sii più convincente. Fino a qualche ora fa ci riuscivi dentro la vasca.»
Non so se sentirmi offesa o se ignorare questa frecciatina tagliente nei miei confronti evitando di rispondere per le righe. So solo che mi ha appena ferita. Sento bruciarmi dentro quello che sta facendo dandomi un assaggio della sua furia.
«Ci sto provando ma neanche tu sei il ritratto della felicità. Ti si vede in faccia che sei spaventato», rispondo tra i denti.
Mi fucila con gli occhi. «Io non sono spaventato. Voglio solo che fai come ti dico quindi smettila di comportarti da viziata e fa il tuo dovere.»
«Ti comporti così solo perché sei geloso», sibilo prendendo posto tra lui e Shannon.
Si abbassa all'altezza del mio orecchio: «Geloso di te? Guarda che so fingere anch'io.»
Evito di girarmi. Sento solo la pelle formicolarmi.
Mio padre si siede a capotavola accanto a Kay. Davanti a noi c'è l'uomo che non ho mai visto in circolazione, mi sento a disagio ma non sono l'unica femmina presente. Accanto a lui, una donna dai capelli rigonfi all'attaccatura e ondulati sulle lunghezze con riflessi viola. Ben truccata e apparentemente sofisticata. Mi rivolge un cenno del capo mostrandomi un sorriso di cortesia. Ricambio guardando uno ad uno tutti i fondatori del paese. Tutti gli "anziani" oggi qui riuniti per evitare una strage.
Tengo le mani strette in grembo grattando lo smalto rosso vinaccia e Kay me le fa sciogliere soffiando dal naso come un toro. Mi volto per chiedere aiuto a Shannon che ha assistito a tutto ma sembra smarrito quanto me da questo suo comportamento così glaciale.
Non lo ha ancora degnato di uno sguardo, di una parola. Spero vivamente di non essere motivo di conflitto tra loro due. Non è mia intenzione rovinare un'amicizia.
«Vivono tutti qui?», oso chiedere a bassa voce.
Shannon abbassa il viso. «No, alcuni vivono fuori. Contribuiscono a tutto perché sono ricchi sfondati e perché portano turismo in estate o per qualche evento come quello che si terrà questa settimana», mi spiega brevemente.
«Quale evento?», chiedo curiosa.
«Il festival di fine ottobre. Organizzeranno anche delle piccole fiere.»
Ascolto attenta. Kay mi stringe la mano e smetto di chiedere altro o parlare. Ho capito che non gli sta piacendo il mio comportamento ma che cosa dovrei fare?
Non sono una che fa le fusa in pubblico. Non riesco nemmeno a guardarlo in faccia in questo momento. Sento solo la fitta di delusione che mi si scaglia nel petto trafiggendomi sempre di più.
Papà liscia la giacca. «Scusate per la breve interruzione. Tra poco arriverà Mason e daremo modo al ragazzo di spiegare perché ha cercato di farsi ammazzare entrando nel territorio degli Scorpions poi ognuno si sposterà nei propri uffici ad organizzare i vari eventi seguendo la lista che mi avete inoltrato», scrive qualcosa su un blocchetto di appunti passando la mano sulla fronte imperlata di sudore. Di tanto intanto allarga la cravatta schiarendosi la voce.
Sembra nervoso, guardingo e adesso che ci sono io appare come un padre apprensivo. Continua infatti a scoccarmi sguardi di sbieco nascondendosi dietro il bicchiere o lo schermo del telefono dove ripetutamente scrive qualcosa.
«William, chi è questa bellissima ragazza?»
Papà mi guarda con un certo orgoglio. «Mia figlia», risponde.
«Hai una figlia e io non lo sapevo? Come cambia il mondo!»
A parlare l'uomo davanti a me. Un tono basso, elegante, un accento marcato, inglese. Continua a guardarmi come se mi stesse studiando. Mi sento a disagio nella mia stessa pelle.
«Si, che sbadato! Erin lui è...»
«Theodor Mikaelson!», ribatte sprezzante Kay stringendomi maggiormente la mano sotto il tavolo. Con quella libera gli mollo un pizzicotto sulla gamba e allenta la presa.
«Sono...»
«Dovrebbe essere mio nonno», mi spiega interrompendolo ancora una volta scattando come un serpente arrabbiato.
Sono sconvolta e sorpresa allo stesso tempo. Non mi aspettavo niente del genere quando ho saputo da Shannon che dentro questa stanza c'era qualcuno che a Kay non andava a genio.
Batto le palpebre cercando qualcosa di intelligente o educato da dire ma sulla famiglia di Kay so ben poco ormai.
Schiarisco la voce. «È un piacere conoscerla. Io sono Erin.»
L'uomo mi sorride poggiando le mani unite sul tavolo di noce circolare in cui sono sparsi fogli, penne, bicchieri e bottiglie d'acqua.
«Davvero una bella ragazza. Dove la tenevi nascosta? E tua moglie?», chiede a mio padre che attualmente appare a disagio. Odia parlare del passato.
«Sono tornata per poco tempo. In realtà sono qui in visita da mio padre. Vede, i miei non stanno insieme da anni», mi affretto a spiegare sperando che Kay colga il significato della mia risposta.
L'uomo corre con lo sguardo da me a papà sentendosi in imbarazzo poi mira la sua attenzione su Kay. «Vedo che conosci mio nipote e... dimmi, come vi...»
«Stiamo insieme», si ritrova a dire ancora con quel tono distaccato.
Non so ben dire se sia più arrabbiato per quello che ho detto con il chiaro intento di fargli capire che non durerà la mia permanenza in questo posto o per la presenza di suo nonno.
Quello che so è che ho visto come ha reagito all'insinuazione da parte del nonno che guarda con astio, come se volesse rispedirlo da dove è arrivato.
Papà per poco non si strozza con l'acqua mentre Shannon si agita nervosamente e rumorosamente sulla sedia pescando il telefono e iniziando a giocare ad "Angry Birds".
Ma che diavolo sta succedendo?
Il mondo sembra sottosopra oggi.
«E quando pensavi di presentarci la tua bellissima ragazza?»
Kay stringe di nuovo la mia mano come se dovessi correre in suo aiuto. Come posso farlo se non mi ha preparata a tutto questo?
Non mi ha parlato di suo nonno, tantomeno della sua famiglia. Mi ha solo detto che suo fratello si sposa e che ho devo essere la sua compagna per un giorno.
Be', ben gli sta!
Così impara a non fidarsi di me e a non tenermi aggiornata, soprattutto adesso che ha bisogno del mio sostegno.
Sento la mano pulsare a causa della pressione e ancora una volta gli do un pizzicotto. «In realtà è stata colpa mia. Gli ho chiesto di non dirlo a nessuno. L'ho ritenuto immaturo e un po' troppo per le mie corde», dico d'impulso. «Sono molto riservata e non so... se starò ancora qui per molto.»
L'uomo sorride. «Sono sicuro che mio nipote abbia avuto ben altre ragioni per tenerti al sicuro da noi, vero? Ma le cose che lo fermano sono poche del resto.»
Corrugo la fronte. Che cosa significa? Kay mi nasconde qualcosa?
«Vi avrei fatto conoscere Erin al matrimonio. Spero non andrai a spiattellarlo a chiunque quando tornerai a casa, doveva essere una sorpresa. Visto che pensavate che alla fine avrei rovinato tutto non presentandomi, vi ho anticipato accettando l'invito e il caso o la fortuna ha voluto che incontrassi di nuovo Erin.»
Finalmente mi guarda. Anche se nei suoi occhi c'è il gelo puro, riesco a scorgere un breve segno di ringraziamento, un frammento del ragazzo che spinge il mio cuore oltre il limite.
In qualche modo mi sto sentendo in diritto di difendere quello che abbiamo.
«Sarò muto come un pesce. Lo dirò solo a tua nonna. Sai quanto è in pensiero per te. Gli manchi ogni giorno di più e gli piacerebbe che chiamassi a casa ogni tanto.»
Adesso sono io a chiedere spiegazioni. Perché avevo pensato che i suoi nonni fossero morti?
«Sopravvivrà. Una bottiglia del migliore Martini e tutto si risolverà», ghigna sfidandolo. «E visto che te lo stai chiedendo io e Erin ci conosciamo perché viveva qui prima che partissimo anche noi.»
Theodor dilata le narici stringendo il bastone da passeggio sulla quale è stato intagliato un falco. Sta per replicare quando dalla porta entra Mason seguito dagli altri due ragazzi malconci ed infine i loro genitori, agguerriti più che mai.
Non appena notano Shannon, i due non si siedono anzi indietreggiano poi come se si fossero rammolliti prendono finalmente posto e mio padre chiede silenzio mentre io vorrei tanto sapere qualcosa di più sulla vita di Kay.
So che è tornato e che si è iscritto all'università ma non so dove sia stato in questi anni, come ha passato le sue giornate.
È tutto così confuso, tutto così diverso da farmi sentire l'estranea di turno che deve impegnarsi ad integrarsi assimilando in fretta ogni cosa.
«Wilson, perché esattamente siamo qui?»
Papà aggiusta la cravatta alzandosi dal posto. Posa i palmi sulla superficie guardando il padre di Mason che ha appena parlato con astio malcelato e un po' come se fosse annoiato o stesse perdendo una partita importante di poker. Continua infatti a guardare l'orologio.
«Già, perché ci hai contattato mezz'ora fa?», interviene la madre di uno dei due ragazzi che da quando è entrato se ne sta a sguardo chino.
La signora dai capelli acconciati all'indietro, indossa una pelliccia color sabbia, due grosse perle alle orecchie e un anello d'oro con una perla sopra che continua a scivolare di lato a causa del peso. Stringe la mano sulla spalla del figlio che ha un sussulto.
I miei occhi si posano dapprima su di lui poi sull'altro al suo fianco ed infine su Mason. Lui, al contrario degli altri non sembra affatto spaventato, solo un po' costretto a reggere la parte della vittima che non è. Di colpo alza gli occhi e un accenno di sorriso rivolto a me mi fa rizzare i peli sulla nuca.
Mi irrigidisco e Kay stringe la mia mano facendomi capire che, nonostante sia arrabbiato, non mi ha ancora abbandonata da sola sulla scialuppa.
Guardo Shannon. Anche lui si è accorto del sorriso maligno di Mason. Stringe le dita sul tavolo. Le sue nocche sono bianche. «Dite che riusciremo a farlo piangere prima o poi?», mi ritrovo a chiedere.
I due mi guardano e poi si lanciano un breve cenno d'intesa. Rilassano le spalle e da questo capisco che hanno smesso di non rivolgersi la parola e che da adesso si faranno scudo a vicenda.
«Capisco i vostri impegni ma è da questa mattina che lavoro con gli esponenti dei due gruppi per garantire a tutti una pacifica convivenza. Cosa che a quanto pare non è possibile a causa dei vostri figli che ieri hanno invaso il territorio degli Scorpions per ragioni ancora da chiarire e che hanno rischiato di essere ammazzati. Adesso volete ancora usare questo tono di accondiscendenza nei miei confronti o per una volta vi comportate da adulti?», li affronta mio padre.
Un pizzico di orgoglio mi attraversa e nascondo bene il sorriso che vorrebbe tanto comparire sulle mie labbra.
Io e lui abbiamo sempre avuto questa strana concezione delle cose, questo strano modo di rispondere alle provocazioni con altre provocazioni.
«Bene, lo prendo come una risposta positiva per proseguire», continua notando il silenzio che aleggia intorno. «Allora, al parco chi di voi ha imbrattato il muro? Chi ha organizzato tutto quanto? Voglio il nome», chiede ai tre che adesso si scambiano occhiate fugaci come se volessero mettersi d'accordo di non parlare.
«Riguardo questo, i ragazzi hanno già scontato la pena. Non capisco dove vuoi arrivare William.»
Papà soffia dal naso usando un sorriso plastico. «Pena? Hanno quasi ucciso mia figlia quel giorno e se non fossero intervenuti dei ragazzi l'avrebbero lasciata in un angolo, priva di sensi. La vera pena per lui sarebbe stata quella da scontare dentro una cella e non per una sola notte.»
«Hai messo le mani su una ragazza?», chiede Theodor disgustato. «Questo ai miei tempi ti avrebbe fatto perdere una mano.»
Il signor Turner avvampa. «Ci siamo scusati...»
«Io non ho ricevuto ancora nessuna scusa da parte del molestatore che continua ad avvicinarsi e a scattarmi delle foto per vendicarsi di un qualcosa che non ho fatto», prendo parola alzandomi di scatto dalla sedia, incapace di trattenermi oltre. «E non voglio che adesso mi si dica che è acqua passata perché porto ancora i segni di quell'aggressione studiata», sbotto con voce stridula. «Continui a seguirmi, continui a stuzzicarmi e so dove vuoi arrivare e sai che non te lo lascerò fare!»
«Ne sei sicura?»
Papà cerca aiuto in Kay che mi tira giù facendomi sedere. «Calmati», mi soffia all'orecchio.
Scrollo la sua mano dalla mia con astio guardandolo male.
Mason si rivolge ancora a me. «Io non ti devo nessuna scusa, lurida stro...», la sua bocca viene tappata dalla madre schifata dall'atteggiamento del figlio mentre la donna davanti a me porta la mano sulla bocca scuotendo la testa, prendendo Mason per un maleducato proprio davanti alla madre che diventa paonazza.
«Sai benissimo che ti sta prendendo solo in giro, che fai parte del suo piano. Succedeva sempre quando eravamo piccoli e sta succedendo ancora. Solo che sei accecata da lui da non accorgertene», sbraita togliendosi la mano della madre dalla bocca mentre questa continua ad urlargli di smetterla. «Sei ingenua e patetica.»
Incrocio le braccia senza scompormi per non dare sfoggio di quella parte di me che vorrebbe uscire e fare dei grossi danni. «A quanto pare non ne verremo a capo. Mason non ha ancora capito di avere sbagliato e di avere messo in pericolo me e altre persone», esclamo a mio padre. «Non ci sono le basi per parlare con lui. La verità è che Mason ieri era lì per scattarmi delle foto di nascosto ma è stato scoperto e punito per avere violato una delle proprietà degli Scorpions. Ma il signor "io faccio quello che cazzo mi pare" non ha gradito e adesso cerca di screditarmi per farmi apparire indifesa e il motivo scatenante di ogni sua azione. Ho una notizia per te: sei finito!»
«Non hai le prove», dice la madre in risposta per difendere il figlio.
«In realtà, si», Shannon posa sul tavolo i tre telefoni passandoglieli. «Abbiamo le copie e una denuncia scritta che potrebbe partire qualora decideste di cancellare o insabbiare tutto com'è vostro solito fare. Noi qui non siamo venuti per farci prendere in giro da voi che vi credete superiori e poi permettete ai vostri figli di comportarsi come i padroni del mondo molestando le nostre ragazze, usando la violenza e invadendo il suolo altrui.»
«E allora perché siamo qui?», osano chiedere.
«Siamo qui per capire se c'è una possibilità seppur minima di placare gli scontri e fare in modo che tutto si acquieti», risponde pratico papà.
«Siamo qui perché per anni abbiamo subito angherie da parte dei King e vogliamo ricostituire l'alleanza prima di distruggerci a vicenda», interviene Theodor.
Molti uomini sembrano pendere dalle sue labbra e si leva un: "si" urlato.
Deve essere benvoluto da queste parti.
«E tu che ne sai? Con la tua famiglia avete abbandonato il paese per diventare ricchi altrove. Avete ancora quella tenuta in Inghilterra? Perché dovremmo dare ascolto a chi ci ha voltato le spalle?»
«Theodor Mikaelson è uno dei fondatori, proprio come noi, un po' di rispetto», sbotta un uomo. «Se è andato a vivere altrove non significa niente. Ha solo deciso di ampliare il patrimonio e non possiamo negare che sia sempre la prima famiglia a donare ingenti somme di denaro per questo paese!»
In breve si crea un certo caos di voci, urla e discussioni accese.
Sospiro scuotendo la testa. Sono sempre più provata e confusa.
Perché non si è fidato di me? Perché non mi ha detto niente?
«Basta!», ruggisce mio padre.
Tutti fanno silenzio. «Oggi stesso impartirò nuovi ordini e darò disposizioni precise per evitare altri incidenti. Non è stata messa solo la mia famiglia in pericolo ma anche quella di altre persone. Al di là delle vostre leggi io sono il sindaco e in quanto tale devo ordinarvi e chiedervi di smettere. Non ascolterò più nessuna dichiarazione spontanea visto che qui non se ne vedono. Non ho più tempo da perdere. Adesso ho urgente bisogno di tornare a casa, farmi una doccia e poi recarmi in ospedale dove mi aspettano dei pazienti.»
Si leva un certo mormorio. «Quindi, come la mettiamo con quello che hanno fatto gli Scorpions? Hanno marchiato mio figlio!», la signora Turner scosta appena la polo di Mason mostrando di sfuggita una S dentro un cerchio simile ad una bruciatura.
«Non condivido i metodi poco consoni degli Scorpions ma sono sicuro che ne discuterete tra di voi, fuori da questo posto», mio padre indica la porta. «Non mi farò coinvolgere e poi accusare di favoreggiamento. Per quanto mi riguarda la riunione è terminata. Non intendo più farmi carico dei vostri problemi personali. Buona giornata!»
Mio padre sembra avere improvvisamente fretta.
«Lei era in un luogo della mappa e non fa parte di alcun gruppo proprio come quel bastardo che la segue come un cane», esplode Mason alzandosi, facendo scivolare la sedia indietro, indicandoci. Le spalle tese, i muscoli facciali contratti, gli occhi stretti a fessura come i felini.
«In realtà potevamo...», dice tranquillo Kay estraendo dalla tasca del giubbotto un foglio ripiegato. «Avevo chiesto il permesso per potere portare Erin a visitare il fiume ma ancora una volta le avete rovinato ogni ricordo positivo che dovrebbe avere di questo posto», picchia il pugno sul tavolo.
Tutti li stiamo guardando senza aprire bocca. Io lo sto guardando senza fiato in corpo.
Kay non mi ha portato lì per tenermi d'occhio o per distrarmi. Mi sta portando nei posti che dovrebbero generare ricordi. Ma dove è disposto a spingersi?
«Ma sentilo», Mason scrolla la testa. «Ti sei proprio rammollito nel corso di poche settimane, proprio come alle elementari quando non facevi altro che bramare una sua piccola attenzione dopo la scuola. Per fortuna c'eravamo io e Harper ad impedirti di farle del male. Sei sempre stato un po'... come dire...», fa il gesto di "pazzo" muovendo circolarmente l'indice sulla tempia.
«Ragazzino, che linguaggio è questo? Mio nipote...»
Kay drizza le spalle ed io mi rendo conto di essermi già alzata. «Non potete basarvi su qualcosa che è accaduto quanti anni fa? Dieci? È inutile! Ho rimosso ogni ricordo proprio perché voi mi avete rovinato l'esistenza con i vostri stupidi giochi e scherzi di cattivo gusto e Kay è l'unico che sta cercando di farmi sentire a casa. Cosa che non avete fatto voi in quanto miei vecchi amici.»
Mason mi guarda male. «Perché non ti sei schierata dalla parte giusta», sibila.
«Ancora con questa storia? Io non appartengo a nessun gruppo perché voglio vivermi questo momento per come dico io. Non voglio seguire un branco di superficiali teste di cazzo prive di spirito e dei bastardi senza senno.»
Voltandomi verso gli adulti aggiungo: «Scusatemi se lo dico ma dal posto in cui vengo io non esistono fazioni e ognuno vive liberamente senza preoccupazioni di unirsi ad un gruppo per una birra. Voi qui continuate solo a strapparvi dalle mani un pezzo di carta. Nessuno è superiore all'altro!», tiro indietro la sedia.
«Lo dici solo perché te ne sei andata dopo che tua madre ha tradito tuo padre e ti ha portata via», risponde di getto.
Incasso il colpo. Vedo mio padre sul punto di scoppiare. «È vero, sono stata costretta ad andarmene ma non per questo tu devi sentirti migliore di me. È anche vero che mia madre ha tradito mio padre ma a nessuno di voi questo dà il diritto di prenderla per puttana o di farmi sentire a disagio solo perché ho i genitori separati. Pensa a tua madre con tuo padre, non si guardano neanche in faccia se non quando tu commetti qualcosa. E non te ne accorgi nemmeno. Non è forse peggio vivere sotto lo stesso tetto e non avere il coraggio di guardarsi negli occhi e dirselo?»
Picchia le mani sul tavolo. «Di che diavolo stai parlando?»
Vedo tutti divertiti, tutti a godersi questo momento.
«Sei così pieno di te da non accorgerti che i tuoi genitori non stanno più insieme da anni. È successo durante il mio compleanno, quello che hai fatto rovinare di proposito», inizio stringendo i pugni. «Quello che poi si è rivelato solo uno scherzo per evitare un altro trauma.»
«Che cosa c'entra?»
«Ho visto tua madre baciare dietro la siepe il mio giardiniere. Voleva pagarmi per non dirlo a nessuno. Com'è che si chiamava...»
La signora Turner diventa rossa come un peperone, guarda il marito poi Mason ed infine scappa fuori quando questi le chiedono se è vero.
«Stai mentendo!»
«Basta così!», interviene Theodor. «Sei solo un moccioso ficcanaso. Se ti rivedo tra le mie proprietà ti faccio arrestare e ai tuoi genitori separati in casa ci vorrà ben più di un avvocato per tirarti fuori dal buco in cui intendo lasciarti cadere», minaccia alzandosi. Reggendosi sul bastone guarda tutti soffermandosi sul nipote.
«La riunione è terminata. Potete fare le vostre richieste per e-mail», si affretta a spiegare mio padre. «Valuterò ogni possibile soluzione per garantire al meglio la sicurezza del nostro paese. Confido nella vostra onestà e nel vostro rispetto», detto ciò mi fa cenno di seguirlo nel suo ufficio.
Prima ancora di potere uscire Kay mi ferma con la mano avvicinandomi a sé. Ma non è come sempre. Adesso è solo finzione.
Shannon si ferma accanto a noi. «Ci fermiamo per una birra, vi va?»
«Volentiri! Erin non verrà», risponde per me.
Shannon mi guarda corrucciato poi facendomi un brevissimo cenno se ne va. Lasciamo uscire tutti che continuano ad urlare e a discutere.
Theodor si ferma davanti a noi e Kay mi avvicina. Dietro di lui spunta una guardia del corpo altissima e imponente come una statua.
Deve essere uno importante se ha bisogno di sicurezza.
«È stato un piacere conoscerti, Erin», mi bacia il dorso della mano.
«Anche per me, signor Mikaelson».
«Chiamami pure Theodor», sorride. «In quanto a te mascalzone, vedi di tornare a casa. So che di tanto in tanto usi la campagna. Non è quello il posto che ti spetta, vedi di non dimenticarlo», dice abbracciandolo, dandogli una pacca sulla spalla. «Vi aspetto per il matrimonio dell'anno. Fate attenzione nel frattempo», detto ciò si dilegua.
Quando è lontano abbastanza Kay lascia la presa allontanandosi da me così tanto da farmi sentire ferita, così tanto da creare una voragine nel mio cuore facendomi sentire un enorme vuoto dentro.
Ecco di cosa ho sempre avuto paura, che il mio cuore per battere così frenetico dipendesse da qualcuno. Ecco di cosa ho sempre avuto paura, di affidare il mio cuore nelle mani di una persona che non sa come proteggerlo. Ecco di cosa ho paura, di voltarmi e non vedere più i suoi occhi freddi sciogliersi al sole delle nostre lunghe carezze.
Implodo dentro e non oso dire niente mentre scendiamo al secondo piano dove le nostre strade si dividono. Mentre io raggiungo mio padre, lui raggiunge il pian terreno. Dalla finestra lo vedo unirsi a Shannon con cui parla animatamente spostandosi in piazza.
Entro nell'ufficio di papà preparandomi alla solita sfuriata sul mio essere impulsiva. Invece sta sistemando dei documenti dentro la ventiquattrore e non sembra particolarmente arrabbiato o nervoso.
Recupero la borsetta e l'ombrello seguendolo fuori dalla struttura poi verso il parcheggio. Entro in auto e non ha ancora detto una sola parola.
Sospettosa e allarmata durante il viaggio verso casa mi volto. «Puoi dirmi a cosa pensi?»
«Tu e Kay...»
«Stavamo fingendo», butto fuori d'impulso. «Tra me e lui non c'è niente», spiego guardando fuori dal finestrino, sentendomi a pezzi.
«A me non sembrava. Il modo in cui vi siete difesi mi ha riportato alla memoria il giorno del 4 luglio. Te lo ricordi?»
Sto già negando. «Non ricordo molto...»
Si concentra cambiando marcia. «Kay era stato sgridato dal padre per avere fatto cadere per errore una ciotola piena di punch alcolico addosso al cane del vicini. Lo stava spingendo ad odiarlo davanti a tutti che assistevamo chiedendoci se fosse il caso di intervenire. Tu sei stata coraggiosa. L'unica. Sei corsa da loro e ti sei messa lì davanti nascondendolo con la tua piccola e delicata mole e lo hai affrontato. Hai affrontato un uomo più grande di te guardandolo dritto negli occhi. Hai protetto Kay nonostante lui ti avesse più volte fatto dei dispetti. In quell'occasione sono rimasto incredulo oltre che sorpreso e tanto orgoglioso. Adesso però capisco...»
«Che cosa?»
«Ci sono volte in cui bisogna odiarsi e perdersi prima di ritrovarsi. Non siete più quei bambini ma ci sono momenti in cui vi rivedo lì insieme a difendervi a spada tratta contro un mondo pieno di insidie.»
Guardo papà sconvolta. «Mi stai dicendo che accetti Kay? Mi sembra un po' tardi visto che abbiamo discusso.»
Sorride. «Ha sempre fatto parte della nostra vita quel ragazzo. Ti ha fatto soffrire e non posso perdonarlo per questo ma ti fa anche sentire meglio e sono sicuro che non sarà una piccola discussione a tenervi separati. Tu... anche se non te ne accorgi, in qualche modo riesci a tenerlo con i piedi per terra e lui invece scioglie quel nodo facendoti provare l'ebrezza del volo. Siete due opposti che si uniscono. Non ho mai creduto nel destino... oggi dopo avervi visto insieme però...»
Non rispondo più. Non posso di certo dire di averlo visto trasformarsi in quel ragazzo freddo che ha pestato Mason facendolo quasi fuori, non posso dire di averlo allontanato per le mie paure, insicurezze e per la mia voglia di tornare dal posto in cui sono venuta. Non posso dire di averlo ferito e di essermi sentita persa quando ha lasciato andare la mia mano e si è allontanato da me senza più guardarmi.
Giunti finalmente a casa, papà decide di andare dalla vicina a risolvere la questione "spionaggio casalingo", mentre io preparo la cena.
Sono poche le volte in cui abbiamo mangiato insieme e mi piace sapere che mette dentro lo stomaco qualcosa di solido e non solo caffè o barrette proteiche.
Preparo due bistecche con la salsa barbecue, una ricetta di nonna. Patate al forno con cipolle e carote.
Quando papà torna a casa ha lo sguardo stanco. I suoi occhi solitamente accesi, sono spenti, altrove.
«Va tutto bene?»
Annusa l'aria mentre preparo i piatti disponendoli sul ripiano dell'isola e sembra sul punto di mettersi in ginocchio.
Questo mi fa contorcere lo stomaco. Mi preparo subito ad una nuova delusione.
«Si, quando mi ha visto arrivare si è scusata e non lo farà più. Puoi stare tranquilla.»
«Devi dirmi qualcosa?»
Gratta la tempia improvvisamente a disagio. Il suo telefono squilla e dopo avere rifiutato mi guarda ansioso. «Mi dispiace ma non posso cenare insieme a te, non ho tempo, devo proprio andare», rifiuta l'ennesima chiamata.
Poso la teglia tra i piatti guardandolo delusa. «Ah, capisco. Vai...»
Mi volto reggendomi al bordo del lavandino, guardando fuori dalla finestra per non sentire gli occhi bruciare e le labbra tremare.
«Erin, mi dispiace tanto ma devo...»
«Già... non è poi una grossa novità», non resisto e superandolo salgo al piano di sopra sbattendo la porta per fargli capire che non intendo parlare con lui e che può andarsene al diavolo. Per la rabbia e la frustrazione picchio il pugno contro la parete lasciando un urlo.
Dopo qualche minuto sento la sua auto uscire dal vialetto e il silenzio circondarmi.
La casa non mi è mai sembrata tanto grande.
Mi rannicchio sul letto abbracciando il cuscino. Inspiro ed espiro sentendomi così oppressa, così sola da non essere più lucida.
«Non voglio più stare qui!»
Scatto il piedi e corro verso l'armadio. Tiro fuori la valigia lasciandola aperta, osservandola dopo averci lanciato dentro i primi indumenti.
Il telefono ronza sul comodino. Corro a vedere guardando lo schermo e non riconoscendo il numero, pensando che possa essere mia madre che non sento ormai da tanto, rispondo in fretta.
«Pronto?»
«Erin, sono Dana. Sei impegnata?»
Sento come una fitta allo stomaco. La delusione che prende forma dentro di me facendomi sentire di nuovo persa.
«Attualmente no», rispondo fissando il tetto.
«Che ne dici se passo a prenderti e andiamo al "RedBlood"?»
Passo una mano sul viso. «Che cosa c'è in programma?»
«Un gruppo si esibisce e dopo a quanto pare, per dare inizio al festival, vedremo la gara a chi beve più bicchieri di birra e a chi mangia un piatto di polpette e spaghetti senza mani nel minor tempo possibile ma possiamo sempre starcene sedute al tavolo a parlare, non necessariamente dobbiamo ballare o giocare a biliardo...», resta in attesa dopo avere parlato velocemente m.
Uscire mi farà bene, mi dico. Mi farà evitare di pensare ai bagagli che ho voglia di prendere per andarmene da qui.
«Come ci si veste di solito a questi eventi?»
«Casual, niente di troppo appariscente. Allora, passo a prenderti tra poco?»
«Ok, faccio una doccia veloce, mi cambio e mi faccio trovare fuori», dico alzandomi dal letto.
«Perfetto!», urla eccitata. «A tra poco!»
Mi guardo intorno valutando se scappare o affrontare davvero un'altra festa.
Alla fine rimetto la valigia dentro l'armadio e decido di cambiarmi, di rischiare.
Che cosa potrebbe andare storto questa volta?

🖤

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now