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ERIN

3 mesi dopo...

La gente nasconde le cicatrici nei posti più profondi della propria anima, del proprio cuore. Sono messaggi segreti, storie, emozioni che hanno lasciato un segno marcato sulla pelle. Alcune di esse, guariscono, altre non guariscono mai. Alcune le porti dietro, ti accompagnano ogni giorno e, anche se sono vecchie e rimarginate, il dolore resta.
Non ci sono ferite migliori o peggiori. Sono segni che hanno creato una rottura dentro di te. La differenza sta nel dolore che provocano. Ma ci insegnano qualcosa. Ci danno una dura lezione. Ci ricordano che siamo sopravvissuti al peggio e ci aiutano ad evitare di ricadere nello stesso errore per non riprovare più lo stesso dolore.
«Erin, mi stai ascoltando?»
Per poco non mi metto ad urlare. «Si, cosa?», mi agito guardandomi attorno.
Sammy continua a schioccare le dita davanti alla mia faccia per richiamare la mia attenzione.
Arrossisco abbozzando un sorriso. Che diavolo mi prende oggi? Perché sono così distratta?
«Dicevi?»
Mi vergogno nell'immediato. Dovrei fare attenzione, dovrei non continuare a perdermi in inutili fantasticherie, eppure oggi sembra impossibile.
La mia amica, mi scruta con attenzione. Il suo sguardo scava dentro di me andando alla ricerca di una risposta che, quasi sicuramente, non otterrà in maniera diretta da parte mia.
«Ultimamente sei davvero strana», dice con le mani sui fianchi prima di indicarmi il vassoio pieno di petali ancora da dipingere.
Sono qui da due ore e ancora non ho iniziato e non mi sono neanche mossa.
«Che cosa?», chiedo ancora.
«Le vogliono rosa con il chiaro scuro all'interno e bianche all'esterno. Puoi farcela? Se non ti va posso farlo io ma non verrebbero come le tue.»
Recupero in fretta il colorante e i pennelli. Non posso piombare qui e starmene con le mani in mano per ore mentre la mia amica ha bisogno di aiuto.
«Certo», dico infilando anche i guanti, dandomi una bella scrollata.
Sammy corruga la fronte e prima di voltarsi e sbirciare dalla porta come procede nel negozio, mi segue ad ogni passo. La sua nuova aiutante, la terza questo mese, sembra cavarsela bene.
Da quando lei e Stan si sono sposati, solo due mesi fa, sembra più attenta al suo lavoro ed è una vera tiranna qui in laboratorio. I suoi dolci e le torte stanno avendo molto successo e i premi si sono accumulati ad ogni concorso in cui ha partecipato ottenendo sempre il primo posto. Perché è davvero la migliore nel suo campo e pretende il meglio nel suo ambiente di lavoro. Ma io sono solo una piccola aiutante casuale, non posso fare niente senza la sua approvazione o senza un suo ordine. Da quando mi sono licenziata, mi sono abituata a venire qui e a mettermi a lavoro. Ormai sono brava a creare fiori, a decorare i dolci e a disegnare ostie per le torte di compleanno. A Sammy piace la mia collaborazione e la nostra affinità, cosa che trova invece difficile con altre ragazze.
Sto ridimensionando la mia vita e, pezzo dopo pezzo, sto cercando di andare avanti, senza più piangermi addosso. Non sempre è facile ma neanche così difficile come avevo immaginato sin dall'inizio. Ogni cosa, lentamente, sta andando nel verso giusto.
«Non mi piace», scuote la testa sempre più convinta e innervosita. «Scherza troppo con i ragazzi», aggiunge. «Siamo una pasticceria seria, non siamo un luogo di incontri.»
«Trovane una meno giovane e meno attraente e vedrai che folla avrai al locale», replico continuando la mia opera d'arte, creando i dettagli sui petali con meticolosa cura. Sto usando il sarcasmo per farle capire che si sta sbagliando.
Sammy si siede accanto a me sventolandosi. Strano, non fa neanche caldo qui dentro.
«Devo licenziarla. Non uscire da qui per i prossimi cinque minuti o penserà che sia stata tu a convincermi.»
«Perché mai dovrei essere io?»
«Prima mi ha detto se non la sopporti perché non le parli. Ti ha anche preso per stronza.»
Inarco un sopracciglio. «Sta scherzando, vero? Perché dovrei parlare e spettegolare con lei? Non mi piace perdere tempo mentre si lavora. E non mi piace chi mi prende per stronza senza neanche conoscermi.»
Sammy annuisce soddisfatta. «Ecco perché devo farla fuori.»
La fermo, escogitando un altro piano. «Almeno lasciale finire il turno.»
Riflette su mettendosi a modellare la pasta di zucchero. Storce il naso. «Certo, tanto devo pure pagarla.»
«Tanto vale farla lavorare come si deve», esclamo.
Ci guardiamo complici e perfida, Sammy esce dal laboratorio impartendo i suoi primi ordini alla ragazza.
Il piano è farla stancare e portarla così tanto all'esasperazione da farle abbandonare spontaneamente il lavoro. Cosa che farà, è già successo troppe volte.
Torno a concentrarmi sul mio compito: terminare i petali per le rose, ma sono giorni che non riesco a dormire bene e mi sento irritabile. Credo di avere troppi pensieri per la testa e il letto inizia ad avere l'aspetto di un mostro.
A niente è servito il sostegno costante di Bradley, deciso ad aiutarmi quando non riesco a dormire perché sono nervosa o quando lo guardo e mi sento in colpa perché penso di non meritare il suo amore. Non dopo quello che ho fatto con Shannon. Ero ubriaca e triste ma non mi sono fermata lo stesso.
Non mi sento in colpa, perché lo volevo. Mi sento solo in difetto e una traditrice. Bradley più volte mi ha detto che non importa, che non è arrabbiato anche se è geloso, che capisce ma io continuo a non sentirmi bene dentro e ogni giorno sento il bisogno di fargli capire che è lui l'uomo che amo e che voglio al mio fianco. Vorrei tanto preparargli una sorpresa, purtroppo non trovo niente di adatto.
Un crampo allo stomaco mi costringe a smettere di pensare e di farmi le paranoie, posare il pennello e alzarmi un momento.
Metto l'acqua dentro il bollitore lasciandola sul fuoco a scaldare per farmi un buonissimo te' caldo. Recupero nel frattempo dei biscotti con lo zucchero di canna sopra da poco sfornati, mangiandone subito uno distratta dalla musica che si diffonde dalle casse e dall'odore dolciastro che a tratti mi fa arricciare il naso.
Canticchio servendomi una generosa tazza di te', preparandone una anche per Sammy che, arriva sbuffando in laboratorio.
Si lascia cadere sulla sedia e mi fissa un attimo di troppo facendomi sentire a disagio. «È dura a morire», brontola.
Rido. «Bevi un po' di te', ti calmerai.»
Incrocia le braccia poi prende la tazza e due biscotti dal vassoio. «Sei pensierosa? Qualcosa non va?»
Mi appoggio alla piccola cucina riscaldandomi le mani e sedando il crampo allo stomaco che continua ad arrivare. «No, è tutto ok. Sono solo un po' stanca. Devo proprio cambiare il materasso. Quello che abbiamo non va più bene», replico massaggiandomi la nuca. «Dopo andrò in qualche negozio per trovarne uno che sia comodo.»
Sammy rigira il biscotto dentro il liquido caldo prima di tirarlo fuori e metterlo in bocca. Mastica piano all'inizio poi non appena solleva gli occhi mangia velocemente.
«Devo dirti una cosa e non so come la prenderai.»
Poso il bicchiere vuoto dentro il lavandino. Mi avvicino a lei o almeno ci provo, perché vedo tutto sfuocato e poi nero e mi ritrovo a barcollare in avanti, rischiando di cadere.
Sammy balza in piedi e mi afferra tenendomi stretta. «Erin?», strilla allarmata.
Mi riprendo anche se mi sento ancora in alto mare. Appoggio il palmo sul tavolo di acciaio freddo e provo a prendere piccole boccate d'aria.
«Sto bene, ho solo avuto un... capogiro. Avrò la pressione bassa.»
Preoccupata perché sa che mi succede quando non mangio abbastanza, mi aiuta a sedermi. «Non hai dormito e non hai mangiato proprio niente?»
«Non avevo fame», dico con una smorfia. Mi sento subito in colpa. Sono io la causa di ogni mio problema. Ma c'è una ragione. «Ultimamente cibo e sonno non rientrano tra le mie preferenze. Non mi sto giustificando. So che devo mangiare.»
Sospira passando le mani sul grembiule. «Ti preparo qualcosa e poi parliamo. Ho bisogno di un tuo consiglio. Ok?»
Annuisco malgrado l'assenza di appetito guardandola attentamente. Anche lei è stata strana in questi ultimi giorni. Non so, c'è qualcosa che non mi ha ancora detto. Si agita quando gli chiedo se con Stan sta andando bene e non mi racconta quasi più niente in maniera spontanea delle sue notti di passione.
«Che cosa mi nascondi?»
Si volta di scatto, spaventata, ma rimane con il coltello in mano. «Erin, adesso mi sto preoccupando davvero. Sei pallida come un lenzuolo inamidato. Io ti porto subito in ospedale. Almeno li ti aiuteranno.»
Massaggio la fronte e il ventre. «Penso di avere...», mi lamento quando sento un altro crampo. Batto subito le palpebre frastornata. Boccheggio cercando un po' d'aria fredda. «Che strano...»
«Che cosa?»
«Che giorno è oggi?»
Sammy cerca un calendario nei paraggi, ma io corro verso la mia borsa. Frugo dentro come una matta cercando solo una cosa.
«Dove sono i calendari quando servono?», si lamenta. «Che cosa è strano?»
«Mi sta arrivando il ciclo», dico cercando il calendario. Lo porto sempre dietro.
«A proposito di ciclo. È normale secondo te avere un ritardo di qualche giorno quando prendi tutte le precauzioni di questo mondo e...»
Le mie mani tirano fuori la confezione di pillole e la fisso distratta. Non ascolto neanche la mia amica perché ancora una volta sento la testa girare e le orecchie fischiarmi. Il cuore, inizia a battermi forsennato nel petto. Inspiro ed espiro piano per concentrarmi, reggendomi al ripiano.
«Si, è normale», rispondo più che distratta. «Magari è solo un ritardo dovuto ad uno squilibrio o al tuo umore. Ultimamente sei stressata.»
Rigiro la scatolina che tengo ancora in mano e noto la confezione piena. Spalanco gli occhi e le mani mi tremano. Ho sempre messo le date e questa è ferma a tre mesi fa. Con la mente percorro l'ultima volta in cui ho pensato di dovere prendere la pillola.
Scuoto la testa. No, non è possibile che sia passato così tanto tempo. No, ho avuto il ciclo proprio...
«Erin?»
Immagini di quella notte mi investono. Il bacio delicato, la scarica percepita addosso, le nostre mani che si sfiorano...
Rimetto tutto dentro la borsa. «Scusa ma ho bisogno di andare a casa un momento. Ti chiamo dopo», balbetto confusa e, dandole un bacio sulla guancia corro fuori.
Sammy mi chiama più volte ma sono già in auto e mi ritrovo chissà come al supermarket.
Cammino piano, quasi spaventata, verso il reparto dei tamponi. Qui, supero anche le innumerevoli scatole di protezioni di ogni tipo e mi fermo davanti allo stand dei test di gravidanza. È possibile?
Abbasso gli occhi sulla mia pancia. Le mie dita avanzano verso i test più attendibili.
Una ragazza si ferma accanto a me più che tranquilla. Al suo fianco, un ragazzo che le sorride.
Prendo più di un test e corro alla cassa senza fermarmi a riflettere o ad immaginare la stessa scena ma in un'altra circostanza.
La commessa non alza neanche lo sguardo su di me e gliene sono immensamente grata. In questo momento, devo avere l'aria di una pazza, non vorrei allarmare nessuno. Sto andando nel panico e sono tesa, più di una corda di violino. Mi sento stordita e sono spaventata a morte.
Apro la portiera dell'auto e un altro crampo mi fa ingobbire. Boccheggio tenendomi allo sportello. Inspiro ed espiro. «Togliamoci il pensiero», dico più a me stessa per darmi una spinta.
In auto, parlo ad alta voce cercando di placare la sensazione che continuo a sentire sulla pelle. «Devi farlo da sola e se non è quello che pensi ma solo il ciclo in arrivo dopo... mesi di ritardo, che non hai neanche notato perché troppo distratta, non devi soffrirci. È stata solo una casualità se hai dimenticato la pillola e non hai fatto attenzione alla regolarità del ciclo. Hai avuto troppe cose da fare, hai vissuto momenti di stress.»
Mi fermo ad un semaforo. «Che cazzo stai dicendo? Stai andando nel panico Erin. Andrà tutto bene. Vedrai che sarà solo una perdita di tempo.»
Proseguo lungo la strada raggiungendo finalmente il mio quartiere in cui mi sento più al sicuro che mai.
Posteggio l'auto davanti il garage e rimango ancora dentro per un paio di minuti. Continuo a guardare la borsa, le confezioni con i test e quelle dannate pillole.
Come diavolo ho fatto a dimenticarmene? Ho proprio perso la testa in questi ultimi tre mesi.
Scrollo il capo. I miei capelli oscillano e li lego nervosamente. «Togliamoci il pensiero.»
Entro in casa con i piedi di piombo, salutando "Tildo" e "Ness" con affetto ma non con il mio solito sorriso.
Poso la borsa sullo sgabello e mi chiudo in bagno dove leggo le istruzioni riportate su ogni confezione.
Mordo il labbro e inizio facendo pipì sul primo test posandolo sul ripiano del lavandino. Procedo con il secondo e lascio il terzo per dopo, in caso di errore.
Attendo camminando avanti e indietro tenendo gli occhi sull'orologio. Le mie labbra iniziano a fare male a causa dei morsi che continuo a darmi per sopportare la delusione.
Il timer del telefono suona rimbombando intorno come uno sparo, facendomi sobbalzare e, mi avvicino a rilento verso il lavandino. Qui sbircio sul primo test con un solo occhio. Lo sollevo e trovo una faccina sorridente e a seguire sullo schermo un numero.
Corrugo la fronte. «13 settimane... che cosa?»
Guardo il secondo test. Ci sono due linee. Il mio cuore inizia a battere forte. Tappo la bocca indietreggiando.
La testa gira di nuovo e per poco non mi ritrovo a terra. Appoggiata alle piastrelle fredde, scivolo giù. Afferro il telefono e faccio partire la chiamata senza neanche riflettere su quello che devo dire.
«Principessa, tutto bene?»
Ancora una volta mi ritrovo a rivivere quel momento. La notte in cui non ho pensato ai miei problemi, ho accantonato il dolore e mi sono lasciata trascinare dall'emozione. La notte in cui sono andata a letto con Shannon.
Nego. È impossibile. Non è successo davvero quella notte. Prendo aria. «Scusa se ti disturbo. È un'emergenza. Hai da fare?»
«Sono in ospedale. Attualmente non ho visite. Dimmi pure.»
«Aspettami li, ho bisogno del tuo aiuto.»
«Perché? Che è successo? Ti sei fatta male?»
«No, forse, non lo so... tu, aspettami lì. Ho bisogno di te, ok?»
«Erin, mi sto spaventando.»
«Arrivo!»
Riaggancio e afferrando i due test e anche quello inutilizzato corro in cucina, prendo la borsa e mi fiondo fuori, poi in auto dove cerco di calmarmi prima di mettere in moto e raggiungere l'ospedale.
Saluto la ragazza dietro il banco di accettazione e proseguo verso l'ambulatorio di Shannon.
Busso. La porta è aperta. Sbircio dentro e non trovando nessuno mi intrufolo. Cammino avanti e indietro posando i due test sul lettino prima di sedermi martoriandomi le dita.
Shannon entra e trovandomi seduta si ferma sulla soglia. «Ehi», saluta chiudendo la porta alle sue spalle. «Che succede? Hai parlato di emergenza e mi sono spaventato.»
Deglutisco. «Ho qualcosa di strano e... ho bisogno che mi aiuti a capire.»
Mi alzo un po' troppo in fretta e barcollo.
Shannon è tempestivo. In un attimo mi afferra controllando sotto le palpebre poi mi fa sedere sul lettino dove non nota i test.
«Hai mangiato?»
«Non è questo il problema», gli passo i test.
Rimane zitto, boccheggia poi freme e infine ne afferra uno dalle mie mani.
«Sono tuoi?»
Cerca di non sorridere, di non mostrare alcuna emozione, ma io lo vedo, vedo come mi sta già guardando.
«Shan, puoi darmi la conferma?»
«Quando li hai fatti?»
«Poco fa a casa. Ero in laboratorio con Sammy quando ho avuto come una sorta di strano presentimento dopo avere notato dettagli alla quale in tre mesi non avevo neanche fatto attenzione.»
«Nausea?»
«Affermativo.»
«Quante volte ti è capitato?»
«A volte al mattino, altre non riesco a mangiare certi cibi. Ho anche avuto voglia di pizza ma per quella dubito debba essere per forza per...»
«Stanchezza?», mi interrompe con un'altra domanda.
«Affermativo?»
«Ciclo?»
«Ho i crampi e non capisco. Non è stato regolare nell'ultimo periodo. Non ho mangiato come si deve, pensavo fosse collegato a questo.»
Guarda i test poi mi fa cenno di seguirlo. Ancora una volta non mostra i suoi sentimenti, dal suo volto non traspare niente.
«Vieni», dice porgendomi la sua mano.
La stringo e mi avvicina a sé in modo protettivo. «Adesso facciamo una ecografia, ok?»
Annuisco seguendolo in silenzio lungo il corridoio e poi dentro una stanza più piccola.
Sono spaventata.
Mi sorride in modo dolce. «Stenditi», dice con fare pratico.
«Shan, io non so che cosa si fa. Io...»
Il suo sorriso si ingrandisce. «Erin, tranquilla. Ci sono qui io. Mettiti comoda. Ti fidi di me?»
Annuisco senza indugio. «Scusa, si.»
Mi stendo posando una mano sulla pancia. Guardo il tetto percependo l'odore forte del disinfettante.
Shannon accende il macchinario poi indossa i guanti e recupera un carrello. «Posso?»
Gli faccio cenno di sì, di procedere e piano, con delicatezza, mi solleva la maglietta prima di sbottonare i jeans.
Trattengo il fiato. Lo guardo e ci rivedo insieme quella notte.
«Sentirai un po' di freddo», avverte spalmando qualcosa di gelatinoso sul mio ventre.
La mia mano scatta verso l'altra che tiene ferma sul lettino. Lui fissa un momento il mio gesto e mi sorride ancora. «Pronta?»
Inspiro ed espiro. «Procedi!»
Posiziona il macchinario muovendolo sulla mia pelle. «Non vuoi guardare?»
Chiudo gli occhi. «No», sussurro impaurita.
«Sicura?»
Sbircio. «È vuoto?»
«Guarda tu stessa», mi ordina.
I miei occhi si posano prima nei suoi poi li sposto verso lo schermo dove vedo qualcosa. Shannon sposta il macchinario e indica sul monitor. «Lo vedi?»
I miei occhi si riempiono di lacrime. «No, non può essere vero. Deve esserci un errore. Magari è rimasto il video di qualcun'altra.»
Shannon inarca un sopracciglio stampando l'ecografia poi mi fa vedere che non c'è nessuna chiavetta.
«Shan, non illudermi», la voce trema.
«Vuoi ascoltare il battito?»
«Posso?», fisso lo schermo continuando a vedere un piccolo esserino dotato di mani, piedi che si muovono. È così tranquillo...
Preme un pulsante sul monitor. All'inizio non sento niente poi dentro la stanza rimbomba un rumore, un battito forte e veloce.
Tappo la bocca scoppiando in lacrime. «È lui? È reale?»
Shannon sorride. «Si», controlla bene stampando altre foto. «Vuoi sapere se è maschio o femmina?»
Pulisco la pancia abbottonando i jeans e abbassando la maglietta poso il palmo sul ventre. Non sono sola. Non sono arida.
«Non è presto?», chiedo euforica.
Provo talmente tante cose da non riuscire ad avere una reazione sensata. Sembro una pazza, alterno momenti di felicità ad altri di tristezza.
Nega. «Il signorino si è fatto vedere in fretta e non ci sono dubbi.»
Mi sfugge un sorriso mentre guardo l'ecografia che mi sta porgendo con occhi appannati dalle lacrime. Le asciugo tirando su con il naso. «Non posso crederci. Dici sul serio? È tutto vero?»
Shannon si avvicina dopo avere gettato i guanti. «Si, ma c'è una cosa di cui penso dobbiamo discutere adesso.»
Mi faccio attenta. «Il bambino sta bene? Ha qualcosa che non va? I crampi sono dovuti a questo?»
«Il bambino sembra stare bene. Faremo delle analisi e dovrai prendere le vitamine oltre a dover fare dei controlli per assicurarci che tutto proceda per il meglio. Dopo l'incidente che hai avuto, avrai una gravidanza a rischio.»
Circondo il ventre per proteggerlo. «Allora che succede?», mi agito.
Shannon si volta. «È mio Erin.»
Trattengo il fiato. «Che cosa?»
«Il bambino», aggiunge. «È mio.»
Scuoto la testa. «Non puoi esserne sicuro, Shan.»
«Tredici settimane, ragiona», dice facendo avanti e indietro. «Bradley è tornato dopo. In quel caso sarebbero dodici.»
Il cuore mi batte forsennato nel petto. Mi piego sui gomiti mettendo il viso tra le mani. «No, non...»
«Bradley deve saperlo.»
«Sono una persona orribile. Io...», singhiozzo piombando di nuovo nel buio.
Shannon si avvicina. «No, non è così. Non devi pensarlo.»
«Sono andata a letto con il mio amico, non ho usato le dovute precauzioni e adesso sono incinta e se i tempi coincidono non è suo... sono una stronza. Sono una traditrice. Io...», tremo. «Mi odio perché lo perderò. Si arrabbierà, mi dirà qualcosa di orribile e mi lascerà.»
Prova ad abbracciarmi.
«Dovrei essere felice perché sono incinta dopo avere saputo e tenuto dentro per anni la paura di poter essere sterile e invece, sto piangendo perché il mio bambino potrebbe non essere della persona con cui sto. A volte penso di avere proprio fatto incazzare qualcuno dei piani alti perché...»
Shannon mi abbraccia e mi lascio stringere smettendo di disperarmi. «Se non sei felice tu lo sono io. A me non ci pensi? Non mi chiedi come mi sto sentendo nell'avere scoperto in modo inusuale e direi anche assurdo che presto sarò papà?»
Lo guardo male. «Potrebbe non essere tuo.»
«È mio. Ed è un maschio! Enea, sarà un bellissimo bambino e avrà un padre che lo amerà più di ogni altra cosa al mondo. Cazzo, Erin, come fai a non accettare l'evidenza? Lo abbiamo fatto in due e non puoi tagliarmi fuori così, solo perché hai paura di come possa prenderla Bradley.»
«Io non voglio tagliarti fuori. Ho solo paura», sussurro piangendo disperata.
Ormai non riesco a smettere. Mi sento così piccola di fronte ad un problema così enorme.
«E se perdo il bambino? Se dicendo la verità a Bradley perdo anche lui?»
Mi afferra il viso. «Respira! Cazzo, respira!»
Gonfio il petto. I suoi polpastrelli asciugano le mie lacrime. «Il bambino sarà comunque tuo. Non importa chi sia il padre, io ci sarò e anche Bradley, vedrai. Te lo prometto. Ma, adesso fammi festeggiare. Sono anni che aspetto questo momento. Più volte guardando i miei colleghi mi sono immedesimato nei loro panni e adesso...»
Lo fermo. «Respira.»
Ci guardiamo intensamente come due che sanno esattamente come andranno le cose e che nonostante tutto si terranno sempre per mano.
Ridiamo abbassando un po' le difese.
Lui mi accarezza la guancia. «In ogni caso è stato creato con amore, non per errore. Adesso calmati, non fa bene al bambino. Ti ho detto che la tua non sarà una gravidanza facile?»
Annuisco sentendomi protetta dalla sua attenzione. «Faremo un test del Dna», decido in fretta.
«Non adesso, quando nascerà.»
Mordo il labbro abbassando la testa e mi solleva il viso per il mento. Ci guardiamo poi la sua mano si posa sul mio ventre. Una fitta mi si propaga lungo la schiena. Anche lui sembra provare la stessa sensazione.
«Non riesco a spiegarti quello che sto provando. È così forte e intenso da farmi impazzire.»
Osservo il suo gesto pieno di tenerezza. Neanche io ci riesco. È un qualcosa di... assurdo.
«Possiamo ascoltarlo di nuovo, per favore? Ho bisogno di rendermene davvero conto che presto sarò... mamma. Puoi anche darmi una copia? Vorrei farla ascoltare a Bradley, sempre se sei d'accordo.»
Sorride eccitato al pensiero di rivedere quel piccolo bambino che sta crescendo dentro di me.
«Si, vedrai, sarà così entusiasta da spazzare via ogni tua paranoia.» Prova a rassicurarmi.
Mi stendo sul lettino e lui rifà tutto da capo facendomi vedere ancora il bambino. Ascolto il battito e mi emoziono di nuovo, sempre più rapita da quel semplice e piccolo esserino indifeso che vedo dietro uno schermo ma che inizio a sentire dentro.
Shannon sorride con le lacrime agli occhi e non ho nessun dubbio: il mio bambino sarà fortunato ad averlo nella sua vita. Chiunque dei due sia il suo papà, lui avrà la fortuna di crescere circondato da persone che lo ameranno.
Mi sollevo e lo abbraccio. Lui allontana tutto e mi tiene stretta. Mi bacia la guancia più volte. «Andrà bene, principessa. Mi occuperò di tutto io. Preparati ad avere la casa invasa da: pannolini, biberon e tanto altro», non riesce a frenare l'entusiasmo. «Ci vuole anche una culla, i baby monitor...»
«Shan, non devi...»
Mi ferma. «È mio figlio! Lo sento. Sento che è così! Avrà un padre o uno zio, non importa ma è mio tanto quanto è di Bradley e adesso dobbiamo prendercene cura. Non possiamo pensare ad altro che a voi due. Io, tu e lui... dobbiamo tenerlo al sicuro, con noi.»
Sorrido piangendo. «Grazie», sussurro portando una mano sul ventre. Lui è più veloce e vi posa la sua. «Spero sia abbastanza forte da superare altri sei mesi.»
Shannon si ritiene fiducioso. «Adesso ti accompagno a casa e parliamo insieme con lui. Non voglio che abbiate un litigio per un qualcosa che è successo una sola volta. Non voglio rovinare il vostro rapporto.»
Nego. «No, devo farlo da sola.»
Trattiene il fiato. In un attimo sembra essere tornato il ragazzo protettivo di un tempo. «Sicura?»
Confermo con un breve cenno. «Posso farcela», dico scendendo dal lettino.
Prendo l'ecografia e guardo il video che ho sul telefono. «Avrò un bambino», sussurro saltellando.
«E sarà bellissimo. Però ti avverto, se avrà i miei geni... inizia a tremare. Ero pestifero. Mio padre può confermartelo.»
Rido asciugando le lacrime. Shannon ha sempre avuto la capacità di sdrammatizzare e farmi sentire meno insicura, più forte. Per questo lo amo, proprio come amo l'uomo che dovrò affrontare tra poco e che non so come prenderà questa notizia.
«Lo ero anch'io a quanto pare.»
Ghigna divertito immaginando chissà che cosa. «Dio, ti amo, Erin. Grazie!», mi solleva delicatamente. «Grazie per avermi reso l'uomo più felice del mondo!»
Getto le braccia intorno al suo collo. «Ci sarai, vero?»
«Non ti libererai di me, principessa. Ci vediamo di nuovo domani per una visita più approfondita. Adesso va a riposare. Poi... inizia a dare la notizia perché io intendo dirlo a tutti, anche a casa. Non sto più nella pelle. Saranno felici per noi. E non preoccuparti se sei impegnata con un altro, sai che adorano tutti Bradley. Nessuno ci giudicherà e se lo faranno, poco importa.»
«Non dirlo a mio padre prima di me», lo avviso puntandogli l'indice contro. «Sono anni che aspetta anche lui questo momento. Voglio alleviare il suo senso di colpa dandogli la notizia, prima però deve saperlo Bradley.»
Mette le mani in alto. «Non dirò niente a tuo padre, promesso.»
Fuori dall'ospedale, mi sento così piena di emozione da non riuscire a guidare. Mi fermo a prendere qualcosa da mangiare ritrovando l'appetito, poi rientro a casa e rimango seduta sul divano con l'ecografia, i test e il video disposti sul tavolo.
Attendo impaziente, coccolando "Ness" e "Tildo", che, forse percependo il mio stato, non smettono di starmi accanto.
Quando l'auto di Bradley si ferma sul viale, mi sento mancare. Trattengo il fiato quando apre la porta, ma non vado ad accoglierlo come faccio ogni giorno. Lo aspetto seduta, sforzandomi di non piangere e sorridere come una matta.
«Sono tornato. Non immagini che giornata», esclama avvicinandosi. «Sono sfinito.»
Posa il borsone e fermandosi a metà strada tra la cucina e il soggiorno mi osserva, poi i suoi occhi vagano intorno per posarsi sul tavolo.
«Nemmeno tu la mia», dico battendo la mano sul divano.
«Inizia tu», sorride.
Sto per distruggere la nostra storia, me lo sento.
Toglie la giacca della tuta sedendosi accanto a me. Odora di bagnoschiuma, c'è anche un sentore di fumo e sudore. Sporgendosi mi bacia sulle labbra. Chiudo gli occhi ricambiando come se fosse l'ultimo che ricevo.
«Sei un po' pallida. Ti senti male?», mi pizzica una guancia.
«No», giro il suo viso verso il tavolo. «Ma ho scoperto una cosa...»
Sul suo volto compare una sfumatura diversa. In breve, si trasforma in un qualcosa che non riesco proprio a descrivere. C'è così tanto amore da stordirmi.
Afferra la mia mano baciandola poi il mio viso avvicinandomi alle sue labbra. «Dimmi che non è uno scherzo», parla agitandosi.
Premo il tasto play sullo schermo del telefono e passandogli le cuffie lascio che ascolti e veda il video.
I suoi occhi si riempiono di lacrime, le lascia uscire senza vergogna continuando a guardare il video, mettendolo persino in ripetizione. Sorride e piange proprio come sto facendo di nuovo io sentendomi sul punto di avere una crisi di nervi.
Gli tolgo le cuffie e lui soffia scrollando le lacrime da viso. «Cazzo, non me lo aspettavo così intenso come momento. Avremo un bambino!»
Mordo il labbro. «Adesso arriva la parte in cui ti deludo e tu mi odi e forse te ne vai. Ma lasciami spiegare perché sto impazzendo e il pensiero di perderti mi spaventa così tanto da farmi cadere di nuovo nella disperazione», parlo così in fretta da essere costretta a fermarmi e a riprendere fiato.
Bradley mi guarda attento, serio. Nessuna traccia di rabbia sul suo viso. «Fammi indovinare, pensi che non sia mio e hai paura che io dia di matto?»
Apro e richiudo la bocca e lui sorride avvicinandomi. Preme forte la fronte sulla mia. «Erin, io non posso essere arrabbiato con te. Ho sbagliato anch'io. Ma lui, questo esserino, è un bambino, una nuova vita, il nostro futuro insieme. Io amo te da impazzire e amo anche lui adesso che so che esiste dentro di te, a prescindere dal sangue o dal cognome che porterà quando nascerà. Non mi importa se non sarà mio, sarà una parte di te e mi basta per rispondere alla tua domanda inespressa. Si, voglio questo bambino e sarà il nostro.»
Gli occhi mi si riempiono di tutta l'emozione che per ogni giorno della mia vita non sono mai stata in grado di provare pienamente, mentre rifletto sulle sue parole e sul significato che nascondono. E, tutta la paura, tutta la sofferenza e la tristezza svanisce in un attimo, sbiadisce come un ricordo, perdendo il senso di fronte al suo amore che non ha confini.
Incastro i miei occhi nei suoi azzurri come il cielo sereno all'alba, lasciando uscire le parole e insieme ad esse ogni traccia di preoccupazione che si dissolve in un sorriso, il mio, il suo.
Ancora una volta mi ha spiazzato. Mi ha fatto capire che ogni amore ha la sua particolarità. Il nostro resiste ad ogni urto, ad ogni scossa. Il nostro non è un amore marginale, è un amore come pochi.
Lo abbraccio. «Dio, io ti amo da morire Bradley Connor.»
È immenso, incredibile, profondo il sentimento che sento per lui che mi ha cambiato la vita.
Lui è la mia persona. Forse non sono brava a dirglielo a parole. Forse non sono brava a dimostrarglielo. Forse non sono brava e basta. Ma lui è la mia persona. Quella che incontri quando il mondo sta andando a puttane e tu non hai bisogno di altri problemi da aggiungere nella tua vita.
Lui è la mia persona perché mi ha scelto. È entrato nella mia vita insinuandosi fino in fondo ma con tanto di quell'amore da non lasciare spazio per altro. Ha spazzato via anni di tristezza regalandomi sorrisi che non sarei mai stata in grado di mostrare.
Lui è una di quelle persone che ami anche quando non puoi farlo. Lui è lì. È lì anche quando lo allontani, è lì ad aspettarti, a porgerti la sua mano, ad affidarti il suo cuore. È sempre lì che ti lascia senza respiro.
Bradley è qui in questo cuore che batte a tempo. È sempre qui a farmi riflettere, a farmi capire, a proteggermi. Perché lui è la mia persona. Quella con cui ho imparato ad amare.
«E io amo te, Erin Wilson e adesso anche a te fagiolino», dice entusiasta sollevandomi la maglietta, iniziando a baciarmi il ventre. «Ciao, qui è il papà numero due che ti parla. Non lasciarti abbindolare dal papà numero uno è solo un ruffiano. Sbrigati a crescere, abbiamo tante cose da fare insieme e no, non ti insegnerò a fare a pugni ma a saperti difendere e ad essere buono.»
Rido, la sua barba mi fa il solletico e il momento è così tenero da farmi sciogliere. «Brad, aspetta!»
Solleva il viso. «Che c'è? Stavo facendo conversazione con il mio bambino. Non puoi disturbarci così.»
«Non è una gara e non voglio che diventi una guerra tra te e lui. Il bambino dovrà stare in un ambiente sereno, nonostante tutto. Quando nascerà faremo il test e uno dei due si prenderà le sue responsabilità ma... io.. adesso voglio sapere se mi perdoni.»
Bradley mi afferra il mento con due dita avvicinandomi a sé. Mi bacia piano. «L'ho già fatto da tempo. Non so se tu perdonerai mai me per quello che ho fatto.»
«Tu non capisci! Prima che ci incontrassimo ero un'anima tormentata. Vagavo senza una direzione, senza un sogno o una ragione. Vivevo nella paura, nella lotta continua con me stessa. So che per destino, per scelta, ogni passo che ho fatto mi è servito ad imparare le dure lezioni della vita. Questa ha preso tutto da me. Tutto. Senza mai darmi niente in cambio. Tranne adesso. Adesso mi ha spinto verso di te. E inizio a pensare che il nostro incontro non sia del tutto casuale. Penso che ci siamo incontrati perché era già scritto da qualche parte. Forse perché anche la tua anima stava cercando la mia.»
Deglutisco poi mi nascondo contro il suo petto. «Ho tanta paura, Brad. Non voglio perdervi. Io vi amo troppo.»
«Possiamo avere paura insieme se vuoi.»
Lo guardo e lui ricambia lasciando che mi stenda sul divano.
Solleva ancora la mia maglietta posando la mano sul ventre e avvicinando il viso al mio petto ascolta i miei battiti. Poi infila una cuffia all'orecchio per sentire, ad occhi chiusi, quel battito in più dentro di me.
Mi bacia la pancia. «Andrà tutto bene», sussurra.
Ed io alla sua promessa, ci credo.

🖤

* Una lettrice, tra di voi, necessita di un vostro consiglio: un nome per il pargolo (maschietto) in arrivo.*

Come crepe sull'asfaltoWhere stories live. Discover now