29

5.8K 219 18
                                    

Il tempo ha la capacità di accelerare quando vivi qualcosa di intenso e piacevole. Ci sono volte in cui però rallenta tutto e non riesci a capacitarti di quante cose stanno cambiando mentre sei distratto e in attesa di qualcosa in grado di trasformare completamente la tua esistenza. Quando l'amore arriva ti brucia il cuore e fa volare il tempo. Forse è questo il problema. Non te ne accorgi ma arriva. Arriva e sconvolge il senso della tua intera esistenza.
È già passata una settimana. Il festival terminerà oggi con la festa spettrale di Halloween. Tra due giorni si ritorna a scuola e non credo di essere ancora pronta a quello che mi aspetta. Passare altre lunghe ore con persone di cui non mi fido e che non stimo sarà snervante. Per non parlare delle voci che circolano sulla mia "storia" con il mio acerrimo nemico.
La neve, per fortuna, si è sciolta dopo ben due giorni di bufera che ha costretto tutti a rimanere chiusi in casa. C'è ancora qualche terreno pieno o qualche sasso coperto ma le strade sono sgombre.
Il paese, anche se per un solo giorno, sembra essersi trasformato. Ragnatele, zucche intagliate, streghe, tombe e mostri sistemati in giardino, sui terrazzi, sotto i portici, come nei set dei film.
Scendo in fretta al piano di sotto quando vedo fermarsi sul viale l'auto nera.
«Ferma, ferma, ferma», papà mi sbarra la strada non appena metto piede sull'ultimo gradino. «Dove stai andando?», beve il caffè. Il secondo di questa giornata.
Mi formicola tutto il corpo. Una sensazione mai provata. L'ansia mi assale e tengo d'occhio la porta prima di rispondere.
«Sto uscendo?»
Assottiglia gli occhi. «E non mi avvisi?», sorride sotto i baffi.
«Siamo rimasti un paio di giorni insieme e sinceramente ho bisogno di svagarmi. Non hai permesso a nessuno di vedermi, neanche fossi una carcerata. A loro sono consentite le visite. È arrivato il momento di uscire di casa o darò di matto», dico con fare melodrammatico, battendogli la mano sulla spalla mentre il suono del campanello riempie la casa.
Papà posa la tazza sul mobile e superandomi va ad aprire la porta.
Kay si appoggia subito allo stipite con un ampio sorriso. Indossa una maglietta grigia sotto il chiodo, pantaloni neri e anfibi. Il suo tipico abbigliamento, che a me fa impazzire.
Credo di avere un sorriso stupido stampato in faccia e non intendo toglierlo. Cerco però di contenere l'entusiasmo infilando il cappotto, caricando in spalla la borsa per non perdere altro tempo.
«Quando rivedrò mia figlia?», chiede incrociando le braccia.
Kay continua a divorarmi con gli occhi. Mi sento elettrizzata. Non vederlo per un paio di giorni è stato rigenerante e mi ha dato modo di capire molte cose. Ho avuto il tempo di riflettere su di noi, sul mio rapporto con papà con cui ho parlato anche della situazione con mia madre e di ogni opinione sul paese e su quello che ho vissuto. Abbiamo trovato delle soluzioni, questo solo dopo avere litigato un paio di volte.
«Andrà a lavoro?», indaga.
«Ho preso un paio di giorni liberi», tira fuori la ciotola piena di caramelle posta sul mobile, scuotendola. «Per il resto mi divertirò ad aprire e chiudere la porta prima che qualche bambino o vandalo riempia il portico di uova o chissà quale altra schifezza. Succede ogni anno.»
Kay ascolta mio padre con disattenzione.
Io continuo a starmene nel mio angolino. Non oso ancora muovermi nonostante la voglia di correre e lanciarmi tra le sue braccia sia tanta. Mordo il labbro stringendo la presa sulla tracolla della borsa e le sue narici hanno un guizzo. Passa una mano tra i capelli tirandoli leggermente. Trova frustrante tutto questo trattenerci.
«Cercherò di riportare Erin in tempo per il "dolcetto o scherzetto" di questa sera. Non mancano poi così tante ore», sorride in maniera dolce con le braccia dietro la schiena. Si sta torturando le mani. A me sta torturando il cuore questa breve distanza.
«Preparerò qualcosa per cena. Ti fermi da noi?»
Kay chiede il mio consenso. «Ok, a dopo papà», dico superandolo per tirare via Kay prima che i due possano anche solo iniziare a chiacchierare.
Quando mi ha inviato un messaggio non ha specificato dove mi avrebbe portata quindi ho indossato qualcosa di comodo e l'ho aspettato seduta sulla soglia di marmo della finestra per assicurarmi che papà non lo intrappolasse. Dopo pranzo sono salita di corsa in camera e ho cercato di calmare la sensazione che mi si sta depositando ancora sul basso ventre, facendo più cose contemporaneamente per distrarmi.
Ho davvero bisogno di uscire e svagarmi. Di passare del tempo con qualcuno che non sia come papà, un adulto a tutto gli effetti, con delle responsabilità.
«Allora a dopo», dice Kay salutandolo.
«Non fate tardi e state attenti», alza il tono.
Papà ci osserva fino a quando non entriamo in auto. Nessuno dei due fa movimenti strani per non dargli alcuna soddisfazione. D'altra parte papà non ci fa nemmeno le solite raccomandazioni, oltre a chiederci di stare attenti. Si limita ad alzare la mano in segno di saluto poi guarda la vicina che sta passeggiando con i cani. Lei alza solo la testa prima di ignorarci tutti per accudire i suoi cuccioli. Quanto meno ha capito la lezione, mi dico.
Giunti a debita distanza dal quartiere, da occhi indiscreti e dal paesino, Kay si ferma. Picchietta le dita sul volante che continua a tenere stretto. Inspira ed espira poi spegne l'auto e si volta. «Non pensavo di dirlo... mi sei mancata», dice affannato, arrossendo.
I secondi sembrano eterni mentre ci guardiamo complici. La voglia di toccarlo è così tanta da bruciarmi la pelle quando il sangue inizia a bollire nelle vene.
È lui ad agire per primo, a cedere alla tentazione. Sgancia la mia cintura, attirandomi a sé. Mi sistemo a cavalcioni su di lui e con un sorriso lascio che mi tempesti il viso di baci senza permettergli di raggiungere la mia bocca.
Chiudo gli occhi lasciandomi attraversare da forti scariche che vanno a depositarsi e ad accumulare la voglia che ho di perdermi, sul basso ventre.
Odora di buono. Come quando cambi le lenzuola del letto, fai il bagno e indossi il pigiama pulito. Una delle sensazioni più belle che io abbia mai avuto modo di provare o sentire sulla mia pelle.
«Io non ti sono mancato?», passa le mani sulle mie cosce.
Decido di tenerlo sulle spine. «Perché? Non siamo una coppia», lo punzecchio. «Non mi sono disperata come pensi», mento. Mi sento una bugiarda, perché non solo mi sono annoiata, ho anche dovuto affrontare molte ore in compagnia di mio padre per sopprimere la voglia che avevo di chiamarlo e dirgli di venirmi a salvare.
Freme. Il suo viso si adombra. «Mi sei appena saltata addosso...»
Sbuffo. «Punto per te», esclamo con il broncio. Lo guardo da sotto le ciglia e lui assottiglia le palpebre tenendosi il labbro tra i denti.
Mi batte forte il cuore. Il sangue affluisce ovunque depositandosi sulle guance. Mi avvicino premendo la fronte sulla sua. Sono senza fiato.
«Certo che mi sei mancato, idiota!»
Sorride raggiante, come un bambino che non ha mai ricevuto un regalo tanto bello e che quando lo ottiene non sa come ringraziare.
Le sue mani calde e sicure, dalle cosce si spostano sui miei fianchi poi sul fondoschiena. Le dita premono e mi avvicino. Le nostre labbra si sfiorano.
«Allora? Com'è andato l'esame?»
«Dubiti delle mie capacità?»
Alzo gli occhi al cielo con un lamento. «Non puoi darmi una risposta che non sia orientata sul tuo egocentrismo?»
Strofina con la punta del naso il mio. «È andato bene visto che ho preso il massimo nel test. Era facile. Sono stato bravo quindi, adesso, mi merito un premio. Soprattutto perché ho resistito per un paio di giorni senza vederti e senza dare in escandescenza. Ammetto però che la tentazione di entrare dalla finestra della tua stanza è stata tanta...»
Ridacchio immaginandolo mentre fa avanti e indietro per il quartiere rimproverandosi. «Ti aspettavo. Perché non sei mai venuto, neanche per un saluto?»
«Mi sarebbe piaciuto vederti. In fondo non è stata una cattiva idea tenermi lontano da te per concentrarmi sui miei obiettivi», sussurra. «Anche se adesso che ti ho davanti sembra avere peggiorato molte cose dentro di me.»
Chiudo gli occhi. È così anche per me. «E perché mai?»
«Perché quello che sto sentendo adesso per te mi fa esplodere il petto», afferrandomi la guancia mi avvicina a sé portando la mia mano sul suo cuore. Non sento altro che lui.
Mi bacia e lo lascio fare. Lascio che mi trascini a fondo. Mi stringo a lui ricambiando con tanto ardore. «Sono orgogliosa di te per l'esame e... mi sei mancato, tanto», sussurro sulle sue labbra. «Tanto, tanto...»
Boccheggia. «Ok, adesso dobbiamo calmarci. Ritorna al tuo posto e non farmi eccitare perché non sarò affatto bravo come in questi giorni. Ti ho appena detto che vederti è stato come peggiorare quella sensazione che mi investe.»
Non smetto di sorridere. «Sei già eccitato», lo prendo in giro. «Se mi muovo che succede?»
Alza la testa sbuffando. «Erin...»
Gli bacio il collo. «Hai dormito poco? Sembri nervoso.»
«Si, non vederti mi ha tolto il sonno e mi sono concentrato sullo studio, sul tirocinio e su tutto il resto. Ma... ok, lo ammetto: ho resistito a stento. Non mi era mai capitato. Shannon stava quasi per picchiarmi.»
Torno sul sedile allacciando la cintura per fargli capire che non ho brutte intenzioni, anche se il pensiero di stuzzicarlo ancora un po' mi diverte. Non voglio stressarlo ulteriormente per cui lo lascio libero.
«Dove andiamo?»
Appare a disagio. «Sento che adesso ti deluderò. Non sono riuscito ad organizzare niente. Volevo semplicemente trovarmi con te, da solo.»
Poso la mano sulla sua e lui la porta alle labbra.
Sgancio la cintura aprendo la borsa. «Per nostra fortuna almeno io sono previdente. Ho portato gli snack», gliene lancio uno che prende al volo.
«KitKat? Non lo mangio da anni...», mi guarda entusiasta. «Non sei arrabbiata?», indaga subito.
Mi appoggio tra il sedile e lo sportello mettendomi comoda per averlo davanti. «No, non ho mai avuto pretese di quel genere», dico aprendo la confezione di Oreo al cioccolato e patatine nel formato mini.
Papà voleva confiscarmi il bottino quando ha visto che stavo rubando dalla scorta comprata per Halloween.
Kay spezza il KitKat passandomelo. A mia volta scambio le patatine con lui.
«Sei strana. Un'altra ragazza al posto tuo mi avrebbe tirato i capelli e urlato addosso come una pazza isterica», dice mangiucchiando. «Poi avrebbe preteso un anello e una cena costosa al sushi, non barrette di cioccolata e patatine in auto», rigira la confezione vuota del cioccolato tra le dita.
Non voglio che pensi di me una cosa del genere. A me non servono queste cose futili. Alzo le spalle. «Non pretendo niente di niente. Che me ne faccio di una cena costosa che poi non riuscirei neanche a mandare giù? Un anello? Scelta banale e scontata. A me è bastato vederti quando mio padre ha aperto la porta.»
Si fa attento. «Ah si?»
«È stato difficile trattenermi», ammetto giocando con il disegno sulla confezione dei biscotti.
«Difficile quanto?», me ne ruba uno.
«Da una scala da: ti salto addosso o ti tiro dentro casa fino a trascinarti in camera e non mi importa se mio padre ci sente, direi.»
Ride leccandosi le labbra. «E quale delle due opzioni avresti scelto?», mi mette alla prova.
Mi piego in avanti. «Indovina.»
Ridacchio quando mi avvicina impedendomi di leccarmi le dita. «Dimmelo!»
Gli rubo un bacio. «No, devi indovinare.»
«La prima», dice senza esitazione.
Lo abbraccio e lui mi fa sistemare di nuovo su di sé. «Hai scelto la prima, ti salto addosso?»
Sorride baciandomi la gola. «È quello che avrei fatto io quando ti ho vista», sussurra sulla pelle annusandola come un tossico. «Sei davvero bella.»
Ansimo stringendo le cosce ai lati delle sue. «Ho notato come mi guardavi», gli bacio sotto il labbro di proposito.
Freme. «Come ti guardavo?»
«Dimmelo tu.»
Dà un bacio all'angolo. «Da una scala da ti prendo contro il muro a ti faccio mia in auto, adesso...»
Ridacchio e lui si imbambola cercando poi di ricomporsi. «Scusa. Non dovrei...», appoggia la testa sollevando il mento, guarda il tettuccio inspirando ed espirando. Stropiccia poi gli occhi abbassando il viso.
Corrugo la fronte. Piego il capo di lato sollevandogli il mento con l'indice. «Che ti succede?»
«Non voglio forzarti. Non voglio fare cazzate con te. Voglio solo stare insieme, anche solo per farti compagnia, perché mi sei mancata tanto e perché non ho fatto che pensarti come un maniaco impedendo alla mia mente di pensare al peggio. Non voglio apparire disperato. Devo solo concentrarmi», sussurra. «Posso farcela a non saltarti addosso.»
Accarezzo il suo viso. «So che non mi costringeresti mai a fare qualcosa che non voglio. Non c'è motivo di specificare. Kay, guardami», ordino quando sembra distratto e determinato a torturare se stesso.
Nasconde il viso tra le mani. «Non pensavo che sarebbe stata così dura resistere. Mi fa quasi male.»
Trattengo una risata. Bacio le sue mani. Le stacco dal suo viso continuando a tempestarlo di piccoli baci partendo dalla fronte. Porto i suoi palmi sul mio petto poi reclamo le sue labbra muovendo i fianchi e lui stringe la presa gemendo.
Sorrido. «Diciamo che questi giorni ci hanno fatto capire che in fondo non siamo poi così nemici io e te», sussurro.
Tira indietro il sedile senza neanche frenare l'istinto. «No, non lo siamo. E so che te ne vuoi andare, che questo posto ti fa schifo, ma spero che in qualche modo io...»
Sbottono i suoi pantaloni liberandolo. Infatti emette un sospiro di sollievo sulla mia spalla quando mi abbraccia per tenermi ferma. Muovo lo stesso i fianchi. «Tu sei il mio angelo.»
«Non ero il figlio del demonio?»
Rido sulle sue labbra togliendogli il fiato. Infatti ansima accaldato. «Un angelo caduto allora», specifico.
Mi toglie il cappotto poi mi sfila la maglietta a collo alto annusandomi. Ho la pelle d'oca ormai da diversi minuti, se ne accorge ma non la smette. Inarco la schiena quando affonda la faccia sul mio seno. Allargo le gambe e lui mi stringe le natiche cercando un contatto fisico che mi è mancato.
Tira giù una coppa facendo uscire il seno da essa e me lo morde. Strillo ma non allenta la presa, anzi, succhia forte e stringo il suo viso al petto.
«Dio, quanto ti voglio!»
Apre i miei jeans. Mi sollevo per aiutarlo a togliermeli. Sfilo il suo giubbotto e la maglietta toccando i muscoli, tutte quelle linee e i tatuaggi a renderlo il mio meraviglioso quadro in bianco e nero. Bacio poi la sua spalla dove ha delle piccole lentiggini, lascio una lieve scia di saliva fino a sotto l'orecchio, sulla rondine tatuata che sembra volare via dal ramo, prima di soffiarci sopra.
«Erin...», ringhia.
Abbasso i boxer mentre apre una protezione. Attendo impaziente fino a quando non scivola dentro di me con una certa urgenza scostando le mutandine di lato, dopo avere tentato di strapparmele. Urlo e non mi tappa la bocca. Si gode la mia reazione stringendomi i fianchi, avvicinandoli a sé. Tiro indietro la testa reggendomi sulle sue spalle, mi stringo e rallenta raggiungendo quel limite che inizia a farmi perdere la testa.
Aumenta all'improvviso il ritmo. «Kay...»
Sorride ed io di rimando. «Non fermarti», lo supplico piagnucolando. Divarico le gambe e mi accontenta con una forza in grado di portarmi altrove tra: baci, spinte forti, gemiti e voglia.
Si ferma appagato mentre sto ancora recuperando il fiato. «Rimani», mugolo.
Preme i polpastrelli sulla mia pelle nuda. «Volentieri...»
Mi accascio su di lui molle. Kay mi massaggia la schiena. «È stato... rigenerante», biascica affannato.
Appoggio la testa sulla sua spalla sfiorando il segno. Lui non si ritrae. «Un bel modo di festeggiare la riuscita dell'esame e il nostro incontro dopo giorni di distanza e astinenza.»
Lo guardo corrucciata mentre getta la protezione.
«Distraimi o inizierò da capo», brontola massaggiando la tempia.
Lo sfioro e allunga la schiena. «Erin...», si affanna.
«Ti sto distraendo.»
Soffia dal naso guardandomi male. «In questo modo?»
«No, tu stai per rilassarti e goderti il nostro momento prima di tornare a casa.»
Si fa serio. «Posso dormire con te?»
Bacio le sue labbra. «Si. Non devi neanche chiederlo.»
«Davvero?», sembra scettico.
«In caso contrario entrerai dalla finestra e mi assicurerò di chiudere bene la porta perché...»
Si fa attento. «Continua...»
Arrossisco. «Perché il letto non è mai stato tanto vuoto. Mi sono mancate le tue braccia, persino quando mi guardi in maniera inquietante mentre dormo.»
Il sorriso che mi rivolge potrebbe abbagliare l'intero stato. È così bello da farmi dimenticare del freddo, dei brividi e di noi ancora con i postumi di una breve fuga per ritrovarci.
Mi rivesto mentre abbottona i pantaloni e infila la maglietta. «Ti ho fatto male prima?»
Si, mi ha fatto un gran male. «No, sto bene», replico abbozzando un sorriso.
Fa una smorfia. «So quando menti», mi sussurra all'orecchio.
«Dico sul serio», provo ad essere convincente, vorrei che funzionasse.
Scuote la testa. «Mi dispiace.»
Lo abbraccio. «Ehi, sto bene», spingo la sua testa con la mia. «Eravamo un po' su di giri. Tutto qua.»
Cerco le sue labbra e lui resiste. «Potrebbero incarcerarmi per questo. Sei ancora minorenne.»
Rido. «Non staresti bene in arancione.»
Riflette arricciando il naso con disgusto. «Già, ma non voglio che pensi che io sia uno che non sa tenerlo dentro le mutande.»
Gli rubo un bacio. «Sei uno che si intrufola nel mio letto di nascosto e mi piace. Tu, mi piaci Kay», dico puntando gli occhi nei suoi e l'indice sul petto. «Non ho pensato minimamente che tu possa essere uno di quelli. Insomma, non sei ancora scappato e sei tornato per avere il... bis?»
Deglutisce. «Abbiamo superato il bis e anche il dolce. E questo dovrebbe spiegarti quello che riesci a farmi. Nemmeno te ne accorgi di quello che mi fai provare.»
Mi rannicchio su di lui. «A volte sei inquietante, non lo nego. Specie quando ti arrabbi. Ma con me sei sempre spontaneo e sincero su molti argomenti. Non ti sei approfittato di me. Toglilo dalla testa questo. Siamo in due a volerlo.»
Poso un bacio delicato sulla vena prima di succhiare la porzione di pelle. «Hai capito?»
Mi tiene ferma. Se ne sta ad occhi chiusi. Si sta sforzando di non gettarmisi addosso. Cerco le sue labbra e quando le trovo sono calde, accoglienti, delicate nonostante l'impeto e la foga del momento.
«Rimettiti sul sedile», sussurra affannato. «Per favore.»
Gli rubo altri baci a cui risponde disperato poi si stacca ed io scivolo sul lato del passeggero stordita.
Kay mette in moto l'auto facendo inversione di marcia portandomi nelle vicinanze della casetta di campagna, dove posteggia l'auto fermandosi sullo spiazzale della radura, poi mi prende per mano portandomi verso il fiume.
Non esito, nonostante i ricordi siano ancora lì, pronti a riaffiorare in un attimo.
Ci sediamo davanti al focolare che accende in breve per scaldarci.
Il terreno è ancora umido nonostante la giornata sia piena di luce. C'è odore di terra bagnata, muschio. L'acqua oggi sembra scendere in fretta a valle.
«Ti starai chiedendo perché ti ho riportata qui», inizia giocando con un legnetto sul terreno prima di lanciarlo tra le fiamme e fissarle perdendosi chissà dove.
Annuisco facendolo continuare.
Guarda l'acqua poi brevemente nei miei occhi. Indica qualcosa ed io seguo la direzione del suo dito fino a mettere a fuoco un albero bruciato per metà da un lampo e altri rinsecchiti intorno. I rami di questo non sono tutti anneriti, sembra pieno di vita nonostante il danno.
Apro e richiudo la bocca avvertendo la sete. So già che cosa sta per raccontarmi.
«Un paio di anni fa ero qui per le vacanze. Era un giorno strano. Ci riunivamo quasi tutti qui, i ragazzini del nostro quartiere e molti altri. Stavamo giocando e scherzando nella radura quando Shannon si è arrabbiato con uno dei ragazzi per avere offeso sua madre e per non colpirlo si è allontanato. Così... l'ho seguito ma sono rimasto un po' indietro perché c'è stato un tuono, un lampo e poi alcuni alberi hanno preso fuoco uno ad uno. Un temporale estivo è arrivato al contempo e tutti gli altri hanno iniziato a correre da tutte le parti urlando più che spaventati. La pioggia non aiutava affatto perché le fiamme erano già abbastanza alte. Quando ho visto quello che stava accadendo a quell'albero, ho subito ricordato una cosa e senza pensarci sono corso lì. Ho trovato Shannon a pochi metri di distanza, era bloccato. Un un piccolo tronco era crollato colpendolo. Lui non riusciva a muoversi, era ferito e le fiamme continuavano ad avanzare. Ho guardato prima la corteccia mentre bruciava poi lui che mi urlava di non aiutarlo, di chiamare qualcuno per spegnere il fuoco. Ho lasciato perdere quello che avevo nascosto sotto la radice di quell'albero e senza pensare ho fatto leva sulle mie forze per aiutarlo.»
Strofina i palmi. Rivivere per lui quei drammatici momenti è difficile.
«Il tronco caduto sulla gamba di Shannon aveva reciso un'arteria. C'era troppo sangue. Inzuppava i suoi pantaloni e si stava creando una pozza intorno. Se avessi spostato ancora quel tronco sarebbe morto sul colpo. Così ho pensato ad una soluzione. Ho chiamato un'ambulanza e mentre mi facevo guidare dai paramedici tenevo il mio amico sveglio che continuava a dirmi di lasciarlo lì prima che il temporale ci raggiungesse e il fuoco ci bruciasse vivi», stringe il pugno.
Poso la mano sulla sua. Gli do tutto il tempo che gli serve senza dire una parola. Rimango attenta, il cuore a pulsarmi nelle orecchie e lo stomaco contratto.
Immagino un ragazzino spaventato che tenta di salvare l'amico dalla morte.
«Ricordo che mi hanno chiesto se avevo una cintura e l'ho stretta come meglio potevo intorno alla sua gamba senza alzare troppo il tronco che, iniziava a schiacciarlo e a tenerlo in vita. Shannon era sempre più debole, il fumo insopportabile. Ho provato a sollevare il tronco controllando il flusso di sangue. Notando che la cintura non era stretta abbastanza ho chiesto a Shannon di aiutarmi a reggerlo un paio di secondi. Abbiamo fatto squadra e alla fine sono riuscito a liberarlo.»
Si irrigidisce scuotendo la testa, fissando quell'albero lontano. «Shannon era arrivato lì per il mio stesso motivo.»
Mi faccio attenta evitando di lasciare uscire tutte le domande che vorrei tanto fare.
«Tenevo quello scrigno di legno nascosto tra i rami dell'albero. La casa, quella sull'albero l'avevano abbattuta da tempo e non potevo tenerla a casa o nei paraggi. L'avevo seppellito per bene e l'unico a sapere era Shannon. Non conosceva però il contenuto, sapeva solo che era importante per me e quando sono divampate le fiamme a causa di qualcuno che voleva farci fuori per mandare un messaggio alle nostre famiglie, si era precipitato verso quella direzione per salvare quel pezzo di cuore che avevo nascosto dentro il cofanetto.»
Le mani mi tremano. Le aggrappo alle sue.
«L'ambulanza sarebbe arrivata da lì a poco. Io tenevo impegnato in una conversazione Shannon per non farlo svenire mentre scavavo a mani nude alla ricerca dell'oggetto. Ad un certo punto c'è stato qualcosa nell'aria. Un rumore assordante...», scuote la testa strizzando le palpebre.
«Sentivo le sirene ma il cuore ha iniziato a rallentare mentre alzavo gli occhi verso il cielo. Non pioveva più. C'era qualcosa di diverso. Ho visto una luce accecante e mi sono ritrovato a terra. Shannon ha urlato il mio nome ma io stavo bruciando e il dolore è stato così intenso da togliermi il fiato.»
Cerca conforto nel mio abbraccio. «Sono entrato in coma e quando mi sono risvegliato ho trovato il mio amico vivo, quei ricordi che avevo di te intatti ma non il mio cuore. Avevo bisogno di lasciarmi alle spalle questo posto, capisci?»
«Per questo non sei tornato per un po'», sussurro.
Me lo conferma. «C'erano troppi ricordi legati a questo posto. Tu, le liti in casa, i viaggi continui, i ritorni pieni di festa e pettegolezzi... era tutto troppo per me.»
Mi attira sulle ginocchia e mi siedo come una bambina circondando con le braccia il suo collo. «Tornare però sembra essere stata la cosa migliore che io abbia fatto. Aspettare poi...», la voce gli si spezza ed io premo le labbra sulle sue.
«Sei un vero irresponsabile. Sai bene che con i temporali non si scherza. Neanche con le persone che tentano di fare del male agli Scorpions. Però hai difeso i nostri ricordi e so che dirtelo adesso potrebbe sembrare stupido ma... grazie per averlo fatto. Una parte di me quando me li hai restituiti è tornata al suo posto.»
Mi bacia disperato mentre una lacrima gli sfugge e lui tenta di scrollarsela dal viso. Lo fermo passando il polpastrello con delicatezza. «Tranquillo, non lo dirò a nessuno.»
Sorride cercando ancora le mie labbra. «Io ti...»
Premo forte le labbra sulle sue interrompendolo. Qualsiasi cosa voleva dirmi non importa. Adesso so la verità e sono felice di non averlo allontanato. So che custodirà tutto quello che c'è stato di buono tra di noi.
In qualche modo quegli oggetti per lui rappresentavano qualcosa di importante, un nostro momento.
Guarda l'ora. Siamo già al tramonto. «Ti riporto a casa. Se non sbaglio abbiamo una cena di famiglia», dice distratto.
«Possiamo fare una doccia prima?»
Mi annusa. «Non puzzi. Sai di Erin e sess...»
Mordo le sue labbra. «Papà capirà quello che abbiamo fatto. Lo senti e lo sento anch'io che sprigioniamo quell'odore.»
Sorride divertito. «Adesso fai la pudica? Ti spaventa la reazione di paparino?»
Lo spingo senza forza. «No, voglio solo che rimani con me oggi», dico stringendo la sua mano. «Senza correre il rischio di un'amputazione», indico tra le sue gambe.
Le stringe poi tenendomi per mano torniamo nella casetta.
Nessuno dei due parla mentre ci togliamo di dosso l'odore di ciò che abbiamo fatto. È una fatica nel piccolissimo bagno. Più volte siamo costretti a sfiorarci perché lo spazio piastrellato di bianco, pulito: è angusto.
Pettino i capelli con le dita davanti allo specchio quadrato posto sul lavandino. Questo, forse è l'unico oggetto rotto e distorce la mia immagine. Lo indico chiedendo spiegazioni.
«Ero incazzato con te. Dovrò sostituirlo.»
Mi appoggio al lavandino mentre infila un maglione pulito. «Non credi nella sfortuna?»
«Sono quasi morto colpito da un fulmine, uno specchio che ho rotto non è niente al confronto.»
Sorrido legandomi i capelli ma la sua mano ferma subito il mio gesto. «Lasciali sciolti», dice allontanando la mano.
«Non so che colore scegliere», replico guardando i miei capelli.
«Rimani così. Se vuoi un po' di colore fai una sola ciocca», ne prende una dalla mia nuca tirandola di proposito. «E scegli il nero.»
«Non ho mai avuto un colore così scuro sulla testa.»
«Ti ricordi almeno il colore naturale che hai?»
Ci penso su. «Un colore orribile e morto.»
Sorride. «Usi quei colori accesi per essere vistosa?»
Nego. «Non potendo colorare il mio corpo, coloro i miei capelli ma non voglio diventare calva quindi mi toccherà abituarmi a questo bianco latte.»
Si avvicina sistemandosi davanti a me. Le sue mani accarezzano i miei lunghi capelli portandoli dietro e orecchie. «Ti ricordi che li tenevi legati con quei fermagli? Ne avevi uno con un orsetto attaccato sopra.»
Sorrido. «Te ne ricordi ancora?»
Mi stupisce che ricordi gran parte di quei dettagli insignificanti.
Mi guarda fisso e tremo. «Non dimentico le cose che mi piacciono», sussurra abbassandosi.
Lascio che mi baci stringendomi al petto e quando mi solleva sul bordo capiamo entrambi di essere in trappola. Ci stacchiamo lentamente, senza imbarazzo tornando in auto. Ci fermiamo però all'istante, quando svoltando, troviamo un'altra auto ferma a poca distanza. Una guardia tiene la portiera aperta e da questa esce Theodor.
Ci aspettava?
Kay si irrigidisce e per istinto mi stringe la mano. Ricambio la stretta facendogli capire che sono accanto a lui.
«Ah, sei qui», esclama in fretta, guardandolo da capo a piedi con espressione carica di disapprovazione.
«Dove dovrei essere se non a casa?»
Theodor sposta lo sguardo dal nipote su di me. «Erin, che piacevole visione», avvicinandosi prende la mia mano baciandola senza mai sfiorarla. «Sono contento di rivederti. Allora state davvero insieme, non sono false le voci che ho sentito circolare in giro.»
Kay mi circonda la vita con un braccio. «Perché dovrebbero essere false? Hai visto con i tuoi occhi che stiamo insieme e non dire che non ci hai notato l'altro giorno in piazza.»
Theodor stringe i denti e l'impugnatura sul bastone. «In effetti vi stavo spiando. Hai chiamato tua madre?»
Kay soffia dalle narici. «Non dirmi che la notizia è già arrivata alle orecchie di mia madre», sbotta irrigidendosi. «Che Dio ci aiuti!»
Theodor fa un passo verso la casa. «Se il figlio sparisce per tanto tempo e poi si scopre essere ritornato nel luogo dell'infanzia dalla sua amichetta tornata a casa, come credi che potrebbe reagire una madre? Inoltre hai lasciato una persona lì o l'hai già dimenticata?»
Adesso quella rigida sono proprio io. Che cosa significa? Kay ha un'altra?
Come se mi leggesse dentro, percepisce il mio cambiamento di umore, i pensieri che mi colpiscono uno dietro l'altro.
«Non ho lasciato nessuna ragazza se è quello che stai dicendo per farmi avere una discussione con Erin. Lei verrà con me al matrimonio, stiamo insieme e non mi importa dei vostri affari. Come ben sai, so cavarmela da solo», lo superiamo.
Theodor gli stringe un braccio. «Attento piccolo di casa, potresti ritrovarti senza un tetto sulla testa visto che questo non è di tua proprietà», minaccia indicando con il bastone la casetta.
Kay si scrolla la mano dal braccio, più che infastidito. «Demoliscila pure, sai che me ne importa della tua casetta abbandonata. Ho imparato a dormire anche su un cartone e sotto un ponte e non grazie a te», detto ciò mi fa cenno di entrare in auto.
Theodor, rimasto impalato, non osa aprire la bocca. Guarda il nipote come se lo vedesse per la prima volta.
«Arrivederci signor Mikaelson», mi permetto, non voglio passare per quella ineducata.
In risposta mi sorride con un breve cenno della testa. I suoi occhi vispi sono ancora sul nipote. Gli provocano una strana reazione, come quella di un gatto che soffia percependo il nemico.
«Confido nella tua intelligenza, figliolo. La tua casa non è di certo in mezzo a questa valle desolata piena di alberi e gente disastrata che continua a farsi le guerre per un po' di apprezzamento», alza il tono. «Potresti portare Erin con te, da noi, se proprio ci tieni. Le offriremo di sicuro il posto che le spetta. Magari dopo che ti sarai sistemato con la persona che dovresti...»
Kay non lo ascolta nemmeno. Mi fa entrare in auto poi sbatte la portiera e mettendo in moto sfreccia a gran velocità per allontanarsi dalla campagna.
«Non è come pensi», alza il tono passando una mano sulla fronte poi tenendo due dita sulle labbra come se stesse fumando.
Apro il cassetto trovando un pacchetto di gomme e quello delle sigarette. Sollevo entrambi. «Non ho detto niente», inizio. «Che cosa ti va? Un po' di carburante per i polmoni o detersivo per i denti?»
Sorride e mi sporgo dandogli un bacio sulla spalla.
«Una sigaretta me la merito ma non fumerò. Dammi una gomma», apre il palmo rimanendo concentrato sulla strada.
Apro il pacchetto tirando la pellicola e gli passo la chewing-gum. Poso tutto per non essere tentata e guardo davanti a me.
Temevo che qualcosa ci avrebbe strappato via da quell'attimo intimo e caldo, tutto nostro. Ciò che non riesco proprio a comprendere è il bisogno di obbligarlo a vivere una vita che non vuole. Soprattutto non capisco se ha conosciuto la ragazza con cui i suoi vorrebbero vederlo insieme per tutta la vita, per ingigantire gli affari di famiglia o è scappato proprio per non sapere neanche il nome o che faccia lei abbia.
Mi agito sul sedile aprendo il finestrino per prendere una boccata d'aria. Inizio a sentirmi braccata.
Kay lo richiude usando la pulsantiera sul bracciolo dello sportello. Accosta mettendo la freccia, fermandosi definitivamente a poca distanza dal mio quartiere.
«Per favore, rendimi partecipe», parla a fatica.
Non lo guardo. «Conosci o no quella ragazza?»
«Ha importanza?»
L'amore fa paura. In un attimo ti travolge l'esistenza. In parte è bello ma terribile allo stesso tempo quando ti accorgi di esserci cascata, di esserci dentro fino al collo. E non hai alcun potere. Non puoi fermare quello che senti. Neanche quando la persona a cui hai affidato il tuo cuore te lo spezza.
Scuoto la testa aprendo la portiera ed esco sbattendola. Ecco, mi ha mentito e non sta avendo neanche il coraggio di dirmi la verità. Che cosa mi nasconde ancora?
«Erin...»
Esce dall'auto provando a toccarmi. Vedendo che mi scanso mette le mani in alto indietreggiando di un passo.
Le persone non si accorgono delle ferite che ti provocano.
«Non toccarmi!», urlo.
Deglutisce a fatica. «Puoi tornare in auto?»
«Perché? Per lasciarmi abbindolare e usare da te così poi potrai tornare liberamente dalla tua famiglia?», lo guardo male. «Mi dirai almeno la verità su questa storia o dovrò sentire le cose come stanno da tuo nonno?»
Appare sulla difensiva. «È proprio per questo che non ti ho raccontato come sono andate davvero le cose. Sapevo che avresti reagito così!»
«Quindi fammi capire, mi dici solo quello che ti conviene perché hai paura della mia reazione? Adesso il problema sono io? Che cosa sono esattamente per te... un gioco, un passatempo?»
Sono adirata e non riesco a guardarlo in faccia. Mi volto mettendo le mani sui fianchi. Inspiro ed espiro. «Come puoi pretendere che mi fidi di te se mi nascondi delle cose importanti sulla tua vita? Mi chiedi di aiutarti, mi porti a letto, ti diverti con me ma quando arriva il momento di rendermi partecipe non puoi. Che cosa nascondi? Perché mi fai questo?»
Apre e richiude la bocca. «Credevo che non fosse necessario...»
Vedo rosso. «Certo. Erin è solo un buco da riempire. Sai, non piace neanche a me competere con le altre e non ho nessuna intenzione di mettermi in ridicolo o sentirmi dire che hai già un'altra che ti aspetta. Tuo nonno è stato abbastanza chiaro al riguardo. A te la principessa fedele mentre io sono una che abbordi al bar», detto ciò, delusa, mi allontano. Non ho neanche il coraggio di voltarmi.
Raggiungo in fretta il cancello e poi la porta di casa. La sbatto salendo al piano di sopra chiudendomi nella mia stanza.
Sono così furiosa da buttare tutto a terra come una pazza isterica.
Mi sposto persino in bagno e mi infilo dentro la doccia strofinandomi così forte la pelle da scorticarla. Voglio togliermi di dosso il suo odore, la sua impronta.
«Erin, tutto bene?»
Chiudo il getto tirando l'asciugamano. «Si, mi sto solo facendo una doccia. Tra poco scendo ad aiutarti.»
«Sei sicura di stare bene? Hai una voce strana e sei corsa in camera come un lampo. Qui dentro sembra essere entrato un tornado.»
Stringo la tendina nell'udire la parola: lampo. «Si, sto bene. Metto tutto in ordine e arrivo!»
Papà non indaga oltre. Sa che quando voglio parlare lo faccio spontaneamente, senza pressioni. «Ok, ti aspetto di sotto.»
Quando sento lo scatto della porta tappo la bocca con l'asciugamano e urlo scivolando sul fondo della vasca appoggiando la testa contro le piastrelle fredde. Mi prendo la testa tra le mani come se dovessi schiacciare quei pensieri che continuano ad accumularsi fino a sommergermi. E più che nervosa picchio il pugno contro la superficie.
Non posso più fidarmi. Non posso abbassare ancora le difese. Le persone che ti feriscono a morte sono proprio quelle a cui tieni di più e io, io non sono abbastanza forte da rimettere in sesto questo cuore di nuovo in frantumi.
Esausta a causa dei pensieri, delle paranoie e dei sentimenti che tengo dentro e che mi feriscono con i loro artigli, esco dalla vasca indossando un abito di Halloween.
Mercoledì Addams, in parte oggi mi rispecchia molto, mi dico evitando di guardarmi troppo allo specchio e vedere i miei occhi diventate lucidi dalla tristezza. Faccio le trecce, mi trucco e scendo al piano di sotto dove papà è vestito da "dottore zombie".
«Chi lo avrebbe mai detto», esclama indicando il mio costume.
Sollevo un po' la gonna. «Che c'è per cena?»
«Non aspettiamo il tuo amico?»
Mi irrigidisco. «No, ha avuto un imprevisto», balbetto cercando di essere convincente.
Papà inarca un sopracciglio poi suonano il campanello e sorride come un bambino. «Che la festa abbia inizio!», esclama.
Lo aiuto per gran parte del tempo con i dolcetti da distribuire ai bambini accompagnati dai genitori. Alcuni si fermano per fare qualche chiacchiera mentre i piccoli corrono da una parte all'altra del quartiere gridando "dolcetto o scherzetto".
«Che serata!», esclama lasciandosi cadere sul divano. «Mi sento esausto», sorride.
Riempio la ciotola di patatine e popcorn per il film che vedremo. Porto l'altra con i dolcetti all'entrata. «Adesso sai che cosa si prova», lo prendo in giro sistemandomi con i piedi sotto il sedere sul divano. Prendo un cuscino abbracciandolo.
Papà continua a guardarmi ormai da quando sono tornata di pessimo umore. Mi ha più volte rimproverata quando ho risposto per le rime a dei bambini.
«Quando ti sentirai pronta me lo dirai quello che succede?»
Mordo un'unghia. «Non succede proprio niente», brontolo.
Suona il campanello e papà si alza. Lo fermo. «Lascia, faccio io», mi incammino all'entrata prendendo la ciotola e apro la porta.
«Dolcetto o scherzetto?»

🖤

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now