30. Iris Reagan

5.9K 415 163
                                    

Non volevo più piangere per lui. Non volevo piangere per un ragazzo che non provava nulla per me. Eppure, mi ritrovai a versare altre lacrime perché si era preoccupato per me, dopo che mi aveva chiesto di accompagnarlo a prendere un regalo per chi veramente amava.
Sentii la campanella di fine pausa pranzo suonare, ma non me ne importava in quel momento. Avevo una vaga intenzione di lasciare la scuola, senza avvertire la dirigenza e nessun altro.
A pochi passi dal cancello, notai una figura appoggiata al muretto, le cuffie bianche alle orecchie e la borsa stretta ai piedi.
Iris stava giocherellando con il telefono e non prestava attenzione a nessuno. Possibile che fosse lì ad aspettare Lance già a quell'ora? Mancavano ancora due ore.
In lontananza, la campana suonò di nuovo e mi decisi a correre indietro, pur di evitare quella ragazza che non si era nemmeno accorta della mia presenza.
Arrivai trafelata nell'aula sbagliata, imbattendomi in una classe attontita di studenti dell'ultimo anno.
«Ha bisogno?» chiese il professore. Non sapevo chi fosse.
Non ho storia a quest'ora?
La mia fronte, già imperlata di sudore, prese a bagnarsi di più dall'agitazione.
Tentai invano di trovare qualche scusa plausibile per quella intromissione.
«Zhur» intervenne una voce dal fondo dell'aula.
«Ace» dissi quasi sorpresa, come se non sapessi che mio fratello frequentasse l'ultimo anno. Effettivamente aveva faticato ad arrivare fin lì, per via della sua dislessia, e il suo essere iperattivo, talvolta, gli aveva creato dei problemi disciplinari. Ma alla fine ce l'aveva fatta.
«Mi cercavi?» chiese.
«Sì, emh... Professore, può uscire un secondo mio fratello?» chiesi rivolta al professore cogliendo la via di fuga che mio fratello mi stava offrendo. Poi mi ricordai che in realtà ero incavolata con lui. Che non l'avevo perdonato per essere stato l'imbecille numero uno sulla faccia della terra.
Ace si chiuse la porta della classe alle spalle e mi guardò in attesa con urgenza. Evidentemente pensava veramente che ci fosse qualche problema perché mi chiese:«È successo qualcosa a casa?»
Scossi la testa e l'espressione di mio fratello si tranquillizzò.
«Io... A dire il vero non ti cercavo. Ho solo beccato la classe sbagliata.» mormorai abbassando lo sguardo. La delusione si sparse sul bel volto di Ace e mi provocò una morsa di senso di colpa nello stomaco.
«Ah...» mormorò lui imbarazzato. Non dovrebbe esserci questo disagio tra noi. Lui è mio fratello. Il mio Ace. Anche se fin da piccola mi ha sempre presa in giro, rimane sempre mio fratello. Forse era il momento di mettere da parte i rancori nei suoi confronti.
Ma poi lui aprì bocca:«Dunque mi hai usato per evitare di fare una figuraccia. E poi ti lamenti di Beth accusandola di ciò che sei anche tu.»
Aprii la bocca, scioccata e ferita dalle sue parole. Vedevo che Ace era ferito anche lui nel profondo. Conoscevo bene mio fratello e sapevo benissimo quando cercava di trattenere la sua vulnerabilità. Almeno questo era quello che credevo. Ma con questa consapevolezza replicai.
«Sei cattivo, Ace. Preferisci lei a me? Sono tua sorella!» esclamai oltraggiata. Le lacrime che avevo ricacciato prima indietro, in quel momento, stavano minacciando di riversarsi nuovamente sulle guance ancora bagnate.
Ace strinse le labbra e evitò di guardarmi.
«Non è una questione di scelte, Zhur.» riprese dopo qualche secondo di silenzio, con tono più dolce. «Io ti voglio bene e te ne vorrò sempre. Vorrei solo che ti sforzassi di più a stare nei suoi panni...» tentennò.
Le parole di qualcuno hanno il potere di tagliarti e prima che le tua ferite si possano rimarginarsi colpiscono ancora e ancora, lasciandoti profonde cicatrici invisibili. La Natura ha dotato gli esseri umani della parola e probabilmente è l'arma più pericolosa per i deboli della specie.
Avevo una gran voglia di tirargli un pugno. Mi stava ferendo. Non capivo nemmeno se si rendesse conto o meno di ciò che aveva fatto, o meglio, non fatto. Però non trovavo nemmeno le parole per spiegarmi. Sempre che la sua testardaggine gli avrebbe permesso di ascoltarmi.
Però ero stanca. Stanca di litigare e di soffrire. Bastava sorvolare su tutto. Non volevo perdere anche Ace.
«Okay.» dissi passivamente.
«Okay?» mi chiese lui stupito.
«Okay.» confermai. «È meglio che tu vada in classe.» continuai voltandomi e allontanandomi. Nonostante la sua perplessità, Ace non mi seguì e lo sentii rientrare in classe.
Ormai era inutile andare nella mia, così mi ritrovai a pensare che se avessi continuato a saltare in quel modo le lezioni, prima o poi mi sarebbe capitata una sospensione. E sarebbe stato assurdo impedirmi di andare a scuola perché avevo saltato le lezioni. Sarebbe stato un controsenso.
E io che pensavo di poter andare bene a scuola almeno quell'anno.
Però ero troppo stanca per preoccuparmene veramente.
Sono quei momenti in cui ti senti cupa e buia, in cui vorresti urlare al mondo intero i tuoi problemi, ma poi realizzi che a nessuno frega nulla di te, perché sono troppo occupati con i propri di dilemmi. Sono quei momenti in cui ti senti sola ed abbandonata, dove speri in segreto che qualcuno si avvicini e ti chieda "che hai?", "perché ti senti così?", qualcuno che voglia ascoltarti, che voglia comprendere i tuoi problemi, che vuole sapere la causa di quelle lacrime. Ma non c'era nessuno.
«Ehi.» intervenne qualcuno come se avesse sentito la mia tacita richiesta di aiuto. Non mi ero nemmeno accorta di essermi seduta in mezzo al corridoio, con la schiena appoggiata contro il muro e la testa tra le ginocchia. Quindi era improbabile che mi fossi accorta della persona che si era seduta accanto a me.
«Quando ho visto Chanders tornare senza di te, mi sono preoccupato.» disse la voce di Jason.
«Che sciocco preoccuparsi per qualcosa del genere.» commentai.
«Beh, avevi detto che saresti tornata subito e mi è sembrato strano.»
«Non è da te preoccuparsi per gli altri.» Sapevo che quelle parole lo avrebbero ferito, ma in quel momento non me ne poteva fregare niente. Avevo subito così tanto da Lance e Ace che mi stavo sfogando su di lui.
«Ahi» fece lui con una risata nervosa «Questa faceva male. Però hai ragione, non ho dato motivo di farti credere il contrario.» disse appoggiando la testa contro il muro e fissando il soffitto.
«Sarà difficile farti credere veramente in me.» affermò prima di alzarsi di scatto. Poi mi tese una mano che accettai di buon grado.
Mi tirò e finii tra le sue braccia, con il suo volto a pochi centimetri dal mio e gli intensi occhi del cielo nuvoloso fissi sui miei.
«Ma non mi arrenderò.» sussurrò dolcemente.
Era quello che avevo sempre desiderato, dopotutto. Avevo già deciso di lasciarmi andare, allora per quale motivo non riuscivo a perdermi nei suoi occhi?
In quel momento suonò la campanella, che mi diede la scusa di allontanarmi da Jason.
Il ragazzo non si fermò mentre raggiungevo il mio armadietto per cambiare i libri e frequentare l'ultima lezione. Nessuno mi fermò e nessuno mi parlò. O forse lo fecero senza che me ne accorgessi.
Non aveva alcuna importanza.

Insicura (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora