2. Il nuovo compagno di scuola

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Alla prima ora avevo fisica con Beth.
Mi piaceva come materia, era interessante e non così difficile come credevano certe persone.
Le formule erano facili da ricordare, la teoria una logica intuibile e il professore era abbastanza normale e poco noioso rispetto a quelli degli altri corsi.
Domenic Martin era decisamente il professore meno strambo di tutta la Meldrum High.
Durante le sue lezioni non volava mai una mosca, non ho mai capito se era perché erano sempre tutti addormentati o perché lo rispettavano veramente come persona.
Il professore attirò la nostra attenzione poggiando la sua cartella sulla cattedra.
«Volto nuovo» commentò invece di salutarci.
Mi voltai per capire a chi si stava riferendo e vidi seduto alle mie spalle il ragazzo che avevo visto parlare con Hebe stamattina.
Non mi ero accorta di lui entrando in classe...
«Come ti chiami?» riprese il professore. «Lancelot Chanders, ma per tutti Lance» rispose il ragazzo sorridendo educatamente.
«È un piacere averti qui, Signor Chanders. Ora, chiusa la parentesi, l'ultima volta eravamo arrivati a...» e in quel momento il mio cervello si disconnesse, perché per quanto fisica non fosse una materia che mi desse noia, alla prima ora era impossibile concentrarsi.

Assurdo, assolutamente assurdo, come poteva quella maledetta professoressa di matematica assegnare compiti il primo giorno?! Il primo!
Quella maledetta nana malefica!
E io che mi aspettavo che i primi giorni di scuola li avrei passati a casa di Jason...
Per le sue feste, ovvio.
Non avevo assolutamente voglia di passarle in casa mia!
Inoltre avevo come ultima ora educazione motoria.
La odiavo, io e lo sport non andavamo per nulla d'accordo, nonostante i miei due fratelli fossero dei campioni.
Infatti Ace giocava con Jason a football mentre Arn era maestro di scherma.
Io? Beh, una ragazza che rimaneva sempre attaccata alla tribuna. Da chi avevo preso? Sicuramente sono stata adottata. A quanto pare anche i miei genitori erano dei grandi atleti da giovani. Mamma faceva danza classica e papà giocava a tennis... Da tavolo, ma era pur sempre uno sport, no?
Arrivai allo spogliatoio trafelata, perché in ritardo.
Mi misi accanto a Daia e iniziai a cambiarmi.
«Ma tu hai mai visto il sole?» chiese Daia con il suo tono da schernitrice a Hebe che si stava togliendo la maglietta, mostrando la sua pelle bianchissima.
«E tu hai mai visto un gabinetto? Perché ti sto mandando a cagare, non vorrei che sbagliassi strada» replicò lei impassibile infilandosi una maglia larga e nera.
Daia scoppiò a ridere e lo feci anche io, ma più per quello che aveva detto Hebe che per dare mano forte a Daia.
Si sa che l'unione fa la forza.
«probabilmente è così chiara perché rimane sempre in casa come un'eremita, nessuno inviterebbe ad uscire un'asociale come lei» commentò Daia.
«Infatti! E poi il sole si nasconderebbe davanti alla sua cupezza!» aggiunse Beth.
«Probabilmente, da piccole siete cadute e il cervello vi è scivolato fuori dall'orecchio, per questo siete così coglione» replicò Hebe con il loro stesso tono di voce, mettendosi lo zainetto in spalla e fissandole con quegli occhi del colore dello zaffiro.
Beth scoppiò a ridere mentre Daia la guardò male.
«Lo sanno tutti che il cervello non passerebbe mai dall'orecchio!» esclamò la bionda tinta.
Hebe fece un passo verso di lei facendola indietreggiare.
La ragazza Dark ghignò.
«Ti svelo un segreto, Vanderbilt» sussurrò avvicinandosi a lei «Se il cervello è veramente piccolo esce facilmente. E questo è il tuo caso» si allontanò dalla mia amica e si voltò verso Daia «Ed anche il tuo, ma la tua stronzataggine compensa appieno la mancanza di un cervello funzionante» sorrise diabolica, si voltò poi verso di me e mi squadrò, prima di uscire dallo spogliatoio senza dirmi niente.
Strano, normalmente se insultavano le mie amiche, io venivo automaticamente compresa nel pacchetto.
«Odio Daniels, ma chi si crede di essere quella?» stava borbottando Daia mentre raggiungevamo la palestra «È troppo sbruffona per essere una che non ha amici! E con il carattere che si ritrova non ne avrà mai!» esclamò Beth.
Avrei voluto dire, in realtà ce li ha, a volte la vengono a trovare a scuola, invece di dire:«Infatti, tantomeno un ragazzo»
Le mie amiche ridacchiarono e io lo feci con loro.
I ragazzi stavano già correndo per il riscaldamento e tra loro c'era Jason in maglietta e pantaloncini.
Tutta quella figaggine era assolutamente da censurare.
Iniziammo a correre anche noi.
In passato avevo perfino fatto finta di cadere pur di attirare la sua attenzione, peccato che ci pensò il suo amico Jack Calvis a soccorrermi.
«Dividetevi in due squadre, facciamo una partita di pallavolo» annunciò il professor Jules.
Due informazioni su John Jules, o come piace agli studenti, JJ: è stato un giocatore di football professionista, ma dopo un infortunio alla clavicola è stato costretto a ritirarsi, ora un professore e allenatore della nostra scuola. Ha un occhio di riguardo verso i suoi prediletti giocatori, Jason soprattutto, ma non trascura mai l'attività fisica degli altri studenti. Prende tutto troppo sul serio, come quando, il primo d' Aprile, gli abbiamo detto che un cane ha rubato i pantaloni di Darren e lui ha passato un'ora a cercare il presunto segugio per tutta la scuola, finché non se n'è reso conto e ci ha sbraitato contro.
Mi assicurai di entrare nella squadra di Jason, magari si sarebbe accorto dei miei pantaloncini aderenti se mi mettevo in punta.
Daia era molto eccitata all'idea di dover sfidare Hebe dall'altra parte.
La mia amica era una professionista, giocava a pallavolo da anni e quando il professore decideva di scegliere questa disciplina iniziava a prendere sul serio la materia.
La partita iniziò e dalla mia parte del campo giocavano solamente Daia e i ragazzi, io e Beth ci limitavamo a rimanere in posizione mentre loro prendevano le palle destinate a noi.
Tra i nostri avversari c'era anche quel Chanders, che giocava tremendamente bene, non ne mancava nemmeno una e a differenza degli altri aveva un sorriso stampato in faccia, come se si stesse divertendo veramente e non fosse una questione di vita o di morte sul vincitore supremo.
«Bravo Lance!» gridò un suo compagno di squadra dopo che lui fece punto, dandogli una pacca sulla schiena.
Lance rispose con un cenno riconoscente.
La partita riprese, dall'altra parte del campo si sentì la voce di Hebe esclamare: «palla!» e il sordo rumore della battuta.
Vidi il pallone al rallentatore, dirigersi proprio verso di me.
Questa era facile, sarei riuscita a prenderla, mi bastava alzare le mani. 
«Vai Azura!» lo sentii gridare. I miei occhi fino a quel momento concentrati sulla palla, dopo l'incitamento di Jason, scattarono di lato per una frazione di secondo, alla sua ricerca, una frazione di secondo letale.
Già la mia coordinazione occhi corpo non era dei migliori, aggiungiamoci un distraente e la mia faccia si ritrovò con le strisce della palla.
L'urto mi fece cadere all'indietro e perdere la sensibilità sul volto.
Per un breve istante i miei occhi percepirono solamente il nero e le orecchie un suono acuto non identificato.
«Clayton, si sente bene?» cosa? Davanti a me si parò il volto del professor Jules.
Annuii intontita anche se sentivo qualcosa di viscido e caldo coprirmi il volto.
«Tromp. Accompagnala in infermeria. Immediatamente» disse il professor Jules «ma perché io? Voglio star qui e vincere la partita!» esclamò la ragazza.
«ma è tua amica!» disse il professore indignato.
«La accomapagno io, professore» si offrì Hebe.
«Bene, Daniels»
Il professore mi aiutò a rimettermi in piedi mentre una sensazione di tristezza e abbandono mi serrava il petto.
Non ci aveva pensato due volte a mollarmi nella mia pozza di sangue. E lei dovrebbe essere la mia migliore amica.
Hebe mi condusse per quei corridoi che conoscevo a memoria e mi portò in infermeria.
Oltre al danno la beffa.
Non solo mi ero fatta distrarre dalla voce di un ragazzo, in più ero talmente patetica e abbandonata dal mondo che Hebe Daniels era l'unica che si era offerta di aiutarmi.
«Bell'amica che hai.» commentò la Dark con voce dura.
«È solo competitiva» mi affrettai a difenderla, per cosa poi?
«Tieni» mi passò un fazzoletto senza replicare, anche se probabilmente pensava malissimo di me. Accettai il fazzoletto.
«Non tenere la testa indietro, altrimenti il sangue arriva al cervello» mi disse sedendosi sullo sgabello accanto al lettino.
Seguii il suo consiglio, attendendo che arrivasse l'infermiera.
«Non è rotto» cinguettò Miss Garcia dopo un po'.
«Mi fa piacere saperlo, dato che sarebbe colpa mia se fosse rotto» commentò Hebe. «Ti accompagno in spogliatoio? Non credo che Jules ti farebbe ancora giocare e io ho la scusa di andarmene» propose.
Annuii e la seguii in silenzio.
Non so cosa mi portò a fare quella domanda, ma all'improvviso mi ritrovai a chiederle:«Quel Lance è il tuo ragazzo?»
Lei si voltò verso di me e alzò un sopracciglio.
«Era tanto per fare conversazione!» mi affrettai a difendermi squittendo.
«No» replicò.
Siccome non sembrava avesse intenzione di continuare chiesi:«Ma lo conosci?»
«Sì»
Allegria!
«E da dove viene?»
«Viene da Northampton»
«E...»
«Ma se ti interessa, perché non vai a chiedere direttamente a lui?» arrossii.
«Che ti salta in mente?! Come potrebbe piacermi mai quello? Non è il mio tipo!» esclamai indignata.
Volevo solo fare conversazione!
«E chi sarebbe il tuo tipo? Forster?» chiese disgustata.
«Non ti piace molto, vero? Perché non ci ha mai provato con te?» l'espressione sul volto di Hebe divenne ancora più adirato.
«Primo, non tutte le ragazze cadono ai suoi piedi soltanto perché è ricco e con un bel faccino; secondo, non che sia importante, mi ha chiesto di uscire molte volte, ma ho sempre rifiutato; terzo, credevo fossi meglio di quelle tue stupide amichette  coglione che ti ritrovi, ma a quanto pare sei fatta della stessa pasta.» dichiarò.
«Sarò anche emarginata in questa scuola, ma meglio soli che mal accompagnati. Lo spogliatoio è lì, devo accompagnare Lance a casa» disse prima di andarsene.
A casa pensai e ripensai alle parole di Hebe, ripensai al mio rapporto con Daia e Beth, potevo veramente considerarle mie amiche?
Ma certo! Noi siamo un trio!  Se non stavo con loro con chi potevo stare? Almeno sono qualcuno.
L'importanza di avere un titolo era indispensabile per me, non volevo essere una nessuno, un'emarginata sociale, avevo bisogno di impormi, anche a costo di spingere giù gli altri.
È l'egoismo che vince in una società come questa.

Angolo autrice

Ho cambiato copertina! La cambierò spesso finché non troverò quella che mi aggrada di più. Ma vi prego datemi una mano nella scelta!!! Le metterò nell'immagine del capitolo, mi dite quale preferite?

Insicura (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora