23. Recita

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Non volevo tornare a scuola. Temevo la routine ancora prima che fosse iniziata.
Lo studio costante, i professori, i test, le chiacchiere dei compagni di scuola... Un incubo.
Il mio letto era così caldo e confortante, morbido e delicato, perché l'avrei dovuto lasciare?
«Azura Clayton! Se non ti alzi entro cinque secondi vengo sù io!» sentii strillare mia madre. Spalancai gli occhi e mugolai sofferente.
Ripeto. Non volevo tornare a scuola.
Cercai di tirarmi sù e vestirmi, ma appena alzai la testa, quella ricadde, sprofondando nel morbido cuscino invitante.
«Che sofferenza.» mormorai fissando il vuoto. Dopo altri due rimproveri di mia madre, decisi di alzarmi. Come al solito, ci misi secoli a lavarmi e a decidere cosa mettermi addosso, ma alla fine optai per un maglione aderente azzurro e un paio di jeans con strappi al ginocchio. Agguantai gli stivali grigi e lo zaino con tutti quei fili colorati inutili e mi diressi in cucina.
Appena misi piede sulla soglia mi ricordai di non essermi truccata e feci dietrofront, quando i miei fratelli avevano già mangiato ed erano pronti ad uscire.
Siccome andavo di fretta, l'eye-liner aveva deciso di fare di testa sua e non farmi la riga scura dritta. Avevo voglia di gridare e spezzare quello stupido oggetto in due. Avevo i nervi a fior di pelle dall'irritazione e un'improvvisa voglia di piangere mi serrò la gola.
I continui incitamenti di Ace non mi facilitavano le cose.
«Un attimo! Che ansia!» gridai infine, dopo essere finalmente riuscita a truccarmi decentemente.
Odiavo saltare la colazione, ma ero davvero in ritardo, così mia madre mi lasciò un paio di sterline per pagarmi qualcosa da mangiare al bar accanto alla scuola. Lo sapevo che mia madre mi adorava, sono la sua principessina, dopotutto. Abbracciai mia madre e raggiunsi i miei fratelli in auto.
«Alla buon ora, lumaca.» affermò Ace con il telefono in mano e i pollici scattanti che rispondevano a qualche messaggio. Ace non ci aveva voluto dire dove aveva passato l'ultimo dell'anno ed era assolutamente sospetto. Ma ero sicura che avesse qualcosa a che fare con la persona dietro i messaggi.
Mentre Arn guidava mi sporsi per riuscire a spiare lo schermo del telefono di Ace, ma il ragazzo se ne accorse.
«Ah ah ah, rompipalle, non si spia tuo fratello.» disse colpendomi la fronte con le dita.
«Ahia! Sei violento!» mi lamentai mentre il ragazzo bloccava il telefono.
«Te lo meriti, impicciona.» affermò facendomi la linguaccia.
«Ehi, bambini, ora smettetela.» dichiarò Arn cambiando marcia. «O vi mollo a piedi.» La minaccia di Arn faceva paura ai polli, ma comunque mi zittii. Dopo due secondi buoni, tirai le guance ad Ace e mi appiattii allo schienale dei sedili posteriori. Mio fratello cercò di affermarmi ma iniziai a ridere e strillare giocosamente.
Miracolosamente arrivammo sani e salvi a scuola senza incidenti e appena vidi l'edificio stagliarsi davanti a noi, con tutte quelle persone in cortile a chiacchierare animatamente, mi bloccai. Dannazione, non avevo mai avuto così tanta paura di riprendere ad andare a scuola.
Quando i miei fratelli mi salutarono, avrei voluto seguirli disperata e attaccarmi alle loro gambe, in modo che, almeno, in loro presenza, le voci si sarebbero affievolite. Però, mi diressi coraggiosamente da sola verso l'entrata.
«Non guardarti indietro.» asserì ad un tratto la voce di Lance, mentre un braccio estraneo mi circondava le spalle.
Sussultai spaventata.
«Mi hai fatto prendere un colpo!» esclamai.
«Beh, ti chiamavo da un po', ma eri persa tra i tuoi pensieri, così ti ho raggiunta.» affermò.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, ma una parte dell'ansia svanita.
«Perché non mi dovrei guardare indietro?» chiesi.
Un sorriso sardonico comparve sul suo volto.
«C'è un tizio che ci sta tenendo d'occhio» affermò prima che ci voltassimo entrambi.
«Quel tipo in cappotto beige e il capello alla Sherlock Holmes.» sussurrò.
Appostato su una panchina dal lato opposto della strada, c'era effettivamente un uomo che alzava spesso lo sguardo sugli studenti.
«Ti fai troppe paranoie.» affermai tornando a guardarlo, prima di accorgermi di quanto fosse vicino il suo volto. La mia testa scattò di lato per l'imbarazzo, senza che Lance se ne accorgesse, ma obbligò il mio sguardo a posarsi sul gruppo di Daia. La ragazza mi notò e sorrise con le sue labbra perfette, prima di alzare la mano destra e alzare il dito medio. Tutto il gruppo scoppiò a ridere mentre io abbassavo lo sguardo. Mi voltai verso Lance che stava ancora parlando dell'uomo col cappotto, sparando teorie che non stavano né in cielo, né in terra e soprattutto incomprensibili. Mi fermai e appoggiai la fronte sul suo petto, irrigidendo il suo corpo per la sorpresa.
Lui si interruppe e mi chiese preoccupato:« Zhur, tutto okay?» Scossi la testa, sfregando la fronte sul tessuto delle sue vesti.
«Ah, quella bastarda.» lo sentii mormorare mentre mi poggiava una mano tra i capelli. Evidentemente aveva capito cos'era successo.
«Sono felice che ci sia tu.» sussurrai con voce flebile, dubitando che il ragazzo mi avesse sentito.
«Non dare importanza a qualcuno che non è nulla.» mi sussurrò gentilmente.
Hebe mi aveva ripetuto spesso qualcosa di simile, ma ogni volta che lei me lo diceva pensavo sempre che fosse più facile a dirsi che a farsi. Non mi riusciva a consolare, anzi, forse talvolta mi sentivo peggio, autocommiserandomi di più.
Ma quando lo disse lui, mi riuscì a sciogliere dal peso enorme. Forse fu il tono che usò, così dolce e confortante, o forse Lance era semplicemente più premuroso di Hebe.

Insicura (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora