capitolo 73

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Catalina's Pov

La testa che vorticava e il petto che bruciava fino a riempire di lacrime i miei occhi chiusi.

Gemetti di dolore e alzando le palpebre cercai di mettere a fuoco ciò che si presentava attorno a me, ma il buio era l'unica cosa che riuscivo a scorgere se non per un piccolo riflesso di luna che illuminava la poltrona accanto alle vetrate.
Guardai il soffitto stringendo gli occhi con forza mentre il respiro si faceva più soffocato e profondo e i polmoni iniziavano a bruciare per lo sforzo.

Sentivo la mia tempia bagnarsi per le lacrime che iniziarono a scorrere, e a stento riuscii a trattenere un singhiozzo che premeva contro le mie labbra per uscire e confondersi con il mio respiro.
Il silenzio assordante non faceva altro che aumentare i miei pensieri, e i ricordi.

Volevo il chiasso, il rumore o qualsiasi altra cosa che avrebbe messo fine a quella tortuta, a quel massacro. Qualcosa che avrebbe placato quel flusso continuo di pensieri.

Sibilai di dolore quando cercai di mettermi seduta ed immediatamente la mano attorno al mio fianco si strinse maggiormente, come a voler bloccare i miei movimenti per tenermi lì accanto a lui.
Sospirai sottovoce quando riuscii ad appoggiarmi alla testiera del letto e immediatamente mi portai una mano sul petto, come se quello avrebbe messo fine al bruciore che infiammava le costole.
Ed involontariamente i miei occhi si posarono sulla figura, stesa accanto a me, e sulla sua mano grande e ruvida posata sulla mia coscia.
La guancia schiacciata contro il cuscino bianco che sapevo odorava del suo shampoo, le labbra socchiuse e il leggero sbuffo che usciva da esse. Il petto che si alzava ed abbassava lentamente e la stanchezza ovvia nel suo viso con quelle occhiaie scure dovute allo stress e al poco sonno.

Non riusciva mai a dormire restando sveglio durante la notte per assicurarsi che stessi bene. Per assicurarsi che il respiro fosse regolare.

Non dormiva per colpa mia.

Mordendomi con forza le labbra tremanti, alzai la mano appoggiandola sulla sua guancia ruvida per la barba che aveva smesso di rasare. Accarezzai lentamente i suoi zigomi per poi scorrere sul ponte del naso perfetto e poi scendere verso le labbra piene e setose.

Un singhiozzo scappò involontariamente dalle mie labbra e dovetti girare la testa dall'altra parte quando il viso si bagnò di lacrime salate ed amare.
Il mio sguardo cadde sul comodino accanto al letto e sopratutto sulla scatoletta di antidolorifici e il bicchiere d' acqua fresca che lui ogni sera posava prima che mi addormentassi.

Erano giorni, quasi due settimane che andavo avanti aiutata da quella schifezza che rintontiva la mia mente fino a farmi collassare sul letto senza forze.
Dormivo per ore e il dolore in parte si placava.

Mi aiutavano a dimenticare.
Mi aiutavano a mettere fine al flusso di ricordi che mi perseguitavano come i ladri, i borseggiatori più astuti e crudeli.
Mi prendevano alle spalle, travolgendomi e distruggendomi.

Eppure, quella parte nascosta di me, voleva quel dolore.
Voleva sentirlo sotto la pelle, sotto le ossa e negli abissi più profondi.
Volevo sentire quel dolore scorrere ogni giorno nelle mie vene, volevo che facesse parte di me.

Perché era solo quel dolore che riusciva a farmi sentire viva e a farmi respirare .

Mi sbatteva in faccia la verità. La fottuta verità che combatteva per risalire in superficie.
Fissai quella scatoletta di antidolorifici e lentamente, senza svegliarlo mi alzai dal letto stringendo la mascella quando il petto s'infiammò facendomi contorcere e sibilare.

Mi infilai le pantofole prima di afferrare gli antidolorifici e camminare lentamente verso il bagno.

I muscoli delle gambe bruciavano ad ogni mio movimento e negai a me stessa di zoppicare fino alla porta.

Complici In Questo GiocoWhere stories live. Discover now