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«Erin, Erin svegliati», sussurra una voce calda e dolce come il miele attaccata al mio orecchio.
Mi lamento ma non muovo un muscolo, non ci riesco; rimango nel mio cantuccio caldo e accogliente che odora di buono, di casa.
«Sirenetta, svegliati», ripete di proposito per farmi innervosire. Sa quanto odio questo nomignolo. Infatti, sbircio con un occhio pronta a rimproverarlo o a rispondere a qualsiasi provocazione.
Ma quando lo faccio rimango colpita e non ho la forza di muovermi. Kay se ne sta di fianco, appoggiato sul gomito, la guancia tenuta in equilibrio dal polso. Il petto nudo in bella mostra. La coperta sulla vita lascia intravedere la V scolpita. È troppo esposto alla mia vista.
«Che ore sono?», sbadiglio stiracchiandomi come un gatto pronto a fare le fusa. Faccio una smorfia lasciando uscire un lamento quando le mie gambe non collaborano. Mi fa male dappertutto.
Kay mi sfiora la guancia togliendo una ciocca dal mio viso, fa attenzione a non toccare i punti. Poi mi bacia la fronte con delicatezza. Un gesto che mi trasmette una piacevole serenità e mi distoglie da altri pensieri così peccaminosi.
«Ti va di vedere l'alba, con me?»
Mi giro su un fianco. «Si», chiudo gli occhi per tornare a dormire.
Ride. Il suono scuote il suo petto a poca distanza dalla mia pelle, causandomi un terremoto dentro che non riesco proprio a gestire.
«Allora che aspetti ad alzarti?», afferrandomi per un polso mi tira su. Non indugia. Non si perde in inutili giochetti.
Tengo stretto il lenzuolo ritrovandomi a metà busto. Non so perché lo faccio. Forse penso di proteggermi in questo modo da lui che continua a guardarmi come se avesse davanti qualcosa di eccitante e di irraggiungibile a tal punto da farlo impazzire.
«Come fai ad avere così tanta energia dopo averne consumata abbastanza e avermi consumata tutta?»
Ride ancora. Quando lo fa, sotto gli occhi gli si forma una rughetta e sulla guancia come una fossetta. È illegale vedere una cosa simile al risveglio.
«Smettila di brontolare e tirati in piedi», ordina infilando i boxer e spostandosi verso la finestra mi attende.
Mi guardo ancora un po' assonnata attorno. La sua maglietta è più vicina rispetto alla mia felpa, così la afferro e la indosso provando a non pensare che solo poche ore prima questa era imbrattata di sangue.
Traballante, con i muscoli indolenziti, mi avvicino a lui che spalanca la finestra e poi posizionandosi alle mie spalle mi abbraccia premendo la guancia sulla mia mostrandomi il bellissimo panorama che si staglia davanti, oscillando leggermente come una piuma.
Sono a bocca aperta. Batto le palpebre per mettere meglio a fuoco ciò che vedo, ma è reale.
«È tutta nostra», sussurra. «Per qualche minuto.»
Mi adagio al suo petto caldo osservando i primi spiragli di luce in una giornata piena di neve che si è accumulata ovunque durante la notte. Ammiro tutto come una bambina, sentendomi protetta e riscaldata dal suo abbraccio.
Inspiro l'aria fredda che entra dall'esterno dove il bianco oggi sembra il colore predominante in questo paesino uggioso e grigio.
«Non senti freddo? Ieri avevi solo questa maglietta sotto il giubbotto di pelle.»
Avvicina la bocca al mio orecchio. Drizzo la schiena preparandomi mentalmente a qualsiasi cosa abbia in mente di fare.
«No, ho una temperatura corporea abbastanza alta. Tu al contrario stai gelando», dice tirandomi indietro e chiudendo la finestra.
Provo ad oppormi e quando si volta mi accorgo che è stanco. Mi blocco. «Da quanto sei sveglio?»
Mi bacia il collo provando a distrarmi. «Da qualche ora.»
Mi volto. «Non hai dormito?»
Capisco al volo la risposta e guardandolo male lo spingo verso il letto dove, chiaramente divertito, si lascia cadere.
«Che cosa vuoi farmi?»
Prima che possa anche solo spingerlo sotto la coperta come un bambino, mi avvicina appoggiando la guancia sul mio ventre, abbracciandomi le gambe.
Accarezzo la sua testa stupita da questa sua reazione. «Non voglio farti niente. Adesso tu dormi», ordino.
Alza il viso dopo avermi baciato la pancia.
Trattengo il fiato davanti a quegli occhi.
«E tu?»
«Io... cosa?», sorrido anzi rido quando mi fa il solletico dopo avere sollevato il lembo della maglietta che, infastidito, quando cade di nuovo giù mi sfila dalla testa.
«Dormi con me», dice risoluto tirandomi addosso a sé.
Cadiamo sul letto. Rido lottando contro di lui che prova a mordermi e a tenermi stretta senza però farmi male. Ci rotoliamo sotto le lenzuola tra le risate e alla fine riesco a ritrovarmi su di lui. Lo blocco tenendo le mani sul suo petto impedendogli di alzarsi a metà busto. «Ho vinto io!», esulto.
Sfiora le cosce. «Ah si? E che cosa pretendi?»
«Adesso chiudi gli occhi e dormi qualche ora.»
Si fa serio in volto ed io smetto di sorridere. Scatta qualcosa dentro di me, una sorta di avvertimento da parte del mio cuore, ma non riesco proprio a fermarlo in tempo perché rovescia la situazione schiacciandomi sul materasso affondando la testa nell'incavo del mio collo.
Strillo dimenandomi e lui mi schiaccia delicatamente facendomi intendere che non mi lascerà andare tanto facilmente.
«Adesso va meglio», mormora succhiandomi la pelle.
«Kay», mi agito.
«Dormi», mugugna. «Dormi insieme a me e non azzardarti ad alzarti.»
Quando si tranquillizza mi rilasso arrendevole passando la mano sulla sua schiena. «Adesso va decisamente meglio», mugugna. «Su di me... in quella posizione stava diventando pericoloso.»
«Ho notato...»
Sorride sulla mia pelle dandomi il colpo di grazia ma rimango ferma. Gli occhi, ad un certo punto, si abbassano pesantemente e il suo calore mi aiuta, mi riscalda, mi avvolge, trascinandomi nella tranquillità più assoluta. «Buona notte», dico con un filo di voce.
«Notte, amore», sussurra.
Il cuore batte ad un ritmo scostante nel sentire queste parole sussurrate mentre me ne sto in mezzo al buio. Sorrido tenendole per me, nel mio mondo dei sogni. Perché in fondo, è di questo che si tratta. Solo un sogno.
Un colpetto abbastanza forte alla porta seguito da uno strattone mi distoglie dal sonno tranquillo che mi ero concessa dopo ore. Un'altra spinta alla maniglia che prova ad abbassarsi seguito dal bussare incessante mi costringono a spalancare gli occhi.
Mi sollevo guardandomi stordita intorno. Vestiti ovunque, coperte per terra, protezioni bene in mostra dentro il cestino e lui... lui che dorme beato e mezzo nudo al mio fianco.
Piego la testa di lato e sembra come il ritratto umano di una divinità greca. È così bello da rimanerci secchi.
Ho sempre pensato che lo fosse. Sin da bambina. Ero solo tormentata da ogni sua cattiva azione per guardarlo in maniera diversa.
Evito di imbambolarmi o di pensare a quante cose abbiamo passato insieme. Mi alzo di corsa spostandomi verso l'armadio, spalancando le ante. Indosso una felpa abbastanza grande e un paio di leggings elasticizzati che usavo per andare a correre. Sistemo le coperte su Kay che continua a dormire, ripiego i suoi indumenti e mi affretto, dopo essermi sistema i capelli ed essermi guardata brevemente allo specchio, ad aprire la porta.
Mio padre per poco non mi cade addosso, tanto stava per andare nel panico e sfondare la porta. Guarda la stanza vagando con lo sguardo intorno ma non sembra vedere niente di compromettente. Per un attimo ho l'istinto di sospirare sollevata.
«Sei sveglia», dice. Il suo sguardo mi suggerisce anche il seguito della frase: "e non sei nuda" o "non ti ho beccata a fare chissà che cosa con un ragazzo".
Chiudo la porta alle mie spalle per proteggere il ragazzo che sta dormendo come un ghiro più che stanco. Da quanto non dormiva?
«Si», non so che dire. Mi piacerebbe aggiungere qualcosa ma si è appena instaurato tra di noi un clima freddo. Non so se riuscirò mai a perdonare i miei genitori. Questo pensiero mi fa sentire cattiva ma non posso dimenticare tutto quello che mi hanno fatto passare quando non ero ancora in grado di distinguere il bene dal male e avevo bisogno di loro.
Papà fa un passo indietro guardandomi attentamente. I suoi occhi partono proprio dalle dita dei piedi raggiungendo la testa. Per un attimo sono attraversata dalla paura che lui possa accorgersi di qualcosa. In fondo è un medico, nota quando una persona è diversa. E sono sua figlia...
«Possiamo parlare senza litigare?»
Faccio una smorfia. Non so se riuscirò a scendere le scale perché ho male dappertutto ma annuendo lo seguo al piano di sotto senza lamentarmi.
Credo sia la giusta punizione. In qualche modo però mi sento rigenerata. Mi piace quello che il mio corpo sta provando dopo tutto quello che ho osato fare con una persona che non avrei mai preso in considerazione. Forse è stato divino proprio per questo, perché ho fatto qualcosa di eccitante con una persona per cui ho provato odio e... amore allo stesso tempo.
Arrossisco. Per tenermi impegnata e non ripensare a Kay, alle sue mani dappertutto e alla sua bocca su di me, metto sul fornello due padelle. Recupero le uova e il bacon, prima però mi occupo della pastella per fare i pancake.
Papà si riempie una generosa tazza di caffè sedendosi sullo sgabello. «Come va?», indica la ferita.
Indossa una camicia bianca e pantaloni eleganti. Deve avere una riunione.
Istintivamente sfioro la fronte evitando di ripensare a come mi sono procurata la ferita. Non ho più riflettuto a questo. Mi sembra persino passata una eternità da quando è successo. Eppure sono solo poche ore.
Spero che nessuno gli abbia fatto del male perché voglio affrontarlo io. Voglio capire perché mi ha fatto questo.
«Non fa male. Kay ha fatto un ottimo lavoro», rigiro l'impasto, aggiungendo le gocce di cioccolato.
«Adesso posso sapere come te la sei procurata?», chiede cautamente. «Ho ricevuto delle chiamate. A quanto pare la notizia che qualcuno ti ha aggredita si è sparsa.»
«Non hanno fatto il suo nome, vero?»
Nega. «Hanno solo detto che ti hanno visto macchiata di sangue e terrorizzata», passa la mano sul viso. «Volevano sapere come stavi e sinceramente anch'io. Non mi hai dato la possibilità di aiutarti o parlarti. Adesso posso sapere che cosa è successo?»
Rompo due uova sbattendole energicamente in una terrina per fargli una frittata con bacon dentro. «Io e Dana siamo andate da Ephram», fatico a pronunciare il suo nome. «Abbiamo visto un film e mangiato qualcosa», non ce la faccio. Rigiro la frittata prendendo un lungo respiro.
«C'era anche Dana con te quando è successo?»
«Lei e Xavier sono andati via. Lei non poteva riaccompagnarmi a casa perché c'era Davis ad aspettarla. Ephram si è proposto ma... ha cercato di rimanere con me più a lungo. Mi ha fatto visitare la casa poi mi ha detto che doveva parlarmi.»
Gli passo il piatto e lui mangia voracemente pur rimanendo concentrato sulle mie parole.
«Da quanto non mangi come si deve?»
Con un mestolo preparo i pancake.
Papà gusta la colazione mettendosi comodo. «Non mangio queste cose da molto tempo in effetti. Ma continua. Che cosa ha fatto Ephram?»
«Mi ha mostrato tutta la casa, stanza per stanza, un posto pieno di cianfrusaglie antiche. Ho notato che la sua stanza era l'unica ad essere spoglia poi ho visto lo scantinato e ho capito perché. Infine è successo che ho scoperto che mi ha fatto dei ritratti, ovunque con chiunque. Anche alcuni a dir poco da mettere i brividi. In pratica mi segue ed è uno psicopatico», me ne pento subito non appena pronuncio l'ultima parola. «Non volevo dire questo. Lui...», deglutisco sentendo la gola bruciarmi. «Credo che ha bisogno di aiuto», aggiungo. «Non so come abbia fatto a sapere che stavo arrivando in questo posto, so solo che ha quei ritratti, sono come delle fotografie e alcuni erano momenti miei intimi...»
Papà stringe il pugno sul tavolo intuendo quello che intendo. «C'erano ritratti di prima che arrivassi in questo posto?»
Abbasso lo sguardo sulla mano che tiene stretto il manico del mestolo. «A quanto pare ha avuto un bel po' di tempo per osservarmi e ha scovato mie vecchie foto facendone dei ritratti. Ha anche creato una sorta di storia... con lui.»
Papà manda giù il boccone mantenendo la calma a stento. «E la ferita?»
«Abbiamo lottato. Non voleva farmi uscire da lì dentro. Rivoleva il disegno e che in qualche modo stessimo insieme. Continuava a dirmi che ero l'unica a non giudicarlo e che saremmo stati bene insieme. Quando mi ha bloccata, dopo avere sfondato la porta ed essere caduta a terra, gli ho rotto due dita e forse anche il polso. Non lo so è tutto confuso. Rivivere queste scene mi angoscia. Scusami se non riesco ad essere più precisa nei dettagli.»
Nasconde l'orgoglio mantenendo la sua tipica postura austera. Pulisce le labbra allontanando il piatto vuoto. Gli passo un pancake e non rifiuta mettendoci sopra del miele. «Mi assicurerò che non si avvicini più o che quanto meno la smetta di seguirti e disegnarti, prima che qualcuno lo rispedisca da dove è arrivato.»
Alzo la testa. «È stato veramente in una clinica?», chiedo.
«A quanto pare si», poi sbianca.
«Che succede?»
«Dio, è inquietante tutto questo», massaggia la fronte. «Sto scoprendo particolari raccapriccianti.»
«Papà...»
«Si trovava vicino alla costa quindi...»
Un lampo freddo mi balena dentro. Il mondo vacilla. «Ephram è stato ricoverato... lì vicino?»
Passa le mani tra i capelli. «Dannazione. Avrà trovato il modo di uscire.»
«Ecco perché aveva quei disegni di me sulla spiaggia...», boccheggio appoggiandomi al ripiano. «Come ha fatto a sapere che ero lì?»
«Tutto questo è... assurdo!», scuote la testa. Percepisco ancora un cambiamento nell'aria. Adesso è preoccupato. Lo sono anch'io. Per tutto questo tempo sono stata seguita.
«Non ti sei mai accorta di niente?»
Nego. «Ero quasi sempre su di giri in quel periodo. È stato dopo che il maniaco con cui stava mamma...», non riesco a continuare.
Ci sono ricordi che richiedono tempo per rimanere tali, altri che hanno la forza di ritornare nel presente e fare ancora male.
«Le persone non sono mai come ci aspettiamo», dico mettendo sui piatti i pancake disponendo tutto su un vassoio con del caffè. Preparo un'altra frittata. Le mani adesso mi tremano.
«Dovrei proteggerti e invece continuo a lavorare senza sosta da una parte all'altra senza mai chiederti come stai. Mi dispiace davvero, Erin», mi guarda corrucciato. «Non volevo dirti di tua madre perché vedo con quanta fatica stai cercando di rimanere. Volevo solo tenerti lontana dai nostri litigi e invece ancora una volta ho sbagliato tutto. Vedi, tua madre ha chiamato e abbiamo parlato. È furiosa con te per quello che hai combinato alla festa del suo fidanzamento ma vuole che passi un po' di tempo con me e non per tenerti lontana da lei, ma per darmi la possibilità di fare il padre.»
«Si, avresti dovuto dirmi la verità. In fondo, è anche la mia vita. Non sono più una bambina e ho smesso di chiedere aiuto agli adulti da quando avevo otto anni.»
Papà incassa il colpo. «Ma sono e sarò sempre tuo padre quindi lascia che qualche volta mi assuma le mie responsabilità, ok?»
Faccio una smorfia. «Avresti dovuto pensarci tempo fa, non credi?»
Beve un sorso di caffè placando il nervoso. «Si. Ma adesso sei tornata e sto avendo un'altra occasione di dimostrarti che posso essere un padre migliore di quello che ricordi.» Alzandosi posa tutto dentro il lavandino.
«Se senti mamma, dille che non ho intenzione di perdonarla per quello che mi ha fatto passare. Sta continuando a farlo, mandandomi qui a farmi male.»
«Non succederà più niente», mi rassicura.
Soffio dalle narici. «Ci credi solo tu a questa stronzata.»
Non commenta il mio linguaggio. «Sono rientrato prima di mezzogiorno perché volevo assicurarmi che stessi bene e sapere la verità prima degli altri. Insomma, io voglio capire... se posso fare qualcosa perché non so davvero come aiutarti», dice agitato all'ennesima chiamata.
«Va a salvare vite», sollevo il vassoio. «E sta attento, le strade sono ghiacciate.»
«Sicura che posso lasciarti con lui?»
«Tra tutti quelli che conosco non è l'unico che mi sta proteggendo nonostante tutto?»
Papà annuisce senza pensarci un secondo, indossando il cappotto.
Mi incammino verso le scale per terminare questo momento tra padre e figlia.
«Erin?»
Mi volto. «Si?»
«Non tenerlo lontano da te. Uno che si prenderebbe un colpo per te è uno che non se ne andrà facilmente, neanche quando crederai di averlo perso.»
Annuisco salendo altri due gradini.
«E la prossima volta tieni la porta aperta», mi sorride facendomi avvampare.
Salgo il resto delle scale di corsa. «Buona giornata», lo saluto.
Raggiunto il piano superiore abbasso le spalle, apro la porta e Kay è ancora sotto le coperte beatamente addormentato.
Poso il vassoio sul comodino stendendomi accanto a lui. Lo osservo senza toccarlo e dentro di me si risveglia uno strano istinto. Poi mi rimbomba una frase: "Notte, amore" che credo di avere solo sognato. È impossibile che sia uscita dalla sua bocca una cosa simile.
Scaccio via tutto guardando il profilo del ragazzo che se ne sta a pancia in giù abbracciato e con la testa affondata sul cuscino.
Sorrido mordendomi un'unghia. La mia mano, incapace di fermarsi, si posa sulla sua guancia. Il suo corpo subisce un sussulto quando il tocco dei miei polpastrelli gelidi si posa sulla sua pelle. Mi viene da ridere.
Si nasconde scansandosi e gli sfioro il braccio. Alza di scatto la testa. I capelli scompigliati, gli occhi stretti a fessura e le labbra increspate in una smorfia che si stende in un sorriso meraviglioso.
«Buongiorno», mi saluta con voce arrochita.
Scivolo più vicina appoggiando la guancia sul suo petto. Ascolto il battito del suo cuore che da regolare si fa veloce e gli lascio un bacio. «Buon risveglio», saluto. «Non volevo svegliarti. Hai dormito bene?»
Mi tira sotto il suo peso annusandomi come un segugio. «Odori di pancake e sei... vestita», constata con disapprovazione, ignorando la mia domanda. «No, questo non va bene», ringhia prima di togliermi tutto, persino l'intimo. Sì tira indietro ad osservarmi e sto già tremando.
«Ecco, adesso va molto meglio», affonda il viso sul mio collo leccandomi.
Mi scanso mentre il mio corpo viene attraversato da lunghi e continui brividi freddi. «Kay!»
«Sei ancora più buona così», mugugna baciandomi il petto. «Dove sei stata senza di me?»
Circondo con le braccia il suo collo. «Ho parlato con mio padre e ho preparato la colazione.»
Inarca un sopracciglio. «Mi ha visto mezzo nudo tra le coperte e ha tentato di tirarmi fuori e lanciarmi dalla finestra?»
Sorrido. «No. Ti ho nascosto prima di aprire la porta. Non ha notato niente», lo rassicuro. «A parte che dormivi e forse anche le protezioni lasciate in bella mostra dentro il cestino.»
Arriccio il naso. Lui si rilassa. «Avete fatto pace?», mi tempesta di baci sotto l'orecchio facendomi contorcere.
«Non faremo mai pace io e lui.»
Non è d'accordo. «Perché non provi per una volta a vedere le cose dal suo punto di vista», dice. «Non essere tanto testarda e orgogliosa!»
Mi tiro su con la coperta tenuta stretta sotto le ascelle. «E cioè? Che cosa dovrei fare?», gli passo il piatto e la forchetta.
«Sorridergli e riempirlo di elogi?»
Assaggia emettendo un verso di puro piacere che, per istinto mi fa stringere le cosce. Se ne accorge e ghigna.
«Erin, tuo padre aveva tutto. Una casa, un lavoro, una moglie, una figlia... una famiglia», inizia biascicando leggermente. «Poi un giorno il suo bel mondo si è distrutto. La moglie lo ha tradito privandolo della tranquillità, facendolo ritrovare circondato da estranei che gli dicevano come comportarsi o cosa fare per ottenere almeno una piccola rivincita. Sono iniziate per lui le ripicche, i litigi... Lui si è ritrovato solo. Ha scelto di buttarvi fuori perché non riusciva a guardare tua madre negli occhi, ma non ha scelto lui di perderti. Lo stai facendo tu, perché non riesci ad accettare che lui abbia semplicemente continuato a vivere anziché finire in un centro per alcolizzati. E non puoi sapere se sia pentito di quello che ha fatto quel giorno. Non sai se continua a ripensarci e magari a maledirsi. Sai solo che ti vuole bene e dovresti accettare quel bene che ti dimostra anche se non nel mondo in cui vorresti.»
Sono a bocca aperta. Kay sa esattamente cosa dire per farmi ragionare. È sempre così pratico, così diretto e attento. Sempre così sicuro e... lui è incredibile.
«Ascolta, io non parlo con i miei, non ho un gran esempio alle mie spalle da seguire per ovvie ragioni, ma tu hai un padre che nel suo piccolo vuole il meglio per te. E te lo sta dimostrando. Non essere troppo dura con lui.»
«Non è facile», ammetto.
«Hai sempre vissuto ogni momento e ci hai messo troppo cuore. È per questo che adesso hai paura. Perché quando ci metti troppo cuore, soffri di più.»
Lo abbraccio rischiando di fargli rovesciare il caffè. Lo posa sul comodino mentre cerco le sue labbra e lui mi regala un bacio di quelli che non dimenticherò mai.
«A proposito di sincerità...», dice tornando immediatamente serio e staccandosi da me. «Prima...»
Mi faccio attenta. «Prima quando?»
«All'alba...», schiarisce la voce. «Prima di addormentarmi ho detto una cosa.»
Faccio la finta tonta ma dentro di me ho già capito tutto. «Quale cosa?»
Strofina il naso sul mio in modo sensuale. «Non ricordi?»
Fingo di pensarci su. «No, che cosa dovrei ricordare? Ci siamo sdraiati e ci siamo addormentati come sassi.»
Strizza le palpebre. «Sicura?»
Rimango impassibile. «Si, perché?»
Schiocca un bacio. «Niente», sorride.
Mordo l'interno guancia. Rimango in silenzio cercando una risposta nei suoi occhi adesso sfuggenti.
Prende fiato inumidendosi le labbra. Afferra le mie mani unendole e baciandole. «So che hai sentito», mi guarda intensamente. «Non mentire.»
Nascondo un sorriso. «Eri solo stanco...»
Nega. «No, l'ho detto perché volevo dirlo.»
Lo guardo finalmente negli occhi trattenendo a stento la contentezza. «Sei sentimentale», lo stuzzico dandogli un buffetto.
Morde la mia guancia prima di darmi un bacio sotto il labbro ma così vicino da farmi ansimare. Gli mollo un pugno senza forza e si allontana sorridendo. «Sei davvero la mia ragazza, no? Direi che posso permettermi di dirtelo qualche volta, amore.»
«Definisci "davvero"?»
Amore. Sentirlo dalle sue labbra è così strano ed eccitante.
Mi attira a sé. «Reale, non finta», spiega. «Non saremo come quelle coppie, non allarmarti», ridacchia vedendomi sbiancare. Lo spingo picchiando ripetutamente il palmo sul suo petto mentre continua a ridere e a provocarmi.
«Non ci baceremo in piazza. Non ti regalerò rose e cuori o peluche e non ti terrò per mano.»
«Saremo una "coppia" solo tra le lenzuola? Com'è che la chiamate da queste parti?»
«Anche», mi ruba un bacio. «Ma tu non sei mia amica. Non posso definirti "scopamica". Sei la mia ragazza», specifica.
«Perché non mi hai detto che studi medicina?»
Si fa serio quando cambio argomento. «Ci sono cose che non sai ancora di me, vero. A poco a poco risponderò alle tue domande.»
«Parti da questa», dico incrociando le braccia.
Si appoggia alla testiera del letto prendendomi la mano. «È rilevante quello che studio?»
«Si, se hai un buon motivo per farlo», replico. «Hai fatto sacrifici. Perché proprio medicina?»
«Dopo l'incidente... ho capito quello che volevo fare. In realtà l'ho sempre saputo. Volevo aggiustare e aiutare le persone», dice alzando il mento.
Sorrido. «Mi parlerai mai dell'incidente?»
Prende fiato guardando fuori dalla finestra. Adesso è a disagio. Gioca nervoso con le mie dita. «Non oggi.»
«Che cos'altro mi puoi dire di te?»
«Che sono impegnato. Mi dispiace ma la mia ragazza è gelosa», ride abbracciandomi.
È così strano quando si comporta in questo modo. Accantona quella parte fredda per mostrarmi un lato tenero, quello che non permette di vedere a nessuno.
«Tanto lo so che in fondo ti piace», scivola fuori dal letto cercando i suoi indumenti ripiegati sulla sedia, rivestendosi.
Faccio lo stesso mettendo in ordine la stanza. Kay nel frattempo si sposta davanti alla finestra ad osservare il paesaggio innevato e quando nota che sto finendo di riordinare la stanza mi avvicina a sé. «Usciamo», dice organizzandosi mentalmente. «Devo passare un momento da casa a prendere indumenti puliti e adatti. Poi andiamo in piazza. Sono sicuro che con questa neve ci sarà da divertirsi.»
Incapace di rifiutare, lo seguo nella casa di campagna dove prepara il borsone dopo avere fatto una doccia nell'angusto bagno.
Me ne sto seduta sul lettino ad osservarlo.
È ordinato. Questo suo lato lo apprezzo.
Mi becca a contemplarlo e mi volto guardando fuori dalla finestra con le guance rosse.
La neve inizia a cadere lenta e presto in mezzo alla radura ci saranno parecchi centimetri di neve.
«Ti piace la neve? Non sei più una ragazza da spiaggia?»
«Mi ha sempre messo di buon umore la neve», dico sentendomi serena. «Non la ricordavo così bella...»
Mi avvicino a lui aiutandolo con il bagaglio. Non mi ha ancora detto perché sta preparando tutte le sue cose. Il pensiero che possa andare via a causa della presenza di suo nonno che potrebbe raggiungere questo posto mi spaventa. Cerco però di non fargli notare l'allarme nella mia espressione.
Forse lo legge nei miei occhi perché mi spiega quello che sta facendo. «Sto cambiando auto, questa verrà a prenderla Shannon quando gli servirà. Con questa neve non voglio correre il rischio di rimanere da qualche parte e di non avere niente per cambiarmi, tantomeno di non potere tornare qui», spiega.
«E la moto?»
«La tengo in un magazzino al riparo», spiega chiudendo il borsone, caricandolo in spalla. Guarda intorno per accertarsi di non avere dimenticato niente.
«Non vai da nessuna parte quindi?»
Solleva il labbro. «Senti già la mia mancanza?»
Gli mollo una spallata. «Non essere stupido adesso.»
«Tanto lo so che stavi riempendo la tua grandissima testa di pensieri e paranoie.»
Lo guardo male e ghigna.
«Sono solo previdente, Erin. Ho un esame a fine settimana e non è neanche difficile. Per il resto rimarrò qui, in mezzo alla neve e magari anche con te.»
Usciamo fuori e mentre mette il borsone sulla jeep dopo avere posteggiato l'Audi sotto la tettoia, creo una palla di neve. Quando si volta lo colpisco al viso.
Rido forte. «Ops!»
Si avvicina stringendo i pugni nascosti dai guanti di pelle ed io strillo provando a lanciargliene un'altra per impedirgli di avvicinarsi troppo. Mi raggiunge senza fretta. Mi carica in spalla facendomi strillare poi lasciandomi scivolare sulla neve mi stringe i polsi sulla testa. «Ops? Prima mi colpisci di proposito e poi mi dici "Ops"?»
Rido e si ferma un attimo ad ammirarmi. «Dovevi vedere la tua faccia. Da quanto tempo non ti diverti? Sei un ragazzo, Kay. Non sei ancora un adulto a tutti gli effetti. Rilassati un po'...»
Riflette davvero sulle mie parole. Si lascia cadere sulla neve creando la sagoma di un angelo prima di guardare il cielo ridendo mentre io sono rapita da ogni suo gesto e dalla sua pelle pallida sulla quale i fiocchi si posano delicatamente accarezzandolo.
Si volta ed io mi alzo in fretta togliendomi la neve di dosso. Non posso continuare a fare certi pensieri su di lui. Non posso perdermi così tanto. Non si ripeterà quello che c'è stato. Litigheremo. Discuteremo. Ci faremo male. Siamo così.
«Che succede, Erin?»
«È tutto nuovo per me. Un passo alla volta, ok?», la voce mi esce alquanto stridula.
Mi afferra per i fianchi. «Abbiamo fatto se...»
Tappo la sua bocca intuendo dove sta andando a parare. «So cosa abbiamo fatto. Intendevo dire... che non so ancora come muovermi con te e ho bisogno di capire alcune cose... di noi.»
Le sue mani si abbassano sulle mie natiche togliendomi il fiato, accelerando i miei battiti, surriscaldandomi la pelle. «Io so come puoi muoverti con me», sussurra roco. «Ed io dentro di te», aggiunge.
Ho i brividi. Gli getto le braccia al collo baciandolo con impeto e lui mi solleva da terra ricambiando con una certa fretta e il fiato che gli si spezza.
«Ti voglio. Adesso!»
Indietreggia fino a chiudere la porta alle mie spalle baciandomi e toccandomi senza controllo. E poi mi spoglia ed io faccio lo stesso con lui non controllando più il mio corpo, la mia mente. I vestiti cadono via dai nostri corpi. Mi spinge contro il muro guardandomi dritto negli occhi prendendosi tutto di me.
Appagati ed euforici, ci allontaniamo dalla casetta.
In auto il clima è piacevole. Nessun imbarazzo tra di noi. Accendo lo stereo canticchiando mentre lui guida attento raggiungendo il paesino, superando le strade non chiuse per il festival e poi posteggiando nel retro della chiesa dove si trova un parcheggio. Qui hanno spalato la neve e si stanno ammassando le auto in file ordinate di sei.
C'è un gran via vai di persone, del posto ma anche turisti.
Esco dall'auto sentendo ancora addosso il calore del suo corpo e l'odore che impregna i miei sensi facendomi sentire ebbra.
Mi sorprende quando mi prende per mano. Lo guardo in parte complice, in parte impacciata e lui comprende in fretta i miei pensieri. «Le cose a volte cambiano», esclama con nonchalance.
Sorrido avvicinandomi. «Quindi adesso questa voce possiamo spuntarla dalla lista. Adesso manca il peluche, i cuori, i fiori...»
Scuote la testa. «Scordalo!»
Mi fermo un momento. «Neanche il bacio?», metto il finto broncio.
Sorride guardandomi le labbra. Inumidisce le sue poi avanza tirandomi dietro di sé. «No, te l'ho detto.»
«Posso accettarlo», rispondo alzando il mento con finta indifferenza. Vedo che nasconde un sorrisetto sardonico.
All'inizio mi sento un po' tesa e preoccupata della reazione che potrebbe avere la gente. Infatti, quando mettiamo piede tra bancarelle e stand, gli occhi di tutti sono puntati su di noi.
Kay, con disinvoltura stringe la mia mano ed io uso la mia sfrontata sicurezza seguendolo a ruota.
Inutile ignorare i bisbigli delle ragazze accanto allo stand dei prodotti biologici. Tutte a guardarmi con astio perché mi sono appropriata del loro magnifico: Kay Mikaelson.
Una addirittura bisbiglia: "Come fa a volere proprio lei? Non se lo merita di certo quella stronza".
Avvistiamo Shannon e ci avviciniamo a lui ignorando tutto il resto.
Non appena mi vede, sorvola sulla reazione istintiva di Kay che, ingelosito mi tira a sé, staccando le nostre mani intrecciate mi circonda in un abbraccio fraterno. «Scommetto che il punto croce che hai sulla fronte è opera di Kay», mi prende in giro lanciando al contempo uno sguardo perfido all'amico per stuzzicarlo.
«Sai fare di meglio?», replica prontamente sentendolo e guardandolo male. «Ho fatto un lavoro impeccabile.»
«Posso farti da mentore, lo sai», dice Shannon.
«Anche tu...», indago.
Annuiscono entrambi. Shannon mette un braccio intorno alle spalle di Kay. «Non aiuto solo mio padre in officina. Chi lo avrebbe mai detto, eh?», ridacchiano entrambi più che complici.
«Andiamo a divertirci, ne abbiamo bisogno.»
Kay mi guarda intensamente facendomi perdere nell'azzurro ghiaccio delle sue iridi. «Pronta ad affrontare di nuovo la folla e i pettegolezzi?», chiede porgendomi la sua mano, con quel sorrisetto da bastardo. Senza attendere lascia scivolare di nuovo la mano nella mia intrecciando le dita, stringendo la presa mi fa cenno di seguirlo.
Sono così attratta da lui che a tratti mi spaventa quello che sento, perché mi fa dimenticare come come si parla, come si respira.
Si dovrebbe fare attenzione a certe persone. Si dovrebbe fare attenzione a certi sguardi, a certi sorrisi. Ci sono occhi, abbracci, mani che si intrecciano che fanno innamorare, ma sanno anche fare molto male.
E anche se non staremo mai insieme veramente io e lui, non importa. Qualsiasi cosa abbiamo adesso: mi basta. Lui è riuscito a scrivere sulla mia pelle tutte quelle parole che altri prima di lui non erano mai stati in grado di incidere. Lui mi ha fatto innamorare per la prima volta. Fa paura. Farà male. Sarà doloroso. Ma è amore.
«Pronta», rispondo ricambiando la stretta.

🖤

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora