39. Problemi di comunicazione

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«Ti amo, Hebe.» disse Tony.
Il pubblico rimase ammutolito.
Mi voltai verso Hebe e la vidi a bocca aperta, sconvolta. Il sorriso di prima completamente svanito.
La ragazza cercò lo sguardo di Theo che stringeva nervosamente il suo strumento sul bordo del palco, in bilico. Sembrava un uomo pronto a gettarsi in pasto agli squali.
Non incrociava lo sguardo di nessuno, nemmeno per sbaglio.
Vidi diverse emozioni passare sul volto della mia amica: stupore; spavento; dispiacere; sensi di colpa; rabbia.
Ma prima che Hebe potesse salire sul palco e scaraventarsi contro Tony, il ragazzo sorrise.
«Dea della giovinezza.» aggiunse.
«Perché amiamo tutti la gioventù che ci dà tanta forza e energia! Come si può non amare colei che protegge i giovani?» esclamò nel microfono alzandosi in piedi e dando un calcio allo sgabello.
«E siccome la notte è ancora giovane! Canteremo un'altra canzone! Forza ragazzi! Tornate su!» gridò facendo cenno con la mano al resto della band.
I ragazzi si guardarono tra loro, spaesati, ma tornarono alle loro postazioni e in men che non si dica, iniziarono di nuovo a cantare e suonare a tutto volume.
«Non ho capito...» commentai scioccata guardandomi intorno e vedendo la gente che tornava a strillare e urlare.
«Uh... Io credo che non si riferisse a Hebe.» commentò Lance perplesso quanto me.
«Insomma, si stava riferendo a Ebe, la dea greca della giovinezza.» commentò.
«Ma certo! Non poteva riferisti a me!» esclamò Hebe scoppiando a ridere nervosamente.
«È sempre stato poetico e metaforico, ovviamente si riferiva a muse mitologiche...» disse più per convincere se stessa che gli altri.
Guardai entrambi, che si erano ormai convinti che Tony avesse fatto uno scherzo a tutti. Poi tornai a guardare il palco, dove il ragazzo cantava a squarciagola, a occhi chiusi, con tutto il fiato che gli rimaneva. E mi chiesi se avessero ragione.

Una volta terminato il concerto, io, Hebe e Lance andammo negli spogliatoi a trovare le star.
Fu Tony ad aprire la porta.
«Amico, ci hai fatto prendere un colpo!» stava dicendo Gryf ridendo.
Tony non rispose e non ci guardò nemmeno, tornando a sedersi per accordare la chitarra.
«Giuro che in quel momento mi stava per venire un infarto!» fece eco Fin.
Intanto anche noi ci eravamo seduti.
«E poi sarebbe stato imbarazzante se fosse stato vero, considerando che Hebe sta uscendo con Theo.» ridacchiò Dor dando una gomitata al timido violinista.
Hebe attraversò la stanza e si sedette senza tante cerimonie sulle sue gambe. Poi lo prese per il volto e lo baciò con passione, davanti a tutti.
«Già. Ho già il mio uomo.» commentò sorridendo e fissando intensamente attraverso gli occhiali storti e appannati di Theo.
«E poi a Tony piace già una ragazza, non è così?» esclamò con il suo tono più noncurante, rivolgendosi al cantante.
«Già. Peccato che sia una stronza.» sbottò Tony d'un tratto zittendo tutti.
Il ragazzo alzò lo sguardo verde su di noi che lo fissavamo. Poi si alzò, infilò velocemente i suoi strumenti nella loro custodia e con i suoi borsoni appesi su tutto il corpo, lasciò lo spogliatoio sbattendo la porta.
«Ci vado a parlare.» disse Hebe alzandosi in piedi, ma venne fermata per un polso da Theo.
«Lascia. Ci penso io.» sorrise tranquillizzante e seguì il cantante.
«Umh... Io... Emh... Noi andremmo.» commentò Lance cercando di non sembrare indiscreto ed evitando un silenzio imbarazzante tra i presenti.
Mi prese per mano e mi invitò ad alzarmi.
«Sì, certo. Grazie per aver partecipato.» disse Dor cordiale.
«Figuratevi. Mi piace la vostra musica.» affermai uscendo assieme a Lance che teneva le dita intrecciate alle mie.

«Tu non credi che fosse uno scherzo.» mi disse Lance con sicurezza una volta in auto.
Scossi la testa.
«Io credo che sia vero.» dissi. «E credo che Hebe lo sappia bene.» aggiunsi.
«Ti improvvisi esperta in amore ora?» chiese Lance divertito inarcando un sopracciglio.
«Perché no?» scherzai.
«Però Hebe è carina. Non biasimo i due ragazzi che le sbavano dietro.» affermai guardando con attenzione Lance.
«Beh, hanno gusti discutibili.» commentò Lance ridendo.
Sorrisi tra me e me. Non era carino da parte mia. Avrei dovuto difendere la mia amica, ma mi piaceva l'idea che Lance non ci vedesse troppo in lei.
«Poi ci sono Wren e Xavier. Penso che farebbero bella coppia assieme. Wren è tipo la ragazza più bella che abbia mai visto. Tu non credi?» aggiunsi con finta noncuranza fissandomi le unghie.
Ma la coda dell'occhio era fissa su qualsiasi movimento del ragazzo.
«Uh...» aprì la bocca per parlare, ma non uscirono altri suoni.
«Sì, insomma... Non è il mio tipo.» commentò infine.
«Però ciò non toglie che sia bella, vero?» insistei.
Lance sembrava quasi sudare freddo.
«Non male...» tentennò.
Ci provavo quasi gusto a torturarlo in quel modo. Si stava spaventando.
In realtà non mi sarei arrabbiata se avesse ammesso di trovare sexy Wren. Era normale e lo pensavo anche io, dopotutto.
«Lance. Ferma l'auto.» gli ordinai.
Lance mi scoccò un'occhiata spaventata.
«Andiamo, piccola...»
«Da quando mi chiami piccola?» chiesi alzando un sopracciglio.
Le orecchie di Lance si colorarono di rosso.
«Zhur...»
«Ho detto di fermare l'auto.»
Lance accostò nella stazione di benzina più vicina e approfittò del momento per riempirla.
Ma è scemo?
Rimasi in auto a braccia e gambe conserte, in silenzio. Quando Lance ritornò, mi guardò.
«Sei ancora incazzata?» chiese.
«Per cosa dovrei essere incazzata?» gli chiesi con candore.
«Perché penso che Wren sia bella.» borbottò guardando ovunque tranne che me.
La sua espressione era così comica che mi intenerì e mi fece scoppiare a ridere.
«Lance. Non me l'hai detto direttamente.» affermai.
«Tu sei più bella.» affermò nonostante la confusione. Forse non capiva se ridessi veramente o fosse solo isteria prima dell'attacco omicida.
«Non è vero. E lo sai tu e io.» affermai.
«Ma tu mi piaci di più.» disse annuendo.
Sorrisi ancora e gli scoccai un bacio sulle labbra.
«Non sono arrabbiata perché pensi che lei sia bella. Non mi arrabbio perché gli occhi ce li ho anche io. Non ti dirò che davanti a me dovrai dire che tutte le altre sono racchie. Non ti chiederò di riempirmi di complimenti. Perché voglio solo sincerità da parte tua.» affermai.
«Oooooh!» esclamò Lance. Si appoggiò mollemente sullo schienale dell'auto.
«Questo semplifica molto le cose.» disse tirando un lungo sospiro di sollievo. Alzai un sopracciglio confusa.
«Ora ti posso dire tutte le cose mi fanno fastidio di te.» affermò.
«Cosa?»
«L'hai detto tu no? Sincerità allo stato puro.»
«Sì, ma...»
«Allora sarà meglio sistemare questa lista. Così non avremo problemi in futuro.» mi interruppe.
«Lance, ma che...»
«Primo. Non sopporto la tua insicurezza.» disse. «Devi smetterla di sottovalutarti in ogni cosa.» affermò.
«Secondo. Non essere sempre così carina tutti i giorni. Non riesco a reggere così tanto tempo senza baciarti. Devi disgustarmi qualche volta.»
Inarcai un sopracciglio.
«Terzo. Hai i vestiti decisamente troppo scollati e i tuoi jeans sono troppi aderenti. Già mi dava fastidio quando ti guardavo assieme agli altri, ma ora che sei la mia ragazza lo trovo... spiacevole.» commentò.
«Mi guardavi nella scollatura?» chiesi ridendo.
«No! Ti guardo ancora nella scollatura e anche il fondoschiena se è per questo.» disse senza un cenno di imbarazzo.
Pizzicai entrambe le sue guance e le tirai facendolo lamentare.
«Sei un amabile babbeo.» affermai sorridendo.
«Per questo ti amo.» dissi.
Il tempo si fermò in quel preciso istante e i nostri sorrisi si gelarono in quel momento.
Entrambi eravamo sorpresi dalle mie parole. Avrei voluto scherzarci sopra, ma l'espressione sconvolta di Lance mi fece così male che non seppi far altro che lasciare la presa sulle sue guance e tornare a sedere nel posto del passeggero.
Lance mise in moto, mentre io guardavo fuori dalla finestra e vedevo la stazione della benzina allontanarsi alle nostre spalle.
Lance non mi aveva risposto e io non avevo ritirato ciò che avevo detto.
Non avrei mai pensato che fossero così pesanti da portare. Come faceva certa gente a dirle con tanta facilità e semplicità? Per poi lasciarsi due giorni dopo?
Sentivo la potenza e la pericolosità di quelle parole.
Le avevo sempre sentite. Eppure me le ero lasciata sfuggire in quello stupido momento.
Però erano vere. Incredibilmente vere. Ed era troppo assurdo anche per me sapere che erano sincere e reali.
Ma Lance era rimasto scioccato. Forse lui non era pronto. O forse non provava gli stessi sentimenti.
Avevo fatto la figura della scema e della stupida. Volevo chiedergli perché non mi avesse risposto. Desideravo farlo. Volevo veramente saperlo. Ma non lo feci.
Arrivai a casa sana e salva, nel sottofondo delle canzoni della radio che lui aveva acceso per riempire il silenzio.
«Ci vediamo domani.» lo salutai scendendo l'auto senza bacialo. Senza nemmeno guardarlo.
Lui non mi fermò nemmeno per sbaglio, ma partì alle mie spalle, prima che raggiungessi la veranda. Prima ancora che le luci automatiche rivelassero la mia presenza e si accendessero.
La delusione invase i miei dotti lacrimali, poiché poco dopo iniziai a piangere. Divenne sempre più forte finché non mi accovacciai davanti alla porta, come un randagio in cerca di rifugio, a sentirmi una persona patetica.
L'esterno era freddo, ma le mie lacrime erano calde, anche se giunte alla punta del naso e sul mento erano ormai gocce gelide di tristezza.
La mia paranoia mi portò a pensare che amasse ancora la propria ex.
Mi autocommiseravo così tanto. Me ne rendevo conto, eppure non riuscivo proprio a smettere di essere così deprimente.
La porta si aprì alle mie spalle e io caddi a terra. Ma non mi rialzai. Coprii il mio volto con le braccia incrociate, mentre le lacrime mi soffocavano il respiro. I singhiozzi erano diventati più forti, ormai impossibili da fermare.
«Zhur.» mormorò confuso uno dei gemelli. In quel momento non seppi riconoscere la differenza.
Ma lui mi abbracciò e in quel momento lo riconobbi senza ombra di dubbio.
Affondai il viso nel suo petto e lasciai che mi portasse nella sua stanza.
«Scusa. Stavi. Uscendo.» dissi tra un singhiozzo all'altro, senza lasciare il maglione di mio fratello mentre tiravo su col naso.
Eravamo abbracciati, distesi sul suo letto come quando eravamo piccoli. Quando ci intrufolavamo ancora nel lettone dei nostri genitori.
«Tranquilla. Disdico l'appuntamento.» mi sussurrò gentilmente. Assomigliava ad Arn quando parlava così.
«Non devi farlo per me.» riuscii a dire. Ma ero felice che fosse lì con me.
«Io posso.»
«Beth ti starà aspettando in qualche ristorante che hai prenotato.» mormorai.
«Ssssh. Non ti preoccupare.» fece Ace accarezzandomi la schiena e i capelli per calmarmi.
Ci riuscì. È per la stanchezza chiusi gli occhi e mi addormentai tra le braccia di mio fratello.

Insicura (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora