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Mi sono ritrovata molte volte a chiudere gli occhi davanti a quello che non volevo vedere. Ho preferito andarmene anziché restare e farmi male.
Adesso però non riesco neanche a muovermi. È come se mi avessero appena dato una botta alla testa così forte da fracassarmi il cranio.
«Che mi piaci!».
Continuo a sentire solo queste tre parole apparentemente insignificanti ma che dentro di me hanno un grandissimo effetto, soprattutto in un momento in cui avrei preferito rimanere sola per non dare di matto.
Nella vita ho imparato ad incassare i colpi. Ho imparato a cadere, a farmi male, ad aspettare senza pretese, a rialzarmi. Ho imparato a non avere fretta, perché le cose che desideri non arrivano mai subito ma dopo qualche sacrificio. Ho imparato a tacere, ad urlare. Ma ho anche imparato ad implodere, a farmi male, a spegnermi silenziosamente. Ho imparato a sapermi bastare da sola.
«Stai delirando», esclamo con un tono di voce tra la frustrazione e la stanchezza che arriva improvvisa, come quando continui a tuffarti e a nuotare e all'improvviso nel bel mezzo delle bracciate non riesci più ad avere lo stesso ritmo di prima, i muscoli si tendono e il fiato viene meno.
Dopo queste mie parole insensate e dette per puro istinto di sopravvivenza, sarebbe il caso ora come ora di stargli a debita distanza.
Oso guardarlo con diffidenza ma i suoi occhi non stanno mentendo. Pur continuando a mantenere una sorta di ostilità che colgo attraversargli le iridi come un lampo, mi basta solo tuffarmi dentro quel ghiaccio per sentire un nodo allo stomaco stringersi forte a causa di ciò che sta cercando insistentemente di trasmettermi.
Ad ogni battito in questo silenzio assordante che adesso aleggia tra di noi, rischio di perdere l'equilibrio.
Lui ha la straordinaria capacità di farmi entrare in crisi, di farmi avere enormi dubbi su ogni cosa, persino su me stessa.
«Credi che io l'abbia detto per prenderti in giro?», sbotta alzando il tono di molte ottave. «Incredibile!», continua indispettito.
«Credo che tu sia più furbo di così», apro la porta. «Adesso se non ti dispiace...»
Sta già scrollando la testa in un movimento nervoso e i suoi occhi si fanno sempre più carichi. Una furia titanica che mi si attacca addosso trascinandomi in breve tempo a fondo.
Il cuore in questo momento sta battendo così forte da spaventarmi. Passerei la mano al petto ma non voglio mostrargli la mia agitazione stando così vicina a lui.
«Io non me ne vado. Dobbiamo chiarire questa situazione perché mi sta mandando in tilt il cervello e tu devi smetterla di resistere e di andartene», dice camminando avanti e indietro come un leone ingabbiato.
«Erin, abbiamo un problema evidente e non possiamo evitare di affrontarlo quindi parliamone...»
Incrocio le braccia guardando in alto. «Non abbiamo niente da dirci, Kay. Ti sei comportato da idiota e io ho avuto una reazione che non avrei dovuto avere e che mi ha portata dritta a Mason.»
Non appena pronuncio il suo nome Kay drizza la schiena. «Appunto! Hai avuto una reazione diversa da quella che mi aspettavo da te.»
Lo guardo come se avessi ingoiato succo di limone. «Quindi è colpa mia?»
Soffia dal naso. «No. Non ho detto che è stata colpa tua. Sto dicendo che ho fatto una cazzata e tu mi stai punendo abbastanza. Ma adesso penso che lo stai solo facendo per vedere fino a che punto sono disposto a spingermi con te. Mi stai mettendo alla prova ma notizia per te: io non sono uno che si arrende. Io sono uno che prende quello che vuole e non mi spaventa di certo continuare a rincorrerti. Anche se è stancante, non mi arrendo.»
Passo il palmo sulla fronte camminando un momento avanti e indietro con una mano sul fianco. «Arrenderti per cosa? Io ti sto chiedendo di lasciarmi in pace», dico esasperata. «Non puoi continuare a farti trovare fuori dal cancello della scuola o avvicinarti come se niente fosse chiedendomi davanti a chiunque di parlare. Non puoi neanche seguirmi...»
Sulla guancia gli si forma una linea marcata. «Certo che posso se non mi dai la possibilità di parlarti. Sai che cosa penso? Che tu stai solo evitando il discorso perché sai di cedere e non sopporti il pensiero di perdere con me.»
Sento il sapore della bile in bocca. «Perdere con te? Cazzo, ho affrontato un ragazzo che era una furia e solo perché ero incazzata con te e io... non voglio più provare niente del genere. E non ho paura di perdere. Ho paura di guardarmi dentro e non trovarmi più a causa tua. Perché anche se non te ne rendi conto, mi stai facendo qualcosa».
Sospiro e più che nervosa scendo al piano di sotto lasciandolo come un ebete.
Per tenermi impegnata tolgo la bottiglia di birra ancora intera dal tavolo basso del soggiorno e dopo avere preparato due scodelle abbastanza capienti riempiendole di patatine al formaggio e piccanti e popcorn salati, lanciandomi sul divano accendo la tv tirandomi addosso il plaid morbido ben ripiegato lasciato sulla poltrona. Odora tanto di ammorbidente alla magnolia.
Scelgo un film tra la sfilza che mi spuntano da vedere cercando di concentrarmi persino quando Kay mi raggiunge stendendosi accanto a me come se niente fosse.
Prende la ciotola con i popcorn e mangia fissando le immagini in HD dell'enorme schermo piatto posto sulla parete attrezzata che abbiamo davanti, piena di libri, dvd, riconoscimenti di mio padre e qualche vecchia foto. Ci sono anche delle piantine grasse ma niente di mio.
In faccia mi arriva un popcorn. Lo raccolgo posandolo sul tavolo facendo finta di niente. Me ne arriva un altro e faccio lo stesso ma al terzo mi volto pronta a rimproverarlo e lui mi sorride.
Come faccio a resistere ad una scena simile? Come faccio a non perdere il controllo? Che diavolo ho che non va?
«Ricordi al cinema?»
Sgranocchio le patatine più per nervoso che per fame. «No, ricordo solo di essere stata distratta da uno psicopatico a cui ho offerto i miei snack. Ho perso anche un pezzo del film per cui avevo pagato convinta di potere stare serena almeno per un'ora se non ricordo male.»
Solleva il labbro all'angolo. «Ma ricordi quello che ti ho detto?»
«Che avevo un debito con te?»
Me lo conferma cacciando in bocca una manciata di patatine. Alzandosi tocca le tasche dei jeans estraendo il telefono.
Bevo un sorso d'acqua per capire che cosa ha in mente di fare.
Digita ad una velocità assurda qualcosa sul display poi torna a sedersi e senza darmi una spiegazione si mette comodo, proprio come se fosse sul suo divano.
«Davvero non mi hai riconosciuto? Non mi hai mai cercato sui social? Non che io ne abbia uno ma... non hai mai avuto curiosità di vedermi?»
«No, non ho mai cercato il mio peggior incubo, senza offesa. Inoltre come potevo riconoscerti quella notte? Avevi il casco quando mi hai dato il passaggio e la tua voce è cambiata. Per non parlare dei tatuaggi. La tua faccia invece... è rimasta la stessa di sempre», replico piccata con una punta di sarcasmo e un pizzico di sfida.
«Bella? Sensuale?»
«Da prendere a schiaffi», dico aumentando il volume della tv. «Viva la convinzione», aggiungo.
Si abbandona ad una mezza risata poi prova ad avvicinarmi a sé ma non glielo permetto.
Sbuffa.
Dopo circa cinque minuti passati a guardare il film senza però vederlo davvero, il campanello suona. Lui balza con uno slancio incredibile e più che eccitato in piedi, battendo le mani strofinandosele sparisce all'entrata. Parla con qualcuno e poco dopo torna in soggiorno con due cartoni di pizza e due bibite.
Tiene tutto sollevato sul palmo della mano. «Vuoi tenermi ancora il broncio?», parte alla contrattazione. «O ci godiamo una pizza e magari facciamo il punto della situazione chiarendo qualcosa?»
Dentro di me ho due opzioni: la prima è quella di rilassarmi e accettare il fatto che non si arrenderà, l'altra invece è quella di controbattere per non mostrarmi debole o bisognosa di attenzioni dopo avere passato un brutto e difficile momento. Il cuore e la mente entrano in conflitto ma la ragione frena ogni genere di speranza che si spegne nell'immediato quando scelgo cosa fare.
«Una pizza non toglierà la macchia che hai provocato sul mio cuore», abbraccio il cuscino come una bambina ferita guardando lo schermo sulla quale si susseguono le immagini di "Avatar". Era da un sacco di tempo che non lo guardavo.
Kay sistema i cartoni della pizza sul tavolo basso sollevando i coperchi, lasciando così diffondere l'odore in tutto il soggiorno. Si sposta in cucina prendendo il rotolo di tovaglioli accanto al lavandino e porgendomene uno vi posa subito una fetta di pizza. «Non mi andava di cucinare e dubito che gli anelli di pesce o un piatto di pasta qualsiasi ti avrebbe incoraggiata a fidarti di me e a parlare», brontola. «Sei difficile da ammorbidire. Non sei come il burro. Sei più una carota.»
Alzo gli occhi al cielo evitando di mostrargli che al contrario stavo per mettermi a ridere. «Perché perdere tempo e cucinare quando puoi sempre prenotare una pizza e chiedere scusa con qualcosa che ha fatto con le sue mani qualcun altro?», esclamo acida.
Fa una smorfia. «Sei sempre così?»
«Così come? Vuoi dirmi che sono stronza? No, sono realista. Stai solo cercando di farti perdonare con metodi stupidi e che non rispecchiano minimamente il tuo carattere. La verità è che sei tu lo stronzo della situazione ma non te ne accorgi perché pensi di averla sempre vinta. Tranne in questo caso, mi sembra ovvio. E ti brucia.»
Pulisce le labbra appallottolando il tovagliolo prima di lasciarlo cadere all'angolo del cartone della pizza apparentemente offeso. «Se non vuoi parlarmi ti prendo per la gola», sorride infine.
Sbuffo di nuovo. «Sei fastidioso come le unghie sulla lavagna.»
«Ti stai comportando da ragazzina, lo sai?», si irrigidisce stringendo la presa sulla lattina prima di bere un sorso.
Faccio una smorfia pulendo le mani e sistemandomi meglio sul divano lo guardo male. «Da che pulpito», sgrano gli occhi accompagnando le parole con i gesti.
Mi molla una cuscinata cogliendomi impreparata. «Sei una stronza. Sai sempre cosa rispondere. Hai sempre la battuta pronta. Sicura di essere umana?», continua a picchiarmi il cuscino addosso. «Cerca di rilassarti e non pensare a quello che posso sembrare ai tuoi occhi ma guarda quello che sono attraverso quello che faccio per te.»
Lo fermo afferrando il cuscino ma è un errore il mio visto che vado a finirgli addosso quando mi tira a sé. Sorride perfido e divertito stringendomi per i fianchi. Infine stendendosi mi abbraccia.
«Ecco, così va meglio», esclama con sarcasmo cercando di bloccarmi per non permettermi di dimenarmi. «Adesso vinco io.»
«Kay, lasciami andare», sibilo. «Non respiro così.»
Nega. «Non finché non avremo parlato e chiarito come due adulti e non come due poppanti che continuano a farsi le linguacce.»
Picchio il palmo sul suo petto nel tentativo vano di distrarlo e riuscire a rialzarmi. Provo persino a dargli un pizzicotto ma faccio un movimento sbagliato e mi blocco impallidendo. Una fitta acuta mi si dirama ovunque soprattutto nel petto togliendomi il respiro. È come quando tocchi una superficie troppo calda e ti ritrai. Improvvisamente i miei polmoni sembrano stringersi e l'aria va via di colpo.
Kay si accorge di ciò che mi sta succedendo aiutandomi a mettermi seduta. Passa la mano sulla mia schiena delicatamente per rassicurarmi. Non ha un attimo di smarrimento o esitazione. «Hai un inalatore da qualche parte?»
Indico il centrotavola di ceramica beige con i girasoli in rilievo usato come posacenere per chiavi, bollette e medicine, che si trova sul ripiano della cucina e lui intercettandolo corre a prenderlo.
In breve ogni cosa si placa dentro di me e tossicchio riprendendomi del tutto.
Non era dolore. Il mio era un attacco di panico. La sua stretta ha fatto scattare in me qualcosa. Ho visto un flash di quel giorno e ogni cosa è andata a farsi benedire in un nano secondo, senza che io ne avessi il controllo.
«Da quanto?»
«Da sempre?»
«Perché non me l'hai detto?»
«E farmi deridere alle spalle passando come la bambina con l'asma o la ragazza dal respiro di una foca?»
La sua mano sulla mia schiena si ferma. Non sta ridendo di me prendendomi in giro per la pessima battuta. «Non ho mai scherzato su queste cose. Non lo sapevo.»
Appare offeso e chissà perché mi ritrovo a chiedergli scusa mentalmente. Sono dispiaciuta per essere così velenosa con lui ma averlo così vicino non mi fa dimenticare di certo quello che ha fatto.
«Non sai molte cose di me.»
«È tornata dopo l'aggressione?», indaga.
Annuisco. «Mi ha colpito al petto e a quanto pare ho avuto una crisi respiratoria durante il trasporto in ospedale. Ma quella vera ritorna quando vado nel panico.»
Mi ascolta con attenzione stringendo il pugno che tiene sullo schienale del divano. Si agita visibilmente sentendo dentro il fuoco. Lo emana la sua pelle insieme all'odore di bagnoschiuma e ammorbidente dei suoi indumenti.
«È partito tutto a causa mia...», piegandosi punta i gomiti sulle ginocchia passando le mani sul viso, tra i capelli. «Io non pensavo che te ne saresti andata», ammette dispiaciuto. «Quando mi sono voltato per vedere come avresti reagito aspettandomi chissà quale scenata, tu... non c'eri e Shannon una volta nel vicolo, quando siamo usciti dal magazzino, mi ha dato un pugno così forte da farmi male alla mascella per giorni. Mi ha persino minacciato. Io in quel momento non ho riflettuto e... ti prego di perdonarmi.»
La bocca si apre prima che le parole partano dalla mia testa. «Non mi fa male quello che mi ha fatto quel bastardo quanto mi fa male quello che mi hai fatto tu.»
Ecco, finalmente l'ho ammesso. Ho ammesso di non provare dolore per l'aggressione, non quanto il suo gesto che mi ha provocato dentro un maremoto incontrollabile. Non avevo mai dovuto gestire dei sentimenti così contrastanti verso qualcuno.
Nella mia vita non c'è mai stato spazio per l'affetto o per l'amore vero. Non c'è mai stato spazio per le storielle, per i sorrisi sinceri. Non c'è mai stato un arcobaleno di colori tra il bianco e il nero nella quale la mia vita continua ad oscillare. Non c'è mai stato nessuno a cui affidare il mio cuore già ferito e sul punto di arrestarsi.
Quando lui è tornato, ogni cosa è andata a farsi fottere. Ogni mia certezza si è sgretolata perché ho sempre vissuto nell'illusione di potercela fare da sola, senza più drammi, senza più sentimenti.
Mi sbagliavo. Mi sono sempre sbagliata. Perché il mio cuore adesso accelera senza controllo e la mia mente si riempie di immagini mentre il mio corpo si lascia scaricare ogni tipo di emozione che non ho mai assaporato, vissuto, capito ma che ho allontanato per paura di trasformarmi in qualcosa che si ammorbidisce in fretta. Nel corso del tempo mi sono indurita, ecco tutto. E adesso mi fa paura con quanta facilità lui riesca con il suo calore a farmi tremare e sciogliere lentamente.
Kay lecca le labbra inferiori prima di mordersele fissando il tavolo. «Perché?»
Mi stringo sotto il plaid. Mi sento esposta, sul punto di fare uscire il mio cuore dal petto e mostrargli ogni segno, ogni cicatrice o ferita mai rimarginata che tengo costantemente dentro.
«Forse per la stessa ragione che hai avuto tu prima di ferirmi. Forse perché crediamo di odiare qualcuno ma ci sbagliamo...»
Ascolta attentamente. I suoi occhi si sbarrano impercettibilmente. Mantiene però compostezza e notandomi distante si avvicina. «Facciamo l'amore adesso? Se non ricordo male, ti ho urlato che mi devi qualcosa proprio dalla finestra. Dovevi vedere com'era sconcertata la vicina. Credo che abbia persino fatto il segno della croce e gettato acqua santa verso di me.»
Lo guardo mordendomi il labbro. Mi sfugge un sorriso e lui ne approfitta immediatamente abbassandosi su di me.
Le sue labbra così spietate esercitano sulle mie una forte pressione. Si muovono sicure, senza esitazione facendomi cedere in breve alla carezza della sua lingua che chiede accesso trovando la mia insicura, quasi timida e non ancora pronta a sentire il bacio del diavolo in persona trascinarmi altrove.
Mi godo tutto, il bacio così caldo, così sicuro, eloquente e voluto da entrambi, senza un altro fine.
È un piacevole preliminare privo però di malizia o altre intenzioni. Mi sembra davvero di fare l'amore con lui ma in un modo che nessuno può comprendere. Proprio come nessuno può comprendere il nostro rapporto.
Lo allontano facendo pressione con la mano sul suo petto per riprendere fiato. Ho il cuore in subbuglio, le guance in fiamme e il corpo coperto dai brividi che piacevoli continuano a scorrermi in circolo sotto pelle.
Kay scosta il plaid dalle mie gambe sistemandoselo sulla schiena. Senza darmi il tempo la sua mano posandosi sul mio fianco esercita pressione infilandosi sotto la felpa, toccandomi la pelle, facendomi agitare. Ma non va oltre. Vuole solo trovare un contatto con me, pelle contro pelle. Una connessione non solo fisica ma mentale che parte dallo sguardo. Il mio catturato dal suo che non smette un secondo di scavare sempre più in profondità come se volesse trovarmi e tirarmi fuori.
Insinua la mano sulla mia chioma poi la sposta sulla guancia e con il pollice in modo rude mi accarezza il labbro inferiore che prima ha morso e che adesso guarda famelico. «Potrei restare qui, premuto alla tua bocca per ore, persino anni», sussurra roco.
Guardo la sua bocca e chiudendo gli occhi provo a rifiutare la solita immagine che mi tormenta. Lui è qui con me, non con lei. Tento di scacciarla via anche se non ci riesco.
«Mi hai seguita oggi?»
Senza esitare me lo conferma. «Non solo oggi, ma questo lo sai.»
Non so se esserne sconvolta o lusingata. Non lo capisco. «E se io non fossi venuta al magazzino nei giorni scorsi o al "Chocolate Shop" oggi?»
Riflette fingendo di prendere tempo. «Ti avrei seguita lo stesso. Come un maniaco o uno psicopatico», mormora accarezzandomi ancora le labbra prima di staccare le dita e avvicinarsi per assaporare un nuovo breve bacio.
Sorrido fermandolo. «Alla fine lo hai ammesso», sussurro affannata spingendolo leggermente. «Sai che non posso», dico mettendomi in ordine.
Appare frastornato e nel vedere il mio gesto, la distanza che ho appena creato, si incupisce.
«Per quello che ho fatto?»
«Non per quello che mi hai fatto ma perché non ci riesco. Non mi fido di te», soffio velocemente afona, sentendomi immediatamente una grandissima stupida.
Mi guarda in modo brutale riavvicinandosi. «Lo so. Ma sto cercando di sanare una delle tante ferite che ti ho provocato.»
Gioco con il bordo della sua maglietta storcendo le labbra. «Sono tante...»
Fa anche lui una smorfia per incassare il peso delle mie parole. «Già, ma voglio impegnarmi quindi non tenermi a distanza da te. Non ora che...»
Mi faccio subito attenta mentre il mio cuore parte per un posto sconosciuto. «Non ora che... continua.»
«Non ora che sei tornata e ti ho trovata», mi sussurra labbra contro labbra. «Se mi baci non lo dirò a nessuno che hai tolto per qualche minuto la corazza», mugugna.
Sorrido intrecciando le dita sulla sua nuca. «Perché, hai intenzione di dire a qualcuno che ti ho fatto penare? Vuoi rischiare così tanto?»
Si adagia su di me nascondendo il viso sul mio petto prima di abbracciarmi. «No, ho anch'io una reputazione da mantenere da queste parti, sai?»
Un lampo trapassa le sue iridi. «Non hai ancora capito che mi piaci. Come risolviamo questo dilemma?»
La mia mano si posa sulla sua testa affondando dapprima sui capelli. A poco a poco rilasso la mano accarezzandoglieli. «Mi è difficile da credere che io possa piacerti. Magari lo dirò solo a Shannon, così saprà come fermarti la prossima volta che tenterai di farmela pagare quando ti dirò che non siamo una coppia e ti verrà la brillante idea di infilare la tua lingua dentro la bocca di un'altra.»
Mi guarda male e fermo la mano privandolo del mio contatto.
«In realtà è lesbica», confessa. «Perché non vuoi accettare la mia proposta?»
Sfioro il mento, le sue labbra, il naso sentendomi così idiota per non avere pensato a questo dettaglio. «Perché ci siamo odiati tanto e alla fine non credo sia possibile farci vedere come una finta coppia. Non ci crederebbe nessuno.»
«Ancora con questa storia? Ti facevo i dispetti solo perché in quel modo avresti giocato e passato del tempo anche con me. Lo so che sono più grande di te di due anni ma non eravamo tanti in questo posto», sbotta alzandosi. «Eravamo un gruppo ristretto e mal assortiti.»
«Ma potevi giocare con me senza stuzzicarmi di continuo e senza farmi rischiare l'osso del collo tutte le volte. Io c'ero sempre e mi piaceva stare con voi il pomeriggio anche se... se rischiavo di farmi male.»
«Tutti ti volevano e tu non te ne accorgevi perché ti sentivi sempre inferiore a quei due che continuavano solo ad usarti costruendosi un castello alle tue spalle. Eri tu a fornirgli il materiale ed eri tu a tenerli uniti. Anche loro fingevano di odiarsi e invece ora stanno insieme.»
«È questo quello che vuoi? Stare con me per finta? Per fare vedere alla gente che anche noi possiamo stare insieme?»
Appare contrariato. Nega. «Ti ho detto del matrimonio di mio fratello», appare improvvisamente a disagio.
«E ti accompagnerò se ci tieni così tanto alla mia compagnia ma non chiedermi di mentire perché non lo posso fare. Io non posso fingere di essere chi non sono.»
Guarda i piedi poi i suoi occhi scorrono lenti sul tappeto ed infine mi raggiungono attraversando i miei. «Verrai con me al matrimonio?»
«Si», ripeto esasperata.
Abbassa le spalle sospirando. «Cazzo. Finalmente!», apre le braccia.
Mi scappa un sorriso. «Sai, dovresti chiedere le cose nel modo giusto», gli spiego. «Invece usi la forza e ti fai odiare. Ma a te a quanto pare piace così.»
Torna da me e afferrandomi per un polso mi solleva. «Balla con me», mormora.
«Quindi stavi facendo le prove alla riserva, in riva al mare, al tramonto...»
«Cosa... no, no. Non balleremo al matrimonio e non ci comporteremo come due piccioni sul punto di copulare. Faremo solo qualche sorriso, annuiremo e poi addio a tutti.»
Incapace di tenermi a distanza, fingendo una tranquillità che non mi si addice, adesso che posso toccarlo le mie mani passano sulle sue spalle poi si intrecciando sulla nuca. «Sarò la tua... "accompagnatrice" o "bambola" plastica, rigida e telecomandata per un giorno? Dovrò indossare qualcosa di rosa con lo strascico per caso?»
Ride arricciando il naso. «No, no. Tu non sei una bambola e indosserai qualcosa che ha scelto la sposa per tutte le invitate.»
Mi solleva il mento continuando ad oscillare. Facendomi fare una giravolta mi preme a sé con impeto. Ansimo e mi bacia ancora ma con molto trasporto, più di prima.
Vedendomi tremare sotto il suo attacco si stacca di qualche millimetro rimanendo a contatto con le mie labbra. «Hai paura?»
«Penso di piacere alle mamme o alle nonne e di non essere poi così orribile con un abito da cerimonia addosso purché non sia rosa.»
Ride ancora scuotendo la testa. «No, su questo non ho dubbi. Non stavo parlando del matrimonio. Hai paura di me adesso?»
«No, dovrei?»
Solleva il labbro poco prima di assumere una posa seria, solenne. «No, non ti farei mai male. Ho sbagliato e spero davvero di curare ogni ferita che ti ho procurato.»
Mi alzo sulle punte dei piedi poi trattengo l'istinto quando un pensiero mi attraversa. «Pensi che stiamo sbagliando tutto?»
Non coglie al volo il significato della mia domanda per cui mi affretto a spiegare. «Pensi che io sia troppo rigida con me stessa e tu troppo preso dalle cose che vuoi ottenere?»
Non era neanche questo quello che intendevo. Stringo i denti prendendomi mentalmente per sciocca.
Dal modo in cui sta riflettendo, Kay mi fa capire che non sta pensando a questo e che ha intercettato i miei pensieri. «Tu hai solo paura di apparire fragile», mi dice circondandomi la vita con le braccia. «Stai pensando di avere messo all'angolo la dignità e l'orgoglio per uno come me che non dà certezze. Lo capisco. Io non piaccio ai genitori. Sono quello che combina guai e che non si pente se commette una cazzata. Ma con te è successo. Forse sono stato punito abbastanza e adesso non mi tocca che fare ammenda e cercare di migliorare. Io ci sto provando, credimi.»
«Quindi sei in cerca di redenzione e mi stai usando per fingere di essere buono e di meritare il perdono divino? Forse hai scelto la persona sbagliata perché ti comunico che sono già nel girone dell'inferno.»
Ride maggiormente. «No», mi stringe. «Devo solo chiederti scusa e dirti la verità. Quella che tengo dentro e alla quale non credi.»
Batto le palpebre velocemente seguendo forse il ritmo del mio cuore. «Ok, adesso sei strano.»
«Erin, tu mi piaci», dice di getto. «So che non ci credi ma è così. Io...»
Ringhia baciandomi, facendomi indietreggiare verso la parete dove continua a tormentarmi le labbra con baci e morsi poi scende vero il collo. «Io ti voglio da così... tanto.»
Stringo le dita sulle sue braccia tenendo a bada il mio corpo dopo avere ricevuto una consistente ondata di brividi. «Ricordi le parole di mio padre?»
Si ferma. «Vuoi colpirmi? Provaci», mi guarda male, con sfida.
Inizialmente ricambio lo sguardo poi sorrido e lui si rilassa immediatamente provando ad avvicinarsi. Premo le dita sulle sue labbra che bacia avidamente. «Non ho mai passato un venerdì sera senza alcol», ammette. «Ma tu sembri rendermi peggio di un ubriaco.»
Sguscio via dalla sua presa e cogliendo l'attimo giusto recandomi in cucina frugo tra i liquori che di solito regalano a mio padre ma che non ha mai bevuto o aperto anche solo per assaggiarli.
«Shannon mi ha detto che non bevi più. Questo potrebbe andare», dico svitando il tappo di una bottiglia dalla forma irregolare un po' più rigonfia in stile ampolla, riempendo due bicchierini.
«Che cos'è?», chiede rigirando il bicchiere con il liquido ambrato tra le dita. Legge distratto l'etichetta pronto ad assaggiarne un sorso.
«Non lo so ma proviamolo. Non deve essere poi così forte o disgustoso.»
Porta il bicchiere contro il mio per fare un brindisi silenzioso e beviamo un sorso.
Per poco non glielo sputo in faccia. Lui ha la stessa reazione ma esce la lingua arricciando il naso dopo avere deglutito a fatica. «Che cazzo, sembra benzina!»
Trattengo un conato di vomito tappandomi la bocca e getto il resto del liquido dei bicchieri dentro il lavandino sciacquandomi la bocca con dell'acqua. «Decisamente una pessima idea», dico rimettendo in ordine il soggiorno mentre Kay osserva la collezione di liquori e bottiglie su uno dei ripiani alti all'angolo della cucina e poi vagando in soggiorno come un turista indica quella sul tavolo di vetro che si trova accanto alla finestra. «Proviamo il borboun?»
Mi avvicino assaggiando due dita del liquore che mi sta porgendo. «Si, adesso va meglio.»
Dopo circa tre bicchierini di vodka liscia trovata nel ripiano della cucina ancora chiusa, due di bourbon e una scatola di cioccolatini al rum, mi sento stranamente leggera e rilassata.
Ce ne stiamo seduti al contrario sul divano, i piedi in aria a guardare il soffitto nell'oscurità dopo avere spento la luce lasciando entrare quella proveniente dalla finestra. L'ombra dei rami dell'albero dietro il vetro e la tenda della cucina si estende su di noi.
«Credo di essere ubriaca», ammetto biascicando.
Kay si volta a guardarmi. Mi inquieta perché non parla. Gli passo una mano davanti e l'afferra. «Davvero non mi credi quando ti dico che mi piaci?»
Torno a guardare il soffitto mentre la sua mano guida la mia sulle sue labbra poi sul petto dove mi fa sentire il suo cuore.
«Vorrei crederti ma io non piaccio mai a nessuno, tantomeno ad uno come te.»
«E tu che ne sai?»
Alzo le spalle. «Non lo so», lo guardo e rido.
Si alza. «Ok, tirati giù... piano altrimenti qui avremo bisogno di più di un caffè amaro.»
Mi stringe la mano intrecciando le nostre dita. Guardo il suo gesto mentre mi porta al piano di sopra.
«Staremo così al matrimonio?»
Solleva leggermente le nostre mani. «Se non vuoi no.»
Mi fermo a metà scala.
«Ti senti male?»
«Ma io voglio solo che tu... tu sei strano con me e non riesco a capirti. Mi confondi. Io...», sospiro. «Non è vero che non volevo giocare con te.»
Inarca un sopracciglio. «Non credo di averlo detto. Ho solo detto che trovavo il modo di giocare con te perché eri sempre circondata e avevi solo occhi per quel bastardo.»
Mi siedo sul tappeto che copre il gradino e lui senza staccare la mano fa lo stesso sedendosi accanto. Appoggio la testa sulla sua spalla. «Io volevo solo vivere spensierata, non avere problemi con nessuno. Eravamo così piccoli...»
La mia voce è resa distorta dall'alcol ma so bene cosa sto dicendo perché anche se il mio corpo non risponde in fretta la mia mente sembra esplodere. Ho come dei fuochi d'artificio dentro.
Kay guarda davanti a sé, in basso, l'entrata avvolta dal silenzio, dall'oscurità.
«Hai sempre avuto un qualcosa in grado di attrarmi», mormora.
Lo guardo con il mento ben piantato sulla sua spalla. «Tu eri spietato ma ti ho sempre rispettato e ammirato.»
«Perché? Perché non hai mai reagito?»
«Perché eri l'unico sincero con me. L'unico a non avere paura di ferirmi. L'unico a non trattarmi come una bambina piagnucolona.»
«Ti sbagli», scatta velocemente.
Corrugo la fronte. «Che cosa intendi?»
Prende un respiro. «Che avevo il terrore di farti così male da non riuscire a farmi perdonare ma non volevo che vivessi quello che tramavano alle tue spalle e allora agivo prima per rovinare i loro piani.»
Rimaniamo per un momento in silenzio. «Secondo te perché mi odiano?»
La sua testa fa un movimento da destra verso sinistra. «Loro non ti odiano. Loro ti invidiano perché non possono essere come te.»
Mi stringo sentendo freddo e lui mi circonda le spalle con un braccio. Appoggio la testa sotto il suo mento.
«Va meglio adesso?»
«Oh si... sei caldo», annuso la sua pelle e lui trattiene il fiato. «Hai anche un buonissimo odore. Così buono che mi piacerebbe sentirlo addosso...», mordo la lingua arrossendo. Provo a staccarmi. «Scusa... l'alcol mi fa sciogliere maggiormente e divento molto sincera, troppo», blatero agitata. «Me lo dicono sempre di non bere. In realtà non avrei dovuto neanche dopo quello che ho combinato alla festa di fidanzamento a sorpresa di mia madre.»
Kay non reagisce male. Mi stringe in un abbraccio stretto e possessivo. «Anche tu hai un buon odore.»
Non fa parola riguardo il resto della mia spiegazione.
«È un nuovo modo per dire: "non fai schifo come credevo"?»
Ride aiutandomi a sollevarmi. «Andiamo, adesso devi dormire», dice conducendomi al piano superiore scortandomi fino alla porta della mia stanza.
Sfioro la linea scura sul collo e lui si volta di scatto. «Mi racconterai mai che cosa ti è successo?»
Mi lascia passare. «Forse. Ora però mettiti a letto.»
Stiracchiandomi mi ritrovo al centro della stanza e lui appoggiato alla porta. «Te ne vuoi andare?»
Morde il labbro. «Vuoi che me ne vada?»
«Hai promesso a mio padre...»
«Erin», mi scocca un'occhiataccia.
Metto le mani avanti barcollando. «Si, voglio che rimani.»
Si avvicina e ogni mio muscolo si tende all'istante. «E se mio padre ci trova qui?»
Le sue mani afferrano la mia vita. Indietreggio fino a trovarmi contro la scrivania. «Mi farà volare dalla finestra ma ne sarà valsa la pena», mormora sfiorandomi le labbra con le sue morbide e pronte.
Scivolo dal suo controllo boccheggiando. La mia pelle va a fuoco quando mi strattona per un braccio e nella mia mente scatta qualcosa. Gli getto le braccia al collo e lui mi preme a sé divorandomi le labbra a suon di baci a schiocco che ben presto si fanno sensuali.
Mugolo e lui freme irrigidendosi per qualche attimo poi mi sfila la felpa dalla testa continuando a prendersi ogni parte di me con gesti che fanno perdere l'equilibrio e la lucidità.
Ci ritroviamo sul letto, le sue mani a sfilarmi i pantaloni e le mie che tremano sul suo viso per tenerlo fermo.
Si stacca senza fiato dandomi la possibilità di sfilargli la maglietta e poi affonda il viso sul mio petto lasciando una scia di baci lungo lo sterno. Morde il bordo del reggiseno al centro esatto tirandolo per il fiocchetto, frustandomi delicatamente la pelle e poi scende lungo l'addome, sotto l'ombelico sfiorando la striscia degli slip.
Lo fermo gemendo, costringendolo a risalire in fretta. Torna a baciarmi disperato.
Sbottono i suoi jeans scuri facendolo agitare e mugolare dal piacere generato dal contatto delle mie dita fredde sulla sua pelle statuaria, piena di linee precise.
La sua pelle emana un odore più intenso. Sa di bagnoschiuma al cocco e di profumo mescolato all'assenza della sua anima così imponente.
Li toglie e stringendomi le cosce mi tira giù sistemandosi su di me. Sollevo le ginocchia ed emette un verso che mi provoca pura estasi andando ad intensificare quello che mi si deposita nel basso ventre.
Ci fermiamo entrambi accaldati e privi di fiato intuendo di non potere andare oltre. Reggendosi sulle braccia preme la fronte sulla mia dopo averci depositato un castissimo bacio che mi fa fremere. Le mie dita si posano sul suo collo ma non si irrigidisce quando sfioro tutte quelle diramazioni. Sporgendomi gliele bacio e lui lascia scappare un ringhio così basso ma così intenso alle mie orecchie da farmi rabbrividire.
«Non sparire più», dice minaccioso afferrandomi la guancia, tenendola stretta, possessivamente.
Poso la mano sulla sua. «E tu non... non tradirmi più.»
Deglutisco credendo che stia per prendermi in giro, invece abbassandosi sull'orecchio, baciandomi il lobo, sussurra sensuale: «Vuoi che te lo prometta?»
Allungo il collo quando scende lento premendo le labbra fino alla clavicola. Le mie dita stringono la presa sulle sue braccia. «Si, promettimelo.»
Sorride. «Ti avverto, se ti vedo con Ephram di nuovo in quel modo potrei reagire male.»
Aggrotto la fronte. «E con questo che cosa vorresti dire?»
Mi ruba un bacio poi infilandosi sotto il piumone mi chiede di avvicinarmi stringendomi subito al petto quando eseguo il suo ordine silenzioso.
Mi rannicchio attendendo una risposta.
«Significa che devi stare attenta.»
«Non significa anche avere fiducia?»
Riflette un momento spegnendo la luce. «No, di lui non mi fido. Di te solo un po' ma sei impulsiva quindi oltre a tenerti d'occhio, mi terrò a debita distanza fino a quando non ti sentirai pronta.»
Mi sollevo un po'. «Pronta per cosa?»
I suoi occhi sfavillano. Sono una forza della natura.
Avvicinandomi mi accarezza il labbro. «Per stare con me», sussurra.

🖤

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora