12. La Band

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Hebe affermò che doveva vestirsi e truccarsi, così mi cacciò fuori da camera sua. Come se non l'avessi mai vista in intimo negli spogliatoi. Ma rispettando la sua privacy mi dileguai in salotto, dove poco prima avevamo sorpreso i due piccioncini avvinghiati. Non sapevo cosa pensare. Mi trovavo in casa della ragazza asociale della scuola, sorellastra del tipo nuovo super socievole ad attendere che lei mi portasse a conoscere qualcuno... Mi sembrava un controsenso. Considerando che io ero Azura Clayton. Una delle ragazze più popolari della suddetta scuola!
Al ritorno dalla spesa avevamo accordato di trovarci il venerdì pomeriggio per continuare le ricerche. Avevamo piantato i nostri semi e annaffiato il vaso per poi metterlo dentro la serra. Ce ne saremmo occupate a turno, in modo che se l'esperimento fosse finito male, non avremmo incolpato solo una delle due.
Mentre aspettavo la ragazza sentii la porta di casa sbattere facendo entrare una donna dai capelli scuri in casa. Aveva i capelli raccolti in uno chignon disordinato e un vestito a fiori sotto una giacca di pelle beige. Stivali del medesimo colore della giacca con tacchi vertiginosi e, per essere una donna di circa quarant'anni, aveva delle gran belle gambe fasciate da calze color carne. «Ragazzi! Sono tornata! Oh, casa dolce casa! Addio lavoro di merda, ci vediamo domani!» esclamò tutta pimpante. «Dov'è il mio nuovo figlioccio? Dov'è la mia tenebrosa figlia maledetta?! Dov'è il mio fresco maritino? E tu? Tu non sei mia figlia!» esclamò posando lo sguardo su di me. Aveva gli occhi scuri come i suoi capelli, ma così luminosi che sprizzavano gioia. «No... Signora... Mmm...» e adesso come la chiamo? Daniels o Chanders? «Oh, chiamami Livia! Sei di Hebe o di Lance? E dove sono quei due?» chiese distratta «Mamma!» esclamò Hebe spuntando da camera sua. «Figlia!» esclamò questa con lo stesso tono «Non è un oggetto e non appartiene a nessuno.» disse con stizza la ragazza alla madre. «Oh! Ti sbagli! Tutti apparteniamo a qualcuno ed anche lei ed anche tu!» cinguettò la donna «Io appartengo a me stessa.» replicò infastidita Hebe «Tu appartieni a me! Sei mia figlia! Appartieni al tuo futuro marito! Appartieni a questo meraviglioso pianeta e...» Hebe fece il gesto di tacere con una mano. Mi raggiunse e mi prese per un braccio. «Andiamo» disse «Ma come! Ve ne andate di già? Non mi hai nemmeno presentato la tua nuova amica! Cosa alquanto rara che merita veramente una cena speciale!» disse la donna «Lei è Azura. Azura questa è mia madre. Ora ce ne andiamo.» affermò Hebe tirandomi verso la porta. «Ma per cena? Tuo padre oggi...» «Frank non è mio padre, okay?! Mio padre è Isaac Daniels, chiaro?» sbottò Hebe uscendo di casa con la borsa e le chiavi in mano. Sul volto di Livia comparve un'espressione ferita mentre fissava la porta d'ingresso. «A rivederla signora Dan... Chan... A rivederla Livia» balbettai prima di uscire di casa per raggiungere la figlia. Bussai sul finestrino «Salta sulla mia macchina. Poi ti porto a casa» affermai «È più comodo.» mi giustificai. Hebe si limitò ad annuire e scese dal posto del guidatore per raggiungere la mia auto. Salimmo entrambe e allacciammo le cinture. Mi azzardai a dare un'occhiata dalla parte di Hebe per trovarla immersa nei suoi pensieri con il gomito appoggiato al finestrino abbassato e il mento sul palmo della mano. Non sapevo se parlarle come se niente fosse o chiederle di sua madre. O in alternativa non parlare affatto per il mio bene. Ma le mie labbra si mossero contro il mio volere e le corde vocali vibrarono senza ordini dal cervello. «Non vai d'accordo con tua madre?» mi aspettai una sua sfuriata invece Hebe si voltò verso di me, guardandomi inespressiva. «Io voglio bene a mia madre» disse «Andavamo d'accordo prima» spiegò. «Gira a destra fra cento metri circa» mi suggerì «Ce l'hai con lei per aver divorziato da tuo padre per poi risposarsi?» chiesi di nuovo «No. Capisco perfettamente i motivi. Non andavano d'accordo e sono felice che ora abbia trovato Frank.» replicò la ragazza «Allora qual è il problema?» chiesi «Ti vergogni per caso di lei? Non vuoi che i tuoi amici la conoscano?» lei mi guardò per poi scoppiare a ridere «Ma no! Non me ne frega niente di quello che pensano gli altri.» disse «Non sono una persona da apparenze.» aggiunse «È solo una fase.» mi spiegò «Una fase egoistica...» mormorò prima di chiudersi di nuovo in sé.

Insicura (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora