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BRADLEY

Quegli occhi. Quegli occhi, cazzo! Due sfere in grado di mandare in fumo anni di addestramento, calma, pazienza e istinto. Come può un essere così delicato provocare un così forte impatto nella vita di qualcuno? E poi chi diavolo è? Da dove viene?
«Amico, tutto ok?»
A riportarmi sul camion dei vigili del fuoco, il mio migliore amico, Stan Lopez. Un uomo alto quanto un palo della luce e forte quanto un gorilla incazzato. La sua carnagione abbronzata, ispanica, è una calamita per le ragazze. Per non parlare del suo sorriso accattivante, dei suoi strani modi di fare.
«Si, non ho un graffio», lo rassicuro con un sorriso.
Guida aumentando la velocità del mezzo. Ha notato che qualcosa mi ha distratto, ma non ha ancora fatto nessuna delle sue solite stupide battute volte a mettermi a disagio o in forte imbarazzo. Di solito ci riesce in un attimo. Un po' come Samantha con quella domanda. Stavo fingendo di non avere capito ma ha ripetuto senza il minimo filtro quello che aveva chiesto. Aveva il chiaro intento di mettere a disagio la sua amica.
Sento ancora il suo profumo. Era delicato ma per i miei sensi come una tormenta improvvisa.
Siamo rimasti solo noi due qui dentro mentre gli altri si sono già sparpagliati per raggiungere la nostra sede, togliersi di dosso il sudore e poi incontrarci tutti in quella pasticceria. A noi due, attualmente, toccherà fare rapporto e poi saremo liberi per il weekend. Il primo dopo settimane estenuanti di duro lavoro.
Finalmente i turni si sono invertiti e non farò più alcuno straordinario grazie anche al nuovo personale addestrato in arrivo. Anche se mi piace e mi appaga il lavoro che ho scelto, a volte ho la sensazione di avere bisogno di qualcos'altro, magari di staccare la spina per qualche ora o di distrarmi.
«Ti rendi conto che potevi morire?», alza il tono battendo la mano sul volante a tempo di musica che sente solo lui dentro la testa. «Pazzesco!»
Faccio una smorfia mettendomi comodo sul sedile. «È il nostro lavoro, Stan. Inoltre, a quanto pare non era oggi il mio giorno, che vuoi farci?»
Solleva l'angolo del labbro prima di toccarsi il cavallo dei pantaloni. Un gesto scaramantico. «Cazzo, amico! A volte il tuo umorismo mi fa ritirare le palle. Vedi il lato positivo, almeno non sei atterrato su una vecchia con i bigodini che ti ha palpato il sedere. Cristo santo, hai sentito l'altro giorno quello che è successo al nostro collega? Se mi capita una cosa del genere fammi fuori immediatamente. Dammi fuoco, lanciami dall'ultimo piano, scegli la modalità che preferisci ma non farmi rivivere quel momento.»
Rido. «La notizia si è propagata a macchia d'olio riguardo il tragicomico incidente. E comunque qui la situazione era diversa e potevo farle male. Una svista e avresti raccolto le mie ceneri», ripenso immediatamente a quel viso dai tratti delicati. La pelle pallida come il latte, l'odore tenue di un bagnoschiuma all'avena, il carattere strano e forte. E poi... il suo corpo sotto il mio. Quella tipa deve essere matta se è rimasta lì a guardare tutto senza emettere un solo fiato o un suono. Non mi ha gettato le braccia al collo non appena si è rialzata. Anzi, durante la fase di caduta mi ha respinto. Teneva proprio i palmi sul mio petto per opporsi.
Stan ascolta le mie parole svoltando a destra con una sterzata che per poco non mi fa volare dal finestrino. Lo guardo male e lui sorride prima di fare una smorfia quando ci ritroviamo imbottigliati nel traffico. Va per accendere la sirena e picchio forte la mano sul dorso della sua.
«Ahia! Che cazzo ti dice il cervello oggi?»
«Non c'è nessuna emergenza e non ho voglia di beccarmi un richiamo. L'ennesimo dopo il pugno dato a quel bastardo. Se ci ripenso ho l'istinto di cercarlo e ridurlo in cenere. Poi, mi spieghi che fretta hai?»
Inarca una delle sue sopracciglia perfette, scure come catrame. «Siamo gli eroi del giorno, amico. Finiremo sulle pagine di quel giornale con o senza pugno e ti ricordo che quella donna magnifica e così... formosa, nonché proprietaria di quello sgabuzzino esploso come una cisterna di benzina, ci ha invitati nella sua pasticceria. Questo sai che cosa significa?»
Gratto la guancia posando un piede sul cruscotto. «Che ti ingozzerai di dolci?»
Mi molla una sberla ben assestata sulla nuca. «NO!», alza il tono sbuffando. «Significa che rivedrai quella bella forestiera che hai salvato e magari ti toglierà di dosso quell'aria da temporale che continui a portarti dietro da anni ormai.»
Alzo gli occhi al cielo guardando fuori dal finestrino. «Ho di meglio da fare che sfondarmi di dolci e flirtare.»
Ride. «Sai che non mi riferivo ai dolci. E poi che cosa hai da fare? Dare da mangiare al tuo pesce tropicale o al tuo cane? Amico, quando ti ricapita una cosa del genere? Devi essere grato. Questo giorno per te è stato magnifico!»
Passo una mano sul viso. Odio quando è cosi allegro. «Stai cercando di convincere me o te stesso perché hai puntato gli occhi sulla fragola in carriera?»
Prova a mollarmi un altro colpo ma questa volta riesco a scansarmi.
Stan, allora aziona la sirena per farmi un dispetto. Non riesco ad impedirglielo. Si infila in una stradina secondaria e siamo liberi dalla cacofonia assordante e dalla calura.
«Stan...»
Non mi ascolta e sfreccia verso la centrale spegnendo finalmente la sirena solo a qualche isolato di distanza. «Verrai con me e non si discute. Non devi per forza ingozzarti di cibo o parlare con la gente se proprio vuoi mantenere la tua aria da altezzoso del cazzo. Andiamo, mostra un po' di solidarietà a questo uomo che otterrà un bel due di picche anche oggi.»
Inarco un sopracciglio. Questa si che è una grossa novità. Nessuno resiste al suo fascino.
«Che cosa te lo fa pensare?»
Mi guarda come per dirmi: "non hai notato?".
Scuote la testa. «Sarà impegnata. Quelle che hanno una carriera così importante lo sono sempre.»
«Hai già fatto ricerche su di lei?», chiedo allibito.
«Certo, sai che ha vinto un mucchio di...»
«Sei ridicolo!»
«No, sono realista. Una come lei non vedrà mai uno come me. Non hai visto nelle foto gli abiti che indossava. Quella appartiene ad una famiglia ricca.»
«In quel caso ci metterai subito una pietra sopra. Tolto il dente... tolto il dolore. Non per farti illudere ma al dito non aveva nessun anello quindi è libera.»
Scendo dal camion avanzando verso l'ufficio. Saluto qualcuno poi mi concentro sul rapporto da scrivere perché so già che Stan non mi aiuterà. Questo è l'ultimo prima del weekend. Per fortuna mi sto già organizzando.
Vista la situazione di pericolo, il nostro superiore, Pike, si complimenta sul lavoro svolto. Non fa riferimento al pugno che ho dato a quella testa di cazzo. Mi chiede solo di non essere impulsivo la prossima volta e di fare le cose secondo il protocollo. Lo dice quasi come se fosse sicuro che rifarò lo stesso errore.
Il mio temperamento è di dominio pubblico ormai. Non passo mai inosservato. Ma non riesco a frenare l'istinto. Ci sono volte in cui bisogna reagire. Ma Pike non fa riferimento ad altro che al mio essere stato intuitivo e veloce nel decidere cosa fare per salvare una vita.
Alla fine, mi avvio nello spogliatoio. Faccio una doccia pur volendo mantenere ancora un po' di quel profumo femminile, mi cambio e caricando in spalla il borsone mi avvio alla mia auto lasciata all'ombra.
Stan mi segue. «Pronto per fare strage di cuori?»
Mi sembra un tantino eccitato. «Quella che farà una strage sarà la donna su cui hai puntato gli occhi se non ti dai un contegno e ti comporti da adulto.»
Per fortuna non parla più e si rilassa. Guido verso il locale "Peccati di Gola". Un nome appropriato per una pasticceria in una delle zone più frequentate da gente per bene.
Posteggio l'auto e Stan è già fuori e dall'altro lato del marciapiede ad aspettarmi impaziente.
«Ti sbrighi?», mima.
«Oh il mio piccolo Polly!»
Guardandomi intorno mi accorgo di una donna anziana con un carrello che guarda su un albero dove si trova il suo gatto spaventato e incapace di scendere. Lei si agita per lui, tiene le mani sulla bocca disperandosi, non sapendo che altro fare.
Mi affretto ad avvicinarmi, salgo sull'albero tenendomi tra il tronco e il ramo pescando la bestiaccia spaventata e che tiene gli artigli conficcati sul legno.
Non appena è di nuovo tra le braccia della padrona inizia a miagolare e a fare le fusa.
«Oh grazie, sei stato davvero un tesoro, giovanotto.»
Sorrido alla donna. «Faccia più attenzione al suo gatto. Potrebbero ferirlo o investirlo», le faccio presente raggiungendo Stan che se la ride sotto i baffi.
Lo guardo male non appena sono di fianco a lui. «Aveva bisogno di aiuto.»
«Certo. Non si finisce mai di salvare il mondo o un gatto su un albero.»
Ridacchia. «L'eroe del giorno!», urla entrando nella pasticceria e tutti iniziano a ridere e a battere le mani nella nostra direzione. Volano complimenti e sorrisi.
Gonfio il petto lanciando uno sguardo freddo a Stan poi mi sposto verso la vetrina dove mi siedo sullo sgabello appoggiando il gomito sulla soglia di circa trenta centimetri sotto la vetrata. Guardo fuori, il via vai dei pendolari. In questa strada ne passano tanti e quasi tutti si fermano a prendere qualcosa perché attratti dalla vetrina in esposizione. Qualcuno dei miei colleghi mi dà delle pacche sulla spalla passando per andare a sedersi, qualcun altro si ferma per chiedermi qualcosa.
Mi guardo intorno per capire meglio chi è Samantha Young.
Il locale è ampio, luminoso, colorato e profumato. Molti dei tavoli sono occupati. L'odore della glassa al cioccolato, al limone, delle paste, del caffè e di tante altre squisitezze aleggia intorno creando un ambiente confortevole.
Le pareti sono giallo pastello, il pavimento a scacchi e il bancone in stile moderno sui toni del panna e del grigio. La vetrina attira la maggior parte delle persone. Torte, dolci di vario tipo, barrette e cioccolatini da confezionare e per ogni occasione.
Dalla porta sul retro del bancone esce Samantha con un vassoio pieno di bomboloni alla crema. Guardandosi intorno mi avvista e sorridente mi prepara un piccolo vassoio con: una fetta di crostata, una di torta Sacher, un cestino con la crema pasticciera e la frutta sopra, dei bignè, un dolce al tiramisù, avvicinandosi.
«Ti ringrazio ancora per quello che hai fatto. Salvare la mia amica poi...», posa una mano sul petto in maniera teatrale.
Le sorrido brevemente e arrossisce. «Ho solo fatto il mio dovere. Non dovevi disturbarti», dico indicando la tazza di caffè e tutto il ben di Dio che mi ha portato e che non riuscirò di certo a finire da solo.
Lei sorride tenendo le mani coperte dai guanti bianchi unite in grembo. «Condividilo con qualcuno se non riesci a mangiare tutto da solo», esclama guardando Stan mentre avanza spietato verso di noi. «Magari con una ragazza», stringe le labbra sporgendole in avanti e poi arricciando il naso fa un passo indietro. I suoi occhi stanno osservando il mio amico.
«Ciao, sono Stan. Sei libera per stasera?»
Samantha ridacchia dandogli un colpetto sul petto come se lo conoscesse da sempre.
La sua reazione mi stupisce. Solitamente alle ragazze non piace quando si comporta in maniera tanto diretta. A quanto pare lui è riuscito a giocarsi bene la sua carta con lei.
«Consulterò la mia agenda e i piani con la mia amica che, è in ritardo», si fa pensierosa. «Scusate un momento», si dilegua nel suo laboratorio.
Stan si siede provando a fregarmi la crostata. Gli mollo uno schiaffo sulla mano. «Ah, ah, questi sono solo per l'eroe del giorno», lo prendo in giro. «Tu hai solo provocato l'esplosione facendo volare quella dannata sigaretta.»
Prende lo stesso la crostata. «Tanto tu non la mangi», replica conoscendomi. «E sai bene che stavo tentando di togliere dalle mani di quello stronzo la sigaretta. È stato tenace ma il tuo pugno se lo è beccato lo stesso senza potere fare niente. Sapeva che aveva torto. In più non avresti conosciuto e non ti saresti lanciato addosso a quella bella ragazza senza il mio aiuto.»
Gratta la tempia. «Quindi mi merito anch'io qualcosa di dolce. E ripeto: tanto tu non la mangi», dice avvicinando il piattino, dando subito un morso alla crostata per provocarmi.
«Non giudicarmi perché adoro solo la crostata che prepara mia nonna e ho paura di innamorarmi di un'altra crostata più buona della sua. Non voglio farle un torto, lo sai», dico assaggiando un pezzo della torta Sacher. È deliziosa.
Stan divora la fetta bevendo un sorso di caffè. Poi guarda la porta dalla quale è sparita Samantha. «Secondo te è scappata per chiamare la sua amica o per colpa mia? Magari è andata a controllare davvero la sua agenda.»
Vederlo così insicuro mi diverte e allo stesso tempo mi allarma. Deve avere preso una botta alla testa per quella ragazza, altrimenti non si spiega. «Ha parlato della sua amica che non è ancora arrivata. Non farti delle stupide nonché inutili paranoie.»
Avvicina il tiramisù guardandomi nervoso. Glielo cedo ma prendo per me il cestino alla frutta prima che possa ripensarci.
«Non ti importa di quella ragazza?», biascica.
Pulisco con un tovagliolo di carta le labbra masticando lentamente. «Perché dovrebbe? L'ho salvata e le ho medicato la ferita. Era semplice routine, Stan.»
In realtà sto mentendo al mio amico. Voglio evitare che mi faccia imbarazzare. Lo conosco e non smetterebbe un solo secondo di prendermi in giro o di fare battute allusive. Terrò per me quello che sento, un po' come faccio ormai da una vita.
Io e Stan ci conosciamo praticamente da sempre. Prima abitavo nel quartiere di nonna ed è lì che l'ho incontrato un giorno. Seduto a guardare il pontile, le barche con lo sguardo trasognante. Ci siamo subito trovati in sintonia. Siamo andati a scuola insieme, i miei hanno aiutato i suoi quando erano in ristrettezze economiche offrendogli il lavoro. Siamo andati al college e poi abbiamo deciso di intraprendere questo percorso con l'intenzione di aiutare più persone possibili. Non abbiamo mai avuto segreti, ma parlargli di sentimenti o altro, non è mai stato da me. Non sono espansivo come lui e non rimorchio anche in una pasticceria.
Parlargli di quello che ho provato quando ho salvato quella ragazza, lo renderebbe curioso, troppo.
Samantha torna nel locale con uno strano sguardo. Serve dei clienti aiutata da una ragazza dal viso apatico. In netto contrasto con la sua allegria.
Stan la guarda mordendosi un'unghia. «È tornata», dice indicandola con il mento.
I suoi occhi scuri la stanno letteralmente divorando, così, notando che esita, mi prendo la briga di dargli una spinta.
«Perché non vai da lei e le chiedi che cosa la turba?»
Stan lecca le labbra guardandola di sbieco. «Mi prenderebbe per uno che assilla le ragazze. Sai qual è la mia regola.»
«Posso farlo io...», mi alzo o almeno ci provo.
In realtà voglio sapere come sta la sua amica ma Stan mi anticipa andando da lei. Posa la mano sulla nuca in forte imbarazzo mentre le parla. Mi godo la scena divertito. Lei gli sorride in modo dolce e gentile. Ignara del guaio in cui si sta cacciando.
Lo scampanellio della porta attira la mia attenzione e per qualche istante li lascio lì a chiacchierare. Mi volto in direzione e rimango spiazzato, letteralmente.
Lei entra in punta di piedi. Indossa una maglietta nera abbastanza larga e jeans stretti. I suoi capelli sono sciolti e a passo spedito raggiunge svelta la cucina senza guardare nessuno dei presenti che le stanno già sbavando davanti.
Samantha si accorge del mio sguardo fisso sulla sua amica e mi volto in fretta bevendo il resto del caffè, fingendomi interessato al racconto dei miei colleghi.
Sentendomi stranamente di troppo e un po' sotto osservazione, mi alzo avvicinandomi al bancone. Samantha è pronta a servirmi o a dirmi anche qualcosa di non richiesto.
«Allora, come hai trovato i miei dolci?»
«Deliziosi. Non posso dirti lo stesso della crostata perché l'ha divorata il mio amico qui presente e perché non l'avrei mangiata lo stesso.»
La sua bocca si apre a forma di "o". «Non ti piacciono le crostate?»
Stan ghigna credendo che non voglia darle la reale motivazione. Ma si sbaglia.
«Mangio solo quella di mia nonna», dirlo mi fa sentire ridicolo. Ma è la pura e semplice verità.
Lei sorride. «Da piccola avevo anch'io una cotta per le crostate di mia nonna», mette i guanti. «Posso prepararti qualcosa da portare a casa? Ho notato che il tuo amico non ti ha fatto assaggiare tutto quello che avevo scelto», indica Stan.
«Avevo diritto anch'io ad un assaggio», replica stizzito e divertito allo stesso tempo. Le provoca una risata.
Gratto la tempia. «Lasciami almeno pagare quello che poi dovrò mangiare», esclamo.
Lei nega. «Mio il negozio, mie le regole. Oggi hai salvato una delle persone più importanti della mia vita e mi hai fatto conoscere il tuo amico Stan. Non posso lasciartelo fare», dice mettendo un paio di paste e altro su un vassoio.
Guardo la porta poi mi viene un'idea.
«Prendo anche un caffè da portare via con un po' di panna», tamburello con le dita sul bancone. Stan soppesa il mio sguardo. Gli sorrido e lui cerca di capire le mie intenzioni.
Quando Samantha mi passa il bicchiere e il vassoio le infilo una banconota dentro il barattolo accanto alla cassa. Prima che possa anche solo protestare aggiungo: «Il resto non è mancia. Offro qualcosa alla ragazza che si è nascosta nel tuo laboratorio per evitare tutti», strizzandole l'occhio, esco dal locale raggiungendo la mia auto prima che Stan possa anche solo avanzare una delle sue strane idee sul weekend da single.
Ho in mente di andare a trovare mia nonna e dedicarmi a me stesso. Ho bisogno di una dormita e di riposo, non di trovarmi in qualche club con la musica assordante e delle ragazze che urlano come pazze.
Metto in moto il mio bolide viaggiando per circa quindici minuti per raggiungere il mio quartiere, il mio alloggio che si trova in una serie di magazzini ristrutturati ad abitazione. Apro il portone alto di ferro scuro camminando lungo lo stretto corridoio. Dal primo appartamento provengono le voci dei figli dei vicini. Salgo le scale superando il secondo piano. Da questo si sente la musica strimpellata da una chitarra elettrica. Proseguo al terzo e ultimo piano, il mio. Il mio cane inizia ad abbaiare e scodinzola al mio arrivo. "Tildo" è un Jack Russel Terrier piccolo e simpatico. Due occhi neri lucidi e il temperamento di un ragazzino irrequieto di tredici anni. Quando è arrivato in casa aveva già tre anni ed era stato addestrato male. Non me la sono neanche sentito di cambiargli il nome.
Accarezzo la sua testa. «Ehi amico!», saluto e lui abbaia seguendomi.
Poso il borsone all'entrata recandomi in cucina. Aperto il frigo mi prendo una birra dopo avere posato il caffè e il vassoio sul ripiano. Mangerò con mia nonna le paste.
Prendo un biscotto e gioco per un po' con Tildo prima di lanciarglielo.
Sprofondo sul divano dando da mangiare a "Lady black", il pesce tropicale nero, anche lui/lei parte della mia famiglia dopo anni di acquario lercio e maltrattamenti.
Tildo salta sul divano accucciandosi sulle mie ginocchia.
Accendo la tv finendo la mia birra. «Oggi ho salvato una ragazza», inizio ancora turbato da quell'atteggiamento schivo.
Tildo mi guarda piegando la testa di lato mentre fisso lo schermo disattento. «Era parecchio diffidente e cosa più assurda non ha pianto dal dolore nonostante fosse ferita. E mi è piaciuto. Ha avuto fegato.»
Come se avesse capito balza in piedi abbaiando e lo avvicino tra le braccia coccolandolo. «Adesso però devo andare a trovare nonna. Farai il bravo?»
Spengo la tv passandomi una mano sul viso. Tildo si sposta nel suo spazio dei giochi infilandosi sotto la coperta morbida insieme al suo coniglio di peluche.
Prima di uscire mi assicuro che abbia da mangiare e da bere e poi chiudo bene la porta del mio posto tranquillo. Nonostante siano tre i piani, le mura sono insonorizzate e la vista dalla finestra sull'oceano, sul porto, su parte di Seattle è spettacolare.
Non ho scelto un altro posto perché mi trovo bene in questa zona. Avrei potuto ma non l'ho fatto. Non ho bisogno di una casa più grande. Mi piace il mio appartamento dall'aspetto anonimo e da scapolo.
Percorro le stesse stradine di sempre per raggiungere la zona residenziale in cui abita mia nonna Gioia.
Da piccolo avevo qualche problema nel parlare senza incepparmi o balbettare e mi limitavo alle prime tre lettere che riuscivo a mettere insieme. Alla fine per me è rimasta nonna Gio'. A lei non ha mai dato fastidio anzi, mi ha sempre aiutato con questo problema. Ecco perché parlo poco e prima di farlo mi focalizzo sulle parole da pronunciare.
La casa di nonna si trova lungo il porticciolo. In una serie di ville a schiera tutte uguali.
Mi fermo davanti il vialetto superandolo per raggiungere il portico. Le ampie vetrate sono aperte e le tende bianche svolazzano libere verso l'esterno. Suono il campanello attendendo che venga ad aprirmi. Dalla finestra esce l'odore delle patate al forno e dei gamberi fritti.
Nonna esce fuori tenendo in mano una paletta di legno e la mano sul grembiule con le fragole. Non appena mi vede sorride ampiamente. «Piccolo mio! Che ci fai lì impalato? Entra in casa. Quante volte ti ho detto di usare la chiave? Hai fame? Sto preparando la cena in anticipo perché stasera come ben sai c'è quel programma e non intendo perdermi un minuto. Voglio essere seduta sul divano con il tavolino pieghevole sulle ginocchia quando inizia», cammina con la sua tipica andatura molleggiata, quasi a passo di musica, verso la cucina. Ha i bigodini sulla testa ed è sempre ben truccata e in forma.
«Non voglio irrompere in casa tua senza preavviso. Mangerò dopo con te se vuoi. Sono passato per vedere come stai e ho portato qualcosa di dolce», dico superando il soggiorno con il vecchio divano a fiori posizionato davanti la parete attrezzata con la tv a schermo piatto che le ho regalato con l'abbonamento per vedere tutti i film che vuole. Poi ci sono i libri e i dischi in vinile per sentire le sue canzoni preferite o per ballare mentre fa le pulizie. Accanto al divano, un comodino con una lampada e delle riviste e di fianco, una poltrona in grado di farle dei massaggi.
A mia nonna è sempre piaciuto viziarsi senza mai esagerare o atteggiarsi. Non abbiamo mai avuto problemi economici ma siamo sempre stati umili e pronti ad aiutare il prossimo.
Versa della birra su due boccali. Inarco un sopracciglio. Non dovrebbe bere il giorno prima della visita.
«Come vedi sto una meraviglia, tesoro. E tu? Ci sono novità? Al lavoro come procede?»
Nonna muore dalla voglia di vedermi arrivare con qualcuno. Non mi ha mai nascosto questo suo desiderio.
Massaggio la fronte sedendomi sullo sgabello posto davanti al bancone sulla quale c'è un'alzata di ceramica con della frutta fresca. Mi piace osservarla mentre cucina. Mia madre non ha mai fatto niente del genere. Troppo impegnata a tenere le unghie laccate di smalto e le mani perfettamente curate. Lei non cucina, non mangia carboidrati. Lei ordina e le persone che lavorano nella sua reggia fanno quello che chiede. Lo stesso vale per mio padre. Ecco perché mi sono sempre rifiutato di vivere con loro. Con mia nonna mi diverto di più e quando posso la porto da qualche parte. Siamo stati in tantissimi posti negli ultimi anni.
Stan mi prende in giro perché non porto mai una ragazza con me. A me non importa. Mia nonna mi ha cresciuto, si è presa cura di me e adesso che è rimasta sola tocca a me ricambiare. Ma non lo faccio perché mi sento in dovere ma perché le voglio bene e la sua felicità quando arriviamo in un posto nuovo mi fa sentire fortunato. Lo sono.
«Che cosa hai in dispensa?», chiedo frugando ed evitando che inizi a tempestarmi di domande con il chiaro intento di raggiungere un solo argomento.
Lei picchia la mano sulla mia mettendo sul bancone dei salatini che versa dentro un contenitore di ceramica poi prende le patatine con salsa barbecue e non contenta, mi prepara un toast.
«Allora? Niente novità?»
Azzanno subito il toast quando mi passa il piatto quadrato con delle linee azzurre. «No, nessuna. Anzi, oggi è successo un altro incidente e ho salvato una persona.»
Sorride orgogliosa rigirando le patate. «Davvero? Un giorno di questi finirai per farti ammazzare. Te lo dico sempre di fare molta attenzione ma non mi ascolti mai. Hai la tendenza a cacciarti nei guai. Allora, chi hai salvato? Racconta! Non voglio sentirlo al telegiornale.»
Lecco le labbra. «È scoppiato un tubo del gas in un laboratorio di pasticceria nel Queen e con la mia squadra siamo corsi lì trovando una perdita di gas, vetri ovunque e fuoco. Mentre parlavo con la proprietaria, l'amica ha fatto notare che all'interno c'era ancora puzza e un rumore, così sono entrato e mi sono reso conto della gravità della situazione. Ho afferrato quella bombola e sono uscito ma un bastardo, un giornalista, ha acceso proprio in quel momento una sigaretta e stava rischiando di fare una strage. Non ci ho pensato un momento, ho lanciato quella dannata bombola e ho protetto la ragazza che se ne stava lì impalata», dico d'un fiato tralasciando i dettagli, la sensazione che ho provato. Volevo proteggere quella creatura ai miei occhi apparentemente indifesa e smarrita ma che al contrario si è rivelata forte e decisa. Anche un po' testarda.
Nonna sorride. «Com'è questa ragazza?»
Corrugo la fronte. Intuisco poi il flusso dei suoi pensieri. «Nonna!»
Mette le mani avanti. «Che c'è? Voglio solo sapere qualche dettaglio in più. Per immaginarmela in quella scena. Si è ferita? Sta bene?»
«Lo avrei fatto per chiunque. Si, purtroppo si è procurata un taglio alla spalla.»
Inarca un sopracciglio. «Ma non hai esitato un momento. Quindi dimmi com'è.»
La sua non è una domanda. Sbuffo. «È una ragazza», replico vago. «Non posso mettermi a fare una scansione delle persone mentre lavoro. Il mio obbiettivo è salvare vite e spegnere incendi.»
Stringe le labbra e intuisco il suo scontento. Sospiro esasperato. Nonna Gio', sa essere testarda come un mulo. Inoltre le piace vincere.
«Ha gli occhi di un verde particolare, così chiaro da mescolarsi all'azzurro. I suoi capelli erano legati in uno chignon stretto ed erano biondi. Piccola di statura, direi forte di carattere», mi fermo quando mi molla una sberla. «Già, ha un caratteraccio come il tuo», rido scappando con il boccale di birra verso la vetrata aperta. Arrivato fuori in veranda, mi siedo sulla poltrona di vimini ammirando la bellissima vista del tramonto che ho davanti a me.
L'aria oggi sembra più calda e piacevole addosso. Non mi dispiace l'estate di Seattle. Il tempo mite e non troppo torrido.
Nonna esce fuori asciugandosi le mani sul grembiule. «E ti è piaciuta?», indaga ancora. Non intende cedere fino a quando non le avrò detto quello che vuole sentire.
«Nonna, era una ragazza distante e non penso che avesse voglia di parlare in quel momento. Si è pure ferita alla spalla e ha sbattuto la testa.»
Posa le mani curate sui braccioli. «E ti sei assicurato...»
«Si. Gli ho medicato la ferita anche se era riluttante e ha avuto una strana reazione quando le ho sfiorato la pelle. Poi le ho consigliato di farsi controllare anche la testa.»
Nonna si fa attenta sporgendosi. Accende una sigaretta sottile, l'unico vizio rimasto nella sua vita. «Che tipo di reazione?»
«Non si è messa a piangere come una bambina. Si è solo allontanata un po' da me quando l'ho sfiorata. Era come se il mio tocco le facesse accapponare la pelle.»
Nonna storce le labbra. «Aveva paura?»
Bevo un sorso di birra. «Forse. Ad ogni modo sono stato cortese con lei, se è questo che ti stai chiedendo. Ho persino mollato un pugno a quel bastardo che l'ha messa in pericolo. Per questo sono sicuro di beccarmi un richiamo quando la notizia si spargerà. Conosci il mio temperamento. Odio gli idioti.»
Nonna sorride lasciando uscire una boccata di fumo. Spegne la sigaretta senza finirla rilassandosi un momento con lo sguardo trasognante e le mani in grembo. «Sei rimasto davvero colpito da questa creatura se ne parli per più di qualche minuto», posa la mano sulla mia. «Sai il suo nome?»
Mi rendo conto solamente ora di non avere sentito il suo nome. Cazzo.
«So come si chiama l'amica.»
Mi guarda come per dirmi di continuare.
«Le ho anche offerto qualcosa, visto che è tornata alla pasticceria con una strana espressione e si è chiusa dentro il laboratorio come se volesse evitare chiunque.»
Nonna ride. «Vederti così mi rende felice», alzandosi, rientra in casa lasciandomi a rimuginare sotto il cielo rosso del tramonto.
Durante tutto quel trambusto non ho capito il suo nome. Adesso come faccio a cercarla sui social o ad incontrarla per sapere se sta bene?
Dopo qualche istante rientro chiudendo bene ogni finestra. A volte nonna sa essere sbadata e dimentica di farlo. Così ci sono io che quasi ogni sera passo per darle la buona notte o le chiamo per ricordarglielo.
Sta già servendo la cena. Patate al forno, insalata di riso e gamberi fritti. La sua specialità.
Sintonizzo subito la tv sul canale recuperando anche la coperta che di solito mette sulle gambe. Lei mi ringrazia subito con i suoi occhi vispi di un azzurro oceano profondo.
«Domani a che ora ti accompagno in ospedale per la visita?»
«Vuoi accompagnarmi? Non devi incontrare quella ragazza a tutti i costi e chiederle come si chiama così da presentarmela?»
La guardo male e continua a sorridere di proposito per irritarmi. «La visita è di mattina. Non lavori?»
Nego. «Ho il weekend libero.»
La aiuto a portare tutto in soggiorno e non appena ci sediamo brindiamo lei con acqua e io con birra guardando il suo programma preferito del venerdì sera.
Prima di tornare a casa l'aiuto a mettere tutto in ordine. Chiudo bene le finestre, il gas e i lavandini dandole un bacio sulla tempia.
«Brad», inizia piano.
«Si?», sono già alla porta.
Si avvicina abbracciandomi forte. «Non avere paura di buttarti tra le braccia di qualcuno e non sempre su qualcuno per fargli da scudo. Sta attento, piccolo mio. Ci vediamo domani», sorridendomi e dandomi un bacio sulla guancia mi lascia uscire.
In auto, mentre ritorno sfiancato a casa, ripenso a questa stranissima giornata che ha stravolto la mia vita e alle parole di mia nonna.
A volte le cose capitano per una ragione. Spero ci sia qualcosa di importante in serbo per me, perché ho tutta l'intenzione di prendere il meglio di ogni singolo giorno. Anche se quando vivi qualcosa che ti rende felice ciò che ti rimane dentro, sotto pelle, è la paura di perdere tutto.

🖤

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now