Sorpresa

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«Papà, lo so. Non c'è bisogno che mi accompagni fino alla mia stanza. Conosco questo posto. Ci sono già venuta una quindicina di volte anche senza di te, ricordi?» commentai seccata mentre scendevo dall'auto.
«Lo sai che se fosse stato per me avresti continuato a studiare da privatista. Fai ancora in tempo a ripensarci. Se non ti piacciono i tuoi insegnanti li possiamo sostituire.» disse mio padre nervosamente.
Era l'ennesima volta che dava inizio a questo discorso, ormai non ne potevo più.
«Papà, lo sai che non sono i professori il problema. E comunque la frequenta anche Jillian e l'ha frequentata anche Keith» esclamai esasperata.
Mio padre cercò di nascondere la sua espressione preoccupata, ma con scarso successo.
«Salutameli da parte mia.» si limitò a dire prima di rientrare in macchina.
«Ti voglio bene, papà» gli dissi prima di allontanarmi verso la scuola.
Dovevo ammettere di essere un po' spaventata all'idea di dover frequentare una vera scuola. Anche se tecnicamente si tratta di un'Accademia. E non era un'accademia qualsiasi ma la prestigiosa Accademia dell'arte, frequentata dalle giovani menti più brillanti del paese e dai figli di personaggi illustri.
Nonostante il nome, l'Accademia prepara i studenti in ogni disciplina e nel migliore dei modi, non solo in materia umanistica come si potrebbe pensare. Il fondatore dell'Accademia, infatti, riteneva che anche i numeri fossero delle arti, che il mondo stesso fosse arte, per questo il nome fu Accademia dell'arte. Piuttosto generico, vero. Ma unico e solo.
Era difficile entrarci per due motivi: primo, le tasse erano esuberanti e una normale famiglia, con due dipendenti lavoratori medi, non sarebbe mai riuscita a sostenere le spese; secondo, la prova d'ingresso era incredibilmente difficile per la maggior parte delle persone con un QI standard.
Denaro e conoscenze non erano un problema per me. Avendo studiato in casa per tutta la mia vita, ho avuto una preparazione molto buona e mio padre è un chirurgo rinomato, per cui anche il denaro non è un problema. Vengo da una famiglia di grandi dottori, ognuno con la propria clinica. Se lo diventassi anche io sarei la prima donna della famiglia ad esserlo.
Il mio unico problema erano le interazioni sociali.
Essendo stata una bambina che passava gran tempo della sua vita a studiare, non avevo avuto modo di interagire con coetanei e la cosa mi aveva segnata molto.
Le persone che avevo frequentato erano sempre adulti, quindi non riuscivo a riconoscere la spensieratezza nel parlare e nel divertirsi che leggevo nei libri. 
Ma non potevo andare avanti così, perciò avevo deciso di iscrivermi all'Accademia frequentata dai miei fratelli maggiori.
I miei genitori si erano separati quando ero piccola. In realtà, tecnicamente, non avevano divorziato. Ufficialmente erano ancora coniugi, semplicemente vivevano in case separate, lontani l'uno dall'altro.
Il problema era che entrambi lavoravano molto e ad un certo punto si erano persi di vista.
Vivere sotto lo stesso tetto era semplicemente diventato scomodo e loro non si parlavano nemmeno più.
Mia madre si era poi trasferita per comodità in Cina, il suo paese d'origine, e lì aveva aperto un centro estetico. La fama di ex modella le aveva attirato parecchia clientela e quindi rimase impegnata ancor più di quando faceva solo servizi fotografici.
Lasciò così mio fratello Keith e mia sorella Jillian all'Accademia dell'arte. Essendo dotati di dormitori non era un problema. Io invece ero rimasta rinchiusa in casa a studiare, lontano da tutti.
Keith era ormai maggiorenne e si era diplomato all'Accademia. Attualmente in viaggio per il mondo ad affinare la sua conoscenza culturale. Si era specializzato in lingue e l'ultima volta che gli avevo parlato ne sapeva circa nove. Dieci se si contava anche il latino.
Jillian era ormai al suo ultimo anno quando mi iscrissi al primo anno.
Non avevo intenzione di affidarmi a lei, mi trovavo in quella scuola per migliorare il mio livello di socializzazione e avere il diploma dell'Accademia per il mio futuro curriculum e tutto ciò andava fatto da sola.
Però appena varcai la soglia e vidi così tante persone iniziai ad agitarmi.
Finché passava per fare un saluto ai miei fratelli era una cosa, ma ora che facevo parte di quella gente, quegli studenti, mi sentivo tremendamente in trappola.
Il mio cuore batteva forte e avevo chiusa la bocca dello stomaco. Qualcosa stringeva così forte da provocarmi crampi e dolori.
Mentre mi facevo strada verso i dormitori non mi guardai nemmeno attorno. Volevo essere invisibile e passare inosservata. Avevo bisogno di ciò. Accelerai il passo e a testa bassa camminai spedita.
Forse fu un miracolo che non andai a sbattere contro nessuno.
Grazie all'e-mail con il numero di stanza che mi avevano inviato, andai alla reception per chiedere le chiavi. Parlare con quella signora anziana fu facile.
Quando raggiunsi la mia stanza la trovai con la porta aperta, all'interno c'era già una ragazza che stava sistemando la valigia.
«Ciao» disse senza voltarsi. Sussultai.
«Scusa, ti avevo sentita arrivare. Tu devi essere la mia compagna di stanza, Wren Sutton» disse voltandosi.
Era una ragazza molto alta e magra. Aveva il viso spigoloso e i zigomi pronunciati. I suoi occhi erano di un neutro castano, ma erano parecchio vispi e mi guardavano con interesse, come se mi stesse studiando. I capelli biondo scuro le scendevano ai due lati del volto, perfettamente lisci e paralleli, ed arrivavano fin sotto le scapole.
Aveva una spruzzata di lentiggini sul naso a punta e le labbra sottili erano piegate in un sorriso.
«Sì, Wren Sutton. Perdonami, ma non conosco il tuo nome. Non sapevo che ci informassero del nome del compagno di stanza» dissi per prima cosa dopo che l'ebbi studiata.
Lei rise.
«Quanta formalità.» commentò.
«Non lo fanno, ho fatto qualche ricerca.» aggiunse agitando una mano.
«Io sono Camelia Annamarie Jewett. Ma chiamami Cammie.» spiegò. Allungando la mano. L'accettai forzando un sorriso.
Ero troppo tesa e rigida, dovevo rilassarmi.
«Piacere di conoscerti, Cammie» dissi cercando di sorridere amichevolmente.
La ragazza sgranò gli occhi per qualche secondo per poi mettersi a ridere scuotendo la testa.
«Questa sì che è un ingiustizia» commentò.
«Cosa è un'ingiustizia?» le chiesi confusa.
«Niente, niente. Comunque mi sono concessa di prendere il letto a sinistra, non ti dispiace, vero?» chiese lei indicando la valigia aperta sul letto alla sinistra.
«Non è un problema, un letto vale l'altro» affermai con un'alzata di spalle.
«Grandioso. Stavo pensando di andare a ritirare i libri in biblioteca. Anche a te servono giusto? Vieni con me?» chiese la ragazza precedendomi.
Mi affrettai a posare la valigia e a seguirla.
Avevo la sensazione che stesse succedendo tutto troppo in fretta.
Eravamo già amiche? Non poteva essere così facile fare amicizia, vero? Mi stavo facendo troppe paranoie?
Cammie era un tipo di persona che camminava molto lentamente. Sembrava una di quelle persone che credevano di avere tutto il tempo del mondo. Non sembrava avere una meta era come se stesse facendo una passeggiata. Adeguarmi al suo passo era quasi sfiancante, sopratutto per il fatto che non ci parlavamo affatto. Inoltre io ero una di quelle persone che andavano sempre di fretta.
Ogni tanto iniziava a ridacchiare e io avevo un sacco voglia di chiederle perché lo facesse, ma non volevo sembrare inopportuna.
Iniziai a pensare freneticamente a un modo per rompere il ghiaccio, ma quando ebbi finalmente l'idea, eravamo ormai arrivate alle porte per la biblioteca.
Cammie tirò la maniglia e mi fece un cenno per farmi passare per prima.
La superai con imbarazzo.
Davanti al bancone per le informazioni c'erano due file di ragazzi rumorosi e chiacchiericci, probabilmente tutti del primo anno come noi. Dietro di esso la bibliotecaria che trasportava libri pesanti tra le braccia, aiutati da studenti più anziani.
Le volte prima in cui ci ero stata con uno dei miei fratelli era un luogo decisamente più silenzioso e pacifico.
Ci mettemmo in fila.
Mi voltai verso Cammie per parlarle ma lei sembrava distratta dal suo telefono, così decisi di lasciarle i suoi spazi.
Avevo lasciato il cellulare nella borsa in camera, quindi non sapevo nemmeno cosa fare nell'attesa del mio turno. Ad occhio e croce ci avrebbero messo un po' di tempo a smaltire le sette persone davanti a me.
Quando finalmente toccò a me, indicai il mio codice studente e subito lo studente incaricato andò a recuperare la mia lista.
Tamburellai le dita sul balcone nervosamente nell'attesa.
Il ragazzo ritornò con una pila di libri.
«Sono un bel po'. Hai deciso di fare un programma duro, eh?» commentò lo studente più anziano.
«Già.» commentai senza saper cosa dire. Non lo stavo nemmeno guardando in faccia, tanto ero nervosa.
Trovavo difficoltà a parlare con le ragazze, figuriamoci anche con i ragazzi. I ragazzi erano proprio qualcosa di alieno per me. Mio fratello Keith escluso. Quel ragazzo davanti a me era probabilmente il primo giovane con cui parlavo.
«Sei di poche parole» commentò ridendo. «buona fortuna, allora» mi disse gentilmente.
Alzai lo sguardo e incrociai il suo.
Mi sorrideva.
Abbassai la testa velocemente, spezzando in fretta quel contatto visivo e presi i libri tra le braccia.
«Okay, grazie» dissi frettolosamente in imbarazzo.
Erano più pesanti di quanto pensassi, ma l'importante era allontanarsi il più possibile da quel confronto.
Mi allontanai verso l'uscita e quando mi trovai davanti alla porta realizzai che non riuscivo ad aprire la porta.
Cercai di cavarmela abbassando la maniglia con il gomito, poi diedi una spinta alla porta con la pianta del piede.
La porta si spalancò di colpo e con forza, sorprendendomi. Non mi aspettavo che scattasse così forte. In un secondo momento mi resi conto di averla sbattuta contro qualcuno. Lasciai cadere i libri e mi precipitai verso la figura volata a terra.
«Oh! Santo cielo! Mi dispiace!» esclamai nel panico inginocchiandomi accanto al ragazzo che si stava premendo le mani sul naso e biascicava imprecazioni.
Mi sentii malissimo e troppo in colpa. Non sapevo nemmeno che fare. Speravo che non ci fosse sangue o che non gli avessi rotto niente.
«Il mio naso...» borbottò.
«Scusami tanto! Non volevo! Fa vedere...» dissi nel panico allungando una mano verso le sue mani.
Il ragazzo li allontanò dal volto e si guardò le mani per vedere se ci fosse sangue. Non c'era per mia grande fortuna.
Poi alzò lo sguardo su di me.
La prima cosa che mi stupì furono gli occhi.
Erano di un intenso color mercurio ed erano lucidi per via delle lacrime di dolore, in forte contrasto con le ciglia scure e lunghe, anch'esse bagnate. Normalmente il grigio degli occhi delle persone sembra una variante sbiadita e insensata dell'azzurro, ma per lui non era così.
Il resto del viso sembrava fatto apposta per risaltare quegli occhi tanto intensi e di un colore tanto particolare.
Pensai di non aver mai visto un ragazzo tanto bello in vita mia, se non nella mia testa quando mi immaginavo i personaggi dei libri.
Appena lo vidi era come se qualcosa mi avesse dato una scossa.
«Mi stai guardando così perché ho il naso rotto o perché ti sei appena innamorata di me?» chiese il ragazzo.
Quelle parole mi portarono bruscamente alla realtà e la strana sensazione venne sostituita da una più sgradevole. Non mi piacevano le persone che flirtavano al primo incontro, soprattutto con battute stupide e per nulla divertenti.
E poi chi si credeva di essere?
Però gli avevo comunque sbattuto la porta in faccia non potevo certo rispondergli male.
«Nessuno dei due» dissi più educate e te possibile «Mi spiace averti sbattuto la porta in faccia» ripetei.
«Be', il mio naso sta bene» commentò stropicciandoselo mentre si rimetteva in piedi.
Sospirai sollevata e mi chinai a raccogliere i libri caduti.
Che nessuno, nel frattempo, si fosse fermato per aiutarci era qualcosa che mi pesa ancora ora.
Lui mi aiutò a raccogliere l'ultimo.
Provai ad allontanarmi il più in fretta possibile, in modo da dimenticarmi quella pessima figuraccia al più presto, ma il ragazzo mi fermò.
«Aspetta! Non ti ho detto di averti perdonata. Non accetto le tue scuse» mi disse sbirciando da un lato per potermi vedere oltre la pila di libri.
«Cosa?» chiesi confusa. Mi iniziò a stringere lo stomaco di nuovo per il nervosismo. Ma stavolta era irritazione e non paura.
«Mi hai sbattuto la porta in faccia e mi hai chiesto scusa. Ma io non le accetto.» affermò di nuovo come se fossi stupida.
Se c'era qualcosa che detestavo di più delle persone stupide, erano quelle che pensavano che io fossi una ragazzina stupida.
«Perché non dovresti accettarle?» chiesi alzando la voce irritata.
«Facciamo così, se esci con me le accetterò» disse sorridendo.
Questo tizio mi sta prendendo per il culo?! Davvero mi sta rimorchiando in questo modo adesso? È sicuramente uno di quegli imbecilli che si credono il macho super figo della situazione e tratta le donne come esseri inferiori da abbordare con parole accattivanti.
«Allora non accettarle. Non hai niente di rotto e non mi puoi fare causa. Quindi se non ti dispiace avrei dei libri da appoggiare» replicai freddamente. Tutto il dispiacere che avevo provato per lui si era ormai volatilizzato.
Mi voltai e mi allontanai.
«Cosa? Hai detto di no?» esclamò. Sembrava veramente confuso che qualcuno l'avesse appena rifiutato.
Da una parte era comprensibile. Era veramente incredibilmente bello e sicuramente era ricco per essere stato ammesso a questa scuola. Ma d'altra parte lo trovai veramente arrogante da parte sua.
«Vivi in un mondo piccolo se non hai mai ricevuto un no in vita tua» commentai.
Intanto le mie braccia tremavano leggermente per via della mole dei libri.
Lui ebbe il coraggio di sorridermi.
«No, è che di solito ho un buon radar per distinguere le persone a cui appaio attraente e a cui possa piacere. Però capisco che tu possa voler far la difficile adesso, non è un problema.»
Cosa ho appena udito?!
Ma quale razza di coglione, arrogante, narcisista dalla faccia tosta avrebbe il coraggio di dire certe cose?!
«Io ho un radar che mi avverte quando ci sono persone imbecilli da evitare e adesso sta impazzendo per te.» dissi.
«E il mio che tu sei già pazza di me.» replicò subito.
«Il tuo radar non funziona. Quindi, addio» sibilai prima di allontanarmi.
«Aspetta! Non mi hai detto come ti chiami!» esclamò venendomi dietro.
«Io sono Xavier, comunque. Preferirei non dirti il mio cognome per non spaventarti ma...»
«Credimi. Non mi interessa» dissi accelerando il passo.
«Okay, hai vinto. È Bellson. Xavier Bellson» disse immediatamente dopo.
«Non te l'ha chiesto nessuno» affermai. Però quel cognome mi era familiare. Non poteva essere lo stesso Bellson della Bellson enterprises, vero?
«E tu? Tu come ti chiami?» insistette.
Sbuffai esageratamente e mi fermai.
«Se te lo dico mi lasci in pace?» chiesi.
«Giurin giurello. Croce sul cuore» affermò incrociando gli indici davanti al petto e facendomi l'occhiolino.
«Permi» dissi «Permi Nonrom»
«Permi Nonrom?» ripeté stupito.
«Che nome... particolare...» commentò. Evidentemente non ci era ancora arrivato e stava cercando di non dare a vedere che pensava fosse un nome orribile per lui.
«Permi Nonrom, Permi Nonrom, Nonrom Permi... Non rompermi... ?» borbottò tra se e se.
Così, mentre metabolizzava ciò che avevo detto, mi allontanai il più in fretta possibile. Quando finalmente comprese, io ero ormai lontana.

Angolo Autrice

Breve OS dal POV di Wren su come si sono conosciuti lei è Xavier.
Ovviamente qui nessuno dei due si è innamorato a prima vista. Qui Xavier ci prova con lei semplicemente perché è bellissima, niente di più.
Il Xavier prima di innamorarsi era veramente molto più insopportabile. Tenere a Wren che l'ha rifiutato in continuazione gli ha fatto capire che non può ottenere tutto dalla vita soltanto perché è bello e ricco. Ha capito che deve lottare per avere ottenere qualcosa. D'altra parte Wren è una ragazza che aveva sempre un sacco di pregiudizi. Non avendo vissuto mai nulla in prima persona si comporta sempre dando per scontato le cose. Pensa di sapere già tutto come gira il mondo solo perché ha letto un sacco di libri, ma ci sono certe cose che non si possono controllare o prevedere.
È vero che Xavier non era un granché ma Wren non aveva mai cercato di capirlo. Poi ci sono vari avvenimenti che le fanno capire che lui è qualcosa di più che un bel faccino ricco, ma nonostante ciò non riesce a rinnegare la sua impressione originale. 
Trovo interessante l'evoluzione del loro rapporto, per questo avevo intenzione di scrivere la loro storia in un futuro prossimo... Ma chissà, ho veramente un sacco di progetti ed è anche possibile che in futuro questa storia non mi ispirerà più 🤔
Però avevo ideato un bel titolo: "Rubacuori".

Questa os comunque era una specie di festeggiamento perché questa storia è entrata nella top 600 delle storie candidate al wattys2018! Non penso vincerò qualcosa perché molti altri candidati sono veramente molto più bravi, ma già questo traguardo mi ha fatto piacere! Grazie e seguitemi anche nelle altre storie!

Insicura (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora