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Un movimento, una breve imprecazione sommessa e poi il getto dell'acqua che scorre, mi fanno aprire gli occhi lentamente. Non c'è molta luce intorno e non ho voglia di controllare l'ora.
Accanto a me non c'è nessuno, la coperta è tutta stropicciata e il piumone piegato. Sfioro la parte del letto ed è fredda.
Mi tiro su controllando il telefono che prendo dal comodino. Papà mi ha lasciato un solo messaggio in cui dice che resterà a lavoro fino a lunedì perché il suo collega a quanto pare è partito per una riunione importante.
Alzo gli occhi al cielo. Non passeremo mai più di qualche ora insieme. Forse è questo quello che mi manca di più di mio padre. Il suo essere presente, le chiacchierate, qualche gita insieme o almeno una passeggiata. Invece devo accontentarmi di pochi istanti in cui li passiamo quasi sempre a discutere.
Si direbbe che io abiti sola. Non avrò problemi di distaccamento famigliare al college, questo è certo. Non so se mi ambienterò in fretta ma sarà diverso vivere altrove e non avere sempre qualcuno pronto a dirmi che sto sbagliando tutto o che le cose non saranno mai come le ho sempre sognate.
Proprio mentre rifletto su questo dettaglio inutile il telefono inizia a ronzare.
È lui. Rispondo al terzo squillo.
«Pronto?»
«Ehi pulce, tutto bene lì? Sei sola? Mi dispiace tanto per non avere mantenuto la parola.»
Rifletto su una possibile risposta che non comporti una menzogna ma che sia allo stesso tempo gelida nei suoi confronti.
Ormai ho perso il conto delle volte in cui mi ha delusa. Il problema è che io mi aspetto quasi sempre qualcosa che non arriva e non arriverà mai da parte sua.
Questi anni di distanza non hanno fatto altro che avvicinarlo maggiormente al suo lavoro e adesso credo sia tardi per perderci in convenevoli o inutili momenti padre e figlia. Siamo come due coinquilini. Un saluto, una discussione e ciao a tutti.
Inizio a sentirmi sola.
«Si, direi bene. No, il tuo nuovo aiutante ha preso bene la questione del tenermi d'occhio e si è accampato in casa. Furbo da parte tua permetterglielo.»
Sento che sorride. Emette sempre un breve verso prima della risata ma oggi sorride solamente ed io mi chiedo cosa mai abbia fatto Kay per fargli cambiare idea.
William Wilson non è di certo il tipo che si lascia coinvolgere da due moine o da due occhi da cucciolo. Ci vogliono le maniere forti.
«Rimarrà con te fino a lunedì?»
«Non credo. A malapena tollero la sua presenza, figuriamoci stare insieme a lui altri tre giorni», replico usando un tono carico di astio. «Rischio il suicidio», aggiungo teatralmente.
Papà mi ascolta attentamente traendo le sue conclusioni. È un uomo perspicace ed intelligente, non gli manca di certo l'intuito; specie se la figlia reagisce in un dato modo alla sua domanda mirata.
«Sai che non me la bevo? Spero che abbia tenuto le mani a posto perché altrimenti userò il bisturi», minaccia divertito.
«In realtà si è accampato in soggiorno e...», arrossisco fermandomi. «Papà... a cosa stai pensando?»
Non risponde per un breve momento. Credo che sia caduta la linea e controllo ma lui c'è ancora. «Tutto bene lì?»
«No, cioè si... è solo che non mi chiami papà da anni. È stato strano.»
Poso i piedi sul pavimento. «Non abbiamo avuto modo di comportarci come una famiglia da quando sono piombata a casa tua», gli faccio notare con una punta di malinconia e rimprovero nella voce.
Sospira attutendo il colpo. «Già, ma avremo tempo. Comunque sta attenta e non cacciarti nei guai. Se hai bisogno non esitare a chiamare. Per il resto... parla con lui. Sembra tenerci parecchio a te.»
«Ok, questa conversazione sta diventando imbarazzante oltre che melensa e fastidiosa. Qui stiamo degenerando, adesso riaggancio e vado a fare colazione», dico in fretta.
«Potresti dormire, è presto per la colazione. Non so se hai notato ma è ancora l'alba. Non pensavo di trovarti sveglia. E non ho insinuato niente. Ho solo immaginato cosa possono fare un'adolescente e un ragazzo che non ama perdere, in una casa, da soli», fa proprio delle pause per marcare le parole insinuando qualcosa.
Alzo il mento. «Ben ti sta! Così non lasci sola e incustodita la tua "bambina" adolescente!» sorrido.
«Erin, guarda che sono serio. Se ti tocca e non vuoi...»
«Bla, Bla, Bla...», alzo il tono tappandomi l'altro orecchio e allontanando per un momento il telefono. «Non voglio sentire niente sui metodi contraccettivi, sulle protezioni o altro, sei in ritardo di qualche anno ma posso assicurarti che non rientra tra le mie priorità attuali attaccarmi come uno scoglio a qualcuno che perderà l'interesse non appena avrà ottenuto quello che vuole.»
Sento dei rumori in sottofondo poi un silenzio intorno a me che mi rende inquieta.
«Ne sei sicura? Non so se essere stupito sulla tua conoscenza riguardo certi dettagli sui rapporti o se essere fiero per quello che hai appena detto e che attenua per un attimo ogni mio dubbio iniziale facendomi uscire un sospiro di sollievo. Sei matura, Erin.»
Scuoto la testa nascondendo l'imbarazzo e il sorriso, come se potesse vedermi. Ecco da chi ho preso, mi dico riconoscendomi nelle risposte di mio padre, nei suoi toni canzonatori, diretti, spietati ma sinceri.
«Si, ne sono più che sicura.»
«Ascolta questo vecchio: quando ti dico che quel ragazzo non demorde, significa che non è uno da una notte e via. In ogni caso non avrebbe perso tempo correndoti dietro.»
Avvampo. «Papà...», cantileno.
«Ok, ok... sta diventando imbarazzante anche per me che dovrei proibirti di vedere qualsiasi ragazzo e segregarti in casa nei weekend o fino ai tuoi trent'anni. Ma sai che non sono così, pertanto stai attenta e se proprio vuoi fare nuove esperienze, falle con giudizio e attenzione.»
Passo la mano sul viso ancora assonnato. «Non sei geloso neanche un po'?»
«Non sai quanto. Ma devo imparare a fidarmi di te e a mantenere la calma. Nella peggiore delle ipotesi lui verrà castrato e tu punita.»
Sorrido. «Ok, non prendere più oppiacei.»
Ride. «Ho solo preso un caffè prima ma adesso che mi ci fai pensare devo fare attenzione al distributore, potrebbero manometterlo.»
«Va bene, adesso ti lascio al tuo lavoro.»
«Ricordati del coprifuoco e non fare cazzate. Non voglio ricevere un'altra chiamata come quella...», lascia in sospeso facendomi intendere bene a cosa si sta riferendo.
Non deve essere stato facile per lui. Si sarà sentito colto alla sprovvista e senza una base da cui partire. Perché certe notizie non te le aspetti. Sono come acqua gelata sulla pelle.
Riesco a mettermi nei suoi panni. Un padre ormai single da tempo, incapace di gestire il carattere della figlia che si ritrova improvvisamente in una situazione di pericolo e lui a doversi comportare da padre e da medico.
Ha avuto sangue freddo. In fondo non è male...
Annuisco. «Ok, ci sentiamo... papà.»
«Ti chiamo durante la pausa o ti scrivo. Sta attenta.»
Sospiro passando la mano tra i capelli prima di legarli e guardarmi un po' intorno sentendomi più che intontita.
Poso il telefono di nuovo sul comodino e accorgendomi degli indumenti alla rinfusa per terra li ripiego mettendoli tutti sulla sedia. Infine entro in bagno.
Una nuvola di condensa mi investe insieme all'odore di latte alle mandorle dolci e avena del mio bagnoschiuma. Annuso a pieni polmoni l'aria quasi come una tossica e vagando con gli occhi poso la mia attenzione su Kay.
Se ne sta dentro la doccia. Vedo la sua sagoma in movimento sotto la tendina spassa. Sta fischiettando ma quando sente lo scatto della porta smette velocemente tirando di poco la tendina, sbirciando mi pone una delle sue domande silenziose e indagatrici cercando al contempo di capire il mio umore.
«Non ti dispiace se sto usando il tuo bagno.»
«No, fa come se fossi a casa tua. Ma lo sai già. Anche se devi rimanere un momento lì, senza sbirciare perché devo fare pipì.»
Chiude subito il getto dell'acqua uscendo dalla doccia avvolto dal mio asciugamano morbido bianco a coprire solo un pezzo del suo corpo statuario. È così delicato e perfetto da suscitarmi uno strano moto di invidia per chi deve averlo toccato in tutti questi anni. Provo invidia persino per le gocce d'acqua che lo sfiorano.
Lui, capelli bagnati ricaduti sulla fronte, sguardo letale e andatura da macho esce dal bagno non prima però di avermi fatto l'occhiolino. «Fai in fretta, non ho ancora finito», mi punzecchia.
Con un calcio chiudo la porta per fargli capire chi comanda e che si trova nel mio territorio poi finalmente faccio pipì. Lavo le mani e il viso e lui torna in bagno senza neanche bussare o chiedere il permesso mentre sto sciacquando i denti. Lo spazzolino era ancora bagnato, che strano...
Questo suo atteggiamento così deciso mi fa smuovere dentro uno strano sfarfallio. Una vibrazione naturale che si propaga ovunque rendendomi quasi schiava di ogni suo movimento che osservo trasognante. È come sé tutta la bellezza di una scultura di un angelo fosse stata trasmessa su un unico corpo, quello di un demone tentatore. Hanno creato una forza brutale per i miei sensi.
Qualcuno lassù sta giocando duramente, lo so bene. Come non posso non ammettere di sentirmi attratta. Anche se questo mi fa storcere un po' il naso perché odio sentirmi coinvolta a tal punto da mettere da parte l'orgoglio.
Kay fa uno dei suoi gesti improvvisi cogliendomi impreparata e distratta dai pensieri, dalle fantasticherie.
Posizionandosi dietro, scioglie i miei capelli poi li scosta da un lato e mi bacia la spalla risalendo lungo il collo. Solo adesso mi rendo conto di essere mezza nuda, con il mascara ancora attaccato alle ciglia, qualche rimasuglio sotto le palpebre e le guance rosse come fuoco al suo tocco.
Mi annusa i capelli strofinando la punta del naso verso la nuca.
«Hai dormito bene?»
La mia pelle va in surriscaldamento. Come quando entri in casa dopo una giornata passata a divertirti in mezzo alla neve e corri a metterti davanti il camino per non morire assiderato.
Recupero l'elastico legando di nuovo i capelli in una crocchia attorcigliata.
Non sapendo a cosa aggrapparmi, stringo il bordo del lavello inspirando lentamente. «Come un sasso direi. Tu? Ho fatto qualcosa di imbarazzante? Quando bevo mi succede».
La sua testa oscilla e le sue labbra attaccate alla pelle, sulla nuca, per poco non mi danno il corpo di grazia.
Che gli prende?
«Con chi parlavi al telefono?», non risponde alle mie domande quindi deduco di non avere fatto poi così grossi danni.
Allungo il collo guardandomi allo specchio mentre la sua mano si posa bene aperta sul mio ventre piatto a premermi contro di lui. Il suo petto è ancora umido e profumato di doccia.
Sto perdendo concentrazione e lucidità, lo sento dall'attaccatura dei capelli quindi dalla testa fino alle dita dei piedi la scossa che mi provoca e che mi fa schiudere le labbra lasciando sfuggire un gemito.
«Con mio padre», dico con voce arrochita. Improvvisamente mi viene una gran sete. Inizia a fare molto caldo e il suo tocco non fa altro che amplificare la sensazione di vertigine che mi investe come un treno in corsa.
Riflessa davanti a me, c'è una ragazza aggrappata al lavandino. Lo tengo ben saldo con le nocche sbiancate mentre Kay, bacio dopo bacio, si porta via un pezzo di me, della mia dignità che vacilla sotto il suo attacco così delicato ma sicuro.
Lui lo sa, sa di avere potere su di me. Lo ha sempre saputo. È questo quello che intende fare: staccarmi pezzo dopo pezzo fino a lasciarmi esposta?
La sua mano dalla pancia scende giù. Non riesco a fermarlo perché il mio corpo brama il suo tocco e sono curiosa di vedere fino a dove è disposto a spingersi in questo gioco.
Possibile che sia così sensuale con poco?
Nota la mia pelle d'oca e ci soffia sopra, ovviamente divertito. «Perché eviti lo specchio?»
«Perché se ti fissi troppo, presto la tua immagine si fermerà e vedrai altro di te che non ti aspetti. Potrebbe spaventarti.»
Sorride baciandomi sotto l'orecchio. Cado in avanti e lui mi trattiene. Il palmo a metà tra il ventre e il bordo degli slip neri. Ma non può capire o non immagina che le mie gambe sono sul punto di non funzionare mentre il mio cuore sta lavorando senza sosta rischiando di uscire e riempire tutto quanto di sangue. Il colore della passione.
La sua mano continua a scendere e quando si posa tra le mie gambe le stringo voltandomi, allontanandola. «Kay...»
Afferrandomi i polsi, intreccia le mie braccia dietro, alla sua schiena e premendo le dita sulle mie guance mi avvicina per un bacio che sa tanto di "perditi insieme a me".
Sa anche di menta quindi deduco abbia usato il mio spazzolino. Dovrebbe darmi fastidio. Invece provo una malsana sensazione di piacere.
Tenendomi per i fianchi mi issa sul ripiano, sulla piccola striscia di marmo che separa il lavandino. Lo spazio è così ristretto da farmi inarcare la schiena quando mi divarica le gambe avvicinandomi al suo corpo che adesso sembra tanto emanare un nuovo calore.
Vedendomi distratta, catturata, mi tira una spallina del reggiseno poi mi bacia tenendomi ben salda sulla superficie. «Perché mi baci se non siamo niente?»
Provo a fermarlo. «Perché mi stai baciando tu...»
«Non dovresti se ti faccio schifo o mi odi così tanto», ghigna continuando a provocarmi sganciandomi il reggiseno.
Mi stringo a lui affondando i polpastrelli sull suo fondoschiena. «Non farlo», la mia voce trema uscendo stridula mentre premo il mio petto sul suo per non lasciare che mi tolga l'unico pezzo di stoffa che mi separa da lui e che mi permette di non fare passi azzardati.
Già questa notte è stato abbastanza difficile tenere a bada l'istinto specie dopo avere avuto i baci e le sue mani dappertutto.
In questo istante potrei avere molteplici reazioni insieme all'imbarazzo che provo nel mostrarmi in questo modo, esposta. Ai suoi occhi sono solo una comunissima ragazza con cui ha dormito e non in quel senso. Adesso si sta anche divertendo a mettermi in difficoltà.
Non ha proprio limiti.
Gioca infatti con le mie labbra. «Lo riaggancio se ammetti di non odiarmi», sibila.
«Potrei metterti al tappeto proprio in...»
Nega. «No, non lo farai perché anch'io ti piaccio e stai morendo dalla voglia di sentire tutto quello che posso farti.»
Stringo le palpebre e la presa quando abbassa le spalline imperterrito, affatto preoccupato dalla mia minaccia silenziosa. Gonfio il petto e il mio seno esce notevolmente dal bordo della coppa.
Stringo le labbra, pessima idea la mia.
«E se invece succede? Se ti faccio male perché stai superando un limite?»
Ride. «Correrò il rischio allora», risponde con un ghigno malizioso facendo arrivare il reggiseno quasi oltre la linea di confine. Un altro gesto e vedrà i capezzoli.
«E ne sarà valsa anche la pena», aggiunge in un soffio.
Non dovrebbe spaventarmi o farmi sentire in imbarazzo tutto questo, ma lui è Kay. Come faccio a mostrarmi seminuda davanti a lui dopo che da bambini ci scannavamo per un pastello o per una pallonata in testa?
Sentendomi in balia delle sue attenzioni, decido di ricorrere ai miei metodi e di giocare in astuzia così, allargo le gambe avvicinandolo, premendolo contro di me.
Le sue pupille si dilatano. «Anche tu a quanto pare», sussurra spingendo a sua volta.
Avvicino le sue labbra tenendolo fermo per una guancia. «Che cosa vuoi?»
Deglutisce mentre provo a scendere dal ripiano scivolandogli addosso.
«Vuoi che ti faccia un esempio pratico?»
«Si», rispondo senza voce.
Le sue labbra si fanno sempre più vicine alle mie. Ci baciamo dapprima lentamente, quasi sfuggenti, giocando ad acchiapparci poi la sua lingua tocca la mia ed inizia a baciarmi con più insistenza e forza di prima.
I suoi baci sono pieni, corposi. Dentro ognuno di essi ci sono parole non dette, frasi lasciate a metà, pensieri... sentimenti.
Kay prova davvero dei sentimenti per me?
Scaccio via il dubbio. Lui non può per me.
Stringo le braccia intorno al suo collo mentre mi solleva ma vado a strusciarmi sul suo cavallo coperto dall'asciugamano.
Adesso è lui quello che sembra sul punto di perdersi.
Freme staccandosi. «Sei una stronza», sibila a denti stretti.
Lo guardo soddisfatta. «Mai provocarmi», soffio muovendo i fianchi insieme a lui.
Stringe le labbra mugolando. Le sue mani premono sulle mie natiche avvicinandomi a sé facendomi sentire quello che gli sto provocando.
«Dammi un motivo, uno per non prenderti qui...»
Le mie guance si riscaldano. Cerco una risposta ma non ho neanche una ragione per comportarmi così. Mi tiro indietro e lui mi stacca il reggiseno sfilandomelo finalmente di dosso come se fosse un oggetto fastidioso. Si ferma ad ammirare il mio seno coperto di brividi e io non lo nascondo. Non me ne vergogno.
La sua mano si avvicina sfiorandolo.
«Non ho un motivo», sussurro deglutendo a fatica. Uso la carta della sincerità.
Abbassandosi posa le labbra piano, senza fretta ma in modo delicato e casto poi sale lungo lo sterno, sulla clavicola, lungo la gola ritrovando la mia bocca pronta al suo bacio, alla sua passione travolgente.
Si stacca affannato. «Trovane uno... uno qualsiasi, ti prego.»
Nego. «Che cosa vorresti fare?»
Chiude gli occhi agitato. «Non sei ancora pronta ma non ti faccio schifo e non ti sei ancora allontanata da me.»
Lo guardo e mi accarezza la guancia in maniera rude e a me non dispiace, anzi mi fa impazzire il suo tocco caldo.
«Ti sei anche fidata di me», continua indicando il mio seno.
Provo a scendere. Ancora una volta mi blocca mordendomi il collo. Stringo forte il suo braccio affondando le unghie.
«Facciamo una doccia insieme, vieni», mugugna staccandosi a malincuore, facendomi scendere ed indietreggiando mi solleva dentro la vasca continuando a baciarmi.
«Se mi hai lasciato segni sulle braccia sappi che ti denuncio per maltrattamenti», minaccia senza guardare le piccole mezze lune sulla sua carne pallida.
Le guardo con soddisfazione. «Ed io perché ti sei infilato nel mio letto dopo esserti fiondato a casa mia. A chi crederanno? A te o a me che sono minorenne?», chiedo con malizia.
Soffia dal naso. «Sappi che mi vendicherò! Anzi...», i suoi occhi lampeggiano.
Provo a fermarlo ma affondando il viso sotto l'orecchio morde la porzione più sensibile che io abbia prima di succhiarla senza controllo.
Gemo. «Pensa la vicina cosa direbbe in questo momento se ci vedesse», rifletto divertita provando ad allontanarlo per evitare di dovere indossare maglioni a collo alto per i prossimi mesi.
Apre il soffione togliendosi l'asciugamano. Evito di guardare chiudendo gli occhi. Ma la sua mano mi porta dal suo addome sempre più giù fino a sfiorare i boxer. Sbircio con un occhio e lo spingo. «Mi ha preso in giro? Sei un grandissimo...»
Mi spinge contro le piastrelle e sollevandomi per le natiche facendomi allacciare le gambe intorno alla sua vita mi bacia con fervore. «Sono eccitato, ecco cosa sono attualmente. Non me ne frega un cazzo della vicina, che veda pure. Forse imparerà qualcosa e soddisferà suo marito anziché mandarlo a puttane. Adesso smettila di preoccuparti e fai quello che sentì», soffia accaldato.
Rifletto mentre l'acqua calda ci scorre sul corpo. Apro gli occhi e lui mi fissa intensamente con il suo ghiaccio con il potere di sciogliersi nelle mie iridi e fondersi in qualcosa di mai visto.
Per un po' ascolto i suoi respiri spezzati dallo scroscio assordante dell'acqua e dai rumori esterni. «Non mi fai schifo», massaggio le sue spalle.
Sorride soddisfatto. «Lo terrò a mente. Poi che altro?»
Lasciandomi andare passa il bagnoschiuma sulla mia pelle incoraggiato dalla mia risposta.
«Devi proprio sentirtelo dire?»
Mostra i denti. «Non mi piacciono le cose lasciate a metà. Allora?», incalza.
Mordo il labbro alzandosi sulle punte, per un contatto. Mi avvicino al suo orecchio facendo scivolare la mano dal petto verso il basso ventre. Il tutto guardandolo dritto negli occhi senza mai cedere o bloccarmi, usando una sicurezza che con il tempo ho imparato ad avere.
L'aria si trasforma in una nuvola di elettricità pura.
Il suo corpo entra in tensione mentre la mia mano prosegue. «Neanche a me piace essere messa alla prova, dilettante», sorrido anzi rido e corro fuori dalla vasca avvolgendomi con l'asciugamano. Creo un turbante nei capelli e scappo al piano di sotto.
Qui, recupero una padella, del burro che spalmo sulla superficie decidendo di preparare i pancake.
In breve sul bancone si crea un accumulo di farina e pezzi di pastella. Intorno invece aleggia l'odore del miele.
«Sai che mi vendicherò?», mi sussurra all'orecchio facendomi urlare, mollandomi perfino una pacca sul sedere.
Mi volto con la spatola in mano. «Ho un'arma, potrei usarla», minaccio. «Mi hai fatto male», mi lamento.
«Ne hai tante di armi», dice lanciando uno sguardo alla colazione che a poco a poco metto nei piatti prima di passargliene uno sotto il naso.
«Non pensavo di meritare la colazione», dice sedendosi sullo sgabello ostentando un pizzico di malizia.
Prendo posto accanto a lui. «Ed io di prepararla per un ragazzo che mi ha dato un morso e una pacca sul sedere da non riuscire a mettermi comoda per i prossimi giorni, diciamo che siamo pari adesso.»
Nega. «Non saremo mai pari noi due. Questo lo sai. Non fino a quando non ammetterai che ti piaccio anch'io», biascica puntandomi la forchetta contro.
Bevo un sorso di caffè ignorando quello che ha appena detto con il chiaro intendo di deconcentrarmi un'altra volta.
Provo ad alzarmi per prendere i tovaglioli di carta con il dito il bocca pieno di nutella ma riesce a circondarmi con le braccia. Afferrandomi la mano la porta sulle labbra che devono avere il sapore dello zucchero a velo e del miele. Dapprima mi dà piccoli baci poi mi morde il dito.
Mi lamento spingendolo e lui ride. «Non mi piaci per niente, Kay Mikaelson!»
Mi guarda come per dirmi: "si, e chi ci crede?".
«Sul serio», gli sfioro la cicatrice esposta e in bella mostra visto che non si è ancora rivestito, proprio come me ancora in asciugamano.
Non si agita. Non ha alcuna brusca reazione. Così, mi appoggio alla superficie. «Raccontami...»
Inizialmente non parla, nota solo il dito su quei segni come se non facessero parte del suo corpo. Improvvisamente ha come un momento di lucidità e allontana la mia mano guardandomi freddamente. «Non... farlo...»
Lo abbraccio. A dispetto di tutto quello che mi viene da fare come: sbraitargli addosso o stuzzicarlo per ottenere le risposte che cerco, circondo il suo collo con le braccia e lui appare smarrito.
«Devi fidarti anche tu di me. Io ti sto abbracciando anche se prima ho detto che ti odio. Adesso tocca a te porgere l'altra guancia... no?»
Ci pensa su. Prende un lungo respiro gonfiando il petto. «Anche tu mi confondi», dice e staccandosi sale al piano di sopra.
Insicura e più che turbata dalla sua reazione, lo seguo fino alla mia stanza dove prova a rivestirsi. Scatto prima che lo possa anche solo fare tirandolo verso il letto dove mi siedo davanti a lui con un piede sotto il sedere.
Non mi guarda e questo mi colpisce. «Perché ti allontani di colpo? Se è un argomento di cui non puoi parlare, lo capisco ma... diventi strano e...»
Giro il suo viso per farmi guardare. La sua mano rimane a mezz'aria, insicura, poi però si insinua tra i miei capelli. «Sei bella, Erin. Non te ne accorgi ma... io...»
Mi metto a cavalcioni su di lui prendendogli il viso. «Tu cosa?»
Freme. Si agita sotto la mia piccola mole rimanendo con le mani quasi messe in mostra. «Sei pericolosa...»
Sorrido. «L'hai sempre saputo. Adesso dimmi che hai o muoverò i fianchi e ti morderò forte il labbro», minaccio quasi diverta.
Per tutta risposta nasconde il labbro tenendolo tra i denti. «Erin...»
Faccio come ho detto rispettando la parola muovendo il ventre, facendo contatto e lui geme fermandomi quando provo a morderlo.
«In realtà c'è una cosa», ammette.
Attendo. «Dimmi...»
«Non sopporto l'idea che tu possa pensare che io sia uno di quelli da una notte e via. Che voglia approfittarmi di te. Scopare e poi chi si è visto si è visto. Non mi conosci. Non puoi saperlo.»
Spalanco la bocca incredula e in parte sentendo lo schiaffo immaginario che ricevo. «Hai ascoltato la conversazione con mio padre?», lascio la presa staccandomi da lui con disgusto, alzandomi immediatamente facendo dei passi indietro per allontanarmi e prova a toccarmi ma lo respingo guardandolo così male da provocargli dolore.
«Non avrei dovuto?»
«È per questo che non mi fido di nessuno», dico arrabbiata.
Pestando i piedi sul pavimento mi fiondo in bagno sbattendo la porta.
Emetto un breve ringhio di frustrazione. Mi aggrappo al lavabo sentendomi incredibilmente ingenua.
Come ho potuto essere così stupida fino a cedere così tanto?
La porta si apre piano e lui sbircia prima di spalancarla, avvicinarsi e tirarmi a sé. Mi abbraccia indietreggiando, tornando in camera. «Non volevo. È stato più forte di me sapere quello che pensavi...»
«Avresti potuto chiedere», dico facendo resistenza.
«No, a volte ti chiudi a riccio ma più che una corazza sembra un'armatura di pietra o peggio di acciaio inossidabile.»
Mi guarda come un cucciolo di foca con i suoi occhioni magnetici così limpidi. Adesso ci credo che da piccolo le passava tutte con i suoi genitori. Con quel visetto da angelo, come poteva non fare strage di cuori? Come poteva non convincere anche il più duro dei cuori?
Ma... che diavolo sto pensando?
«Iniziamo ad essere sinceri?»
«Dimmi perché io?»
«Perché nessuna è te», risponde senza esitare alzando il tono per farmelo entrare in testa. «Per farmi perdonare oggi picnic in un bel posto», sorride provando a smorzare la tensione iniziale organizzando al volo qualcosa che quasi sicuramente avrà già avuto in mente da giorni. «Non sono il genere di cose che faccio ma per te farò uno strappo alle regole.»
Sciolgo le difese. Devo iniziare a fidarmi. «Non devi per forza portarmi a fare un picnic. Puoi portarmi da qualche altra parte se ti va di avermi accanto oggi», abbasso lo sguardo. «Devi essere solo te stesso.»
Lui si avvicina sollevandomi il mento con due dita. «Davvero non riesci ad accettare il fatto che per te farei di tutto? Sembra così assurdo che a Kay Mikaelson piaccia una persona? Non pensavo di essere così irraggiungibile ai tuoi occhi. Hai sempre avuto modo di stare con me. Forse non ti ricordi...»
«Perché mi avresti ammazzata se ne avessi avuto l'occasione. Idem per me», mostro un sorriso timido.
Alza gli occhi al cielo sbuffando. Gratta la tempia. «Sei un mostro, fattelo dire», esclama.
Strabuzzo gli occhi sentendomi ferita dal suo commento indelicato.
Un mostro...
È questo quello che pensa di me?
«In positivo», aggiunge al mio orecchio intuendo la mia reazione, mitigando il senso di sfida che già mi si stava surriscaldando dentro nel cercare un'offesa che andasse a segno.
«Preparati, non abbiamo molto tempo. E se siamo fortunati oggi non ci troviamo nessuno», mi dice con un sorrisetto divertito stuzzicando la mia curiosità.
Metto in ordine la mia stanza in cui sembra essere passato un ciclone.
Penso alla notte scorsa mentre mi preparo velocemente senza stare troppo a riflettere sull'outfit giusto da indossare. Non è un appuntamento, continuo a ripetere a me stessa.
Quando esco dal bagno, in camera lui non c'è. Scendo al piano di sotto e lo trovo ad aspettarmi comodamente seduto sul divano. Accanto a lui lo zaino.
Ha pulito tutto: la cucina, il soggiorno. Adesso però sembra distratto da qualcosa.
Vedendomi impalata sulla soglia, si alza caricando in spalla lo zaino, mi raggiunge e prendendomi per mano, osservando il suo stesso gesto con malcelato interesse, in parte turbato, usciamo di casa.
Mi passa un casco. «Ne avevi già due quando sei venuto?»
«Sono previdente.»
Me lo allaccia ben saldo dandoci un pugno sopra senza forza. «Non pensare troppo.»
Annuisco salendo in sella sistemando bene lo zaino, avvicinandomi senza stringermi troppo a lui.
Se ne accorge e mi avvicina mentre percorriamo la salita piena di curve circondata da alberi e terra a tutta velocità raggiungendo la campagna di suo nonno.
Posteggia la moto sotto la tettoia, a poca distanza dalla sua auto e ancora una volta mi guida facendo attenzione a dove mettiamo i piedi, visto che il lungo sentiero pieno di foglie secche coperte di gocce ghiacciate che risplendono alla luce di un sole che non riesce a riscaldare il mondo che potrebbe nascondere delle trappole.
È una bellissima giornata, rifletto perdendomi tra gli alberi alti in mezzo alla quale ci troviamo. Le foglie sono quasi tutte cadute eppure i rami sembrano lo stesso riuscire ad offuscare il cielo. Mentre in altri alberi hanno solo cambiato colore, in altri ancora, i pini sono appesantiti e apparentemente umidi, proprio come l'odore che si respira insieme al pulviscolo, al muschio.
Kay, vedendomi distratta ad osservare una grandissima ragnatela mi tira leggermente a sé. «Non perderti, rimani concentrata.»
Il ciondolo dello zaino oscilla. Dentro ci ha infilato qualcosa ma sono distratta dalla meravigliosa visione del posto per fare attenzione o altre domande.
Dopo ben dieci minuti di passeggiata tra i boschi, mi ritrovo davanti uno spettacolo della natura da film. Il fiume dalle acque limpide e coperte di pietre levigate sul fondo, dei tronchi sistemati come divani intorno ad un focolaio, la piccola cascata e l'immensa distesa di foglie secche gialle e rosse.
Il freddo penetra le ossa ma ne vale la pena di stare qua, mi dico scattando una sequenza di foto dei vari dettagli che al mio occhi non sfuggono.
«Ti piace?»
Confermo. «Una bella giornata da passare in questo posto», replico avvicinandomi alla riva del fiume.
L'acqua non sembra alta e il fondo è così trasparente da riuscire a specchiarcisi.
Mi volto rimanendo paralizzata.
Tra i riflessi della luce del sole sulle nostre teste e quella delle ombre degli alberi che che si allungano, il suo profilo si staglia a distanza dal mio viso, intenso, penetrante, difficile da cancellare dalla pelle.
Per istinto non dovrei muovermi ma il mio corpo non sembra della stessa idea ed eliminando i metri che ci separano lo abbraccio.
Lui mi prende al volo tenendomi stretta a sé come se questo fosse il suo ultimo abbraccio. Inspiro il suo profumo tenendone un po' dentro di nascosto.
«Hai un lato tenero», lo punzecchio.
«Se lo dici a qualcuno conosco il tuo indirizzo.»
Rido mettendo le mani avanti, assumendo un'espressione solenne. «Il tuo segreto è al sicuro con me.»
Vado a sedermi dietro il tronco, davanti al fuoco che ha acceso con dei pezzi di legno, foglie e della carta. Le fiamme crepitano alzandosi in alto.
Sollevo il viso e ad occhi chiusi mi godo il calore del sole, la tranquillità.
Kay toglie dallo zaino una coperta. «Qui fa freddo», spiega.
«Ti prendi cura di me, che carino», lo stuzzico ancora.
Storce il naso. «Tecnicamente la coperta è anche per me. Non voglio rischiare di certo l'ipotermia o di beccarmi un raffreddore solo per avere avuto questa brillante idea per fare colpo su di te.»
«Certo che sai come rovinare ogni momento», lo rimbecco.
Abbozza un sorriso. I suoi occhi però non sono accesi e carichi come ogni altro giorno. C'è qualcosa che non va, lo sento.
Mi domando se sia davvero impossibile capire un'altra persona con la stessa facilità con cui io capisco lui al volo.
Me lo domando mentre se ne sta in disparte, in silenzio.
Ed io lo so che ci pensiamo molto più di quanto immaginiamo. Con gli occhi, con i gesti, con le mani, con il cuore. Ci aggrappiamo l'uno all'altra per non smarrire la nostra anima che si è fusa nell'istante esatto in cui ci siamo ritrovati.
«Mi spieghi che hai?»
La mia voce sembra provocargli un sussulto. Inumidisce le labbra passandosi il palmo tra i capelli. «È successo qui», dice.
Non ho bisogno di chiedere a cosa si sta riferendo. La risposta mi arriva da suoi occhi che vagano alla ricerca di qualcosa inoltrandosi tra gli alberi.
Mi avvicino sistemando la coperta anche su di lui e appoggio la testa sulla sua spalla. «Mi racconti che hai fatto in questi anni?»
Sotto la coperta gioca con la mia mano. «Quando te ne sei andata in qualche modo è stato come se mi avessero strappato via un pezzo. Hai presente i gemelli? Ecco. Mi sentivo come se il mio gemello si fosse dissolto nel nulla.»
Intreccia saldamente le nostre dita. «Ma sei andato avanti», gli faccio notare.
«Anche tu. A quanto pare però hai sempre cercato di non pensare a me. Come biasimarti? Non ero di certo un bambino come Ephram.»
Sollevo il viso e il suo appare contrito. «A me piacevano le tue iniziative. Come quando hai costretto tuo padre e il mio a farci costruire una casa sull'albero. Loro non avendo il tempo hanno pagato un operaio e alla fine abbiamo avuto il fortino. Anche se poi pur essendo in una zona neutrale per entrambi non hai più voluto che ci entrassi. Hai anche messo un disegno. Era un divieto con la mia faccia stilizzata e una grossa croce sopra.»
«Perché ci tenevo dentro ogni pezzo che avevo di te», sussurra d'impulso.
Prima che io possa chiedere estrae una scatola di legno dallo zaino. Ecco perché era pesante. Ma quando è andata a prenderla? La teneva nel vano della moto?
«Ti sembrerà stupito ma qui ho conservato qualcosa...»
Sollevo il coperchio dello scrigno dopo avere girato la chiave e sorrido tappando la bocca. «Oh mio Dio, le calamite dei Pokémon! Le spille degli scout! I miei... braccialetti? Eri tu che me li rubavi?», lo stupore è tanto mentre osservo queste e tutte le altre cose. C'è persino una nostra foto insieme. Ce ne stavamo seduti sull'atrio della mia vecchia casa con il broncio.
Dentro di me si intensifica una sensazione simile all'affetto che non avevo mai provato.
Arriccia il naso colpevole. «Già, uno psicopatico adesso che ci penso. Dovevo avere una sorta di ossessione per te.»
«Dovrei preoccuparmi? Hai creato con uno di questi qualche bambola su cui hai infilzato spilli? Lo capirei...»
Ride negando. «No, ma a volte li perdevi e io li ritrovavo e li mettevo qui dentro. Non avevo mai l'occasione giusta per ridarteli. Te li avrei restituiti...»
Poso la scatola e lo abbraccio. «Ero arrabbiata perché non avevo niente della mia infanzia con me e adesso...», sento pizzicarmi gli occhi e mi nascondo stringendo la presa. «Grazie per non avere buttato queste cose».
Mi solleva il viso. «Era un tremolio quello alle labbra?»
Rido. «Se lo dici a qualcuno so dove abiti», minaccio ripetendo le sue parole.
Mi sorride poi tornando in fretta più che serio affonda la mano tra i miei capelli avvicinandomi quel tanto che basta a sfiorarmi la bocca.
Un rumore di rami che si spezzano ci fa staccare e guardare intorno.

🖤

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora